GOTI
. La tribù germanica orientale dei Goti sembra aver avuto in origine per sua patria l'isola Gotland, e forse in parte anche la Svezia meridionale (Gotaland). Indice dei loro rapporti con la Scandinavia è la stretta parentela che corre fra il gotico e l'antico nordico, come pure l'antica leggenda narrata da Giordane (Get., 4), secondo la quale la migrazione del popolo gotico sarebbe partita da Scandza (Scandinavia). Cassiodoro-Giordane chiama la prima riva di terra ferma dopo la Scandinavia, Gothiscandza, che nella forma Gotisk-andia vuol dire "riva gotica". Tale nome viene attribuito al territorio occidentale della Vistola. Le scoperte preistoriche fatte su ambedue i lati del Baltico dànno indizî di questi rapporti, ma nessun elemento decisivo sui tempi della migrazione.
La menzione più antica dei Goti non è fatta, come fu accettato per lungo tempo, da Plinio nella Nat. Hist., XXXVII, 35, dove egli parla di Gutones nella narrazione riguardante Pitea (verso il 345 a. C.). Come ha dimostrato K. Müllenhoff, questo passo è corrotto e probabilmente doveva esserci un nome teutonico. La menzione fatta da Tacito (Ann., II, 62) lascia aperta la questione della sede dei Goti nei tempi del regno di Marbod: il marcomanno Catualda, che era fuggito presso i Gotones, partì da loro per abbattere Marbod. Perciò se i Bovcoves, menzionati da Strabone, 290, devono essere considerati come Tevcoves, allora l'alleanza con Marbod attestata in quel passo dev'essere stata poco solida. Plinio (Nat. Hist., IV, 99) e Tacito (Germ., 43) conoscono i Goti come un popolo germanico sul confine orientale; Tacito narra che, a differenza soprattutto delle tribù germaniche occidentali, si è formato presso di loro un forte potere reale. Delle loro imprese militari conosciamo solo da Get., 4 la conquista dei Rugi germanici orientali (nella regione della Vistola) e dei Vandali (in Slesia?), senza poter precisare l'epoca in cui avvenne.
I Goti sono venuti in contatto con la cultura romana già nella regione della Vistola; ha contribuito a ciò il commercio dell'ambra, che era diretto in Italia attraverso Carnuntum sul Danubio. Gli oggetti d'importazione dai Romani, scoperti nelle tombe in Prussia, possono essere stati introdotti in parte anche attraverso il regno dei Marcomanni. Il movimento dei Goti verso il sud-est può esser cominciato durante le guerre dei Marcomanni (166-180); ma le fonti tacciono al riguardo. La leggenda popolare narra di una spedizione attraverso la regione paludosa verso il territorio Oium e di una vittoria riportata sul popolo degli Spali, che è altrettanto poco noto quanto il capo dei Goti Felimer. Che sulla via dal Baltico al Mar Nero si siano distaccate alcune parti del popolo gotico, è certo; il più importante di questi gruppi sarebbero i Gepidi.
Caracalla avrebbe inflitio una sconfitta nel 214 a schiere gotiche nella Dacia (contro a ciò v. Pauly-Wissowa, II, col. 2448), che sarebbe stata il punto di partenza per l'avanzata dei Goti. Solo col disordine del primo trentennio del sec. III ci sono attestate incursioni gotiche nell'impero. Sotto Massimino Trace (235-238) sono andati perduti ambedue i posti avanzati di Olbia e di Tyras; quando, dopo la proclamazione di Gordiano, l'imperatore dovette dirigersi da Sirmium in Italia invece di marciare contro i "Germani" (Erodoto, VII, 2, 9), i Carpi e i Goti saccheggiarono la Mesia inferiore. Un governatore di Gordiano III (238-244) costrinse i Goti a ritirarsi, ma concesse loro tributi, il che è da considerarsi come un preambolo a rapporti di federazione. Anche gli avvenimenti degli anni seguenti sono poco conosciuti; e il valore delle fonti è in parte discusso; quel che viene affermato riguardo al numero degli eserciti Goti, non merita credito. Che i Goti presentassero un pericolo sempre più minaccioso per l'Impero, lo provano gli sforzi rilevanti fatti dall'imperatore Decio (249-251), che aveva liberato per un certo tempo la Dacia dai Carpi, e aveva inflitto una grave sconfitta ai Goti presso Nicopoli. In ultimo però trovò la morte in battaglia combattendo con essi nella regione della Silistria. Il suo successore Treboniano Gallo (261-253) concluse con essi una pace vergognosa, che ebbe la durata di soli due anni. I Goti avanzarono allora fino a Tessalonica e verso il 257 essi e altre tribù misero fine al dominio dei Romani nella Dacia (eccettuata una sola provincia). Negli anni seguenti i Goti presero forse parte alle spedizioni dei pirati, che dalla regione del Bosforo erano dirette contro l'Asia Minore e il Mediterraneo, e quando per le tristi condizioni dell'impero non si poté opporre a queste spedizioni una difesa sufficiente, caddero nelle mani dei saccheggiatori anche Bisanzio, Cizico, Atene, Corinto, Sparta e Argo. Forse appunto in questo periodo di tempo è da porsi l'origine dei caratteri runici e con ciò l'inizio della scrittura gotica. Ma anche ciò, come tutta la prima storia del popolo gotico, è avvolto nell'oscurità. Che i nomi di Ostrogoti (v.) e Visigoti (v.) appaiano solo nel 269, si deve attribuire al caso; probabilmente la divisione di queste due tribù principali deve aver avuto luogo già durante la migrazione. Si potrebbe perciò anche far cominciare la storia indipendente delle due tribù già dal principio del sec. III e considerare come Ostrogoti più recenti il gruppo penetrato nella Dacia.
Bibl.: Giordane (ed. Mommsen in Mon. Germ. Hist., Auc. antiquiss. Getica, V, i, Berlino 1882), si fonda sulle opere perdute di Cassiodoro e confonde i Goti coi Geti, portando con ciò confusione nella storia antica; K. Zeuss, Die Deutschen und die Nachbarstämme, 2ª ed., Gottinga 1904; K. Müllenhoff, Deutsche Altertumskunde, I-IV, Berlino 1890-1900; B. Rappaport, Die Einfälle der Goten in das römische Reich bis auf Constantin, Lipsia 1899; O. Bremer, Ethnographie der germanischen Stämme, 2ª ed., Strasburgo 1904; L. Schmidt, Geschichte der deutschen Stämme bis zum Ausgange der Völkerwanderung, I, Berlino 1904; F. Kauffmann, Deutsche Altertumskunde, I, 1913; II, Monaco 1923; R. Much, art. Goten, in J. Hoops, Reallexikon der germanischen Altertumskunde, II, Strasburgo 1913-1915; R. Much, Deutsche Stammeskunde, 3ª ed., Berlino-Lipsia 1925; L. Schmidt, Gesch. der german. Frühzeit, Bonn 1925; G. Kossinna, Ursprung und Verbreitung der Germanen in vor- und frühgeschichtlicher Zeit, I, Lipsia 1926; F. E. Karsten, Die Germanen, Berlino-Lipsia 1928; W. Guerte, Urgesch. Ostpreussens, Königsberg 1929.
Lingua. - La lingua gotica apparteneva al ramo orientale del gruppo linguistico germanico (v. germanici, popoli: Lingue). Essa ci è nota soprattutto da una traduzione della Bibbia conservataci solo in parte in sette codici di molto diversa ampiezza: Argenteus (Upsala, 187 fogli), Gissensis (Giessen, 1 doppio foglio), Carolinus (Wolfenbüttel, 4 ff.), Ambrosiani A, B, C, D (Milano, risp. 204, 156, 2, 3 ff.) e Taurinensis (4 ff. staccati dall'Ambr. A). In complesso abbiamo i quattro Vangeli (con molte lacune), la 2ª lettera ai Corinzî, intera, e frammenti delle altre lettere paoline (fuorché di quella agli Ebrei) e dei capi 5-7 di Neemia. Non v'è dubbio che la traduzione contenuta in questi codici (scritti in Italia nel sec. VI, tranne il Carolinus che forse risale al V) sia quella che gli scrittori bizantini Filostorgio, Socrate e Sozomeno dicono eseguita dal vescovo visigoto Ulfila o Wulfila (morto nel 383; v. ulfila). Un altro codice (Ambr. E, 8 ff. di cui 3 nella Vaticana) ci conserva alcune pagine d'un commento al Vangelo giovanneo, cui H. F. Massmann, che primo ne curò l'edizione integrale (Monaco 1854), diede per titolo Skeireins (Interpretazione). L'autore è ignoto (che sia lo stesso Ulfila fu asserito, ma non dimostrato); incerta è l'età (secoli IV o V) della composizione (o versione dal greco?).
