GIUSTINIAN, Giustiniano
Nacque a Venezia, nella parrocchia dei Ss. Apostoli nel sestiere di Cannaregio, il 4 ott. 1525, terzo dei figli maschi di Giovanni del cavaliere Francesco e della sua seconda moglie, Laura Emo di Gabriele del cavaliere Giovanni (la prima moglie, una figlia di Girolamo Contarini, era morta poco dopo il matrimonio).
La famiglia era ricca e prestigiosa: uno zio del G., Tommaso, conosciuto con il nome di beato Paolo, fu il famoso riformatore dei camaldolesi e autore, insieme con Pietro Querini, del Libellus ad Leonem X; il padre, studioso di alchimia, morì nel 1537, allorché il G. non aveva che dodici anni. Fu probabilmente per questa ragione che buona parte della vita del G., come dei suoi fratelli, fu segnata dalla necessità di procurarsi impieghi retribuiti, una volta raggiunta l'età per poter accedere alla vita politica, che era poi - alla metà del XVI secolo - l'unica attività consentita agli esponenti del patriziato lagunare.
Ottenuto l'ingresso in Maggior Consiglio, il G. fu subito eletto (5 luglio 1550) avvocato per le Corti, magistratura giudiziaria di antica origine e di durata triennale, ma dal limitato respiro; sicché, dopo poco più di un anno, optò per un'altra magistratura di pari calibro: avvocato per gli uffici in Rialto (14 ag. 1551), ma ancora una volta non portò a termine il mandato, poiché il 3 dic. 1553 tornò avvocato per le Corti, carica che avrebbe coperto ancora per un quadriennio: era un personaggio preparato e prudente, disposto ad accontentarsi di modeste purché regolari retribuzioni.
Avvocato dei Prigionieri (magistratura di ancor minor rilievo, pur essendo una gloria storica della Serenissima) nel 1557, l'anno seguente il G. divenne avvocato fiscale del Consiglio dei dieci, incarico confermato ininterrottamente per un decennio. Ne approfittò per arricchirsi, aiutato in questo anche dal progressivo concentrarsi dei beni familiari nelle sue mani, in seguito alla scomparsa dei fratelli Tommaso, Nicolò e Francesco, tutti privi di eredi.
Il 27 apr. 1559 il G. sposò Caterina Loredan di Marco di Alvise, da cui ebbe Laura, maritata nel 1578 con Pietro Gritti di Bernardo, e altre due figlie, che divennero monache; quindi Giovanni e Marco, quest'ultimo destinato a raggiungere la dignità procuratoria.
Il mutato status sociale comportò anche una svolta nella sua carriera politica: avogador di Comun dal 13 marzo 1569 al 12 luglio 1570, qualche mese dopo fu eletto podestà di Treviso, dove entrò nell'aprile del 1571. L'impegno era economicamente oneroso, ma sarebbe stato solo il primo di una serie di rettorati nelle principali città della Terraferma, a ulteriore conferma del solido patrimonio di cui il G. poteva ormai disporre; in particolare, la podesteria trevigiana non dovette essergli troppo sgradita, visto che il nucleo eminente delle sue proprietà fondiarie si trovava proprio in quella provincia, a Campo di Pietra presso Oderzo. Al termine del mandato, il G. fu eletto nuovamente avogador di Comun (22 febbr. 1573), quindi - il 24 luglio - sindaco in Dalmazia; si trattava di una magistratura eccezionale, solitamente creata in periodi di particolare emergenza giudiziaria e amministrativa, quale appunto era la situazione che stava attraversando la regione, duramente colpita dalle incursioni ottomane nel corso della guerra appena conclusa (la battaglia di Lepanto era stata combattuta nel 1571).
Il G., tuttavia, rifiutò la designazione e dovette pagare questa scelta con alcuni mesi di assenza dalla politica attiva, seguiti dalla nomina (il 5 giugno 1575) alla luogotenenza della Patria del Friuli. Anche in questa regione di frontiera il recente conflitto aveva negativamente inciso sulla regolarità amministrativa e sugli equilibri sociali che dividevano i "cittadini" dai "castellani", i rappresentanti delle Comunità (Udine in particolare) dai feudatari, ancora forti e numerosi nell'area collinare e montana.
