Gli ambienti planetari e l'origine della vita
L'origine della vita sulla Terra è stata fortemente influenzata dall'ambiente del sistema solare primordiale. L'età dei primi fossili terrestri appartenenti a organismi unicellulari indica che la vita è cominciata nel periodo in cui si è verificato un fitto bombardamento di comete e asteroidi del sistema solare primordiale interno. Ed è possibile che tale bombardamento abbia reso la superficie terrestre temporaneamente inospitale per la vita ma che abbia, altresì introdotto le premesse per le origini della vita stessa, attraverso la diffusione di elementi tramite gli impatti, come il carbonio, e di composti volatili, come l'acqua. A seconda delle caratteristiche dell'atmosfera terrestre primordiale le fonti di molecole organiche prebiotiche dovute agli impatti possono essere state, dal punto di vista quantitativo, altrettanto rilevanti delle fonti terrestri. Altri mondi, oltre alla Terra, possono aver presentato ambienti adatti alla vita nel sistema solare primordiale e ancora oggi, ambienti extraterrestri adatti alla vita potrebbero persistere nel sistema solare. È dunque possibile che una panspermia provocata dagli impatti abbia trasportato organismi viventi tra questi mondi.
Scala temporale dell'origine della vita sulla Terra
Da prove isotopiche risulta che l'accrescimento della Terra era vicino al suo completamento circa 4,5 miliardi di anni fa. Tuttavia, quasi l'intera superficie della Terra risulta geologicamente molto più giovane. l fondali marini, in genere, hanno meno di 200 milioni di anni. La crosta continentale, protetta dalla subduzione a causa della propria densità, che è minore di quella della crosta oceanica, è in genere molto più antica. Malgrado ciò, la maggior parte della crosta continentale è più recente del periodo archeano, terminato 2,5 miliardi di anni fa. Rocce di origine sedimentaria appartenenti alla crosta archeana ancora esistente, e risalenti a 3,5 miliardi di anni fa o più, si trovano soltanto nell' Australia Occidentale, in Sudafrica e in Groenlandia. Solo le rocce sedimentarie possono conservare una testimonianza dettagliata del clima terrestre o fornire la prova fossile della vita. Dall' esame di queste rocce si possono ottenere le informazioni dirette più retrodatabili riguardo all'esistenza della vita sulla Terra.
Le testimonianze fossili più antiche
l tentativi di reperire le prove fossili della vita nel periodo arche ano sono ostacolati da due problemi. In primo luogo, la maggior parte delle antiche rocce sedimentarie ancora esistenti sono state notevolmente alterate dai processi geologici che si sono susseguiti sulla Terra. In secondo luogo, nell'Archeano erano presenti organismi unicellulari che non si sono fossilizzati facilmente perché privi di struttura scheletrica. Nonostante ciò, tuttavia, sono stati scoperti egualmente campioni di strutture fossili risalenti a tale periodo geologico. Vi sono due tipi fondamentali di prove fossili relative all'esistenza di organismi viventi unicellulari. Il primo è rappresentato dagli stromatoliti, strutture stratificate di sedimenti e materia organica prodotte durante il ciclo vitale di cianobatteri o di colonie di alghe che vivevano negli ambienti marini poco profondi (fig. 1). Ancora oggi, in alcune zone come le coste della Bassa California e l'Australia Occidentale, è possibile trovare stromatoliti contenenti organismi viventi. In località del Canada, del Sudafrica e dell' Australia Occidentale vi sono stati circa dieci ritrovamenti di stromatoliti arche ani riconosciuti come tali (Walter, 1983). Il procedimento di autenticazione di queste strutture si basa sul confronto dei loro strati sedimentari con quelli degli stromatoliti moderni noti e con la struttura delle rocce circostanti (si deve fare attenzione perché, talvolta, strutture simili agli stromatoliti possono essere formate anche da processi abiologici). Inoltre, la misura dei rapporti isotopici del carbonio della materia organica contenuta negli antichi stromatoliti indica un'origine biologica (questo materiale risulta più povero in 13C rispetto a 12C, se paragonato con quello proveniente da fonti abiotiche). I due giacimenti di stromatoliti più antichi, tra quelli autenticati come archeani, appartengono alle formazioni Onverwacht in Sudafrica e Warrawoona in Australia. Entrambi sono stati datati, in base al decadimento di radioisotopi nelle rocce circostanti, come risalenti a 3 miliardi e mezzo di anni fa (Walter, 1983).
L'altro tipo di prova fossile di vita nell'Archeano è rappresentato dai microfossili, strutture provenienti dalla parziale conservazione delle cellule degli organismi. Anche in questo caso, tali strutture vengono identificate come di origine biologica sia mediante il confronto morfologico con specie batteri che attuali, che mediante l'analisi degli isotopi del carbonio, nei casi in cui materiale carbonaceo sia associato ai microfossili, sia mediante altri metodi. Esistono tre formazioni che contengono microfossili autenticati, databili a circa 3 miliardi e mezzo di anni fa: la Onverwacht in Sud Africa, la Warrawoona e l'Apex in Australia (fig. 4). Dal punto di vista morfologico, queste strutture sono state considerate appartenenti a batteri filamentosi e, in taluni casi, a cianobatteri primitivi (Schopf,1993).
I fossili autentici più antichi sono simili nella morfologia ai procarioti esistenti attualmente. Sembrerebbe, pertanto, che la vita sulla Terra non soltanto fosse già sorta circa 3 miliardi e mezzo di anni fa, ma che avesse anche raggiunto un notevole grado di complessità. Infine, il più vecchio terreno di origine sedimentaria che si conosca sulla Terra, costituito dai metasedimenti Isua (risalenti a circa 3,8÷3,9 miliardi di anni) nella Groenlandia sud-occidentale, ha subito un grado di metamorfosi troppo elevato per aspettarsi la sopravvivenza di fossili organici (queste formazioni, ongmariamente sedimentarie, sono dette metasedimenti proprio perché sono state significativamente metamorfizzate). Anche in questo caso, tuttavia, vi è una prova circostanziata che si fonda sulla presenza di carbonio in forma ridotta contenuto nelle rocce, derivato dal frazionamento dell'isotopo di carbonio provocato da materiale biologico: ciò suggerisce l'esistenza della vita già a quel tempo.
L'importanza degli studi dei pianeti
I sedimenti terrestri più antichi, nei quali era possibile cercare le prove della vita primordiale, sembrano contenerle davvero; perciò, non è di fatto rimasta alcuna testimonianza geologica delle condizioni terrestri prima dell'avvento della bio sfera. Abbiamo una conoscenza diretta ancora poco approfondita dell'ambiente della Terra primordiale durante il periodo in cui si è originata la vita, ed è per questo motivo che la planetologia comparata si dimostra così importante. La datazione radioattiva di campioni lunari mostra che gran parte della superficie della Luna è più antica delle più vecchie rocce sedimentarie terrestri. Pertanto, la Luna rappresenta una finestra sul primo miliardo di anni della storia del sistema solare. La Luna è rimasta morta, in senso geologico, per gli ultimi tre miliardi di anni e così, diversamente dalla Terra, ha conservato gran parte delle caratteristiche di quel tempo primordiale.
Le stime dell'età delle superfici dei pianeti Mercurio e Marte, basate sul numero dei crateri osservati dalle sonde interplanetarie, suggeriscono che l'emisfero meridionale di Marte e l'intera superficie di Mercurio abbiano, più o meno, la stessa età della superficie della Luna: le date lunari sono più affidabili, in quanto si basano sulle determinazioni dirette di età radioattive di campioni riportati, campioni che invece non sono ancora disponibili per gli altri mondi extraterrestri del sistema solare. Tutte e tre le superfici mostrano i segni di un pesante bombardamento di comete e asteroidi verificato si in un periodo remoto della storia del sistema solare. La Terra e Venere, che dal punto di vista geologico sono estremamente attive, non conservano più traccia di tali eventi remoti. Pertanto, per comprendere il ruolo cruciale degli impatti di comete e asteroidi sull'ambiente terrestre primitivo è necessario studiare i crateri di altri mondi vicini, in parti colar modo della Luna.
