Giustiziere
Un noto passo dell'arcivescovo e cronista salernitano Romualdo Guarna (m. 1181) c'informa che "Rogerio in regno suo perfecte pacis tranquillitate potitus, pro conservanda pace camerarios et iustitiarios per totam terram instituit" (1865, p. 423). L'opera di novazione legislativa (leges a se noviere conditas promulgavit) e di controllo degli usi normativi vigenti (malas consuetudines de medio abstulit) veniva pertanto connessa all'istituzione di una rete di magistrati, ai quali era deputato il compito di mantenere la pace (ovvero di garantire l'ordine pubblico) vigilando sul territorio. Non sappiamo bene se la riorganizzazione disegnata dal sovrano normanno sia stata contestuale alla promulgazione delle Assise di Ariano (1140) o se il cronista abbia sintetizzato un impegno perfezionatosi in momenti diversi, anche col recupero di realtà preesistenti. Sembra però probabile che una strutturata organizzazione giudiziaria del Regnum sia riportabile agli anni fra il 1140 e il 1146 (Haskins, 1911, p. 643; Jamison, 1913, pp. 306 s., 383 s.; Caravale, 1966, pp. 190, 221 ss.) e solo dal 1140 appaiono documentati, in tutto il Regno, i giustizieri, dapprima con competenze territoriali indefinite e solo successivamente connesse alle specifiche circoscrizioni territoriali (Caravale, 1966, pp. 224 s.). Peraltro, almeno in una prima fase e segnatamente in Sicilia, le competenze dei giustizieri provinciali, aventi principalmente giurisdizione in materia criminale e feudale, potevano sovrapporsi, e confondersi, con quelle del gran giustiziere di corte (Regiae Curiae Iustitiarius), al quale era affidato, con il potere di ius dicere, il compito di risolvere le controversie feudali e di procedere alla revisione dei privilegi, oltre che l'incarico di specifici accertamenti (ibid., pp. 161 s.; Cuozzo, 1995, pp. 29 ss.).
Istituzione di notevole rilievo politico, i grandi giustizieri, assistiti da una ristretta curia di giuristi, assumeranno, con il trascorrere del tempo, specifiche competenze in materia giurisdizionale, fino a costituire una magistratura specializzata (Chalandon, 1909, p. 632). Contestualmente, a livello periferico, pro conservanda pace, veniva strutturata una rete di giustizieri provinciali, con competenze distrettuali, dando così vita a un ordo gerarchicamente strutturato in un livello apicale, centrale-regio, in un livello intermedio, periferico-provinciale, e in un livello basso, costituito dai baiuli, presenti nelle universitates e terrae demaniali e feudali.
Il giustizierato veniva a costituire, pertanto, una sorta di sistema piramidale che affondava la propria cuspide nella Curia regis.
Seppure vada tenuta presente una sostanziale difformità, sia nei tempi di attivazione che nelle funzioni, si può ritenere che nella tarda età normanna ai giustizieri provinciali fossero sovraordinati dei maestri giustizieri (tre, uno per valle, per la Sicilia), subordinati a un gran giustiziere che, in assenza del sovrano, presiedeva la regia gran corte (Cuozzo, 1995, p. 29; Romano, 1997, p. 117).
Con l'estensione della magistratura baiulare e la strutturazione del giustizierato, la monarchia normanna realizzava un efficace controllo del territorio, secondo un disegno poi ampiamente ripreso da Federico II, il quale, significativamente, avrebbe disposto che "officiales tantum a nostra maiestate statutos, vel de mandato nostro magistros iustitiarios, iustitiarios, camerarios, baiulos et iudices ubique per Regnum nostrum volumus esse" (Const. I, 50, Cum satis; Constitutionum, 1773, pp. 105 s.). Rivendicando alla maestà regia l'esclusività del potere giurisdizionale, il sovrano svevo imponeva ai giudici, che non potevano essere né ecclesiastici né di condizione servile né soggetti alla giurisdizione feudale, la conoscenza del diritto comune e di quello regio nonché delle consuetudini locali, mentre, dal 1240, era vietata la vendita degli officia baiulationum (Const. I, 63, Magistri camerari; ibid., p. 124).
