Glossario dei simboli olimpici
Il vessillo olimpico ufficiale consiste in un fondo bianco, senza bordi, al centro del quale sono disegnati, su due file, cinque anelli intrecciati. Nella prima fila i colori degli anelli sono, da sinistra, il blu, il nero e il rosso, nella seconda il giallo e il verde. Fu lo stesso de Coubertin a disegnare il simbolo dei cinque anelli nel 1914. Disse di essersi ispirato a un'immagine vista a Delfi nel 1913, ma non c'è alcuna evidenza di tale simbologia nel periodo greco classico e si trattò, probabilmente, di una invenzione del barone. Il CIO aveva progettato di creare una bandiera olimpica nel 1910, formando un comitato che fece però proposte non soddisfacenti, finché de Coubertin non parlò del suo progetto. Nella Rivista Olimpica del 1913 lo stesso barone riferì i cinque anelli ai continenti e i sei colori (incluso il fondo bianco) all'universo delle bandiere di tutto il mondo. Secondo accreditate testimonianze, de Coubertin affidò la realizzazione come bandiera del suo disegno alla teleria del grande magazzino Au bon marché che aveva sotto casa, i cui prodotti sono raffigurati anche in un famoso quadro di Picasso dello stesso anno.
Il drappo, che misurava 3x2 m, fu mostrato alla Sorbona nel 1914 in occasione della celebrazione del ventennale della rinascita dell'idea olimpica. Venne approvato il 15 giugno, anche se era già apparso sul pennone dello stadio Chatsby di Alessandria d'Egitto, in occasione dei Giochi Panegiziani, il 5 aprile dello stesso anno. La bandiera fu presentata anche all'Expo di San Francisco nel 1915 e alla sessione del CIO di Losanna del 1919. Fece il suo debutto olimpico ad Anversa nel 1920. Questo drappo originale rimase il vessillo olimpico fino al 1988; nel 1984 i coreani realizzarono una versione in finissima seta della bandiera, che sventolò ai Giochi di Seul. Anche i Giochi invernali hanno sostituito la loro bandiera originale, con una, identica, donata al CIO dalla città di Oslo durante i Giochi del 1952.
La bandiera viene issata durante la cerimonia d'apertura, ammainata alla chiusura, avvolta e consegnata dal sindaco della città che ha appena ospitato i Giochi al presidente del CIO, che la porge al primo cittadino della sede successiva. Viene conservata nel municipio della città fino all'apertura della nuova Olimpiade.
Si tratta del regolamento del CIO, che è divenuto la Costituzione del Comitato internazionale olimpico e del movimento olimpico. Fissa i principi e le norme che governano il CIO e il suo funzionamento e definisce le condizioni per la celebrazione delle Olimpiadi. Una prima versione venne adottata nel 1908, sulla base di un regolamento interno scritto da de Coubertin e denominato Annuario del CIO. Il nome Carta olimpica fu assunto solo nel 1978. Le norme della Carta possono essere modificate da una sessione del CIO, unico organismo che può anche interpretarle.
I Giochi includono diverse cerimonie, fra le quali quelle d'apertura, di chiusura e di consegna dei premi, tutte sottoposte alla norma 69 della Carta olimpica.
