GIUSTIZIA E LIBERTÀ
. Organizzazione clandestina e movimento politico antifascista. Fondata nel 1929, come "movimento rivoluzionario", che riuniva "repubblicani, socialisti e democratici", i quali si ponevano come fine "la libertà, la repubblica, la giustizia sociale", Giustizia e Libertà divenne presto un'organizzazione con centri in tutto il territorio nazionale. Facevano parte del gruppo fondatore, all'estero Carlo Rosselli, E. Lussu, A. Tarchiani, A. Cianca, Fausto Nitti; all'interno Ernesto Rossi, Riccardo Bauer, Francesco Fancello.
Nel 1929 e nel 1930 l'organizzazione svolse intensa propaganda, con imprese rischiose, atte a colpire la fantasia, propaganda diretta a tutti i ceti (operai, studenti, militari, clero), con propositi di insurrezione. L'11 luglio 1930 un piccolo aeroplano di Giustizia e Libertà, pilotato da A. Bassanesi e A. Dolci, sorvolò Milano, gettando manifestini. Il 30 ottobre 1930 vennero arrestati 24 membri e dirigenti del movimento in Italia, compresi Rossi e Bauer; uno di essi, A. Ceva, si suicidò in carcere; i capi del movimento vennero condannati a quindici e vent'anni di carcere.
In seguito a questo colpo l'organizzazione non solo venne sensibilmente rallentata, ma mutò carattere; si allontanarono i propositi di insurrezione immediata e prese maggior rilievo il programma a lunga scadenza, l'organizzazione operaista, l'elaborazione dei principî. Malgrado crisi e processi la continuità organizzativa dei gruppi venne mantenuta fino al 1935 e l'azione in Italia continuò fino allo scoppio della guerra.
Tra coloro che lavorarono per Giustizia e Libertà in Italia (e che quasi tutti conobbero prigioni e confino, solo pochi riuscendo a sottrarsi con la fuga), si possono ricordare: a Torino: M. Andreis, Luigi Scala, M. Guasco, R. Poli, Carlo Levi, Aldo Garosci, Vittorio Foà, Vindice Cavallera, Renzo Giua, Alfredo Perelli, Leone Ginzburg, Mario Levi; a Milano: F. Parri, V. Albasini, G. Faravelli, D. Roberto, V. Calace, D. Gentili, F. Santi; a Firenze: N. Traquandi; a Roma: F. Fancello, F. Pintus, M. Salvadori, G. Bruno, V. Baldazzi; a Genova A. Poggi; a Bari: T. Fiore.
Nel 1931 il comitato estero di Giustizia e Libertà, mentre assumeva, attraverso un accordo, la rappresentanza in Italia della "Concentrazione antifascista", redigeva anche un programma in cui erano riflesse, con le idee del movimento, alcune esigenze fondamentali del temperamento intellettualmente più forte fra i suoi dirigenti, Carlo Rosselli. Repubblica, rivoluzione, una costituzione sociale in cui, accanto ad alcuni settori-chiave dell'economia socializzata, perdurasse la piccola e media proprietà; autonomie locali e di gruppo, tale si presentava il programma di Giustizia e Libertà. Una serie di "quaderni", ai quali collaborarono, oltre agli appartenenti al movimento, eminenti personalità liberali, come G. De Ruggiero e L. Salvatorelli, precisarono sempre più la posizione del movimento e rappresentarono il solo tentativo culturale-ideologico nel campo democratico. Giustizia e Libertà assunse così sempre più caratteristiche, se non di partito, almeno di partito potenziale, di gruppo ideologico-pratico indipendente ed eretico, specialmente nel periodo, a partire dal 1933, in cui venne in primo piano la personalità di Carlo Rosselli, ritiratisi alquanto nell'ombra Lussu e Tarchiani e venuti dall'Italia parecchi giovani collaboratori. In posizione estremamente critica rispetto al "vecchio antifascismo", ostile ai vecchi partiti, soprattutto dopo che ebbe rotto con la Concentrazione antifascista (1934), il movimento professò di mirare non alla restaurazione della vita democratica prefascista, ma a far nascere istituzioni democratiche nuove e un nuovo umanesimo per contrapposizione diretta, dialettica, col fascismo. Accentuando i motivi socialisti e socializzatori, Giustizia e Libertà respinse tuttavia sempre le teorie ideologiche marxiste. La posizione critica e indipendente di Giustizia e Libertà emerse in particolare con la guerra di Etiopia, nella quale Giustizia e Libertà si rifiutò di stringere accordi con gli altri movimenti antifascisti per secondare la impostazione legalitaria delle sanzioni, per non fare accordi di successione" ma solo di "rivoluzione", e con la guerra di Spagna, nella quale il movimento intervenne anche prima che si fosse determinata la situazione diplomatica che spinse i comunisti alla lotta.
Assassinato C. Rosselli nel 1937, la successione della direzione del movimento e delle sue idee fu assunta dal gruppo dei suoi collaboratori, che riuscirono a prendere contatti e a far sentire la loro influenza sui primi liberalsocialisti che stavano nascendo in Italia. Ma nel complesso il movimento assunse una posizione difensiva, facendo valere solo in tono minore l'originalità che era andato acquistando.
Il movimento fu disperso nel 1940 con l'occupazione della Francia e la rescissione dei legami con l'Italia, né venne ricostituito malgrado la maggior parte dei suoi rappresentanti all'estero si fosse sottratta alla cattura continuando la lotta. Esso costituì poi uno degli elementi del Partito d'azione che intitolò a Giustizia e Libertà le proprie brigate partigiane.
Solo movimento democratico, oltre al comunista, che abbia avuto continuità d'azione per gran parte del periodo fascista, Giustizia e Libertà non toccò tuttavia le masse né costituì un'organizzazione clandestina paragonabile alla comunista, con organizzazione di scioperi, agitazioni o simili. Adempì il compito di dare forma organica allo sforzo di porre i problemi nuovi dell'Europa fuori della ristretta tradizione dei partiti prefascisti, rimasti fermi al momento della loro dispersione.