Le Costituzioni melfitane del 1231, quelle di Foggia del 1240 e le grossetane del 1244, non si limitavano però al solo riordino degli apparati giurisdizionali, già iniziato a Foggia nel 1220, ma davano consistenza a un progetto tendente al controllo delle città e delle terre abitate, concedendo ridotti ambiti decisionali ai ceti dirigenti locali.
In tale prospettiva assumeva particolare significato la figura del maestro giustiziere (Cohn, 1932, p. 156; Marongiu, 1961, p. 7), che assurgeva a vero arbitro dell'attività giudiziaria, quasi iustitiae speculum, secondo l'immagine disegnata dalla costituzione Magnae Curiae, e vero "grande fondamento ‒ dopo il re ‒ del sistema giurisdizionale del Regnum" (Colliva, 1964, p. 107). A lui, nel 1244, la novella grossetana Magister iustitiarius (Const. I, 42; Constitutionum, 1773, p. 108), ridefinendo in uno competenze e strutture della gran corte e del gran giustiziere, affidava un estesissimo potere disciplinare e di controllo su tutti i giudici (Colliva, 1964, p. 11).
Del pari veniva perfezionata la costruzione di un apparato giudiziario territorializzato teso a riportare tutta la giustizia al sovrano, garante innanzi ai sudditi dell'equità, della pace e dell'ordine. Un intento che doveva risultare chiaro anche dal giuramento (o breve) che i giustizieri pronunciavano assumendo l'ufficio, impegnandosi, specialiter et expressius, come si diceva nella costituzione Inter caetera, "ut Deum et iustitiam habendo pre oculis unicuique conquerenti iustitiam faciant sine fraude et quam citius poterunt litigantes expedire curabunt" (Const. I, 46; Constitutionum, 1773, p. 100).
L'incerta terminologia delle redazioni pervenuteci del Liber Constitutionum (in cui il titolo di Magister Iustitiarius è usato, indifferentemente, per indicare il gran giustiziere monocratico, i maestri giustizieri supremi e, anche, i giustizieri provinciali) non rende agevole la precisa definizione dei limiti e delle funzioni delle due magistrature che non raramente si sovrapponevano. Peraltro, solo le costituzioni Capitaneorum autem, probabilmente data nel 1235 a Fano, Cum satis e Cum nova (Const. I, 43; I, 50; I, 81; ibid., pp. 95, 106, 144), parrebbero distinguere con sicurezza gran giustizieri, Magistri Iusticiarii, e giustizieri provinciali, Iustitiarii regionum (Colliva, 1964, pp. 124, 130, 132, 138), così come la novella In civilibus, a proposito delle citazioni fatte "per Magistrum Iustitiarium Curiae Nostrae vel Iustitiarii Regionum" (Const. I, 96.1; Constitutionum, 1773, p. 160). In tale prospettiva, anche al fine di evitare confusioni, peraltro non infrequenti sia nelle fonti che nella letteratura, non inutilmente è stato proposto di distinguere, terminologicamente, gran giustiziere, maestri giustizieri e giustizieri provinciali (Colliva, 1964, p. 125).
Ciò premesso, osserviamo come, fissato l'ambito della giurisdizione feudale, l'impianto federiciano della giustizia distingueva una giurisdizione civile da una penale, definendo le competenze dei giudici, la durata degli uffici, i salari che la camera regia doveva corrispondere e l'articolazione delle varie magistrature sul territorio. In tale contesto, il connettivo del sistema giudiziario, con una significativa rivitalizzazione dell'impianto normanno, era costituito dai giustizieri provinciali (ibid., p. 141). La costituzione Occupatis nobis disponeva che "iustitiarius quilibet iudicem unum continuum et notarium unum actorum habebit" (Const. I, 97.2; Constitutionum, 1773, p. 162), con un sistema di tribunali aventi giurisdizione di appello avverso le sentenze dei giudici cittadini e provinciali e giurisdizione di primo grado "in defectu etiam camerarium et baiulorum".
Seppure in un vasto e confuso alternarsi di qualificazioni (Colliva ne ha contate nove, oltre varianti minori; 1964, p. 162), va ritenuto che i giustizieri, certamente da distinguere sia dal supremo gran giustiziere che dai maestri giustizieri, organi intermedi, siano identificabili con i giustizieri regionali o provinciali o anche con i Praeses provinciarum (ibid., p. 165) e a tal fine appare indicativo che, nell'insieme della Const. I. 56.1, 2, 3, gli stessi magistrati venivano indicati, dapprima, come Iustitiarii regionum, quindi Praeses provinciarum e, infine, Iustitiarii (Const. I, 55; Constitutionum, 1773, pp. 115 s.).