La cerimonia d'apertura, che nelle prime Olimpiadi precedeva le gare e si svolgeva nello stadio, ha inizio con l'arrivo del capo di Stato del paese organizzatore, accompagnato dal presidente del CIO e da quello del Comitato organizzatore. Segue la parata delle nazioni, ciascuna preceduta da un alfiere con il nome del paese (e/o del Comitato olimpico nazionale) in ordine alfabetico, secondo la lingua del paese organizzatore, seguito dal portabandiera ufficiale della delegazione. La rappresentativa del paese ospitante sfila per ultima. Dopo che le squadre hanno preso posto, il presidente del CIO invita il capo dello Stato a pronunciare la formula: "Dichiaro aperti i Giochi di (il nome della città) in celebrazione della (numero dell'edizione) Olimpiade dell'era moderna". Per i Giochi invernali, la parte finale diventa "…in celebrazione dei (numero dell'edizione) Giochi olimpici invernali". Quindi entra il tedoforo con la torcia e va verso il tripode per accenderlo con il fuoco sacro. A volte consegna la torcia a un altro atleta o personaggio dello sport del passato, che attende presso il tripode. L'accensione è accompagnata da un volo di colombe che rappresentano la pace. I portabandiera formano un emiciclo attorno al podio principale dove l'atleta e il giudice designato leggono il rispettivo giuramento. Suona l'inno del paese organizzatore, poi ha luogo uno spettacolo, che si conclude con l'uscita delle delegazioni degli atleti in parata.
Durante la cerimonia di chiusura, nello stadio entrano i portabandiera, seguiti dagli atleti. Questi marciano in un ordine non prestabilito, anzi tendono a mescolarsi fra loro. Tale iniziativa fu suggerita per lettera da John Ian Wing, un diciassettenne australiano di origine cinese, apprendista carpentiere, agli organizzatori dei Giochi di Melbourne 1956. "Durante i Giochi ci sarà una sola nazione. Guerra, politica e nazionalità saranno dimenticate. Cosa di più potrebbe desiderare un uomo se non che il mondo sia una nazione sola?". Il suggerimento fu accettato. Wing, rintracciato 30 anni dopo mentre faceva il costruttore in Gran Bretagna, fu chiamato da Bucarest, dove gestiva un suo ristorante, per essere onorato ai Giochi di Sydney 2000. Sul podio principale, i presidenti del CIO e del Comitato organizzatore assistono all'alzabandiera, con il vessillo della Grecia a destra, quello del paese ospitante al centro, quello del paese dei Giochi successivi a sinistra. Suonano i tre inni, poi il sindaco della città ospitante offre la bandiera olimpica al presidente del CIO, che la porge al sindaco della città che organizzerà i prossimi. Un breve discorso del presidente del CIO si conclude con la formula: "Dichiaro i Giochi della … Olimpiade chiusi e, in accordo con la tradizione, chiamo la gioventù del mondo a riunirsi fra quattro anni a … per celebrare con noi lì i Giochi della … Olimpiade". Suona una fanfara, si spegne il fuoco olimpico e mentre risuona l'inno viene ammainata la bandiera.
La consegna delle medaglie agli atleti sul podio è effettuata, dopo ogni gara, da parte del presidente o di un membro del CIO o di Federazione internazionale. Salgono le bandiere dei tre paesi premiati, quella del primo classificato sul pennone più alto, al centro, e suona l'inno del paese del vincitore.
Il congresso olimpico, inteso inizialmente da de Coubertin come un evento straordinario teso a discutere i problemi del movimento olimpico, si è tenuto solo dodici volte in un secolo, dal 16-24 giugno 1894, in cui ha deciso la ricostituzione dei Giochi, al 29 agosto-3 settembre 1994 a Parigi, dove ha discusso il futuro dell'olimpismo. Assai frequente all'inizio, nove edizioni nei primi 36 anni, non è stato più organizzato tra il 1930 a Berlino e il 1973 a Varna, in Bulgaria.
Istituita da de Coubertin nel 1906, viene assegnata a individui, associazioni o istituzioni che abbiano contribuito in maniera sostanziale allo sviluppo del movimento olimpico. È stata conferita nel 1906 al Touring Club di Francia (5 anni dopo a quello italiano), e come prima persona nel 1927 al colonnello Robert M. Thompson, presidente del Comitato olimpico degl Stati Uniti.
