Vincoli ambientali sull'origine della vita
Le condizioni ambientali in cui la vita si è sviluppata sulla Terra sono incerte; tuttavia, argomentazioni ragionevoli fanno ritenere che esse non furono del tutto sfavorevoli per tale processo. II clima della Terra potrebbe essere stato sia freddo che caldo, a seconda di come si bilanciarono la minore intensità della radiazione luminosa proveniente dal Sole e la maggiore entità dell'effetto serra, causato dalle elevate concentrazioni di diossido di carbonio (CO₂) nell'atmosfera. Benché l'atmosfera fosse solo debolmente riducente, essa potrebbe aver fornito una scorta consistente di aldeide formica (H₂CO) e di acido cianidrico (HCN), i due composti chiave per l'avvio delle sintesi prebiotiche. Infine, nuove evidenze sperimentali, secondo le quali la vita ebbe origine prima di 3,8 miliardi di anni fa, nel periodo del violento bombardamento, concordano con l'ipotesi che un batterio termofilo che viveva sulle creste dei fondali oceanici sia stato l'antenato comune di tutte le forme di vita oggi esistenti.
Introduzione
La questione di come e dove la vita si sia originata è un problema scientifico affascinante ma irrisolto, che coinvolge molte discipline: tra queste, quantomeno la chimica, la biologia e le scienze della Terra. Gli studiosi della chimica dei composti prebiotici possono disporre delle tecniche più dirette per rispondere a tali interrogativi, ma essi hanno bisogno di essere indirizzati dagli studiosi delle scienze della Terra e dello spazio sul tipo di composti chimici, che avrebbero potuto essere disponibili a quell'epoca, da utilizzare nei loro esperimenti; inoltre, necessitano di consigli dai biologi su quali composti della vita essi debbano tentare di sintetizzare per primi. In questo saggio affronterò il problema dalla prospettiva di uno studioso della Terra partendo dalla seguente domanda: quali sono stati i fattori limitanti dell'ambiente primordiale della Terra che hanno influito sul processo con cui si è sviluppata la vita?
Una domanda di questo tipo presuppone naturalmente che la vita si sia originata sulla Terra. In realtà, non deve necessariamente essere stato cosÌ. Si potrebbe immaginare che la vita abbia avuto origine nello spazio o sulla superficie di un altro pianeta e da lì sia stata trasportata da un frammento di meteorite o addirittura da una particella di polvere interplanetaria. Tuttavia, un'origine extraterrestre della vita appare improbabile per una serie di ragioni, quali, per esempio, la presenza nell'ambiente di temperature estremamente basse e di radiazioni assai intense; nello stesso tempo, ipotizzare l'origine della vita su un altro pianeta significa semplicemente spostare altrove il medesimo problema. Dunque, partirò dal presupposto che la vita si sia originata o sulla Terra o su un pianeta in cui si sarebbero potute verificare condizioni fisiche sufficientemente simili.
Il clima della Terra primordiale
Un buon punto di partenza per la discussione sull' ambiente fisico della Terra primordiale è il clima. Gli studiosi della chimica dei composti prebiotici vorrebbero sapere se i loro esperimenti di simulazione debbano essere condotti in un ambiente caldo o freddo. È interessante osservare come, attualmente, le ricerche portino a punti di vista controversi per quanto riguarda il tipo di ambiente più favorevole alla formazione della vita. Alcuni chimici, per esempio IL. Bada e collaboratori (1994), ritengono che la vita abbia avuto origine a temperature basse, ma superiori al punto di congelamento dell'acqua, dato che le molecole organiche complesse risultano più stabili in queste condizioni. D'altra parte, alcuni biologi molecolari (Pace et al., 1986) oppongono il fatto che, da un punto di vista evolutivo, gli organismi più antichi apparsi sulla Terra sembrano essere tutti termofili, cioè tendenti a vivere, di preferenza, ad alte temperature. Ciò potrebbe essere di supporto alla tesi secondo la quale la vita ha avuto origine ad alte temperature, per quanto valori elevati di temperatura non sembrino essere una condizione necessaria (come diremo più avanti). Cosa possono dire gli studiosi delle scienze della Terra su questo argomento? Purtroppo la risposta a questa domanda è: sorprendente mente poco! Ciò è dovuto al fatto che il clima della Terra primordiale non è determinabile con prove geologiche ed è difficile da ipotizzare da un punto di vista puramente teorico. La temperatura della superficie terrestre era più o meno elevata a seconda di come erano bilanciati il flusso delle radiazioni solari e l'effetto serra nell'atmosfera primitiva della Terra. Se i modelli di riferimento dell'evoluzione solare sono corretti, la radiazione luminosa del Sole avrebbe dovuto essere più bassa di circa il 25 ÷ 30% nel periodo in cui ebbe origine la vita, tra 3,5 e 4,5 miliardi di anni fa (Gough, 1981). In questo periodo, nel Sole l'idrogeno si trasformava in elio aumentando la massa molecolare media. Questo fenomeno, a sua volta, causava un incremento della densità e della temperatura all'interno del Sole e un corrispondente aumento della velocità delle reazioni termonucleari.