Risulta, comunque, ipotizzabile che ogni giustizierato coincidesse, territorialmente, con una circoscrizione provinciale: "ut per provincias singulas, quae certis iustitiariatuum et camerariatuum terminis limitantur, non plures quam unus Iustitiarius et unus Magister Camerarius ordinetur" disponeva la costituzione Occupatis nobis (Const. I, 97.2; ibid., p. 162) e il Regestum del biennio 1239-1240 ne documenta ben undici (Historia diplomatica, V, 1, p. 624). Ufficiali di nomina prettamente regia, i giustizieri, di norma, duravano in carica un anno, assumendo il mandato il 1o settembre, con l'inizio dell'anno indizionale o amministrativo. All'ufficio che "debet esse gratuitum, nec ipsum licet alicui venalitate mercari" (Const. I, 44, Iustitiarii nomen; Constitutionum, 1773, pp. 96 s.) non potevano essere chiamati né oriundi, né abitanti della provincia, né legati ad essa per rapporti di parentela o possesso di beni. Ugualmente non potevano ricoprire l'ufficio, in terris suis, i nobili e gli ecclesiastici.
Magistrati itineranti, i giustizieri dovevano percorrere "civitates et loca suarum iurisdictionum continua discursione" (Const. I, 52, Iustitiarii; ibid., pp. 108), amministrando la giustizia con l'assistenza di un giudice e di un notaio agli atti. Agli stessi competeva, "Magistris Camerariis, Baiulis et aliis officialibus, cum per eos extiterint requisiti, consilium et auxilium, prout ad iurisdictionem suam pertinet, debeant impartire" (Const. I, 58.2, Iustitiarios regionum; ibid., p. 118), a conferma di un esteso potere giurisdizionale che, di fatto, li collocava al vertice dell'apparato giudiziario-amministrativo periferico. Ad essi competeva altresì promuovere la pubblica accusa contro i malfattori e i soggetti male conversationis et vitae, condurre inquisitiones, anche a carico di altri ufficiali regi o cittadini e, in generale, collaborare con i secreti per le esigenze di tutela del fisco.
Oltre a giudicare in prima istanza delle materie previste dalla costituzione Iustitiarii nomen (Const. I, 44; ibid., pp. 96 s.), ovvero dei "latrocinia scilicet, magna furta, fracturae domorum, insultus excogitati, incendia, incisiones arborum fructiferarum et vitium, vis mulieribus illata, duella, crimina maiestatis, arma molita, defensae impositae [...] et generaliter omnia de quibus convicti poenarum sui corporis vel mutilationem membrorum sustinere deberent", i giustizieri potevano avocare a sé la decisione delle liti pendenti innanzi ai tribunali inferiori, non definite nei limiti previsti dei sessanta giorni ed avevano altresì competenza nelle controversie fra vassalli e feudatari, con facoltà d'istruire le cause relative ai feudi minori, o non 'quaternati', disponendo la stessa costituzione Iustitiarii nomen che "de feudis etiam et rebus feudalibus ipsi cognoscant, praeter quastiones de castris et baroniis et magnis feudis quae in quaternionibus dohanae nostrae scripta sunt".
Ai giustizieri, nel loro insieme, era pertanto affidato un capillare controllo sul territorio. Una magistratura, d'impianto normanno-svevo, che, con carattere di sostanziale continuità, venne sviluppandosi dalle Assise ruggeriane sino alle Novelle grossetane (1130-1244), costituendo l'ossatura del sistema giurisdizionale del Regnum. Ai medesimi, volendo che ne fosse tutelata sia l'integrità di costumi che l'immagine, era fatto divieto sia di richiedere che di accettare doni (Const. I, 43, Capitaneorum; ibid., p. 95), fatte salve le bevande e una modica quantità di cibarie, come previsto dalla più mite costituzione Apud iustitiarios degli inizi del 1242, a pena della deposizione con infamia dall'ufficio e di un'ammenda d'ammontare quadruplo rispetto al valore del dono ricevuto (Const., I, 55; ibid., p. 115), mentre, in conformità a quanto disposto da un'assisa ruggeriana recepita nel corpus melfitano, venivano puniti con la morte "qui tempore administrationis pecunias publicas subtraxerint" (Const. I, 36, Officiales; ibid., p. 84).