L'intenso bombardamento del sistema solare interno Il bombardamento di comete e asteroidi risulta, nelle linee generali, coerente con i modelli finora proposti per la formazione del sistema solare, secondo i quali i pianeti si formano e si accrescono per addizione esterna di planetesimali delle dimensioni di 1÷10 km. Nel sistema solare esterno, dove le temperature erano sufficientemente basse per permettere la condensazione di sostanze volatili come l'acqua, questi planetesimali erano ricchi di ghiaccio; quelli che fino a ora hanno evitato la collisione con pianeti, o con il Sole, sono osservabili sotto forma di comete. Nel sistema solare interno, dove tali sostanze non potevano condensarsi, i planetesimali erano soprattutto rocciosi e metallici, e sono rappresentati dagli attuali asteroidi. Negli stadi finali della formazione planetaria, questi oggetti si sarebbero dispersi in gran numero nel sistema solare. Le superfici della Luna, di Marte e di Mercurio hanno conservato l'impronta di questo bombardamento primordiale (Chyba et al., 1994).
La storia della formazione dei crateri lunari può essere ricostruita mediante la datazione radioattiva di campioni prelevati dalla Luna. La datazione delle rocce provenienti da differenti terreni lunari, associata al conteggio dei crateri di questi terreni (Basaltic volcanism study project, 1981), permette di costruire un grafico del numero dei crateri per unità di area lunare in funzione del tempo (fig. 5). Questo grafico rivela che, negli ultimi 3,5 miliardi di anni, la formazione dei crateri lunari è stata di entità modesta, comparabile a quella attuale. È anche chiaro, tuttavia, che tale formazione, durante il primo miliardo di anni della storia lunare, fu di gran lunga maggiore. Se si considera quanto la gravità terrestre sia superiore a quella della Luna, tenendo conto delle velocità di impatto tipiche delle comete e degli asteroidi, risulta semplice estrapolare la storia della formazione dei crateri lunari alla Terra: alle velocità tipiche degli asteroidi, la Terra subisce un numero di impatti pari a oltre venti volte quello della Luna. Ciò consente delle stime statistiche per la storia della formazione dei crateri della Terra durante il suo primo miliardo di anni, nonostante l'assenza di impronte terrestri risalenti a quel tempo.
Ci si può fare un'idea della durezza dell'ambiente terrestre primordiale, caratterizzato dagli impatti, considerando quello avvenuto 65 milioni di anni fa, alla fine del Cretaceo; poiché il periodo geologico immediatamente successivo al Cretaceo è il Terziario, l'impatto è anche chiamato K/T o Cretaceous- Tertiary. La collisione, che determinò la formazione del cratere di Chicxulub, nella penisola dello Yucatan, in Messico, con un diametro di circa 200 km (Sharpton et al., 1992), fu provocata da un oggetto di dimensioni simili a quelle del nucleo della cometa di Halley, ovvero di circa lO km di diametro. Oggi sembra verosimile che l'impatto K/T abbia avuto una profonda influenza sulla storia della vita terrestre. Le estinzioni di massa avvenute nel passaggio dal Cretaceo al Terziario, e la successiva comparsa dei mammiferi, potrebbero esser state causate in buona parte da questo impatto. Considerando l'attuale frequenza degli impatti, si può dire che la Terra ne subisce uno di violenza simile a quello K/T ogni 100 milioni di anni circa. L'estrapolazione dei dati della formazione dei crateri lunari indica che la Terra ha subito decine di migliaia di collisioni paragonabili a quella K/T durante il suo primo miliardo di anni. Nell'epoca risalente a circa 4 miliardi di anni fa, ne ha subita una all'incirca ogni 10⁵ anni. Alla velocità di collisione tipica degli asteroidi con la Terra, pari a 15 km/s, ciascuno di questi impatti dovrebbe aver rilasciato, in modo esplosivo, energia cinetica approssimativamente pari a quella di 10⁸ megaton di un potente esplosivo, ovvero circa 10⁸ volte superiore all'energia di una potente testata nucleare contemporanea. l dati relativi alla formazione dei crateri lunari rivelano anche che il numero dei corpi impattanti variava in funzione della dimensione. Vi sono stati molti più corpi impattanti di piccole dimensioni piuttosto che grandi; nell'ambito dei corpi impattanti di diametro minore, il flusso risulta proporzionale al reciproco del diametro elevato a 1,6. Così, per esempio, la Terra 4 miliardi di anni fa avrebbe sostenuto l'impatto di un corpo di 1,5 km di diametro ogni 5.10³ anni circa. Ciascuno di questi impatti avrebbe sollevato nella stratosfera una cappa di polvere abbastanza densa da abbassare le temperature medie a terra di 10°C e più per alcuni mesi (Toon et al., 1994).
Dal momento che le impronte fossili terrestri dimostrano chiaramente che la vita sulla Terra cominciò più di 3,5 miliardi di anni fa, se non addirittura più di 3,8 miliardi di anni fa, sembra che la vita abbia avuto origine nel mezzo di questo bombardamento. Ch. Darwin (1871) nella sua famosa lettera a J.D. Hooker esponeva la sua idea che la vita fosse cominciata "in qualche piccolo stagno tiepido", ma la Luna ci suggerisce che questa immagine così serena non è corretta. Piuttosto, la vita sulla Terra sembra aver avuto origine nel mezzo del violento caos dominato dagli impatti.
Impatti da asteroidi e loro conseguenze sull'origine della vita
l più vasti crateri lunari, strutture a più anelli che misurano oltre 300 km di diametro, vengono denominati bacini; ne conosciamo circa cinquanta, dei quali il più ampio, tra i visibili sulla parte sinistra della Luna, è Imbrium, che misura circa 1000 km di diametro. Il più ampio bacino conosciuto è tuttavia il South Pole-Aitken che ha un diametro di circa 2200 km. Per scavare dei crateri lunari di tali dimensioni sono stati necessari corpi con un diametro di 100 ÷ 300 km. La Terra deve aver sostenuto un gran numero di collisioni di tale entità. Il più gigantesco di questi impatti potrebbe aver sterilizzato la superficie della Terra. Si considerino, per esempio, le conseguenze della collisione con un corpo di circa 400 km di diametro, grosso modo le dimensioni di grandi asteroidi come Vesta, Pallas o Hygeia. La stima della frequenza di tali impatti con la Terra primordiale si affida a estrapolazioni basate su pochi dati riferiti a quanto avvenuto per la Luna; è probabile che anche la Terra ne abbia sostenuto un numero esiguo. In un impatto di tale entità, la collisione crea un'atmosfera di rocce allo stato di vapore che circonda il globo e che persiste per alcuni mesi. Durante questo periodo di tempo, l'atmosfera incandescente irradia verso l'alto, nello spazio, e verso il basso, sulla superficie terrestre, facendo evaporare completamente gli oceani. Per un periodo di alcune migliaia di anni, la Terra sarebbe stata avviluppata da una densa atmosfera di vapore che dovrebbe aver surriscaldato la sua superficie, fino alla profondità di alcune centinaia di metri, a temperature intorno ai 10³ K. Alla fine di questo periodo, l'atmosfera di vapore dovrebbe essersi raffreddata abbastanza da far 'piovere' di nuovo l'oceano sulla superficie terrestre (Sleep et al., 1989).
È possibile che ciascuno di questi eventi abbia sterilizzato la superficie della Terra. Qualsiasi composto chimico di interesse prebiotico si fosse inizialmente formato sarebbe stato eliminato, costringendo così l'evoluzione molecolare a ricominciare daccapo. Se l'ultimo impatto sterilizzante non si fosse verificato, 'noi' discenderemmo da una più antica, e probabilmente molto diversa, origine della vita.
Comunque, non è certo che tutta la vita terrestre già iniziata sarebbe stata necessariamente sterminata da un impatto. Infatti, se la vita avesse avuto il tempo di migrare verso nicchie protette, a grandi profondità, simili a quelle attualmente occupate da batteri, alcuni chilometri all'interno della crosta terrestre, forse alcuni organismi potrebbero essere sopravvissuti persino agli impatti capaci di far evaporare gli oceani. Evidenze ottenute da studi di filogenesi molecolare suggerirebbero che il progenitore comune a tutte le forme di vita terrestre sia stato un termofilo che cresceva a una temperatura vicina a quella dell'ebollizione dell'acqua (Woese, 1987). Questo può voler dire tanto che la vita sulla Terra si sia evoluta in profondità (alle alte temperature presenti), quanto che la vita (comunque si sia originariamente evoluta) sia dovuta passare, dopo l'origine, per un 'collo di bottiglia' in cui sarebbero sopravvissuti soltanto gli organismi protetti all'interno di nicchie profonde. Un ambiente dominato da impatti, proprio della Terra primordiale, rappresenta il candidato più ovvio per tale 'collo di bottiglia' (su questo argomento, v. anche il saggio di J.F. Kasting, Vincoli ambientali sull'origine della vita).