La cerimonia dell'accensione del sacro fuoco fu messa in pratica per la prima volta a Berlino nei Giochi del 1936. L'idea fu di Carl Diem, dal 1917 al 1933 segretario del Comitato tedesco per l'educazione fisica, stimolato, probabilmente, dalla fiaccolata organizzata in occasione del suo quarantesimo compleanno, il 24 giugno 1922, dagli studenti della Scuola superiore per l'esercizio fisico di Berlino, anche per celebrare l'inizio delle competizioni pantedesche giovanili, e da un antico vaso conservato a Palazzo Colonna, a Roma, che mostra una staffetta di amorini che portano torce accese. Secondo la ricostruzione dello stesso Diem, l'idea di proporre al CIO una cerimonia a Olimpia, seguita da una staffetta e dall'accensione del tripode, gli venne nel 1931, rafforzandosi a Los Angeles l'anno dopo. Il 31 luglio 1933 Diehm ne parlò con de Coubertin, ottenendo il suo assenso e quello del presidente del CIO Henri de Baillet-Latour. Il 18 maggio 1934 la proposta venne approvata dal CIO ed ebbe poi l'avallo di Theodor Lewald, presidente del Comitato organizzatore dei Giochi di Berlino, nonostante la tiepida accoglienza del Ministero della Propaganda del Reich. Il CIO suggerì anche di trasportare con una staffetta una corona d'alloro da Olimpia a Berlino, affidando a Spyridon Louis, vincitore della maratona ad Atene 1896, la prima frazione: ma l'idea non piacque e Louis arrivò a Berlino in aereo per consegnare la corona al Führer.
La cerimonia ha inizio nell'Altis, il luogo in cui sorgeva il sacro recinto di Olimpia, dove una donna vestita da antica sacerdotessa accende il fuoco con uno specchio e i raggi del sole. La staffetta dei tedofori vuole ricordare la nascita stessa dei Giochi, che probabilmente ebbero origine dalla corsa dei giovani per consegnare il fuoco alla sacerdotessa di Era, moglie di Zeus, per dare inizio al sacrificio. Durata delle frazioni e distanza da percorrere non sono codificate: in più di un caso il fuoco ha coperto diversi continenti, tutti e cinque in occasione dei Giochi ateniesi del 2004. Per alcuni Giochi invernali la fiamma olimpica non è stata accesa a Olimpia: nel 1952 e nel 1960 la cerimonia ebbe luogo nella casa di Sondre Nordheim, padre dello sci moderno, a Morgedal in Norvegia, e nel 1956 in Campidoglio a Roma. Dal 1964 si è tornati a Olimpia anche per i Giochi invernali. Il rito del 1952-1960 fu ripetuto nel 1994 con l'accensione di una seconda fiamma a Morgedal per i Giochi di Lillehammer.
Ogni comitato organizzatore produce il suo film commemorativo dell'edizione. A parte i filmati d'epoca girati su commissione o per documentazione, la tradizione è stata introdotta a Berlino 1936, allorché il Reich affidò a Leni Riefenstahl (1902-2003) la realizzazione di Olympia. Famosi anche La Grande Olimpiade di Romolo Marcellini, Tokyo di Kon Ichikawa, e Visions of eight per Monaco 1972, con otto registi fra i quali Milos Forman, Kon Ichikawa, Arthur Penn, John Schlesinger e Mai Zetterling. Spesso gli organizzatori si sono affidati a un produttore esterno: il più famoso è Maurice 'Bud' Greenspan (nato il 18 settembre 1926 a New York), che ha prodotto i film olimpici 1984-2000, e gli invernali 1988, 1994, 1998 e 2002.