Se altri fattori climatici, per esempio l'albedo della Terra e la concentrazione di diossido di carbonio (CO2) nell'atmosfera, fossero stati gli stessi di oggi, il cambiamento dell'intensità luminosa del Sole avrebbe portato la temperatura media della superficie ben al di sotto del punto di congelamento dell'acqua (fig. 1). Tuttavia, la concentrazione atmosferica di diossido di carbonio avrebbe potuto essere molto più alta di quella odierna a causa dei più accentuati fenomeni vulcanici, della minore estensione delle aree continentali e dell'intrinseco feedback negativo inerente al ciclo carbonati-silicati (Walker et al., 1981; Kasting, 1987; 1989).
In effetti, su scale temporali ampie, il processo di rimozione del diossido di carbonio presente nell'atmosfera implica un'erosione delle rocce silicatiche sulla superficie terrestre, cui segue il depositarsi di sedimenti carbonatici negli oceani. Le più antiche superfici continentali della Terra primordiale potrebbero aver rallentato i processi di disgregazione, permettendo un maggior accumulo ne II ' atmosfera di diossido di carbonio di origine vulcanica. J.C.G. Walker (1985) ha stimato in almeno 10 bar la pressione parziale del diossido di carbonio che si sarebbe accumulato su una superficie terrestre primordiale completamente coperta dagli oceani. Ciò avrebbe prodotto una temperatura media della superficie di 80 ÷ 90°C secondo i calcoli sul clima elaborati da J.F. Kasting e T.P. Ackermann (1986). D'altra parte, studi recenti sulla composizione di zirconi risalenti a 4 miliardi di anni fa suggeriscono uno sviluppo rapido dei continenti, cosicché questi ragionamenti potrebbero non essere validi (Bowring e Housh, 1995). Inoltre, alcuni studiosi hanno ipotizzato che la disgregazione rapida di materiale roccioso, scagliato nell'atmosfera in seguito a un impatto, potrebbe aver mantenuto a livelli bassi la concentrazione di diossido di carbonio (N. Sleep, comunicazione personale). Se così fosse, è possibile che la Terra primordiale sia stata completamente coperta da ghiacci come ipotizzato da J.L. Bada e collaboratori (1994). Tuttavia gli oceani non si sarebbero completamente solidificati dato che il calore geotermico avrebbe limitato lo spessore della coltre di ghiaccio a meno di un chilometro. Bada e collaboratori ipotizzano che, sotto questa spessa cortina di ghiaccio, la vita abbia avuto origine da composti ridotti emessi da sorgenti idrotermali presenti sulle creste dei fondali oceanici.