A prescindere da parole e frasi staccate, inserite in testi latini, le altre reliquie della lingua gotica sono: un frammento di calendario (nel codice Ambr. A); alcune frasi con trascrizione latina, osservazioni sulla pronunzia, due alfabeti e due serie di numeri (in un manoscritto di Alcuino, pervenuto da Salisburgo alla Biblioteca Nazionale di Vienna); dichiarazioni e firme in lingua e scrittura gotica in due strumenti di vendita redatti in latino (l'uno, steso a Ravenna verso il 551, si conserva nella Nazionale di Napoli; dell'altro, scomparso da Arezzo, resta una copia presso G. B. Doni, Inscriptiones antiquae, Firenze 1731). La Bibbia e la Skeireins sono testi visigotici, benché passati per le mani di scribi ostrogoti; le sole documentazioni ostrogotiche sono quelle forniteci dai papiri di Napoli e d'Arezzo. Materiale onomastico rimane sì dei Visigoti come degli Ostrogoti. Superano in antichità ogni altro resto, poiché si fanno risalire al sec. III, due o tre brevissime iscrizioni runiche: tilarids (nome proprio) su punta di lancia trovata a Kovel (Volinia); gutaniowihailag, che R. Loewe (Indogerm. Forsch., XXVI, 1910) spiegò Gutan(ē) Iowi hailag cioè Gotorum Iovi [i. e. Donar] sacrum, sull'anello di Pietroasa de Jos (Buzău, Romania); gotica pare anche la parola ranja (nome proprio?) sulla punta di lancia di Müncheberg (Brandeburgo).
I Goti dunque, come gli altri Germani, usarono dapprima le rune (v.). I codici però sono scritti in uno speciale alfabeto, che certamente è quello che i predetti scrittori bizantini affermano inventato da Ulfila. Consta di 27 segni, di cui 2 usati soltanto come numeri. La scrittura ha caratteri unciale nei testi letterarî, corsivo nei documenti legali. L'alfabeto ulfiliano nello stile del Codex Argenteus è il seguente:
Almeno 16 segni (contando y: 17) concordano coi greci nella forma e nel valore fonetico e numerico; 2 (contando w: 3) concordano nella forma e discordano nel valore. Di taluni è certa, d'altri è probabile la derivazione dalle rune; 4 (h, r, s, f) hanno aspetto latino, ma somigliano anche a caratteri runici.
Il gotico ha un'ampia documentazione in un tempo di cui pochissimo o niente resta delle altre lingue germaniche; da ciò la sua importanza per la storia di questo gruppo linguistico. Il vocalismo gotico serba un aspetto arcaico; però l'alternarsi di ĕ con ĭ, di ŏ con ŭ non riflette le condizioni originarie, ma dipende dalle consonanti seguenti e in parte dall'intonazione. Nel consonantismo è specialmente da rilevare che il gotico ulfiliano riduce a occlusive sonore (b, d, g) le spiranti sonore germaniche (???, đ, γ) in tutti i casi nei quali esse non avevano subìto la stessa sorte in età preulfiliana né si erano ridotte a spiranti sorde. Nella morfologia si nota: la conservazione del duale, non solo nel pronome ma anche nel verbo, e della voce "media" (però con valore di passivo e nel solo presente); il raddoppiamento come esponente del preterito in una serie di verbi; la chiara distinzione delle serie vocaliche nel verbo forte.
In Italia probabilmente, forse anche in Spagna, la lingua sopravvisse al dominio dei Goti, ma dati precisi non abbiamo. Se i resti gotici nel codice di Alcuino provengono (come suppose Th. v. Grienberger) dalla Francia meridionale, vuol dire che là il gotico verso l'800 non era ancora spento. Ai Goti rimasti nella Balcania si riferisce la notizia di Valafrido Strabone (sec. IX), che al suo tempo nella regione di Tomi il gotico si usava ancora nella liturgia.