I limiti temporali per l'origine della vita sulla Terra
Le stime sulla lunghezza del periodo di tempo a disposizione per l'origine della vita sulla Terra sono state modificate dall'esplorazione della Luna. Il periodo di tempo tra la formazione della Terra, che si fa risalire a circa 4,5 miliardi di anni fa, e la prova più antica della vita terrestre è, tutt'al più, di l miliardo di anni. Tuttavia, in conseguenza dei tremendi effetti del flusso dei corpi impattanti verificato si nel periodo antecedente a circa 3,8 miliardi di anni fa, questa scala temporale si riduce a un ordine di tempo di 100 milioni di anni. Evidentemente, la vita sulla Terra si è originata rapidamente, per la scala dei tempi geologici.
Elementi biogeni portati dagli impatti
La vita sulla Terra dipende criticamente da un ristretto numero di elementi biogeni quali il carbonio, l'azoto, l'ossigeno e l'idrogeno. Questi elementi si trovano in abbondanza nel sistema solare esterno ma sono, invece, scarsi nella regione dei pianeti terrestri. Muovendo verso la parte esterna del sistema solare, soltanto quando si raggiunge la regione degli asteroidi del tipo C, nella cintura principale degli asteroidi, si comincia, infatti, a trovare un'abbondanza di carbonio vicina all'abbondanza media del sistema solare (fig. 6).
È soltanto a una distanza eliocentrica inferiore a quella della cintura degli asteroidi che le temperature delle superfici planetarie sono abbastanza elevate da permettere all'acqua di esistere allo stato liquido (escludendo meccanismi di riscaldamento dovuti a maree planetarie, come si vedrà tra breve per quanto riguarda la luna di Giove, Europa). L'acqua allo stato liquido rappresenta la conditio sine qua non per la vita così come noi la conosciamo; quegli ambienti terrestri in cui l'acqua allo stato liquido è più rara sono i più prossimi a essere sterili (McKay, 1991).
La zona abitabile
La parte abitabile dello spazio che circonda una stella è racchiusa entro l'intervallo di distanze eliocentriche in cui un pianeta può mantenere sulla sua superficie l'acqua allo stato liquido. Il limite interno della zona è rappresentato da quella distanza alla quale tutta l'acqua allo stato liquido della superficie viene vaporizzata per l'effetto serra, come nel caso del pianeta Venere nel nostro sistema solare. Il limite esterno della zona è rappresentato da quella distanza alla quale il biossido di carbonio condensa nell' atmosfera, o ai poli, raffreddando il pianeta con l'aumento delle sue albedo, rendendo così impossibile l'esistenza di acqua allo stato liquido sulla sua superficie. Questo è ciò che si verifica attorno all'orbita di Marte. La distribuzione degli elementi bio geni nel nostro sistema solare pone, a questo punto, un dilemma: gli elementi essenziali alla vita sono rari proprio dove le temperature permettono all'acqua di esistere allo stato liquido.
Questo dilemma si complica ancora di più, se si prendono in considerazione i modelli della formazione del nostro sistema solare. Il problema è che gli elementi bio geni sono volatili, e i modelli della formazione planetaria suggeriscono che le temperature nella regione dell'accrescimento terrestre erano tali da far pensare che la Terra si sarebbe dovuta formare, per lo più, senza le sue attuali scorte di carbonio, azoto e acqua. Nello stesso tempo, si suppone che gli ultimi stadi della formazione planetaria nel sistema solare interno siano stati caratterizzati dalla disseminazione di grandi embrioni planetari attraverso notevoli distanze eliocentriche. Tutto ciò sarebbe avvenuto in maniera tale che oggetti più ricchi di sostanze volatili in confronto a quelli già presenti nella regione interna potrebbero essere passati all'interno dalla regione di Marte o dalla cintura degli asteroidi. La Terra potrebbe aver acquisito, in tal modo, un complemento iniziale di sostanze volatili. Inoltre, gli ultimi stadi della formazione dei pianeti esterni potrebbero avere condotto alla disseminazione, attraverso il sistema solare, di masse planetesimali ghiacciate (i cui resti sono conosciuti con il nome di comete). Questi oggetti ricchi di sostanze volatili dovrebbero aver contribuito in maniera sostanziale all'inventario degli elementi biogeni della Terra. Le comete possono aver rappresentato il meccanismo attraverso il quale il sistema solare esterno, ricco di sostanze volatili, ha fornito le scorte di elementi bio geni ai pianeti interni, poveri di sostanze volatili (Chyba et al., 1994).
Possibile origine da impatto degli oceani
l dati sulla formazione dei crateri lunari, riportati alla Terra, possono essere impiegati per stimare l'accrescimento della massa terrestre durante il periodo d'intenso bombardamento, intercorso tra 4,4 miliardi di anni fa, quando la formazione del nucleo terrestre era ormai completata, e 3,5 miliardi di anni fa (momento in cui le impronte lunari mostrano la conclusione della fase esponenziale del bombardamento), cioè nel periodo in cui gli asteroidi e le comete provenienti dalle regioni più esterne del sistema solare si accumulavano sulla Terra. Queste stime sono caratterizzate da ampi margini d'incertezza ma, verosimilmente, la Terra durante quel periodo dovrebbe aver raccolto una massa dell'ordine di 10²² kg, cioè meno dell' l % della massa terrestre. Questo è in accordo con le stime empiriche geochimiche riguardanti l'ammontare totale del materiale caduto sulla Terra successivamente alla formazione del nucleo terrestre (Chyba et al., 1994). A causa della riduzione esponenziale del flusso di bombardamento, che si evince dai dati sulla formazione dei crateri lunari, il corrispettivo flusso di massa dovrebbe essere poi diminuito con un tempo di dimezzamento pari a circa 100 milioni di anni: cioè, metà di questa massa d'accrescimento dovrebbe essere stata già raccolta 4,3 miliardi di anni fa.
La massa degli oceani terrestri è dell'ordine di 10²¹ kg. Se gli intensi bombardamenti furono causati, per una certa percentuale, da masse di comete, dal momento che i dati provenienti dalle osservazioni di queste ultime indicano che circa metà della loro massa è composta di acqua allo stato ghiacciato, la maggior parte degli oceani sarebbe stata depositata sulla Terra come un tardo accrescimento di origine cometaria. Un'altra fonte potrebbe essere stata fornita da asteroidi con composizioni simili alle condriti carbonacee Cl, cioè meteoriti con una massa composta dal 6% di acqua.
Il rapporto tra deuterio e idrogeno (D/H) dell'acqua degli oceani terrestri, cioè la media standard dell' acqua marina (SMOW, Standard Mean Ocean Water) è di 1,6 ∙ 10-⁴, superiore di un ordine di grandezza rispetto a quello tipico dell'idrogeno interstellare, o di Giove o di Satumo. È sorprendente che i valori D/H dei meteoriti carbonacei equivalgano quasi allo SMOW. l primi dati provenienti dalla navetta spaziale europea Giotto, che incontrò la cometa di Halley, hanno dato un valore D/H quasi eguale allo SMOW. Un lavoro successivo (Balsiger et al., 1995) ha migliorato questa determinazione: sembra che il rapporto D/H nello ione idronio (H₃0+), e per inferenza nell'acqua neutra, della cometa di Halley sia 2,55÷ 3,46 ∙ 10-⁴, ovvero circa il doppio rispetto allo SMOW. Valori simili sono stati trovati recentemente per le comete Hyakutake e Hale-Bopp. Tuttavia, non è chiaro fino a che punto questo valore sia tipico per i mille e più miliardi di comete che si stima esistano nella cintura di Kuiper e nella nube di Oort, considerando che, notoriamente, esistono differenze sostanziali nella composizione delle comete provenienti da queste due regioni (tutte e tre le comete per le quali il rapporto D/H è stato fino a ora misurato si ritiene provengano dalla nube di Oort). Inoltre, i valori del D/H variano, da un meteorite all'altro, di un ordine di grandezza, cioè da circa 10-⁴ a 10-³. Presto si dovrebbero conoscere ulteriori stime del rapporto D/H relativo ad altre comete.