Potrebbe sembrare sorprendente il fatto che non siamo in grado di dire se la Terra primordiale sia stata fredda o calda, ma bisogna ribadire che non esiste una prova geologica diretta che possa risolvere questo problema e che inoltre non sappiamo esattamente quando la vita ebbe origine. Recenti evidenze sperimentali ottenute da isotopi del carbonio nei metasedimenti di lsua della Groenlandia occidentale e in un'altra formazione ferro sa nell'isola di Akilia nel Canada artico inducono a pensare che la vita esistesse già 3,8 miliardi di anni fa (Mojzsis et al., 1996). Ma l'origine della Terra risale a quasi 700 milioni di anni prima, ed è in tutto l'arco di tale periodo che potrebbe aver avuto origine la vita. All'inizio la Terra possedeva un'atmosfera densa derivata da impatti extraterrestri e certamente il clima avrebbe potuto essere caldo, ma verso la fine di tale periodo il clima sarebbe diventato più freddo per il fatto che la disgregazione dei silicati avrebbe potuto rimuovere la maggior parte del diossido di carbonio. In quella fase, la bassa radiazione luminosa del Sole avrebbe potuto rappresentare il fattore dominante. In ogni caso, non sembra particolarmente fruttuoso tentare di stabilire se l'ambiente della superficie terrestre sia stato caldo o freddo nel momento in cui la vita ha avuto origine. Gli studiosi della chimica dei composti prebiotici dovrebbero considerare entrambe le possibilità.
Effetti degli impatti di grandi corpi extraterrestri
Oltre alla temperatura, il secondo fattore chiave che potrebbe aver influenzato l'origine della vita è l'ambiente creato dagli impatti della Terra primordiale. Due dei quattro pianeti terrestri, Marte e Mercurio, e la Luna, satellite della Terra, hanno tutti in comune una superficie ricca di crateri. Le superfici di Venere e della Terra non conservano segni dei crateri primordiali poiché sono state modificate dai fenomeni vulcanici e sottoposte all'azione dell'atmosfera. l dati sulle rocce lunari riportati dalle missioni Apollo hanno mostrato che la maggior parte dei crateri si è formata prima di 3,8 miliardi di anni fa. Nella storia del sistema solare il periodo tra 4,5 e 3,8 miliardi di anni fa è spesso considerato come il periodo del violento bombardamento. Si pensa che le masse che cadevano sulla Terra abbiano rappresentato la fase finale del suo processo di accrescimento e che probabilmente fossero in gran parte corpi ghiacciati, cioè comete, provenienti dalla regione compresa tra Urano e Nettuno. D'altra parte si ritiene che la gran parte del materiale che forma i pianeti terrestri si sia accumulata in soli 10 ÷ 100 milioni di anni (Wetherill, 1986).
Sappiamo anche che all'inizio della storia della Terra caddero numerosi corpi celesti sulla sua superficie e che alcuni di questi erano di dimensioni molto grandi. Due dei bacini d'impatto sulla Luna, 1mbrium e Orientale, hanno entrambi un diametro di circa 1000 km. Simulazioni in scala indicano che questi crateri devono essere stati prodotti da oggetti dell'ordine di 100 km di diametro (Sleep et al., 1989), circa dieci volte il diametro del presunto asteroide K/T che potrebbe aver determinato l'estinzione dei dinosauri 65 milioni di anni fa. Un oggetto di 150 km di diametro dovrebbe avere una massa dell'ordine di 5.10¹⁸ kg e nell'impatto dovrebbe produrre energia sufficiente a vaporizzare gli oceani fino a 100 m di profondità. Gli effetti probabilmente più dannosi da un punto di vista biologico di questi eventi immani furono la vaporizzazione, prodotta dall'impatto, delle rocce surriscaldate e il vapore formatosi di conseguenza nell'atmosfera (fig. 2). Nel caso di oggetti più piccoli, come il corpo celeste K/T, l'effetto devastante sulle forme di vita sarebbe attribuibile soprattutto al fatto che la polvere sollevata nella stratosfera avrebbe impedito alla luce del Sole di raggiungere la Terra per diversi mesi.