Magistrati di ampia giurisdizione e grande prestigio, i giustizieri provinciali dovevano vigilare sull'ordine pubblico, facendosi garanti della legalità nel nome del sovrano, e con espressione pregnante la fondamentale costituzione Iustitiarii prevedeva che "Iustitiarii nomen et normam ius et iustitia contulerunt, quibus quanto magis in nomine sunt affines, tanto eorum veri et solliciti debent esse cultores" (Const. I, 44; ibid., p. 96), riservando alla loro competenza, in criminalibus, i reati che prevedevano la pena capitale e, in generale tutti i delitti che comportavano pene corporali o mutilazioni, nonché i furti eccedenti i 20 augustali. In civilibus, la competenza dei giustizieri si estendeva a tutte le cause non trattate dai camerari e dai baiuli, che potevano essere anche surrogati in caso di assenza, mentre in feudalibus non avevano giurisdizione solo sui castelli, le baronie e i feudi 'quaternati', materia riservata alla giurisdizione della gran corte.
Il notevole rilievo attribuito a tale magistratura appare testimoniato anche dal consistente numero di constitutiones ad essa dedicato da Federico (in particolare Const. I, 44, Iustitiarii nomen; I, 49, Ea quae ad speciales; I, 50, Cum satis; I, 51, Iustitiarii per provincias; I, 52, Iustitiarii non per calendas; I, 53.1, Inquisitiones; I, 54.1, Item dira; I, 54.2, Praesenti; I, 55, Apud iustitiarios; I, 56, Iustitiariosregionum; I, 56.2, Iustitiarii; I, 62.3, Iustitiarios; I, 64.1, Puritatem; I, 64, Quaestiones; I, 97.2, Occupatis nobis; ibid., pp. 96, 104-105, 107-108, 110, 113-116, 122-124, 162) che, sotto vari profili, ne disciplinavano competenze e funzioni. Un insieme di minute prescrizioni che contribuivano a definirne la "posizione centrale in tutto l'ordinamento e quasi per colorare di sé il sistema" (Colliva, 1964, p. 103).
I maestri giustizieri non vanno confusi (anche se possono esserci casi di sovrapposizione di competenze o equivoci lessicali derivanti anche da imprecise traduzioni) con i grandi giustizieri (ibid., pp. 107 s., 124 ss.) e se, ancora nelle Assise del 1220, Federico si riferiva a Magistri Iustitiarii, dopo il 1231 è probabile che già vi fosse un solo gran giustiziere del Regno, seppure non sia da escludere la permanenza di maestri giustizieri, con competenze non territoriali, incaricati di risolvere specifiche questioni. Comunque, è da ritenere che, almeno a partire dal 1240, al vertice del sistema giudiziario del Regnum stesse un solo Magister Iustitiarius Magnae Regiae Curiae (Cuozzo, 1995, pp. 31 ss.), ovvero un gran giustiziere della curia dei giustizieri, tribunale questo assumibile nella sua collegialità a iustitiae speculum. Al gran giustiziere della gran corte (Magnae Curiae Magistrum Iustitiarium) era affidato il compito di vigilare sull'amministrazione della giustizia, con l'obbligo di 'visitare', annualmente, le città demaniali per prendere atto di eventuali proteste e decidere le liti ancora pendenti presso i tribunali locali, dopo la decorrenza dei termini previsti.
Lo stesso gran giustiziere sovraintendeva alle attività dei secreti e dei castellani con facoltà di riformare le sentenze dei giudici minori, che poteva anche destituire dall'ufficio.
Alla sua presenza, secondo la costituzione Honorem, qualunque altro magistrato "silere debebit utpote minori lumine per luminare maius superveniens obscurato" (Const. I, 41; Constitutionum, 1773, p. 93), e a lui era affidata la piena giurisdizione su qualsiasi reato commesso nei luoghi ove era presente, con ampia competenza sugli appelli proposti avverso le sentenze dei giudici periferici.
Significativamente, Marino da Caramanico, a proposito della costituzione Honorem (Const. I, 41), alla gl. Silere, annotava che "minor ergo amittit iurisdictionem propter maioris prasentiam". Peraltro il medesimo testo federiciano, evocativamente, faceva riferimento a un soggetto minori lumine oscurato per un luminare maius superveniens.