Lo scenario in cui la Terra acquisisce in seguito agli impatti un rivestimento di materiale ricco di sostanze volatili è complicato dagli effetti erosivi dell'impatto. Impatti con corpi sufficientemente grandi e veloci producono colonne di vapore in espansione, in grado di trasportare nello spazio sia materiali appartenenti al corpo impattante, sia parte dell'atmosfera del pianeta (Melosh e Vickery, 1989). Tale processo è ostacolato dalla gravità alla superficie del pianeta. Per i mondi più grandi che appartengono al sistema solare interno, cioè Venere e Terra, l'accrescimento degli oceani planetari e di altro materiale volatile per apporto esterno è stata favorito, rispetto all'erosione causata dall'impatto. Per la Luna, si è verificata esattamente la situazione opposta. Infatti, ancor oggi, il risultato netto degli impatti subiti dalla Luna è quello di diminuire la sua massa. Marte sembra essere stato quasi esattamente sul filo di questo equilibrio e gli impatti possono averlo spogliato di gran parte della sua atmosfera.
L'apporto di comete e asteroidi agli oceani terrestri risulta quantitativamente coerente con l' acquisizione da parte della Terra di quasi tutte le scorte di carbonio, circa 10²⁰ kg da queste fonti. Più in generale, si può fornire un quadro coerente di una acquisizione da parte della Terra dell'idrosfera, degli elementi bio geni e dei metalli nobili altamente siderofili, incluso oro, osmio e iridio, attribuendo la principalmente a un tardivo aumento di materiale superficiale dovuto al massiccio bombardamento (Chyba et al, 1994). Ci si aspetterebbe che anche su Venere, in maniera analoga, si sia prodotto un simile accumulo di scorte volatili, mentre per Marte si sarebbe verificata una ritenzione più modesta di quantità di materia e per la Luna vi sarebbe stata, invece, una netta perdita.
Chimica organica prebiotica
Presumibilmente, l'origine della vita sulla Terra ha richiesto un rifornimento di molecole organiche prebiotiche che furono o prodotte sulla Terra stessa tramite le varie possibili fonti energetiche disponibili, o rilasciate sulla superficie terrestre da asteroidi e comete ricchi di sostanze organiche. Naturalmente, i due processi non si escludono a vicenda. L'importanza delle differenti fonti di energia per la sintesi organica prebiotica, in un ambiente planetario, è strettamente connessa allo stato di ossidazione dell'ambiente medesimo. Nel caso della Terra, la questione cruciale riguarda la natura dell'atmosfera primordiale.
L'atmosfera terrestre primitiva
Nella seconda metà del Ventesimo secolo, i punti di vista sull'origine dell'atmosfera terrestre primordiale sono cambiati notevolmente. Un tempo si pensava che l'atmosfera si fosse condensata assieme al resto del pianeta a partire dalla nebulosa protosolare, ovvero da quella nuvola di gas e polvere che formava il sistema solare. Dal momento che la materia nell'Universo è in gran parte costituita dall'idrogeno molecolare, si pensava che tale atmosfera avrebbe contenuto carbonio e azoto allo stato ridotto: CH₄ e NH3. Tuttavia, attualmente si pensa che vi sia stato un modesto accumulo di gas assieme alla polvere di cui erano composte le masse dei planetesimali dai quali si è formata la Terra. Inoltre, qualsiasi gas condensatosi assieme alla Terra durante il suo accrescimento iniziale sarebbe stato spazzato via dall'intenso vento solare di particelle cariche emesse dal Sole al suo stadio iniziale, o perso in seguito all'impatto nel quale si formò la Luna. La prima atmosfera stabile sulla Terra e, quindi, quella importante per l'inizio della vita, è stata probabilmente formata dai composti volatili portati da corpi impattanti ed emessi sotto forma di gas dalla crosta e dal mantello terrestre.
L'opinione correntemente condivisa, che si basa su modelli di accrescimento planetario e sull'abbondanza delle sostanze volatili osservate sulla Terra e sulla Luna, è che il nostro pianeta si sia accresciuto quando era ancora incandescente e si sia poi differenziato in tempi primordiali (Stevenson, 1983). Ciò significa che la maggior parte del ferro e del nichel metallici affondarono verso il centro della Terra, formandone il nucleo, probabilmente 4,4 miliardi di anni fa, mentre i silicati più leggeri rimasero negli strati superiori del mantello e della crosta. Questo fatto è importante per lo stato d'ossidazione delle sostanze volatili, perché il ferro metallico sarebbe stato il maggiore agente riducente disponibile nella crosta e nel mantello superiore. Se, infatti, in questi strati vi fosse stata una quantità significativa di ferro metallico quando l'atmosfera fuoriuscì sotto forma di gas, allora il carbonio sarebbe stato presente soprattutto sotto forma di CO e CH₄, e l' azoto per lo più sotto forma di NH3. Se l'atmosfera primordiale fu generata dalla fuoriuscita di gas vulcanico proveniente da un mantello impoverito di ferro, essa doveva consistere, per la maggior parte, di CO2 ed N2, insieme eventualmente a piccole quantità di CO, di CH₄ e anche di H2 (Kasting, 1993). Se il degassamento fosse stato precedente alla formazione del nucleo, cioè fosse avvenuto in presenza di ferro metallico nella crosta e nel mantello, il rapporto CH4/CO2 sarebbe stato maggiore di 1 (Chang et al., 1983). Un sostegno ulteriore all'ipotesi di un'atmosfera primitiva dominata da CO2 è la necessità di un gas serra che mantenesse la temperatura della superficie della Terra al di sopra del punto di congelamento dell'acqua, durante il periodo iniziale della storia del sistema solare, quando la luminosità del Sole era inferiore ben del 30%; il diossido di carbonio è considerato il componente più probabile poiché altri eventuali gas serra, come il CH₄ e l'NH₃, hanno una vita media atmosferica breve. I dati empirici non permettono di trarre conclusioni definitive. Negli antichi sedimenti di 2,2 ÷ 2,75 miliardi di anni fa, l'assenza di minerali composti da carbonati potrebbe essere la prova che la pressione parziale del CO2 in quel momento era inferiore a 0,04 atm (Rye et al., 1995). D'altra parte, si è notato che vi è abbondanza di precipitati di carbonati in altre rocce arche ane, a fronte della scarsità, se non dell'assenza, di gesso (CaS04): ciò suggerisce una scorta notevole di CO2 disponibile per la formazione di carbonato (Grotzinger e Kasting, 1993). Nell'atmosfera, fino a periodi molto più recenti della storia della Terra, scarseggiava Oz libero: solo circa 2 miliardi di anni fa la fotosintesi divenne un processo diffuso. La prova di questo si basa tra l'altro sulla presenza di formazioni archeane a bande ferro se, contenenti ferro allo stato più basso d'ossidazione (Fe2+). L'ossigeno e il carbonio si combinano per formare CO2 nel ciclo del carbonio e quando il carbonio organico è legato non è in grado di combinarsi con l'ossigeno e, pertanto, lo lascia libero nell'atmosfera in forma molecolare. Anche se gas ridotti, come CH₄ e NH₃, erano inizialmente presenti nell'atmosfera della Terra primordiale, la distruzione fotochimica può avere impedito loro di resistere per periodi di tempo geologicamente significativi. Questo processo comporta la rottura di un legame C-H o N-H da parte di un fotone ultravioletto. Dal momento che l'idrogeno così liberato può diffondere agevolmente ne II ' atmosfera superiore e disperdersi nello spazio, tale processo è sostanzialmente irreversibile. La vita di CH₄, nell'atmosfera terrestre primitiva, viene stimata intorno a 50 anni vicino alla superficie, e di pochi giorni ad alta quota. Quella dell'NH₃ sarebbe stata dello stesso ordine di grandezza, cioè, al massimo, di pochi anni (Levine e Augustsson, 1985). È possibile, tuttavia, che questi periodi di foto-distruzione possano essersi prolungati, in modo significativo, grazie alla formazione ad alta quota di uno strato di nebbia di idrocarburi capace di assorbire i raggi ultravioletti, così come si osserva ne II ' atmosfera riducente della luna di Satumo, Titano. Non si può sottolineare abbastanza l'importanza dello stato di ossidazione dell'atmosfera primitiva per le condizioni chimiche prebiotiche della Terra, o di qualsiasi altro pianeta. Simulazioni dello stato chimico dell' atmosfera prebiotica hanno dimostrato, sia a livello teorico che sperimentale, che la sintesi dei componenti organici prebiotici importanti è molto più efficiente in un'atmosfera fortemente riducente che in una debolmente o per nulla riducente (Chang et al., 1983). In esperimenti con scariche elettriche del tipo Miller-Urey, la produzione di acido cianidrico (HCN) e di formaldeide (H2CO), due importanti molecole prebiotiche, è inferiore di diversi ordini di grandezza nelle miscele di gas a base di CO2 rispetto a quelle a base di CO o CH₄. La produzione di amminoacidi, in questi esperimenti, mostra una simile diminuzione di rendimento per CO2, rispetto a CO o a CH₄ (Stribling e Miller, 1987). L'opinione corrente è che l'atmosfera della Terra primordiale era, con tutta probabilità, dominata da CO2 piuttosto che da gas riducenti, ma riguardo a questa conclusione vi è sempre maggiore incertezza.