Il fatto che la Terra primordiale sia stata periodicamente bombardata da grandi corpi celesti ha importanti implicazioni per l'origine della vita. In particolare, nelle prime centinaia di milioni di anni della storia della Terra non vi sarebbe stata possibilità di vita perché ogni organismo che si fosse sviluppato sarebbe stato poi annientato dai grandi impatti. Si può immaginare che oggetti più grandi di 450 km di diametro, che avrebbero potuto sviluppare energia sufficiente a vaporizzare l'intero oceano, abbiano colpito la Terra per centinaia di milioni di anni dopo la fase principale di accrescimento. Per indicare questo effetto, K.A. Maher e D.J. Stevenson (1988) hanno coniato il termine impact frustration (frustrazione da impatto) dell' origine della vita. Effettivamente la vita avrebbe potuto svilupparsi molte volte durante questo primo periodo, ma probabilmente tutte le forme di vita esistenti discendono da alcuni organismi che hanno avuto origine dopo l'ultimo impatto in grado di vaporizzare gli oceani. La storia degli impatti extraterrestri può spiegare il fatto che i più antichi organismi siano stati termofili. Negli ultimi anni uno scenario che ha guadagnato credito (Gogarten-Boekels et al., 1995) è quello secondo cui, a prescindere dal luogo di origine, la vita avrebbe colonizzato in epoche molto remote i sistemi costituiti dalle sorgenti calde delle creste dei fondali oceanici. In seguito, la vita in superficie fu annientata da un impatto extraterrestre grande, ma non tale da vaporizzare gli oceani, e ogni forma di vita fu costretta a evolvere di nuovo partendo da organismi che vivevano entro tali sistemi. Questi ultimi, infatti, erano protetti dallo shock termico, causato dall'impatto extraterrestre, a causa della grande capacità termica dell' acqua dell' oceano. Va notato come questo scenario, benché concordi con la dimostrata maggiore antichità dei termofili sugli altri organismi, non dica nulla su come e dove la vita abbia avuto origine. Questa avrebbe potuto iniziare ad alte temperature all'interno di sistemi di sorgenti calde, ma avrebbe potuto ugualmente iniziare a temperature più basse in qualche ambiente di superficie. Così, pur suggerendo alcuni indizi sulla prima evoluzione della vita, la storia degli impatti extraterrestri non può fornire dati certi sulle condizioni in cui la vita si è sviluppata (su questo argomento v. anche il saggio di C.F. Chyba e G.D. McDonald, Gli ambienti planetari e l'origine della vita).
La composizione chimica dell'atmosfera primordiale e il problema della sintesi organica prebiotica
Un terzo e importante fattore limitante l'origine della vita è la chimica dell'atmosfera primordiale della Terra: i primi modelli (Oparin, 1938; Urey, 1952) assumevano che fosse composta in gran parte da gas ridotti come metano (CH₄), ammoniaca (NH₃) e idrogeno (H2). Questi modelli furono costruiti per analogia con i pianeti giganti, Giove e Satumo, troppo grandi per perdere idrogeno nello spazio e perciò considerati rappresentativi di atmosfere 'non evolute'. Un'atmosfera altamente ridotta avrebbe dovuto permettere una sintesi prebiotica di composti organici per mezzo di fulmini, come è stato dimostrato in laboratorio da S.L. Miller e H.C. Urey (Miller e Urey, 1959). Modelli più recenti (Walker, 1977; Holland, 1984; Kasting, 1993) ipotizzano che l'atmosfera della Terra primitiva fosse composta in gran parte da diossido di carbonio e azoto (N2), con minori quantità di idrogeno e monossido di carbonio (CO) (fig. 3). Un'atmosfera di questo tipo è spesso definita debolmente riducente: il contenuto di ossigeno è pressoché nullo, tranne che a elevate altitudini, ma anche la concentrazione di gas ridotti è molto più bassa rispetto a quanto proposto da A.l. Oparin e Urey. La ragione per la quale si sta verificando questo cambiamento nel modo di concepire l'atmosfera primordiale è duplice. In primo luogo, ci si è resi conto che gas ridotti come metano e ammoniaca sono instabili in presenza di radiazioni solari ultraviolette e di radicali ossidati prodotti dalla fotolisi del vapore acqueo: il CH₄ è ossidato a CO o CO2, l'NH₃ è trasformata in N2. In secondo luogo, i gas vulcanici dell' epoca moderna sono solo debolmente riducenti (Holland, 1984). Diossido di carbonio e acqua sono molto più abbondanti di monossido di carbonio e idrogeno, mentre metano e ammoniaca sono virtualmente assenti nelle emissioni vulcaniche. Se l'atmosfera primordiale fosse stata costituita in gran parte da gas provenienti dai vulcani, ci si potrebbe ingenuamente aspettare che le condizioni debolmente ridotte possano essere state dominanti. Mostrerò in seguito che questa seconda argomentazione potrebbe essere sbagliata e che i gas vulcanici primordiali erano chimicamente più ridotti rispetto a oggi. Comunque, la prima delle due argomentazioni citate è ben consolidata, per cui sembra improbabile che l'atmosfera primordiale possa essere stata tanto ricca in metano e ammoniaca quanto postulato da Oparin e Urey.