Già nel numero del 1906 della Rivista Olimpica de Coubertin manifestò l'esigenza di istituire una formula da pronunciare prima dei Giochi per garantire la lealtà dei concorrenti. Il giuramento fu finalmente introdotto ad Anversa nel 1920, affidato a uno schermidore belga, Victor Boin, già giocatore di pallanuoto nel 1908 e 1912. Ai Giochi invernali del 1924 tutti i concorrenti pronunciarono collettivamente il giuramento e la prima donna a leggerlo per tutti è stata l'italiana Giuliana Chenal Minuzzo ai Giochi invernali di Cortina 1956. La prima in un'edizione estiva fu la tedesca Heidi Schüller a Monaco 1972. La prima versione del giuramento era "Giuriamo di partecipare ai Giochi Olimpici con spirito cavalleresco, per l'onore del nostro paese e la gloria dello sport". Nel 1961 la formula fu modificata: 'giuriamo' diventò 'promettiamo', e 'l'onore del nostro paese' si trasformò in 'l'onore delle nostre squadre'. Nel 1999 la Commissione per i Giochi 2000 raccomandò una modifica del giuramento, che fu adottata dalla sessione del CIO. La versione corrente, letta sempre da un atleta partecipante designato dagli organizzatori, è dunque la seguente: "A nome di tutti gli atleti prometto che parteciperemo ai Giochi, rispettando e osservando le norme che li regolano, impegnandoci verso uno sport senza doping e senza droghe, in autentico spirito di sportività, per la gloria dello sport e l'onore delle nostre squadre".
Al giuramento pronunciato dagli atleti si è aggiunto, dal 1972, quello letto da un giudice per tutti gli altri: "A nome di tutti i giudici e gli arbitri, prometto che in questi Giochi opereremo con totale imparzialità, rispettando e osservando le regole che li governano, in autentico spirito di sportività".
Un inno per i Giochi venne composto in occasione della prima edizione svoltasi ad Atene nel 1896. Autore della musica fu il compositore greco Spyros Samaras (1863-1917), su parole del poeta Kostis Palamas. Fu eseguito per la prima volta in occasione della cerimonia d'apertura, il 6 aprile 1896, suonato da nove complessi bandistici e intonato da un coro. Venne riproposto solamente dieci anni più tardi, nei cosiddetti 'Giochi intermedi' di Atene. Da quel momento, una moltitudine di composizioni si è succeduta fino al 1960. Sei anni prima, il CIO aveva bandito un concorso mondiale per la scelta di un nuovo inno. I lavori presentati furono 392 e vincitore risultò il polacco Michael Spisak, con una composizione atonale, molto moderna, con parole tratte dalle odi di Pindaro. Questo inno non divenne mai molto popolare e la richiesta da parte di Spisak di royalties ritenute eccessive ne causò la mancata adozione. Si decise dunque di tornare al duo Samaras-Palamas e il loro inno venne suonato alla sessione del CIO del 1958 a Tokyo. Il principe Axel di Danimarca, membro del Comitato olimpico internazionale, propose di adottarlo finalmente come inno ufficiale: la mozione fu approvata all'unanimità e divenne esecutiva, nonostante una battaglia legale durata due anni con gli eredi degli autori greci. Fu quindi l'edizione di Roma nel 1960 a riproporlo in versione ufficiale e tale decisione entrò a far parte della Carta olimpica.
Oggi, le medaglie olimpiche sono consegnate, con apposita cerimonia al termine di ciascuna gara, ai primi tre classificati di ogni prova, individuale o di squadra. Il vincitore riceve una medaglia d'oro, il secondo una medaglia d'argento, il terzo una di bronzo. Nel 1896 il vincitore ebbe una medaglia d'argento, il secondo una di bronzo.
Le medaglie hanno diametro minimo di 60 mm e spessore non inferiore a 3 mm. Sono disegnate dal Comitato organizzatore e approvate dall'esecutivo del CIO. La medaglia d'oro ha corpo in argento 925/1000 o più ed è ricoperta da un sottile strato d'oro del peso di almeno 6 g. Nel 1908 e nel 1912 le medaglie dei vincitori furono in oro puro.
A partire da Roma 1960 le medaglie vengono poste al collo dei vincitori con un nastro; prima venivano consegnate in appositi cofanetti.