Un preciso quadro di tali dissidi si coglie nella lunga lettera inviata dal G. al Consiglio dei dieci il 28 genn. 1576, i cui termini sono ribaditi nella relazione conclusiva (1577), dove l'ex luogotenente scrive che "tra castelani et quelli de la cità ci è odio mortale, et in ogni occasion di guerra o d'altro moto, sarìa pericolo grande che essi castelani non si solevassero contro la cità". La povertà del territorio, la frammentazione amministrativa ("nela Patria sono settantadoi giurisdicioni"), la disparità di tributi e dazi esistente nei diversi luoghi ("li pesa anco questo datio grandemente, [perché] Cividal non paga cossa alcuna per questo conto, di modo che pare ala cità di Udine, et al resto dela Patria, che siano trattati da la Serenità Vostra come fiastri, et loro come figlioli") sono i maggiori guasti lamentati dal G., nella cui denuncia si risolve in pratica il breve documento, che non fa parola sulla peste allora in atto.
Ballottato, ma non eletto savio del Consiglio il 12 marzo 1577, l'11 giugno il G. figura tra i 41 elettori del doge Sebastiano Venier e appena quattro giorni dopo fu nominato censore, magistratura a forte valenza etica alla quale di solito erano chiamati patrizi dall'esemplare condotta morale: e che in tal concetto il G. fosse tenuto dai concittadini, lo prova l'ulteriore nomina, di lì a pochissimo seguita, il 23 giugno 1577, a correttore delle Leggi, organismo straordinario privo di scadenza, che si attivava ogni qualvolta si riteneva opportuno procedere alla modifica di leggi o statuti sull'attività forense o costituzionale. Revisore sopra i conti delle Procuratie dal 12 luglio 1578, l'11 genn. 1579 entrò a far parte del Consiglio dei dieci e il 22 novembre fu eletto provveditore al Sal, ricca magistratura dalle molteplici incombenze, prima fra tutte il finanziamento e il controllo esecutivo delle opere pubbliche, allora in gran parte assorbite dalla grande impresa del rifacimento del palazzo ducale, gravemente danneggiato dall'incendio del 15 dic. 1577.
A conferma di una carriera politica alquanto anomala, è da registrare l'elezione al saviato di Terraferma dell'ormai cinquantaseienne G., eletto nel 1582 a quella carica dal 1° gennaio al 31 marzo e poi ancora dal 29 giugno al 31 dicembre; nello stesso periodo fu anche membro del Consiglio dei dieci (1° aprile - 30 sett. 1582), provveditore sopra i Danari (23 apr. 1582 - 31 marzo 1583), provveditore sopra i Beni comunali (4 ag. 1582 - 3 ag. 1583).
Sembrerebbe una sorta di schizofrenia politica: il G. associava il saviato di Terraferma a cariche di ben altro respiro e autorevolezza, tradizionale appannaggio di anziani e prestigiosi senatori. La spiegazione più probabile di tale inconsueta procedura può essere ricercata nella militanza del G. tra le fila dei "vecchi" filopontifici e filospagnoli che avevano la loro roccaforte nel Consiglio dei dieci (al cui servizio il G. aveva fondato la propria fortuna), proprio mentre i "giovani" davano vita alla "correzione" del 1582.
Nominato, il 7 genn. 1583, esecutore sopra le deliberazioni per le isole del Levante insieme con il cavaliere Alberto Badoer, qualche mese dopo entrò finalmente a far parte del Collegio con il rango di savio del Consiglio (20 aprile - 30 giugno 1583); quindi assunse il delicato incarico di depositario in Zecca (3 agosto - 30 sett. 1583), e il 4 settembre era ancora una volta del Consiglio dei dieci, dalla quale carica si dimise l'8 genn. 1584 per esser stato eletto savio del Consiglio per il primo semestre del 1584.
Il 26 febbr. 1584 fu il più votato per la podesteria bresciana, che resse dal 1584 al 1585 in unione con il capitano Daniele Priuli, con il quale si instaurò una proficua collaborazione.
Ve ne era bisogno, perché la città e il suo territorio erano vessati dalle divisioni, dagli odi e dalle violenze che contrapponevano le famiglie degli Avogadro e dei Martinengo, così che l'intera classe nobiliare era divisa tra le due fazioni, con pesanti conseguenze sull'ordine pubblico, mentre si rendeva più urgente il rafforzamento del lato sud del castello (con il duplice compito di difesa esterna e di controllo interno), su cui suggerivano progetti diversi i capi militari Onorio Scotti e Giulio Savorgnan.