Da un punto di vista geochimico un'atmosfera debolmente ridotta sembrerebbe plausibile, ma pone alcuni problemi per l'origine della vita. In particolare, in tali condizioni è più difficile produrre i semplici composti organici richiesti per iniziare la sintesi prebiotica. Le due molecole fondamentali per queste sintesi sono la formaldeide (H2CO) e l'acido cianidrico (HCN): la prima è necessaria per la produzione dei carboidrati, il secondo per quella degli amminoacidi e delle basi azotate. In un'atmosfera debolmente ridotta la formaldeide può, a sua volta, essere facilmente sintetizzata dalla foto lisi di diossido di carbonio e acqua (Pinto et al., 1980). La formazione di acido cianidrico è invece più difficile perché l' azoto si trova in gran parte sotto forma di N2, molecola poco reattiva per la presenza del forte triplo legame N ≡ N. L' azoto atomico può essere prodotto con forti scariche elettriche, per esempio per azione di un fulmine, ma in presenza di diossido di carbonio gli atomi di azoto risultanti si legano con l'ossigeno per formare ossido di azoto (NO), piuttosto che reagire con il carbonio per produrre acido cianidrico (Chameides e Walker, 1981). Il problema può essere superato in presenza di piccole quantità di metano nell'atmosfera, dato che gli atomi di azoto prodotti nella ionosfera possono poi combinarsi con i sottoprodotti della fotolisi del metano nella stratosfera per formare acido cianidrico (Zahnle, 1986). Tuttavia, questo scenario richiede una sorgente di metano che non esiste nel modello standard dell'atmosfera debolmente riducente.
Un modo di aggirare questo problema è quello di assumere che la vita si sia originata da composti prodotti con meccanismi completamente differenti. Le due alternative più comunemente proposte sono la produzione di molecole organiche nello spazio, seguita dal loro trasporto sulla Terra per mezzo di comete, o la loro produzione all'interno di sistemi di sorgenti idrotermali calde sulle creste dei fondali oceanici (Corliss, 1986; Shock, 1992). Il secondo meccanismo implicherebbe che la vita si sia originata ad alta temperatura, ipotesi, questa, sostenuta da alcuni ricercatori, ma considerata altamente improbabile da altri. È stato dimostrato che il trasporto di materiali organici per mezzo di comete è effettivamente possibile (Oro, 1961; Chyba et al., 1990). È tuttavia ragionevole supporre che, in seguito all'impatto con la superficie terrestre, la maggior parte dei materiali organici presenti in una cometa dovrebbe decomporsi così che l'incidenza di questo fattore è piccola, se paragonata a qualsiasi meccanismo ragionevolmente efficiente di produzione di composti organici nell'atmosfera.
Se si vuole partire dalla fotochimica atmosferica come sorgente di acido cianidrico, il problema è capire quale sia l'origine del metano: poiché esso non è prodotto in misura apprezzabile in un'atmosfera debolmente ridotta, se fosse stato presente doveva provenire dall'interno della Terra. È dunque possibile che i vulcani primordiali emettessero metano? Per rispondere a questa domanda bisogna considerare i fattori che controllano la composizione dei gas vulcanici.