Stime quantitative della sintesi organica atmosferica
I risultati sperimentali sulla produzione di composti organici a partire da varie fonti energetiche, misurata, per es., in chilogrammi di prodotto organico per joule di energia applicata, insieme alle valutazioni dell' energia disponibile sulla Terra primordiale, permettono di effettuare stime quantitative della sintesi organica. Queste sono state rivedute e aggiornate da Chyba e Sagan (1996), e vengono qui di seguito riassunte. Scariche elettriche (fulmini e scariche a corona) in un'atmosfera riducente avrebbero potuto produrre circa 10⁹ kg anno-1 di composti organici, rendendo invece soltanto l' 1% di questa quantità in un'atmosfera caratterizzata da un potenziale riducente medio, con [H2]/[CO2] = 0,1. È noto sperimentalmente che l'azione della luce ultravioletta di lunghezza d'onda inferiore a 1550 Å su un'atmosfera di CH₄ e N2 produce circa 10-⁸ kg/J di prodotti. Si stima che, 4 miliardi di anni fa, il flusso netto di energia derivante da radiazioni UV con lunghezza d'onda inferiore a 1500 Å sia stato pari, sulla Terra, a circa 1020 J anno-1, circa tre volte superiore al valore attuale. La produzione di sostanze organiche dalla fotolisi del CH₄ nell'atmosfera terrestre fortemente riducente di 4 miliardi di anni fa sarebbe stata, pertanto, pari a circa 1012 kg anno-1. La produzione in un'atmosfera ricca di CO2 sarebbe stata inferiore di oltre 1000 volte. Le scariche elettriche e la luce ultravioletta hanno rappresentato, per quantità, le più importanti fonti energetiche endogene per la sintesi organica.
Chimica prebiotica nell'oceano primitivo
Il contrasto apparente tra la composizione atmosferica che molto probabilmente era presente sulla Terra primordiale e quella più favorevole per la sintesi, in fase gassosa, dei composti organici importanti a livello prebiotico ha indotto a ricercare altri meccanismi di sintesi che non coinvolgessero la chimica dell' atmosfera. Alcune di queste ipotesi prendono in considerazione la chimica in fase acquosa che potrebbe essersi sviluppata nell'oceano primitivo, e molte chiamano in causa sistemi idrotermali sottomarini come fonti energetiche per indurre sintesi organiche e, forse, perfrno un protometabolismo. La chimica dell'oceano non è scissa da quella dell'atmosfera. Per esempio, la presenza o l'assenza di quantità rilevanti di CO2 nell'atmosfera avrebbe influenzato il pH dell'oceano archeano. Si stima che il pH dell'oceano primordiale avesse un valore di 6 ÷ 8, ma verosimilmente più vicino a 6 poiché CO2 è solubile in acqua marina e reagisce con essa per produrre acido carbonico determinando, in tal modo, un abbassamento del pH oceanico (Grotzinger e Kasting, 1993). l meccanismi della sintesi organica nell'oceano primordiale proposti qui di seguito sono stati riveduti da Chyba e McDonald (1995), che forniscono anche i riferimenti bibliografici principali.
Fotoossidazione dello ione Fe²+ in soluzione acquosa. - Uno dei possibili meccanismi grazie al quale la fotolisi provocata dagli UV può aver avuto la funzione di fonte energetica nei processi chimici di sintesi di sostanze organiche prebiotiche è la fotoossidazione del Fez+ in soluzione acquosa per generare elettroni o H2, fornendo quindi potere riducente. È noto che si può generare Hz irradiando nel vicino ultravioletto l'idrossido ferro so in soluzione acquosa a pH 6 ÷ 8. Inoltre, formazioni stratificate di ferro nelle rocce archeane forniscono la prova della fotoossidazione del ferro sulla Terra primordiale. Tuttavia, l'ipotesi di un legame tra la fotoossidazione del ferro e la sintesi organica, o addirittura con un protometabolismo, non è stata dimostrata sperimentalmente.
Sistemi idrotermali. - Le caratteristiche che rendono gli ambienti delle nicchie idrotermali sottomarine favorevoli alle sintesi prebiotiche includono un potenziale chimico riducente sotto forma di minerali, gradienti termici e sistemi di protezione dagli impatti di asteroidi e comete, con l' eccezione di quelli più devastanti. Tuttavia, i tentativi di dimostrare sperimentalmente le previsioni teoriche di sintesi organiche idrotermali sono stati ostacolati dalla difficoltà di accedere a nicchie sottomarine naturali e dalle ardue sfide tecniche che comporta la loro simulazione in laboratorio.
Formazione esoergonica di minerali. - È possibile che la sintesi di molecole organiche sulla Terra primordiale sia avvenuta attraverso la riduzione di CO2 disciolto in acqua a composti organici, sulle superfici di minerali di pirite. L'energia necessaria alla riduzione sarebbe stata fornita dalla formazione esoergonica della pirite (FeS2) da H2S e da FeS. In questo contesto, la superficie carica positivamente della pirite avrebbe attirato elettrostaticamente gli acidi organici carichi negativamente, permettendo in tal modo lo sviluppo di un protometabolismo su superficie. Tuttavia, l'assunto fondamentale di questa ipotesi, ovvero la fissazione di CO2 attraverso la formazione di FeS2, non è stato dimostrato sperimentalmente, sebbene sia stata evidenziata la formazione di legami C-C in tale sistema.
Fonti esogene di elementi organici prebiotici
Altre fonti possibili di molecole organiche prebiotiche sulla Terra primordiale sono connesse all'intenso bombardamento di asteroidi e comete. La massa delle condriti carbonacee contiene una certa percentuale di carbonio organico, di cui forse una parte sotto forma di amminoacidi. Le comete sono molto più ricche di composti organici, sono dotate di un'abbondanza di carbonio simile a quella del Sole, nonché di altri elementi bio geni, e sembrano essere costituite fino al 25% di massa organica. Questo risultato si basa sia su indagini spettroscopiche condotte a terra, sia su analisi in situ di polvere raccolta dalle apparecchiature spaziali che hanno incontrato la cometa di Halley. Comunque, in assenza di campioni analizzabili nei laboratori terrestri, la natura esatta dei composti organici cometari rimane scarsamente defrnibile. Se una parte delle sostanze organiche presenti negli asteroidi e nelle comete entrati in collisione con la Terra durante il periodo del bombardamento pesante fosse sopravvissuta all'impatto, potrebbe aver apportato un contributo significativo alle scorte organiche prebiotiche della Terra. È anche possibile che la sintesi organica sia stata indotta dall' energia cinetica di questi corpi, o durante il passaggio attraverso l'atmosfera, o durante l'impatto. In effetti, in un'atmosfera a uno stadio intermedio di potenziale riducente, alcuni di questi meccanismi hanno presumibilmente contrastato o sopraffatto la produzione organica dovuta ai processi endogeni sopra considerati. La discussione che segue, tratta da Chyba e Sagan (1996), mette in luce il più importante di questi processi.
Sostanze organiche integre portate dagli impatti
Attualmente, sulla Terra si depositano molecole organiche extraterrestri integre, provenienti da varie fonti. Tra di esse si possono includere quelle particelle di polvere interplanetaria (IDP, interplanetary dust particles) abbastanza piccole (cioè con raggio inferiore a circa 100 μm) da essere decelerate delicatamente nell' atmosfera superiore, e da meteoroidi abbastanza piccoli da essere decelerati durante la loro caduta, ma abbastanza grandi da non disintegrarsi completamente. Gli oggetti di 1-100 metri di raggio spesso si disintegrano in modo catastrofico nell'atmosfera a causa dell' effetto ram, cioè all' autocompressione, come nel caso dell'asteroide Tunguska, esploso nel 1908. Infine, la scoperta di amminoacidi di presumibile provenienza extraterrestre al limite K/T (Zhao e Bada, 1989) e l'elio extraterrestre intrappolato nei fullereni nella struttura creata dall'impatto di Sudbury (Becker et al., 1996) suggeriscono che alcune sostanze organiche possono, in qualche modo, sopravvivere o essere sintetizzate negli impatti di grandi asteroidi e di comete sulla Terra.
