GLOTTODIDATTICA
(App. IV, II, p. 85)
A partire soprattutto dagli anni Settanta, si assiste a un ripensamento profondo degli obiettivi dell'apprendimento linguistico sotto la spinta della ricerca nell'ambito di nuove discipline linguistiche come la sociolinguistica e la pragmatica la cui attenzione si accentra in particolare sull'uso della lingua in contesto e su coloro che la usano. Nasce così un nuovo concetto di ''programma'' in cui gli obiettivi specifici dell'apprendimento di una lingua sono visti non più in termini di strutture grammaticali ma come comportamenti linguistici, modi di ''agire in lingua''. Ispirate soprattutto agli studi teorici di D. A. Wilkins (1976), e promosse dal Consiglio d'Europa per il ''Progetto Lingue Moderne (1971-1981)'', ma con successivi sviluppi che coprono ormai vaste aree dell'insegnamento linguistico, tali proposte danno corpo al cosiddetto approccio funzionale, elaborazione metodologica prettamente europea, che ha dato come frutto più rilevante i livelli soglia di competenza in una lingua straniera.
Si tratta di repertori e categorizzazioni di comportamenti linguistici espressi in termini di ''funzioni comunicative'' o ''atti linguistici'' che dovrebbero costituire la competenza linguistica minima da raggiungere in determinate situazioni rispondenti ai ''bisogni'' di comunicazione di parlanti adulti nell'ambito della Comunità Europea. Tali repertori, elaborati a cura del Consiglio d'Europa per le principali lingue europee (inglese, francese, tedesco, italiano, spagnolo, danese, olandese, svedese), e successivamente adattati alle necessità scolastiche per quanto riguarda l'inglese e il francese, sono stati le fonti da cui sono derivati numerosi materiali didattici sia in Italia che in altri paesi europei.
Il dibattito degli anni Ottanta, centrato prevalentemente sugli obiettivi dell'apprendimento e la definizione dei ''programmi'' d'insegnamento, ha ceduto via via il passo all'elaborazione di linee e procedure metodologiche tese a favorire l'acquisizione, da parte degli apprendenti, della competenza necessaria per rispondere agli obiettivi riformulati in termini comportamentali, vale a dire una competenza comunicativa. Tale tendenza metodologica, oggi dominante in g., è riassunta sotto la definizione di approccio comunicativo, un'etichetta assai vasta che abbraccia posizioni non sempre omogenee in cui confluiscono gli apporti di varie ricerche d'indole linguistica, psicologica e pedagogica. È evidente comunque nelle varie tendenze un denominatore comune che risiede nell'attenzione all'uso linguistico così come è analizzato e documentato negli studi relativi alla pragmatica, alla sociolinguistica, alla linguistica testuale e all'analisi del discorso.
Oggetto di apprendimento, in senso sia ricettivo che produttivo, è il testo, non più le frasi isolate, e al centro dell'interesse pedagogico sono i processi che portano alla comprensione e alla produzione di testi nelle varie occasioni di comunicazione. In tale ambito le specificazioni teoriche e le elaborazioni glottodidattiche hanno dato i frutti migliori per quanto riguarda la lettura intesa come processo dinamico in cui vengono messe in atto determinate strategie e abilità, soprattutto per quanto riguarda i linguaggi specialistici. Rispetto all'approccio funzionale, l'approccio comunicativo, caratteristico degli anni Ottanta, costituisce quindi un ''ritorno alla classe'', con un forte accento sull'apprendente e sui processi di apprendimento, con la conseguente esigenza d'individualizzare l'istruzione.
L'attenzione centrata sull'apprendente comporta infatti l'analisi delle tappe che questi percorre nel corso dell'apprendimento di una seconda lingua, vale a dire l'analisi della sua interlingua così come si va man mano sviluppando. L'interlingua dello studente, pur nella sua approssimazione alla lingua oggetto di studio (lingua seconda, L2), ha carattere di sistematicità, e può essere quindi analizzata nelle sue proprietà specifiche. All'analisi deve seguire la ricerca dei processi psicolinguistici che possono averne determinato i vari aspetti. In questo quadro decade nettamente il concetto negativo di ''errore'' linguistico, in quanto l'errore, se sistematico, va considerato un'ipotesi ''provvisoria'' dell'apprendente sui dati della nuova lingua che gli vengono offerti. Questa attenzione centrata sull'apprendente e sui processi sottostanti allo sviluppo della sua interlingua fa sì che l'interesse si estenda alle sue motivazioni, ai suoi ''bisogni linguistici'' e ai suoi ''stili cognitivi di apprendimento''.