Rimpatriato, il G. divenne consigliere ducale per il sestiere di Cannaregio dal 21 ag. 1586 al 19 apr. 1587; quindi, il 2 ott. 1587, fu dei tre provveditori sopra Feudi, magistratura di recente istituzione; dal 1588 al 1592 ricoprì il saviato del Consiglio nel primo semestre di ciascun anno, integrando quella carica con altre nei restanti mesi: fu savio all'Eresia nel 1588, consigliere ducale nel 1589, membro del Consiglio dei dieci nell'ultimo trimestre del 1591, savio alle Acque (carica compatibile con il saviato del Consiglio) dal 28 ott. 1591 al 27 ott. 1593.
Nonostante una precoce decadenza fisica, manifestatasi soprattutto nella progressiva perdita della vista, al G. fu affidato un quarto rettorato, la podesteria padovana, tenuta tra il 1593 e il 1594, ed egli si dimostrò ancora una volta - come ebbe a dire il Priuli - "giusto, ma non severo, liberale non prodigo"; di rilievo il fatto che, proprio allora, nella città euganea fu ultimato il celebre teatro anatomico al Bo, inaugurato il 16 genn. 1595 da Girolamo Fabrici d'Acquapendente, vero artefice della prestigiosa struttura.
Il G. trascorse gli ultimi anni della sua vita a Venezia, pur senza rinunciare alla politica attiva: chiamato nuovamente a far parte del Consiglio dei dieci il 1° ag. 1594, preferì optare per il saviato del Consiglio, che tenne dall'ottobre del 1594 al marzo 1595 e poi ancora dal 2 maggio al 30 giugno dello stesso anno; nell'aprile del 1595 fu tra gli elettori del doge Marino Grimani, quindi, il 28 maggio, fu nuovamente eletto fra i correttori delle Leggi, insieme con Alvise Bragadin, Giacomo Foscarini, Antonio Miani e Alessandro Zorzi; infine, il 13 luglio 1595 entrò per la seconda volta a far parte dei savi all'Eresia.
Non portò a termine questi ultimi due incarichi perché morì, ormai cieco, nel suo palazzo ai Ss. Apostoli il 6 febbr. 1596, "amalato molto tempo", come annota il necrologio.
Alessandro Vittoria gli scolpì, in vita, un busto; a detta del Priuli il G. sarebbe divenuto procuratore, se fosse vissuto più a lungo: sarebbe stato il riconoscimento ufficiale di una singolare vicenda politica ed economica, iniziata oscuramente, ma brillantemente conclusa ai vertici della società veneziana e del suo governo.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Misc. codd., I, Storia ven., 23: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de' patrizi veneti…, p. 460; Ibid., G. Giomo, Indice dei matrimoni patrizi per nome di donna, I, sub Loredan Caterina q. Marco; Ibid., Segretario alle voci, Elezioni in Maggior Consiglio, regg. 2, cc. 57, 98; 4, cc. 5, 108; 8, c. 210; Ibid., Elezioni in Pregadi, regg. 5, cc. 6, 8, 11, 116, 120, 128, 138, 153, 156, 180; 6, cc. 1-3, 5-6, 77, 132; Capi del Consiglio dei dieci, Lettere di rettori, b. 135 (Treviso), nn. 261-264; b. 171 (Udine), nn. 80-92; b. 24 (Brescia), nn. 158, 160, 163, 167, 169-170; b. 85 (Padova), nn. 112-121; Dieci savi alle decime (Redecima del 1582), b. 163/401; Notarile, Testamenti, b. 1224/95 (il testamento del 1592); Avogaria di Comun, b. 159/1, Necrologi di nobili, ad diem; Venezia, Biblioteca del Civico Museo Correr, Codd. Cicogna, 3782: G. Priuli, Pretiosi frutti…, II, cc. 78v-79r; Mss. Venier, 62-63, Consegli, passim; Mss. P.D. C. 952, Consegli, 3 dic. 1553; 1296/53 (una sentenza del G. podestà a Treviso, 17 apr. 1572); Ibid., Bibl. nazionale Marciana, Mss. it., VII.829-831 (= 8908-8910), Consegi, passim; Relazioni dei rettori veneti in Terraferma, I, La Patria del Friuli (Luogotenenza di Udine), a cura di A. Tagliaferri, Milano 1973, pp. 99 s. (la relazione è però erroneamente attribuita a un Alvise Giustiniano, che aveva ricoperto l'incarico nel 1570-71); Processi del S. Uffizio di Venezia contro ebrei e giudaizzanti (1587-1598), VIII, a cura di P.C. Ioly Zorattini, Firenze 1990, pp. 74 s.; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, V, Venezia 1842, p. 666; G. Trebbi, Il Friuli dal 1420 al 1797. La storia politica e sociale, Udine 1998, pp. 160, 193, 195, 198, 213.