Si presume che ognuna di queste fonti sia stata più intensa durante la fase di massiccio bombardamento. Stimando la loro attuale consistenza e utilizzando i dati sulla formazione dei crateri lunari per estrapolarla all'epoca in cui si originò la vita (diciamo a 4 miliardi di anni fa), è possibile valutare la loro rilevanza quantitativa, sia paragonandole tra loro, sia paragonando le con le fonti endogene considerate precedentemente.
Particelle di polvere interplanetaria. - Con una tipica frazione di massa organica del 10%, le IDP attualmente portano sulla superficie della T erra circa 10⁶ kg anno-1 di sostanze organiche; 4 miliardi di anni fa la Terra ne avrebbe accumulato dalle IDP più di 10⁸ kg anno-1. Si tratta di quantità di diversi ordini di grandezza inferiori a quelle attribuibili alla sintesi organica indotta dai raggi UV in un'atmosfera primordiale di CH₄, ma comparabili a quelle prodotte dalla fotolisi da UV qualora l'atmosfera fosse stata costituita principalmente da CO2.
Polvere interstellare. - Talvolta il sistema solare attraversa nubi di polvere irlterstellare. Comunque, anche durante l'attraversamento di queste nubi le principali fonti potenziali di sostanze organiche sarebbero rimaste le IDP.
Meteoriti. - Attualmente sulla Terra si verifica un aumento di materia organica, dovuto a meteoriti, pari a circa 10 kg anno-1: una quantità superata di gran lunga da quella portata dalle IDP.
Esplosioni catastrofiche. - Di solito, oggetti con un diametro di 1÷100 metri esplodono nell'atmosfera terrestre prima di raggiungere il suolo. In ogni caso, anche se tutte le sostanze organiche presenti in questi oggetti sopravvivessero all'esplosione, le IDP rimarrebbero sempre predominanti nel flusso di materia organica verso la Terra.
Grandi impatti. - Modelli dell' evoluzione temporale della temperatura in seguito agli shock provocati da impatti di grandi asteroidi e comete con la Terra, associati ai dati di laboratorio relativi allo shock da pirolisi di molecole organiche, suggeriscono che le sostanze organiche non resisterebbero irldenni a grossi impatti con la Terra. Questa conclusione è avallata da alcuni dati, ottenuti sia in laboratorio sia irl natura, ma apparentemente contraddetta dal rinvenimento di amminoacidi extraterrestri al limite K/T. Come si considererà qui di seguito, è possibile che questi ultimi possano essere il risultato di sintesi avvenute durante il raffreddamento successivo all'impatto. Dal momento che la maggior parte della materia organica incidente sulla Terra, ma non necessariamente sopravvissuta all'impatto, è contenuta nei corpi più voluminosi, la valutazione dell'importanza delle sostanze organiche esogene dipende dalla ricerca di un accordo tra i dati teorici, quelli ottenuti in laboratorio e quelli osservati in natura, attualmente discordanti.
Sintesi delle molecole organiche negli shock da impatto
Gli shock waves (onde d'urto) atmosferici generati dagli oggetti extraterrestri che entravano neII'atmosfera terrestre potrebbero aver rappresentato una fonte rilevante per la sintesi organica sulla Terra primordiale. La sintesi di una varietà di sostanze organiche che ne può esser derivata, compresa quella degli amminoacidi, è stata più volte dimostrata sperimentalmente. Il rendimento netto nella produzione di carbonio organico da parte degli shock in un'atmosfera riducente ammonta a circa 10-⁸ kg J-1; quelli ottenibili in atmosfere ricche di CO2, caratterizzate da un potenziale riducente intermedio, sono enormemente irlferiori di oltre 7 ordini di grandezza. Questi rendimenti si possono associare alle stime dell'energia netta di shock prodotta da fonti diverse, in modo da fornire valutazioni quantitative della sintesi organica sulla Terra primordiale.
Shock da meteore. - Attualmente, le stime del trasferimento annuo di energia dalle meteore all'atmosfera, riportate a 4 miliardi di anni fa sulla base dei dati degli impatti lunari, forniscono un tasso di produzione organica, per un' atmosfera riducente, pari a circa 10⁹ kg anno-1.
Shock da esplosioni nell'atmosfera. - I piccoli asteroidi e le comete che esplodono nell'atmosfera vi liberano tutta la loro energia cirletica. In ogni caso, la sintesi organica che ne consegue in un'atmosfera primordiale riducente risulta essere irlferiore di un ordine di grandezza rispetto a quella prodotta dalle meteore.
Shock da colonne di vapore prodotte dall'impatto. - Il principale effetto prodotto sull' atmosfera da corpi impattanti di grandi dimensioni è rappresentato dalla espansione di una colonna di vapore che si solleva in seguito alloro impatto con la superficie terrestre. La produzione netta di sostanze organiche da parte di questa fonte sembra essere stata lievemente superiore a quella prodotta dalle meteore, per quanto la fonte meteoritica sarebbe stata quasi costante, anche se di mirlore consistenza, mentre i processi chimici atmosferici indotti da grossi impatti sarebbero stati episodici.
La sintesi successiva agli impatti
Sostanze organiche possono essere state sirltetizzate sulla Terra primordiale attraverso la ricombinazione di miscele riducenti di gas prodotti dalla vaporizzazione da shock dovuta all'impatto di asteroidi e comete. Una quantità limitata di dati, ottenuti da esperimenti di vaporizzazione, sia tramite tubi d'urto sia tramite laser, avalla questa ipotesi. Se questi risultati possono essere estrapolati per i molti ordini di grandezza necessari a raggiungere le energie dei grossi impatti, si può concludere che grandi quantità di sostanze organiche potrebbero essere state sintetizzate in questo modo sulla Terra primordiale. Gli amminoacidi extraterrestri trovati al limite K/T possono fornire la migliore verifica sperimentale di questa ipotesi.
Amminoacidi al limite K/T
Un dato importante per quanto riguarda la fonte di sostanze organiche dovuta agli impatti sulla Terra primordiale è la scoperta di due amminoacidi non biologici, l'acido Ciamminoisobutirrico (AIB) e l'isovalirla racemica, immediatamente sopra e sotto lo strato argilloso che segna il limite K/T a Stevns Klint, irl Danimarca (Zhao e Bada, 1989). Questi amminoacidi, rari nella biosfera terrestre, abbondano nelle condriti carbonacee. È difficile comprendere come queste molecole possano essere sopravvissute all'energia dell'impatto; piuttosto esse, o le molecole loro precursori, possono rappresentare il materiale sintetizzato nella palla di fuoco che segue l'impatto. Sono state suggerite anche altre ipotesi per la loro formazione. L'abbondanza di queste molecole al confine K/T può costituire la base per un'ardita estrapolazione di questi dati a quelli della produzione di molecole organiche dovuta agli impatti sulla Terra primordiale. Se il risultato al confine K/T è rappresentativo di quelli di altre grandi collisioni simili, allora grandi impatti potrebbero aver fornito alla Terra di 4 miliardi di anni fa una quantità media di sostanze organiche di oltre 10⁸ kg anno-1. Naturalmente, questa produzione sarebbe stata molto episodica.
Un inventario di sostanze organiche prebiotiche sulla Terra primordiale
l risultati della discussione precedente si possono riassumere facendo una sorta di 'bilancio' tra la sintesi e l'apporto di molecole organiche sulla Terra primordiale. Non c'è dubbio sul fatto che un'atmosfera primitiva riducente, se mai ve n'è stata una, avrebbe fortemente favorito la produzione di sostanze organiche. La produzione organica netta in un'atmosfera simile sarebbe stata superiore di oltre 3 ordini di grandezza rispetto a quella in un'atmosfera avente un potenziale riducente intermedio. In un'atmosfera riducente, le fonti endogene, in media, sarebbero state preponderanti rispetto a quelle esogene. Nel caso più plausibile di un'atmosfera di 4 miliardi di anni fa ricca di CO2, tuttavia, sia le sostanze organiche esogene derivanti dalle lDP sia quelle prodotte da grossi impatti, presumibilmente tramite ricombinazione, sarebbero state paragonabili a quelle prodotte dalla fotolisi a opera dei raggi UV. Indipendentemente dalla composizione dell'atmosfera primordiale della Terra, la fonte esogena ha fornito un input minimo di molecole organiche prebiotiche (tab. I).