Secondo il disposto della costituzione Magnae Curiae, il gran giustiziere poteva procedere nell'istruzione e definizione delle vertenze "de comitatibus videlicet baroniis, civitatibus, castris et magnis feudis quae in quaternionibus dohanae nostrae baronum inveniuntur inscriptis" (Const. I, 40.2; ibid., p. 92). Una competenza esclusiva, pertanto, per le vertenze riguardanti i feudi maggiori (quaternati), cui si assommava quella per i reati di lesa maestà, nonché per gli appelli avverso le sentenze pronunziate dalla corte dei pari e nelle cause attinenti alle successioni feudali.
La giurisdizione del gran giustiziere si estendeva altresì, costituendo un foro privilegiato, a tutte le cause fra i funzionari regi o che vedevano parte gli stessi curiali e, in via ordinaria, agli appelli portati innanzi al sovrano e, comunque, a tutti gli appelli avverso le sentenze pronunciate da qualsivoglia giudice ordinario o speciale, nonché alle vertenze relative ai conflitti di giurisdizione o ai limiti di competenza. A ciò si assommava, ancora, una funzione consultiva, esercitabile a favore del sovrano e una sorta di ius respondendi, in relazione a quesiti proposti dai magistrati inferiori o a petitiones (de gratia e de iustitia, nei termini previsti dalla Const. I, 39.2, Praecipimus) da chiunque proposte.
Erano, infine, da riportare alle competenze del gran giustiziere, oltre ai casi di denegata giustizia, le cause delle "persone miserabili" e delle debiles personae (orfani, vedove, pupilli, poveri).
Significativamente, con riferimento alle competenze di quel magistrato supremo, Matteo d'Afflitto parlava di tres praeminentiae della Magna Curia (casusad const.Magnae Curiae, Constitutionum, 1773, p. 92), organo attraverso cui il gran giustiziere esercitava le sue funzioni. A tal proposito è stato osservato come "nelle fonti si adoprano indifferentemente e promiscuamente le forme Magister Iustitiarius o Magna Curia Magistri Iustitiarii, quasi a sottolineare la stretta connessione fra i due istituti, di cui uno, la Magna Curia, non è che un'appendice del primo" (Colliva, 1964, p. 115), anche se dalle fonti non si ricava una chiara distinzione fra Magna Regia Curia e Magna Curia Magistri Iustitiarii, forse per una voluta indeterminatezza connessa al desiderio di non limitare l'ampia discrezionalità del sovrano. E la regia gran corte, magistratura collegiale formata da quattro giudici-giuristi, di durata biennale, scelti fra i migliori del Regno, che affiancavano il gran giustiziere, titolare di un ufficio senza limiti di durata, dal 1239-1240, acquistando autonomia dalla Curia Regis, assurgeva al rango di tribunale supremo, con vastissime competenze su tutte le cause civili, penali e feudali, cui si aggiungevano le vertenze delegate dal sovrano (Heupel, 1940, pp. 83 ss.; Colliva, 1964, p. 112; Romano, 1989, pp. 235 s.).
Peraltro, dopo la definitiva sistemazione del 1244, il gran giustiziere e la gran corte si prospettavano non solo come le supreme magistrature giurisdizionali ma anche come i massimi organi della giustizia amministrativa, rientrando nelle funzioni del giustiziere la cognizione delle inquisitiones, ordinarie e straordinarie, nonché il compito di riparare iniuriae, oppressiones et concussiones inferiorum iudicum, anche facendo liberare soggetti ingiustamente reclusi o restaurando situazioni possessorie (Colliva, 1964, p. 122). Al gran giustiziere toccava altresì l'antica funzione di imporre la defensa (istituto con cui, invocando il nome del sovrano, s'inibiva un'altrui offesa) e di giudicare de spreta defensa, secondo un sistema che registrava delle alterazioni nelle edizioni delle Constitutiones (Const. I, 17, Fidelium; Constitutionum, 1773, p. 40; Colliva, 1964, p. 127).