Vulcanismo sottomarino come sorgente di metano
Oggi il metano non è emesso dai vulcani di superficie per tre ragioni: a) la pressione effettiva è troppo bassa; b) la temperatura è troppo alta; c) i magmi da cui vengono rilasciati i gas sono troppo ossidanti. Consideriamo prima di tutto i fattori a) e b). Alle alte temperature (circa 1200 0c), a cui i gas dei vulcani di superficie sono emessi, si può sicuramente assumere che le varie specie gassose siano in equilibrio termodinamico. Il rapporto tra CH₄ e COz in una simile miscela sarà determinato dalla reazione di equilibrio CO2 + 2H2O ⇄ CH₄ + 2O2. Se si indica con Keq la costante di equilibrio di questa reazione, il rapporto CH₄/CO2 è dato da
in cui f rappresenta la fugacità delle diverse specie. La fugacità è l'equivalente della pressione parziale, cioè, in petrologia, la pressione parziale di un gas in equilibrio con la fase solida dell'aggregato minerale. I valori di Keq e della fugacità dell' ossigeno in equilibrio con la fase solida di vari agglomerati minerali si possono trovare in Kasting e L.L. Brown (1996) e in altri lavori precedenti (Deines et al., 1974; Mueller e Saxena, 1977; Chase et al., 1985).
Ai valori di pressione e temperatura caratteristici dei vulcani di superficie, 1÷10 bar e 1100 ÷1200 °C (Holland, 1984), fH₂O è relativamente bassa, mentre fo₂ è piuttosto alta. La fugacità dell'ossigeno è alta, in parte, perché la temperatura è elevata e, in parte, perché i magmi dell' epoca moderna sono relativamente ossidati. La loro fo₂ effettiva si avvicina a quella del tampone minerale quarzo-faialite-magnetite (QFM), il cui valore corrisponde a quello necessario per la transizione da Fe+2 a Fe+3. Tuttavia sistemi diversi emettono gas con valori diversi di temperatura e pressione. Attualmente, il fenomeno del vulcanismo è presente sia sulle creste dei fondali oceanici sia in superficie sulla terraferma. I gas analizzati nei fluidi che fuoriescono attualmente dalle bocche eruttive sottomarine contengono metano in misura apprezzabile, equivalente a circa l'1% della concentrazione di diossido di carbonio (Welhan, 1988). La ragione sta nel fatto che la temperatura effettiva di equilibrio è molto più bassa di quella dei vulcani di superficie e la f H₂O è molto più alta. I rapporti tra isotopi del carbonio, misurati nel metano e nel diossido di carbonio emessi, indicano che questi gas sono in equilibrio già alla temperatura di circa 650°C, ben al di sotto della temperatura di un magma di superficie. Inoltre la pressione di H₂O in profondità, all'interno di bocche interessate a fenomeni idrotermali, dove si stabilisce l'equilibrio, è dell'ordine di 400 bar (Kasting e Brown, 1996). Entrambi questi fatti dimostrano che il metano è un componente misurabile dei gas emessi da questi sistemi sottomarini, anche se è un componente minore.
Il rapporto CH₄/CO2 nei gas vulcanici sottomarini della Terra primordiale avrebbe potuto essere molto più alto se i magmi da cui essi venivano emessi fossero stati originariamente più ridotti. Come conseguenza immediata della formazione del nucleo centrale ci si aspetta che il mantello superiore abbia avuto una fugacità di ossigeno uguale o inferiore a quella del tampone minerale ferro-wüstite (FeW), cioè uguale o inferiore a quella necessaria per la transizione da ferro metallico (Fe) a ferro ossidato (Fe+2) (Righter et al., 1996). In queste condizioni la fugacità dell'ossigeno è molto più bassa e il metano potrebbe essere stato il principale composto gassoso del carbonio nelle emissioni vulcaniche sottomarine. Se questo gas fosse stato emesso da vulcani sottomarini nella stessa quantità con cui, attualmente, viene prodotto il diossido di carbonio, questa sorgente avrebbe potuto essere abbastanza grande da dare una concentrazione atmosferica di metano superiore a 50 ppm (parti per milione), come mostrato in figura (fig. 4). Questa quantità è quindi sufficiente perché si realizzi la sintesi di acido cianidrico secondo il meccanismo proposto da K.J. Zahnle (Zahnle, 1986).