Accumulo e consumo di sostanze organiche
Un modo tipico per accertare l'importanza delle varie fonti endogene di sostanze organiche sulla Terra primordiale è calcolare la concentrazione di particolari sostanze organiche presenti nell'oceano primitivo (Stribling e Miller, 1987). Ciò risulta molto più difficoltoso per le sostanze organiche provenienti da comete o dalle lDP, poiché esse non sono bene caratterizzate. Il calcolo delle concentrazioni richiede la conoscenza delle condizioni sia dei luoghi di accumulo sia di quelli di distruzione; ed è difficile calcolare tali concentrazioni se non si hanno informazioni dettagliate riguardanti la composizione. Per esempio, i tassi di decomposizione termica variano notevolmente da una molecola all'altra e perfino tra differenti tipi di amminoacidi.
Per questa ragione, la cosa più facile è limitare la discussione sulle concentrazioni al modello più semplice, vale a dire quello dell'intero oceano, in movimento ciclico attraverso i passaggi idrotermali, su una scala temporale di circa 10⁷ anni, come è il caso dell'oceano contemporaneo. Se si pone come assunto che tutte le sostanze organiche in ciclo vengano distrutte e nel caso ideale in cui tutti i prodotti organici siano stati totalmente solubili in un oceano primordiale avente una massa pari a quella attuale, allora l'abbondanza allo stato stazionario, 4 miliardi di anni fa e in un'atmosfera con potenziale riducente intermedio, sarebbe stata pari a circa 10-³%, e avrebbe assunto un valore mille volte più grande in un'atmosfera riducente. Questo tipo di stima, benché interessante in senso comparativo, non considera gli eventuali meccanismi di accumulo, così come i meccanismi di intrappolamento, quali il seppellimento nelle argille abissali o la protezione causata dalla formazione di una patina organica a bassa densità sulla superficie dell' oceano, in grado di ostacolare il passaggio di prodotti verso i sistemi idrotermali.
La vita extraterrestre nel sistema solare: ambienti esobiologici
La Terra potrebbe non essere, o non essere sempre stata, il solo corpo del sistema solare con un ambiente adatto alla vita. In questo paragrafo prenderemo in considerazione l'abitabilità di altri luoghi del sistema solare, sia al momento attuale che nel passato, e discuteremo la possibilità che vi sia stato uno scambio di organismi viventi tra altri corpi celesti e la Terra.
Per accertare la possibilità di vita extraterrestre nel sistema solare, C.P. McKay (1991) ha raccomandato un criterio pratico per la possibilità di vita "basato su un'analisi molto conservatrice della biologia terrestre". Questo criterio prende in esame l'importanza di una fonte energetica e di un numero ristretto di elementi bio geni. Tuttavia la conditio sine qua non per la vita, così come noi la conosciamo, è l'acqua allo stato liquido. Anche in condizioni di abbondanza degli elementi necessari e della luce solare, la vita non può assolutamente prescindere dalla presenza dell' acqua liquida. Pertanto, da un punto di vista operativo, la ricerca della vita in qualsiasi luogo del sistema solare si risolve innanzitutto in una ricerca di acqua allo stato liquido. Qui assumiamo il presupposto che cercare la vita significhi cercarla così come noi la conosciamo. Da questo punto di vista, Chyba e McDonald (1995) hanno esaminato tutta una serie di possibili habitat esobiologici nel nostro sistema solare, nei quali potrebbe essere attualmente presente, o esservi stata, acqua allo stato liquido.
Marte. - Marte rimane il punto focale per quanti sperano di trovare la vita in qualche altro luogo del nostro sistema solare. La missione Viking per Marte, negli anni Settanta, trasportava una serie di strumenti per la ricerca di un metabolismo biologico. l risultati, inizialmente positivi, di questi esperimenti sembrano esser meglio spiegabili, attualmente, come effetti di processi di ossidazione chimici piuttosto che biologici (Klein, 1978). La mancanza di ritrovamento, nei due siti di atterraggio, di sostanze organiche da parte di un gascromatografo accoppiato a uno spettrometro di massa, potrebbe suggerire che la superficie del pianeta sia attualmente sterile. L'origine degli ossidanti presenti sulla superficie di Marte è spiegabile, almeno in parte, come un risultato naturale del processo fotochimico in atmosfera; questo implica, a sua volta, che gli ossidanti siano distribuiti su tutto il pianeta. Tuttavia, uno strato ossidante si estenderebbe soltanto fino a una profondità limitata, presumibilmente di poco al di sotto della superficie. In ogni modo, sulla superficie di Marte non vi può essere attualmente acqua allo stato liquido, a causa delle basse temperature e pressioni presenti. Semmai fosse esistita la vita su Marte, è possibile che essa si sia ritirata in nicchie poco al di sotto della superficie, in vicinanza di un' attività idrotermale, dove potrebbe ancora esservi dell'acqua allo stato liquido. Comunque, la presenza di questi sistemi idrotermali deve essere ancora confermata.
Molte prove geomorfologiche confermano la presenza di acqua sulla superficie di Marte, sotto forma di ghiaccio di fondo (ghiaccio intrappolato in terreni congelati). Inoltre, appare evidente dalle immagini inviate da Mariner, Viking e Pathfinder che sulla superficie di Marte un tempo scorreva l'acqua che, presumibilmente, andava a raccogliersi in laghi. Sono state portate prove geomorfologiche dell'esistenza di oceani primordiali su Marte; permangono, tuttavia, delle controversie relativamente a questa affermazione. Sembra che Marte, nella sua fase iniziale, si presentasse come un mondo umido e presumibilmente temperato, che però successivamente si è trasformato in un deserto gelato. Le condizioni primordiali e più favorevoli di Marte coincidono all'incirca, dal punto di vista temporale, con le origini della vita sulla Terra. Su Marte potrebbero essersi conservati per alcune centinaia di milioni di anni, sotto la coltre di ghiaccio, habitat con acqua allo stato liquido, dopo che la temperatura media globale era scesa bruscamente al di sotto del punto di congelamento. Ammettendo che la vita sulla Terra primordiale sia cominciata nell'acqua liquida, viene naturale chiedersi se essa non potrebbe simultaneamente essersi sviluppata, in condizioni climatiche simili, nell'ambiente primordiale di Marte.
La risposta a questa domanda richiede la ricerca di antichi microfossili marziani e potrebbe anche non dovere attendere missioni spaziali sofisticate. Esistono allettanti campioni di materiale proveniente da Marte sotto forma di circa dodici meteoriti rinvenuti sulla Terra e che si ritiene, in base all'evidenza chimica, siano materiale lanciato dalla superficie di Marte che ha subito un modesto shock da impatto. È stata riferita la presenza di materiali organici in due di questi meteoriti originari di Marte, l'EETA7900l e l'ALH8400 l, rinvenuti entrambi nell' Antartide, ambiente relativamente privo di contaminanti. Tuttavia, in ambedue i casi, non è stato dimostrato in modo definitivo che la maggior parte o tutto il carbonio organico sia meteoritico, e perciò di origine marziana. Inoltre, nell' ALH8400 l (McKay et al., 1996) sono state trovate strutture rassomiglianti, per alcuni aspetti, a batteri fossili, anche se è difficile dimostrare l'origine biologica di questi supposti microfossili. In ogni caso, l'acqua extraterrestre e la presenza di minerali precipitati da soluzioni acquose nei meteoriti di origine marziana costituiscono la prova di laboratorio dell'esistenza di acqua su Marte.