Il 19 luglio 1908 l'arcivescovo della Chiesa episcopale della Pennsylvania centrale, Ethelbert Talbot, nato a Fayette (allora Maine, oggi Missouri) nel 1848, a Londra per la quinta Conferenza dei pastori anglicani, officiò nella Cattedrale di Saint Paul la messa per gli atleti olimpici, culminata in una famosa omelia. Talbot, colpito dai numerosi incidenti occorsi in pista fra americani e britannici, non approvando il culto della vittoria che li sottendeva, citò la prima lettera di Paolo ai Corinzi, nella quale l'apostolo ammonisce a proposito della difficoltà d'entrare nel Regno dei Cieli "Non sapete che nelle corse allo stadio tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo!", e la interpretò al contrario: "Paolo ci dice quanto sia insignificante il premio" aggiungendo che "i Giochi stessi sono più importanti della corsa e del premio e benché uno solo possa fregiarsi dell'alloro, tutti partecipano della stessa gioia nella competizione". Il 24 luglio de Coubertin, parlando in un banchetto offerto dal governo al CIO, attribuì a monsignor Talbot la frase: "L'importante in questi Giochi non è vincere, ma partecipare", che ripeté a Stoccolma e Anversa. Dopo la morte di Talbot, nel 1928, inviò un messaggio ai Giochi di Los Angeles 1932, che fu diffuso dal tabellone del Coliseum: "L'importante nell'Olimpiade non è vincere, ma partecipare. L'essenziale non è affermarsi, ma battersi bene". Questo diventò in ogni caso, ufficialmente, il 'messaggio olimpico'.
Concetti analoghi erano tuttavia già stati espressi da de Coubertin il 16 novembre 1894 in un discorso alla Società del Parnaso di Atene: "Non sarebbe disonorevole essere battuti, ma non battersi", spiegò ai greci dubbiosi che ai Giochi i propri atleti potessero essere tutti sconfitti. La citazione era tratta dalle Metamorfosi di Ovidio: "Nec tam turpe fuit vinci quam contendisse decorum est" ("Non è tanto turpe esser vinti quanto è degno essersi battuti").
Il motto olimpico ufficiale è Citius, altius, fortius ("più velocemente, più in alto, con più forza"). Fu adottato da de Coubertin che trasse ispirazione da un padre domenicano, Henri Martin Didon (1840-1900), nato a Le Toupet presso Grenoble, che nel 1890 divenne priore del convitto domenicano di Arcueil, intitolato a s. Alberto il Grande. L'internato versava in condizioni precarie, ma Didon risparmiò soldi licenziando molti dipendenti in eccesso, acquistò un terreno adiacente e fece costruire installazioni sportive per gli allievi, inclusa una piscina. Per favorire le competizioni Didon ‒ che a 8 anni aveva partecipato vincendo tre prove ai cosiddetti 'Giochi Olimpici del Rondeau', un piccolo seminario della valle del Drac, in Francia ‒ fondò nel 1891 l'Associazione atletica Saint Albert le Grand e la dotò del motto Citius, altius, fortius, da lui stesso composto in latino, che venne scolpito in pietra all'ingresso del liceo del convitto. L'associazione venne creata su suggerimento di de Coubertin, che conosceva bene padre Didon, il quale divenne poi il suo consigliere spirituale. Nel 1894, al Congresso della Sorbona delle società atletiche francesi, Didon offrì a de Coubertin il suo motto, che il barone accettò e trasformò nel motto del Comitato olimpico. Per celebrare questa amicizia e questo gemellaggio, Didon condusse ad Atene, in treno, in battello e a cavallo, un gruppo di allievi per assistere ai Giochi 1896, disse messa nella cattedrale di Atene, la prima ecumenica in terra ortodossa dall'XI secolo, e fu fra gli applauditi relatori del congresso di Le Havre del 1897. Morì nel 1900 presso Tolosa.
È definito dal CIO come una comunione di individui e organizzazioni che "contribuisce alla costruzione di un mondo migliore e pacifico, senza discriminazioni di alcuna natura e nello spirito olimpico, che esige mutua comprensione con spirito di amicizia, solidarietà e fair play. L'attività del Movimento Olimpico è permanente e universale. Raggiunge il culmine quando porta assieme gli atleti di tutto il mondo alla celebrazione dei Giochi".