Tali tendenze traggono alimento e motivazione dal vastissimo campo di ricerca, che confluisce nella denominazione di ''acquisizione di una seconda lingua'', oggi particolarmente sviluppato negli Stati Uniti e in tutti quegli altri paesi, ivi compresa l'Italia in cui, per ragioni economico-politiche varie, comunità etnico-linguistiche diverse entrano in contatto. L'esperienza maturata in situazioni di questo genere costituisce infatti un utile riscontro per l'apprendimento linguistico in contesti formali istituzionali. L'approccio comunicativo centrato sull'''uso linguistico'', pur nella sua varietà di realizzazioni, è comunque nettamente caratterizzato da un certo globalismo che mette l'accento sull'incontro con ''il testo'' e il suo significato, ponendo in ombra l'analisi e l'esplicitazione delle ''regole''. È in corso un vivace dibattito, ancora senza netta prevalenza delle parti, tra tendenze intuitivistiche che minimizzano o negano l'importanza della riflessione sui fenomeni linguistici (S. Krashen) e tendenze che invece la ritengono proficua per l'apprendimento.
A livello più propriamente didattico, l'approccio comunicativo è caratterizzato dal concetto di ''attività comunicativa'' intesa come passo ulteriore e superamento dell'esercizio linguistico, che ha invece la funzione di fissare quanto già incontrato nel testo di presentazione. L'attività comunicativa trova infatti il suo presupposto naturale nel cosiddetto ''vuoto d'informazione'' tra emittente e ricevente (trasmettere cioè in maniera adeguata informazioni a chi non le ha), e nella capacità di veicolare l'informazione in modi e canali diversi a seconda della situazione di comunicazione. Per tale motivo essa è atta a restaurare nei contesti di apprendimento quegli elementi di problemsolving che ogni normale evento comunicativo comporta stimolandone le capacità relative negli apprendenti. Di fondamentale importanza, come sottolinea particolarmente la ricerca glottodidattica in Italia, è che tali procedimenti pedagogici siano nella loro sostanza applicati sia nella lingua materna che nella lingua straniera che si apprende, vista la fondamentale unitarietà dei processi di apprendimento linguistico che la diversità delle lingue non deve far perdere di vista.
Tra gli altri filoni di ricerca e di sperimentazione rilevanti in campo glottodidattico va specialmente annoverato quello relativo al ruolo e all'uso dei calcolatori nell'insegnamento linguistico, di cui tuttavia non si ravvisano ancora risultati concordi e degni di nota. Le linee di ricerca più promettenti sembrano comunque riallacciarsi alle metodologie che favoriscono l'apprendimento guidato dallo stesso studente.
Bibl.: W. d'Addio Colosimo, Lingua straniera e comunicazione. Problemi di glottodidattica, Bologna 1974; I materiali linguistici nella didattica delle lingue, a cura di W. d'Addio Colosimo, ivi 1978; D. A. Wilkins, Notional syllabuses, Oxford 1976 (trad. it., Bologna 1978); H. G. Widdowson, Teaching language as communication, Oxford 1978 (trad. it., Bologna 1983); R. Titone, Glottodidattica. Un profilo storico, Bergamo 1980; Council for Cultural Cooperation of the Council of Europe, Modern languages (1971-1981), Strasburgo 1981; S. Krashen, Second language acquisition and second language learning, Oxford 1981; E. Arcaini, B. Py, Interlingua. Aspetti teorici e implicazioni didattiche, Roma 1984; R. Ellis, Understanding second language acquisition, Oxford 1985; R. Titone, Cinque millenni di insegnamento delle lingue, Brescia 1986; W. E. Rutherford, Second language grammar: learning and teaching, Harlow-New York 1987; A. Giacalone Ramat, L'italiano tra le altre lingue: strategie di acquisizione, Bologna 1988.