Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La presenza angioina nel Mediterraneo orientale dipende dal confluire di due diverse istanze politiche consapevolmente recepite e perseguite da un sovrano determinato e ambizioso come Carlo I d’Angiò, dal 1266 a capo del Regno di Sicilia, conquistato su invito del pontefice. Del nuovo regno Carlo I eredita una componente di politica estera di lunga durata: la proiezione verso il Mediterraneo orientale, riscontrabile già a partire dai tempi di Roberto il Guiscardo. Tale componente si innesta, peraltro, nel solco del più complesso movimento crociato, in cui Carlo è coinvolto.
Nel 1266 Carlo d’Angiò (1226-1285) si impadronisce delle terre e dei titoli greci che Manfredi aveva ricevuto sposando Elena d’Epiro (1242-1271), figlia del despota d’Acaia, Michele II (?-1271), sovrano di una parte dell’Albania e dell’Epiro. Si tratta dell’isola di Corfù e di alcune località albanesi, tra le quali spicca il porto di Durazzo. Nel febbraio 1267 l’angioino conclude un trattato di alleanza capestro con Guglielmo de Villehardouin (?-1278), principe d’Acaia, e Baldovino II di Courtenay, imperatore di un Impero Latino d’Oriente ormai in crisi dopo la riscossa bizantina che ha portato alla riconquista di Bisanzio e della Tracia. Il re di Sicilia si impegna ad assoldare e mantenere per un anno 2000 cavalieri per riconquistare l’Impero latino d’Oriente, facendosi in cambio riconoscere oltre ai beni tolti a Elena d’Epiro, anche la sovranità sull’Acaia (l’attuale Peloponneso), su parecchie isole dell’arcipelago e su un terzo a sua scelta delle terre riconquistate. L’accordo viene rinsaldato dalle nozze tra Beatrice (?-1275), figlia di Carlo, e Filippo di Courtenay, figlio ed erede di Baldovino, dal quale Carlo o i suoi discendenti erediteranno il titolo imperiale in caso di morte senza prole.
Non potendo immediatamente attaccare Costantinopoli, Carlo si dedica a un’intensa opera diplomatica e con un’accorta e fortunata politica matrimoniale getta le basi per la nascita di una dinastia angioina nel regno d’Ungheria che, per la sua proiezione adriatica e balcanica, è un’indispensabile testa di ponte per il successo nella frammentata area politica dell’Europa sud-orientale ed egea. Nel 1271 i rapporti tra Carlo I e Guglielmo di Villehardouin si rafforzano con le nozze tra il secondogenito angioino, Filippo (?-1277), e Isabella, figlia maggiore di Guglielmo. Pochi mesi dopo, la morte del despota d’Epiro permette a Carlo I di diventare effettivo padrone dell’Albania, della quale assume la corona nel 1272. L’autorità angioina sul regno diverrà ben presto precaria, ma Carlo è ormai un monarca balcanico, con il quale i potentati dell’area sono costretti a rapportarsi direttamente.
Il sovrano angioino, inoltre, alleandosi con Venezia, il duca di Patrasso, il signore della Tessaglia, il re di Serbia Stefano Urosc (?-1277) (la cui moglie, Elena, era figlia di Baldovino) i feudatari moreotici, e Giorgio Terter (?-1309), zar cumano dell’Impero Bulgaro, è ormai prossimo alla conquista di Bisanzio e alla conseguente fondazione di una superpotenza angioina signora del Mediterraneo, estesa dalla Provenza all’Italia meridionale, dalla Grecia alle coste siriane. Nel 1277, infatti, Carlo I, pone il suggello alle sue mire orientali ottenendo la corona del regno di Gerusalemme che rimarrà il maggior titolo (ben presto solo onorifico) dei sovrani angioini. Con quest’ultima mossa Carlo salda il retaggio del regno di Sicilia alla politica crociata dei consanguinei francesi. Non appena assunto il titolo, invia in Siria con una squadra di sette galere Ruggero Sanseverino a governare un Impero dall’ormai esigua estensione territoriale, mostrando quindi di comprendere che il destino della Siria è in primo luogo una questione vitale per il controllo delle potenze occidentali nell’area. I fatti però ben presto dovranno disilluderlo, perché l’ultimo caposaldo cristiano nell’area, San Giovanni d’Acri, cadrà nel 1291.
Nel 1282 si verifica l’evento cruciale che stronca le velleità dell’espansionismo angioino: la rivolta del Vespro, probabile frutto del convergere occulto e non necessariamente preordinato degli sforzi dei molti nemici di Carlo, da Pietro III d’Aragona (1239-1285), depositario del legittimismo svevo e, dunque, del fronte ghibellino, a una certa parte della curia romana, ostile allo strapotere angioino, all’imperatore di Bisanzio, Michele VIII Paleologo (1223-1282) che, come vuole una consolidata tradizione, riuscirà con il denaro a coagulare queste forze disparate. In seguito all’adesione messinese al Vespro, l’imponente flotta preparata da Carlo alla fonda nel porto peloritano viene distrutta. Nei venti anni che seguiranno alla rivolta Carlo I e il suo successore Carlo II (1248-1309) dovranno impegnarsi per il mantenimento del regno di Sicilia, accettando, con il trattato di Caltabellotta (1302), di perdere temporaneamente l’isola, affidata a una dinastia aragonese autonoma ostile agli angioini. Da questo momento la politica angioina nel Mediterraneo orientale sarà una politica di rimessa, basata su eventi episodici e su più o meno fortunate iniziative personali di feudatari del regno.