Ancora una volta l'importanza dell'ufficio risulta dall'ampio numero di norme che ne regolavano le funzioni, inizialmente definite principalmente dalle Const. I, 40.2, Magnae Curiae; I, 41, Honorem; I, 46, Inter caetera (appartenenti al nucleo melfitano del 1231). Con la riorganizzazione dell'impianto giurisdizionale del Regno, significativamente, si aggiungevano le Const. I, 38.1, Nihil veterum; I, 38.2, Statuimus; I, 39.1, Litteras; I, 39.2, Praecepimus; I, 42.1, Magister iustitiarius; I, 42.2, Causas, appartenenti al corpo delle Novelle grossetane del 1244, mentre ulteriori riferimenti all'ufficio si rinvengono anche nelle Const. I, 16, Iuris gentium; I, 18, Si quis; I, 43, Capitaneorum; I, 44, Iustitiarii nomen; I, 86, Advocatos, che contribuivano a definirne i contorni.
Membro della Regia Curia e consigliere del sovrano, attraverso un processo di progressiva concentrazione-semplificazione-specializzazione di funzioni e compiti, il gran giustiziere assumeva il ruolo di magistrato supremo, assommando in sé le competenze già proprie dei tre regi maestri giustizieri d'età normanna, probabilmente attivi anche nella prima età sveva (Kölzer, 1995; Cuozzo, 1995, pp. 44 ss.).
Posto che è stata fondatamente ipotizzata la sopravvivenza in età federiciana di una Magna Curia Regis, d'impianto normanno, retta dal Magister Iustitiarius, assistito da quattro o cinque giudici-giuristi, e che questa, conoscendo un processo di concentrazione di competenze, subiva una progressiva ristrutturazione che si perfezionava intorno al 1239-1240, è possibile che talune menzioni di Magistri Iustitiarii contenute nel Liber Augustalis possano riferirsi non al gran giustiziere ma a maestri giustizieri (Cuozzo, 1995, pp. 44 ss.).
La costituzione Statuimus, conclusivamente, prevedeva che "Magnae Curiae Nostrae Magister Iusticiarius nobiscum in Curia commoretur cui quatuor iudices volumus assidere et ut Magister Iustitiarius Curiae Nostrae supradictus de crimine lesae maiestatis Nostrae et de feudis quaternatis et de quota parte ipsorum feudorum et de appellationibus ordinariorum seu delegatorum nostrorum ad nostram curiam interiectis et de quaestionibus nostrorum curialium qui immediate nobis assistunt [...] causas audiri volumus et decidi" (Const. I, 38.2; Constitutionum, 1773, pp. 86 s.).
Peraltro, a partire dal 1239, nella documentazione ufficiale, si trova attestato il titolo di Capitaneus et Magister Iustitiarius a Porta Roseti usque ad Trontum ad fines Regni e quello di Capitaneus et Magister Iustitiarius a Porta Roseti usque Farum et per totam Siciliam (Historia diplomatica, V, 2, pp. 950, 958), ovvero l'indicazione di due grandi regioni rette da organi che assommavano peculiari poteri di natura militare, giurisdizionale e amministrativa, con facoltà "generale di surrogazione degli altissimi funzionari del re e con una accentuata discrezionalità di mansioni" e col compito principale, proprio di una magistratura itinerante, di "circuire provincias sibi decretas" per assicurare una pronta giustizia e il rispetto della legge, ovvero esercitando un sostanziale controllo della legalità (Colliva, 1964, pp. 142, 151).
Fra le competenze significative e di notevole rilievo politico dei giustizieri provinciali (ma probabilmente di brevissima estrinsecazione) vi era quella di convocare due volte l'anno le curiae, o parlamenti, regionali, come previsto dalla costituzione Etsi generalis data a Messina nel 1234 e peraltro non inclusa nelle edizioni del Liber Augustalis (Matteo d'Afflitto, 1588, p. 136; Die Konstitutionen, 1996, pp. 458-460).
La novella messinese, probabilmente, si proponeva l'obiettivo di rimediare agli abusi commessi dai magistrati regi o dai baroni, prescrivendo che, annualmente, fossero riunite delle solempnes curiae presiedute da un "nuntius specialiter de latere nostro transmissus", assistito dal giustiziere competente per la provincia. Nel corso delle stesse curiae, da convocarsi il 1o maggio e il 1o novembre, i delegati regi dovevano prendere nota di tutte le accuse mosse sia contro i giustizieri che avverso gli altri pubblici ufficiali, e sulle singole controversie andavano istruite delle inquisitiones da trasmettere alla Regia Curia per la decisione, mentre le accuse contro qui officiales non sunt erano decise dai giustizieri.
fonti e bibliografia
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