Giove e i pianeti giganti. - È possibile ipotizzare un'ecologia per organismi liberi che vivano fluttuanti nell'atmosfera di Giove, un pianeta privo di superficie solida come quella della Terra; nicchie simili potrebbero esistere su altri giganti gassosi. Chiaramente, si tratta di idee a un livello estremamente speculativo. Non esistono 'ecologie aeree' sulla Terra, un pianeta la cui atmosfera è più clemente e ricca di energia. Perché le nuvole sulla Terra non sono verdi? Forse gli ambienti aerei sulla Terra hanno semplicemente una vita troppo breve, con tempi di ricaduta troppo rapidi per permetterne la colonizzazione da parte di microorganismi. Allo stesso modo, su Giove, gli organismi correrebbero il pericolo di scendere a livelli di atmosfera in cui le temperature sono abbastanza elevate da dar luogo alla pirolisi. Anche se si possono immaginare meccanismi di galleggiamento per evitare questo destino, le possibilità di un'origine della vita in tali condizioni sembrano esigue.
Europa. - Il satellite galileiano Europa è forse il più stimolante ambiente esobiologico potenziale nel sistema solare. Calcoli del riscaldamento interno, dovuto alle maree sollevate da Giove su Europa, indicano che questo satellite potrebbe avere un oceano di acqua allo stato liquido, profondo forse 100 km, sotto la superficie di ghiaccio in cui sono presenti fratture. È stato suggerito che il materiale di colore scuro lungo i tratti lineari (probabilmente i crepacci della superficie ghiacciata) potrebbe essere di natura carbonacea). Se su Europa esiste un oceano, calcoli basati su un'analogia con microorganismi antartici dimostrano che vi potrebbero essere regioni con condizioni fisiche tali da rientrare nella fascia d'adattamento degli organismi terrestri. Le immagini provenienti dalla esplorazione del sistema di Giove condotta dalla sonda spaziale Galileo hanno rivelato sulla superficie di Europa formazioni simili ai banchi di ghiaccio galleggianti sulla Terra. Una prova persuasiva dell' esistenza di un secondo oceano di acqua liquida nel nostro sistema solare dovrebbe comprendere osservazioni di geyser di cristalli di ghiaccio o di vapore su Europa, oppure dati ottenuti dall'indagine della zona sottostante la sua superficie.
Titano. - La grande luna di Saturno si può considerare un laboratorio di chimica organica prebiotica su scala planetaria (Sagan et al., 1992). Nella sua atmosfera di N₂, contenente alcune percentuali di CH₄, la produzione di idrocarburi complessi e di altre sostanze organiche avviene tramite l'azione chimica delle radiazioni e della luce ultravioletta. Tuttavia, l'assenza di acqua allo stato liquido, dovuta alle basse temperature della superficie, depone a sfavore della presenza di vita. Nonostante questo, la formazione di crateri dovuta agli impatti può aver determinato su Titano la formazione transitoria di ambienti caratterizzati dalla presenza di acqua liquida, che rappresentano 'esperimenti' prebiologici naturali, basati su alte concentrazioni di sostanze organiche in acqua. Si è calcolato che le polle di acqua liquida sul fondo dei crateri prodotti da questi impatti abbiano avuto durate caratteristiche di circa 10³ anni.
Comete. - Le missioni aerospaziali verso la cometa di Halley hanno confermato le indicazioni formulate prima dell'incontro: le comete sono ricche di molecole organiche. Halley sembra essere costituita per circa il 25% di massa organica e circa il 40% di ghiaccio d'acqua. Considerata l'abbondanza cosmica della maggior parte degli elementi, è certo che sono presenti tutti gli ingredienti necessari alla vita. La questione cruciale riguardo alla possibilità della vita sulle comete è l'esistenza, nei loro nuclei, di un cuore centrale di acqua allo stato liquido. l requisiti chiave perché si sciolga il centro del nucleo cometario sono un ampio raggio del nucleo, una scarsa conduttività termica e una sufficiente quantità di 26Al, un radioisotopo di vita breve di cui è nota la presenza nel sistema solare primordiale, che produca un notevole riscaldamento, tramite il suo decadimento radioattivo. Osservazioni recenti hanno appurato l'esistenza di molte comete giganti, di raggio superiore a 100 km; il riscaldamento prodotto da 26Al potrebbe, presumibilmente, mantenere allo stato liquido il nucleo di comete di queste dimensioni per circa 10⁹ anni. Se la vita può aver origine in assenza di radiazione solare, tali ambienti cometari sarebbero eccellenti candidati per habitat extraterrestri. Tuttavia, la nostra conoscenza dei nuclei delle comete è ancora troppo scarsa per trarre alcuna conclusione in merito all'esistenza di un interno liquido e ancor meno di 'profonde' biosfere cometarie.
Asteroidi. - Secondo la definizione operativa suggerita all'inizio di questo paragrafo, cioè la presenza di acqua allo stato liquido, determinati meteoriti, e gli asteroidi a cui si attribuisce la loro origine, rappresentano un importante esempio extraterrestre ove viene soddisfatto questo criterio iniziale. Vi sono chiare prove di alterazione acquosa preterrestre nei meteoriti, fornite sia dall'analisi mineralogica che dai profili di amminoacidi e di idrossiacidi dei meteoriti carbonacei. Queste prove suggeriscono che tali composti si sono formati attraverso processi che richiedevano la presenza di acqua allo stato liquido. L'ambiente acquoso liquido si è prodotto molto presto sul nucleo originario di alcuni meteoriti, certamente entro 10⁸ anni o forse 10⁷ anni dalla loro formazione. l modelli della storia termica degli asteroidi suggeriscono che quelli di 100 km di raggio potrebbero aver mantenuto alloro interno, acqua allo stato liquido, per alcune centinaia di milioni di anni, probabilmente a causa, soprattutto, del riscaldamento prodotto dal decadimento di 26Al, che sappiamo, dall'analisi dei prodotti di decadimento presenti in meteoriti, essere stato presente in almeno alcuni asteroidi. Nei meteoriti carbonacei è stata messa in evidenza sia la presenza di acqua liquida, sia quella dei componenti fondamentali per la sintesi delle biomolecole (amminoacidi e basi puriniche e pirimidiniche), sia quella di minerali argillosi potenzialmente catalitici, mentre non sono state evidenziate macromolecole prebiotiche prodotte secondo modalità abiotiche, come polipeptidi o oligonucleotidi. Le velocità delle reazioni necessarie, o le efficienze di produzione in questo ambiente, sarebbero così basse che perfino i più grandi meteoriti non contengono quantità rilevabili di biomacromolecole prodotte abioticamente. Questa osservazione fornisce un dato interessante per chiarire la formazione delle molecole prebiotiche negli ambienti idrotermali.
La panspermia interplanetaria
H.J. Melosh (1988) ha dimostrato che era possibile spiegare il trasferimento di rocce sottoposte a leggeri shock da Marte alla Terra, giustificando così l'origine dei meteoriti marziani. Appare possibile, sebbene più difficile, che i meteoriti possano viaggiare anche nell'altra direzione. Questo meccanismo potrebbe presumibilmente permettere ai microrganismi di un mondo di prendere piede su un altro. B.J. Gladman e collaboratori (1996) hanno dimostrato che la Terra potrebbe aver ricevuto in questo modo materiali da tutti i corpi del sistema solare interno. Essi hanno determinato che il periodo di tempo necessario per compiere una traiettoria Marte- Terra, sulle 2100 traiettorie considerate, era soltanto di 16.000 anni, e che erano possibili traiettorie lineari che richiedevano soltanto 6 mesi. Alla luce della dimostrazione della possibilità di sopravvivenza di spore nello spazio per scale di tempi di un decennio (Horneck et al., 1994), sembra possibile che la Terra e Marte, e forse anche Venere in periodi remoti, possano essersi scambiati microrganismi viventi. Gli organismi inclusi nei meteoriti avrebbero avuto il vantaggio di essere schermati contro la maggior parte delle radiazioni.
Diventa, perciò, più difficile affermare che impatti estremamente grandi avrebbero sterilizzato la Terra primordiale. Del materiale potrebbe essere stato lanciato da tali impatti in orbite eliocentriche simili a quella terrestre e successivamente raccolto dalla Terra dopo aver trascorso anni nello spazio. Parte di questo materiale potrebbe aver riportato microrganismi vivi sulla Terra dopo migliaia di anni dal momento dell'impatto, nel momento in cui la superficie terrestre era divenuta nuovamente adatta alla vita. In assenza di nozioni dettagliate sull' eventualità della vita su Marte, diventa anche più difficile affermare che la vita terrestre abbia avuto origine necessariamente sulla Terra. La vita potrebbe aver avuto origine o su Marte o sulla Terra, ed essersi in seguito diffusa sugli altri mondi del sistema solare interno tramite una panspermia resa possibile dagli impatti.
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