Per quanto riguarda l’ormai perduto Regno di Gerusalemme, Carlo II, subentrato al padre nel 1285, comprendendo che una crociata è ormai improponibile, riterrà più opportuno tentare di riunire sotto la sua bandiera i rappresentanti dell’ordine Teutonico, gli Ospedalieri, i Templari, gli ordini di Calatrava e di Roncisvalle, i Premostratensi e altri, per destinarli alla conquista della Siria. Pur non riuscendo nell’intento si adopererà per mantenere i diritti della casa d’Angiò sul regno. In ambito balcanico, Carlo II delega le operazioni a Filippo (1278-1332), il figlio prediletto, cui concede nel febbraio del 1294 il principato di Taranto, dandogli in sposa (intorno al 1295) la figlia del despota d’Epiro Niceforo Ducas (?-1296), Thamar. Filippo porta in dote i beni angioini di Grecia, compresi quelli detenuti nel principato d’Acaia, nel ducato di Atene, nel regno di Albania e in Valacchia. Thamar riceve in dote Argirocastro e alcune località dell’Epiro. Il resto della successione le sarà assegnato metà alla morte di Niceforo e metà alla morte della moglie Anna Cantacuzena.
Nonostante la vedova di Niceforo contravvenga ai patti, lasciando i beni al figlio Tommaso (?-1318), i principi di Taranto riescono lo stesso ad impadronirsene, investendone Tommaso a titolo di feudo con una rendita annua e l’impegno all’aiuto militare nel caso che il principe Filippo porti la guerra in quelle regioni. Thamar, di fatto privata della dote successoria, sparisce nel 1309. Filippo allora conclude un matrimonio ancor più vantaggioso in prospettiva orientale, sposando nel 1313 Caterina di Valois-Courtenay (1303-1346), erede per parte materna dei diritti dell’Impero Latino d’Oriente, aggiungendo così la sovranità nominale sull’Impero a quella sull’Albania e sull’Acaia. Su quest’ultimo principato nascerà ben presto un contenzioso tra Filippo e il fratello, Giovanni di Gravina (1294-1336), risolto solo nel 1332, poco dopo la morte di Filippo. Re Roberto, infatti, combina, un accordo tra le due famiglie in base al quale Giovanni rinuncia alla sovranità diretta sull’Acaia che passa agli eredi di Filippo ricevendo in compenso l’Albania, e costituendo in tal modo il ramo degli Angiò-Durazzo, che però in seguito controlleranno ben poco del territorio albanese. Né in Grecia le cose andranno meglio: la minaccia bizantina e quella turca diventano sempre più consistenti, mentre il ducato d’Atene è già da tempo in mano alla Grande Compagnia catalana.
Dopo essersi limitata a modesti invii di truppe e di rifornimenti la corte di Napoli si decide a un grande sforzo nel 1338, quando Caterina di Valois-Courtenay si trasferisce in Acaia con i figli e, grazie soprattutto all’aiuto di Niccolò Acciaiuoli (1310-1365), un mercante fiorentino entrato nelle sue grazie in qualità di tutore dei figli, ristabilisce temporaneamente l’autorità sul principato. Gli Angiò-Taranto rimarranno formalmente titolari del principato fino al 1374, seguiti dai des Baux, fino al 1383, ma dal punto di vista del controllo del territorio l’area ellenica che va dalle isole Ionie, passa per il principato d’Acaia e giunge fino ad Atene sarà appannaggio di due famiglie della feudalità angioina: i Tocco di Cefalonia, signori delle isole Ionie e della Leucadia, e gli Acciaiuoli che, grazie all’accorta politica espasionistica e di consolidamento nell’area operata dal capostipite Niccolò, signore di Corinto e di molte altre terre del principato al momento della morte nel 1365, costituiranno un potentato destinato a durare tra alti e bassi fino alla metà del XV secolo, in virtù della spregiudicatezza di Neri Acciaiuoli (?-1394), che nel 1394 strapperà Atene ai catalani, e dei suoi discendenti, Antonio (?-1435), Neri II (?-1451) e Franco (?-1463), che si destreggeranno tra lealismo angioino, circospetta deferenza verso Venezia e soggezione all’Impero Turco, padrone assoluto dell’area a partire dal 1420, dopo la battuta d’arresto determinata a fine Trecento dalla meteora di Tamerlano (1336-1405).