MANLIO Vulsone, Gneo (Cn. Manlius Cn. f. L. n. Vulso)
Console del 189 a. C. Le prime notizie su di lui risalgono al 197 quando fu edile curule e celebrò insieme col collega P. Scipione Nasica i ludi romani con insolita pompa, ciò che contribuì ad acquistargli il favore popolare e a fargli conseguire la pretura nel 195. Al consolato peraltro, respinta una prima sua candidatura nel 192, non salì che nel 189. Sul principio di quell'anno L. Cornelio Scipione, il fratello dell'Africano, con la battaglia di Magnesia aveva posto fine alla guerra di Siria. Ma il senato, in cui il partito avverso agli Scipioni era potente, invece di lasciare a essi di ordinare definitivamente le cose d'Asia, destinò M. a succedere colà a Lucio Scipione. M. vi giunse nella primavera del 189. La guerra veramente era finita. Ma a M. che si trovava a capo d'un esercito agguerrito, desideroso di gloria e di bottino, parve bene di aggiungervi un'appendice. Fu la guerra contro i Galati abitanti nel cuore dell'Asia Minore attorno ad Ancira, che erano stati alleati di Antioco III contro Roma. Una dimostrazione militare che desse l'agio di percorrere in armi buona parte dell'Asia Minore e affermare la superiorità delle armi romane su questi che erano i più bellicosi e temuti tra i popoli stabiliti in quella regione, sembrò non a torto a M. vantaggioso al prestigio di Roma non meno che gloriogo per lui. Questa spedizione di cui abbiamo nei frammenti di Polibio, in Livio, che traduce da Polibio, e in Appiano, a tacere d'altre fonti di minore importanza, un racconto risalente in gran parte alle note d'un ufficiale greco, che vi partecipò, diede occasione ai Romani di requisizioni non lievi a danno di città riottose e poi di fare ricco bottino e numerosi prigionieri nella regione galatica. Quivi, passato il Sangario, e ricevuta la sottomissione dei Frigi di Pessinunte, il console attaccò i Tolistobogi sul monte Olimpo su cui si erano trincerati riuscendo a infliggere a essi una terribile disfatta. Poi assalì l'altra tribù dei Tectosagi e sfuggito felicemente alle insidie che gli tendevano simulando trattative di pace, li attaccò nei loro rifugi sul monte Magaba riuscendo anche qui pienamente vittorioso. Tornò addietro per prendere i suoi quartieri d'inverno (189-88) ad Efeso dove convennero legazioni dei Galati e di molte città e popoli dell'Asia Minore. Di là partì a primavera per riscuotere la prima quota del tributo che doveva Antioco e per far sgomberare dai Siriaci ogni territorio al di qua del Tauro. Poi s'incontrò ad Apamea con Eumene II di Pergamo e con i dieci legati inviati dal senato per fissare definitivamente le condizioni della pace e l'ordinamento dei territorî tolti alla Siria. Dopo di che con l'esercito carico di bottino traversò l'Ellesponto su navi pergamene (la flotta romana era già stata inviata in Italia dopo aver ricevuto in consegna le navi da guerra siriache e proceduto alla loro distruzione). Il viaggio di ritorno lungo la sponda meridionale della Tracia fu turbato da assalti delle tribù tracie indipendenti, che per la soverchia fiducia del console nel prestigio delle armi romane e la sua conseguente poca cautela causarono qualche perdita. Il rimanente del percorso fu facile. M. passò l'inverno 188-87 ad Apollonia nell'Illiria; poi sbarcato con l'esercito in Italia chiese il trionfo. Ma il suo trionfo incontrò non poche opposizioni, perché gli avversarî delle imprese trasmarine s'accordarono, nel non volerglielo concedere, con gli amici degli Scipioni a cui doleva che M. avesse tolto a essi la gloria di riordinare l'Asia. Tuttavia dopo lunghe tergiversazioni M. poté trionfare il 5 marzo dell'anno varroniano 187-86, cioè sullo scorcio dell'anno giuliano 187 a. C. I tesori da lui portati dall'Asia peemisero ricche distribuzioni di denaro ai soldati e chiusero fino al tempo delle guerre civili l'era dei tributi di guerra. Da quel trionfo d'altra parte ebbero inizio secondo gli annalisti la diffusione del lusso e il rilassamento dei costumi in Roma. M. scompare dalla storia dopo l'anno 184 in cui si presentò inutilmente come candidato alla censura.
Fu valente ufficiale, sebbene le difficoltà ch'egli dovette superare fossero assai minori di quelle superate dagli Scipioni o da Flaminino, e sebbene sia nell'impresa galatica gia nel ritorno si mostrasse meno cauto dei suoi grandi predecessori. Come politico fu al pari di essi strenuo propugnatore del predominio romano in Oriente, ma assai meno filelleno di essi; ciò che d'altronde era in stretta relazione con le contingenze mutate per effetto appunto delle loro imprese vittoriose. Una lettera ricca di proteste di filellenismo diretta ad Eraclea sul Latmo conservata in un testo epigrafico spetta non a Manlio, ma ai due Scipioni.
Bibl.: G. De Sanctis, Storia dei Romani, IV, i, Torino 1923, p. 217 segg.; E. Pais, Storia di Roma durante le grandi conquiste mediterranee, Torino 1931, p. 136 segg.