È la filosofia alla base del Movimento Olimpico. Viene definito dal Comitato olimpico come "una filosofia di vita, che esalta e combina in modo equilibrato le qualità del corpo, della volontà e della mente. Fondendo sport ed educazione, l'olimpismo cerca di creare uno stile di vita basato sulla soddisfazione tratta dall'impegno, sul valore educativo del buon esempio e sul rispetto per i principi etici fondamentali. Il traguardo dell'olimpismo è porre dappertutto lo sport al servizio dell'armonioso sviluppo dell'uomo, allo scopo di incoraggiare l'instaurarsi di una società pacifica preoccupata della conservazione della dignità umana".
Creato nel 1974, viene assegnato a "una persona che abbia reso servigi alla causa olimpica". Diviso originariamente in tre categorie, oro, argento e bronzo, si limita oggi alle prime due. Il primo ordine Olimpico d'oro fu assegnato nel 1975 ad Avery Brundage. L'unico italiano a cui è stato finora attribuito è Giulio Andreotti, nel 1990.
Il Programma olimpico detto TOP (The olympic program) è un'iniziativa del CIO per la raccolta di fondi e la ricerca di sponsor. Iniziato negli anni Ottanta, attualmente individua 12 sponsor principali dei Giochi, cede e contratta le licenze di utilizzo del simbolo olimpico. Dura quattro anni, poi viene rinnovato.
È un programma per la promozione e il supporto allo sport nei paesi sottosviluppati, basato su forme di finanziamento, assistenza tecnica, programmi di allenamento. È iniziato nel 1961 su iniziativa del conte Jean de Beaumont, con la fondazione del Comitato internazionale di aiuto olimpico, poi divenuto Commissione del CIO nel 1968. In seno all'ACNO (Association des comités nationaux olympiques), l'olandese Adriaan van Karnebeek creò nel 1971 una Associazione di solidarietà olimpica. Nel 1972 i due gruppi si fusero nella Solidarietà olimpica, che inizialmente ebbe sede a Roma, a seguito del grande impulso dato al progetto da Giulio Onesti, presidente del CONI. Nella 81a sessione del CIO nel 1979, fu deciso di spostare la sede a Losanna e nel 1982 fu nominato il primo direttore, Anselmo López, sostituito nel 1995 da Pere Miró.
Gli antichi greci la chiamavano ekecheirìa ed era un periodo sacro, a ridosso delle gare olimpiche, durante il quale dovevano essere abbassate le armi e salvaguardata la vita di chi si recava a Olimpia per gareggiare o per assistere alle gare. Di fatto, la tregua olimpica interruppe solo le guerre contro gli elei che organizzavano i Giochi.
Il 21 luglio 1992 il presidente del CIO Juan Antonio Samaranch, da Barcellona, propose all'ONU, con l'appoggio di 184 Comitati olimpici, di istituire una tregua olimpica. Il progetto, già adottato il 26 giugno 1993 dall'Organizzazione delle nazioni unite africane, venne approvato dall'Assemblea delle nazioni unite il 25 ottobre 1993. Faceva esplicito riferimento alla ekecheirìa e chiedeva che, dal settimo giorno precedente fino al settimo seguente la durata dei Giochi, fosse osservata una tregua olimpica con interruzione di ogni conflitto.
Il 26 settembre 2003 la Grecia ha presentato alle Nazioni Unite la proposta di una nuova risoluzione sulla tregua olimpica, sostenuta da 190 paesi, che è stata approvata il 3 novembre. Il motto recita: "Se possiamo avere la pace per 16 giorni, possiamo averla per sempre". I rappresentanti di 204 paesi o Comitati olimpici iscritti ai Giochi estivi di Atene 2004 su richiesta greca hanno firmato esplicitamente la tregua olimpica.