Settore della linguistica che tratta della didattica della lingua, sia essa prima (materna) o seconda, e in particolare dell’apprendimento e dello sviluppo delle abilità linguistiche principali (comprensione, espressione, lettura, scrittura). Il problema della fondazione di una metodologia glottodidattica su basi teoriche emerse nel 16° e 17° sec., a opera soprattutto di J.A. Komenský, che stabilì saldamente il primato del metodo intuitivo e intensivo, mentre altri misero poi in risalto il valore della comparazione interlinguistica (C.-C. Du Marsais). La g. è stata rivoluzionata nel corso del 20° sec. da linguisti e metodologi (H. Sweet, J.O.H. Jespersen, H.E. Palmer), dall’apporto delle scienze della comunicazione e dalle nuove tecnologie didattiche, che si valgono del concetto di autogestione dell’apprendimento e operano spesso mediante apparati tecnici sofisticati.
Il risultato di un ripensamento profondo della g., sotto la spinta di nuove discipline come la sociolinguistica e la pragmatica, negli ultimi decenni del 20° sec. ha dato corpo al cosiddetto approccio funzionale, nell’ambito del quale gli obiettivi specifici dell’apprendimento di una lingua sono visti come comportamenti linguistici (D.A. Wilkins), come modi di ‘agire in lingua’. Elaborazione metodologica prettamente europea, questo approccio ha prodotto come frutto rilevante i livelli soglia di competenza in una lingua straniera, ossia repertori e categorizzazioni di comportamenti linguistici espressi in termini di funzioni comunicative o atti linguistici, che dovrebbero costituire la competenza linguistica minima da raggiungere. Il dibattito degli anni 1980, centrato prevalentemente sugli obiettivi dell’apprendimento e la definizione dei programmi d’insegnamento, ha ceduto via via il passo all’elaborazione di linee e procedure metodologiche tese a favorire l’acquisizione della competenza necessaria per rispondere agli obiettivi riformulati in termini comportamentali, vale a dire una competenza comunicativa. Tale tendenza metodologica è riassunta sotto la definizione di approccio comunicativo, un’etichetta in cui confluiscono apporti di ricerche d’indole linguistica, psicologica e pedagogica unite da un denominatore comune, consistente nell’attenzione all’uso linguistico così come questo è analizzato e documentato negli studi relativi alla pragmatica, alla sociolinguistica, alla linguistica testuale e all’analisi del discorso. Oggetto di apprendimento diventa il testo e al centro dell’interesse pedagogico si collocano i processi che portano alla comprensione e alla produzione di testi nelle varie occasioni di comunicazione. L’approccio comunicativo comporta particolare attenzione per l’apprendente (motivazioni, bisogni linguistici, stili cognitivi di apprendimento) e prevede l’analisi delle tappe che il soggetto percorre nell’acquisire una seconda lingua, ossia l’esame della sua interlingua; pur nella sua approssimazione alla lingua oggetto di studio (lingua seconda, L2), essa ha infatti carattere di sistematicità e può pertanto essere esaminata nelle sue proprietà specifiche e nei processi psicolinguistici che la originano. L’approccio comunicativo mette l’accento sull’incontro con il testo e il suo significato, ponendo in ombra l’analisi e l’esplicitazione delle regole; tra tendenze intuitivistiche, che minimizzano o negano l’importanza della riflessione sui fenomeni linguistici, e tendenze che invece la ritengono proficua per l’apprendimento è tuttora in corso il dibattito.