L'evoluzione redox del mantello e il problema della siderofilia
Perché, dunque, il modello standard dell'atmosfera debolmente riducente presuppone che il metano debba essere stato assente sulla Terra prebiotica? La risposta in parte si ricava dai modelli dell'accrescimento della Terra e in parte dall'interpretazione delle testimonianze geologiche. Fino a poco tempo fa, i modelli di accrescimento della Terra sono stati limitati dal problema del mantello siderofilo. Gli elementi siderofili, come il platino e l'iridio, si sciolgono più rapidamente nel ferro fuso che nei silicati fusi. Le abbondanze di elementi siderofili osservate nel mantello superiore sono state valutate più grandi di alcuni ordini di grandezza rispetto a quelle ipotizzate allo stato di equilibrio metallo-silicato, anche se questa conclusione è attualmente messa in discussione (v. oltre). Questo fatto ha portato gli studiosi a formulare un modello secondo il quale la Terra si è formata in modo eterogeneo, con il ferro metallico presente per primo, seguito da uno strato sottile di materiali maggiormente ossidati (Newsom e Sims, 1991). In questo caso, la fugacità dell'ossigeno nel mantello superiore potrebbe non essere mai stata bassa come quella del FeW, ma potrebbe invece essere rimasta vicina a quella del QFM per la maggior parte della storia della Terra; in tal caso il metano non sarebbe mai stato un componente primario dei gas vulcanici sottomarini. Il modello secondo il quale l'evoluzione redox del mantello è avvenuta in modo uniforme era avvalorato dal fatto che il rapporto Fe+2 /Fe+3 in basalti e komatiti di epoca più lontana non mostra un ben determinato andamento nel tempo (Holland, 1962; Chang et al., 1983; Kasting et al., 1993).
Le restrizioni imposte dal problema del mantello siderofilo si sono attenuate negli ultimi anni in seguito a nuove misure dei coefficienti di ripartizione metallo-silicato di vari elementi siderofili. M.J. Walter e Y. Thibault (1995) hanno mostrato che il grado di fusione parziale della roccia silicatica è un dato importante: un grado più alto di fusione porta a un fuso di composizione maggiormente peridotitica, se paragonata a quella più basaltica che si ha per un minore grado di fusione, e ciò, a sua volta, permette al silicato fuso di trattenere concentrazioni più alte di elementi siderofili. Confronti con dati recenti di laboratorio ricavati in condizioni di alte pressioni e temperature, ottenuti da K. Righter e collaboratori (1996), avvalorano l'idea che in realtà i siderofili del mantello possono anche non essere sovrabbondanti. Infatti tali dati possono essere ben spiegati se l'equilibrio metallo-silicato si è stabilito alla profondità di circa 1000 km, alla base del magma oceanico. Questo, a sua volta, potrebbe essere stato prodotto dall'immane impatto che si pensa abbia formato la Luna (Hartmann et al., 1986). Se questa interpretazione è corretta, la fugacità dell'ossigeno del mantello può aver avuto un valore iniziale vicino o perfino inferiore a quella del FeW ed essersi gradualmente accresciuta col tempo fino a raggiungere la situazione attuale, più ossidante.
Le condizioni redox del mantello possono cambiare con il tempo? Kasting e collaboratori, (1993) hanno sostenuto che questo tipo di evoluzione è una conseguenza naturale del movimento ciclico dell'acqua tra la crosta e il mantello e della fuga dell' idro geno nello spazio. L'acqua è trasportata all'interno del mantello superiore nel momento in cui la crosta oceanica, ricca di acqua, finisce sotto i margini delle placche. L'acqua in profondità raggiunge un equilibrio con i materiali del mantello: alcune frazioni di essa vengono ridotte a idrogeno mentre l'ossigeno ossida il ferro e il carbonio. L'idrogeno è quindi rilasciato dai vulcani e in parte si libera nello spazio. Oggi questa frazione è piccola, ma sulla Terra primordiale con un'atmosfera debolmente ridotta la quantità di idrogeno liberata potrebbe essere stata piuttosto grande. Se i modelli correnti sull'aumento dell'ossigeno atmosferico sono corretti (Walker et al., 1983; Kasting, 1993; Holland, 1994), l'ossigeno non divenne un importante costituente dell' atmosfera prima di 2,2 miliardi di anni fa, così che l'ossidazione del mantello potrebbe essere avvenuta durante l'intera prima metà della storia della Terra. L'altro fattore vincolante, chiamato in causa per dimostrare che lo stato redox del mantello non è cambiato con il tempo, è che, come già detto, nei basalti e nelle komatiti, il rapporto Fe+²/Fe+³ rimane apparentemente costante. Tale argomentazione tuttavia è debole poiché è ben noto che Fe+² può essere ossidato a Fe+³ in seguito a piccole variazioni della temperatura dell' acqua (Berndt et al., 1996). Così, il rapporto osservato tra Fe+²/Fe+³ nelle rocce più antiche non potrebbe essere usato per stimare la fo₂ dei magmi da cui esse si sono formati. Migliori indicatori dello stato redox del mantello primordiale potrebbero essere le inclusioni di minerali di zolfo nei diamanti (Kasting et al., 1993). Anche se non è chiaro se le regioni di formazione dei diamanti siano rappresentative della parte più consistente del mantello superiore, la fo₂ apparente di queste inclusioni, risalenti a 3,3 miliardi di anni fa, è intermedia tra il valore in FeW e quello in QFM. l dati ottenuti dai diamanti, dunque, avallano l'ipotesi che il mantello sia diventato più ossidato con il tempo e che il metano sia stato un componente significativo dell'atmosfera prebiotica.
Conclusioni
Riassumendo, non esistono vincoli stringenti per i valori della temperatura superficiale della Terra all'epoca in cui si originò la vita. Si può certamente dire che l'acqua allo stato liquido esistesse in zone non ben determinate nei pressi della superficie del pianeta, ma ogni ulteriore deduzione rimane controversa. lo stesso ritengo che la Terra primordiale sia stata calda piuttosto che fredda, per il fatto che la produzione di diossido di carbonio, derivante dalle emissioni vulcaniche e dagli impatti extraterrestri, superò probabilmente il consumo di tale composto dovuto alla disgregazione dei continenti e del materiale scagliato in seguito agli impatti, ma questa conclusione è difficile da argomentare da un punto di vista quantitativo.
L'ambiente determinato dagli impatti extraterrestri sulla Terra primordiale è, chiaramente, un fattore da prendere in considerazione quando si riflette sull' origine della vita e sulla sua prima evoluzione. L'ipotesi che ogni forma di vita esistente discenda da un antenato termofilo che viveva sulle creste dei fondali oceanici concorda con ciò che sappiamo sulla lunga serie di grandi impatti e sul loro effetto sull'ambiente della Terra primordiale. La presenza diffusa di organismi termofili alla base dell'albero genetico non dovrebbe essere presa quindi come prova che la vita ha avuto origine ad alte temperature.
In conclusione, sebbene le nostre idee sull'evoluzione redox del mantello e sulla composizione dell'atmosfera primordiale siano ancora in via di sviluppo, appare verosimile che l'atmosfera primordiale possa essere stata alimentata da una significativa fonte di formaldeide e acido cianidrico, e che questi siano stati i precursori per la sintesi prebiotica. Così, mentre non si può certamente escludere la possibilità che comete o sorgenti calde sottomarine abbiano avuto un ruolo importante nell'origine della vita, non sembra necessario invocare questi scenari. Un modello più convenzionale, secondo cui la vita si sarebbe originata in un qualche ambiente di superficie da materiali organici prodotti all'interno dell'atmosfera della Terra, potrebbe essere un'ipotesi perfettamente sostenibile.
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