Il Gotico di Crimea. - Ogier Ghiselin di Busbecq, ambasciatore cesareo a Costantinopoli negli anni 1560-62, apprese che in Crimea viveva un popoletto d'origine germanica e poté raccogliere della sua lingua 86 vocaboli e 3 versetti (che riferisce in Legationis Turcicae epistolae quatuor,. Parigi 1589, p. 135). I più credono che si tratti di gotico. Ma, se alcune parole mostrano i caratteri specifici della fonetica gotica, l'aspetto di altre vi ripugna. Il contrasto può spiegarsi per influssi estranei o mescolanza etnica. R. Loewe pensa che fosse un dialetto non propriamente gotico, ma affine al gotico, col quale in un primo tempo ebbe comune lo sviluppo, mentre i caratteri che lo differenziano da quello furono acquisiti più tardi, quando i suoi possessori (Eruli probabilmente) vissero a contatto coi Germani dell'ovest. L'ipotesi non è inverosimile; però la sottile analisi linguistica del Loewe sarebbe persuasiva solo nel caso che il materiale fosse rigorosamente genuino. Sappiamo invece dal Busbecq che il suo informatore non era un nativo di quel popolo, ma un greco che per frequente commercio ne aveva appreso la lingua; che il Busbecq fosse un perftto fonetista non siamo obbligati a credere; e il suo tipografo ci fornisce, proprio in questo glossario, esempî evidenti di scorrettezza. Potendo così giustificarsi il fatto che le voci riferite dal Busbecq divergono, in parte, dalla norma gotica, non vi sono serî ostacoli alla credenza che si tratti di gotico. Del resto pare che sul Mar Nero nordorientale i Goti si estinguessero soltanto nel sec. XVIII.
Bibl.: Testi: H.C. v. d. Gabelentz e J. Loebe, Ulfilas, Lipsia 1836-46; E. Bernhardt, Vulfila (e testi minori), Halle 1875; F. L. Stamm e M. Heyne, Ulfilas oder die uns erhaltenen Denkmäler d. got. Sprache, a cura di F. Wrede, 14ª ed., Paderborn 1920; W. Streitberg, Die gotische Bibel (e gli altri testi), 2ª ed., Heidelberg 1919-28; E. A. Kock, Die Skeireins (testo e trad.), Lund [1913]. I nomi proprî furono raccolti da F. Dahn (Die Könige der Germanen, 2ª ed., VI, Lipsia 1885), F. Wrede (Über die Sprache der Ostgoten in Italien, Strasburgo 1891) e W. W. Meyer-Lübke (Romanische Namenstudien, in Sitzungsber. dell'Accademia di Vienna 1905, 1917); v. anche M. Schönfeld, Wörterbuch d. altgerm. Personen-u. Völkernamen, Heidelberg 1911. - Sulle rune gotiche, v. la voce rune.
Grammatiche (oltre quelle di Gabelentz-Loebe e di Wrede, v. sopra); W. Braune, Gotische Grammatik, Halle 1880, 10ª ed., 1929; E. Bernhardt, Kurzgef. got. Grammatik, Halle 1885; W. Streitberg, Gotisches Elementarbuch, Heidelberg 1897, 6ª ed., 1920; R. Bethge, presso F. Dieter, Laut-u. Formenlehre d. altgerm. Dialekte, Lipsia 1900; J. Wright, Grammar of the Gothic language, Oxford 1910; M. H. Jellinek, Geschichte d. got. Sprache, Berlino 1926; E. Kieckers, Handbuch d. vergl. gotischen Grammatik, Monaco 1928.
Etimologia: C.C. Uhlenbeck, Kurzgef. etymol. Wörterbuch d. got. Sprache, Amsterdam 1896, 2ª ed. 1900; S. Feist, Etymol. Wörterbuch d. got. Sprache, Halle 1909, 2ª ed. 1922-23; Th. v. Grienberger, Unters. zur got. Wortkunde, Vienna 1900.
Sull'alfabeto gotico gli studî più recenti sono quelli di E. H. Mensel, in Modern Philology, I (1904), p. 405 segg.; O. v. Friesen (presso J. Hoops, Reallexikon d. germ. Altertumskunde, II, Strasburgo 1913-15, p. 306 segg.), M.H. Jellinek (o. c., pp. 19-29) ed E. Hermann (Nachrichten di Gottinga, IV, ii, 1930).
Sul gotico di Crimea: R. Loewe, Die Krimgotenfrage, in Indogerm. Forsch., id., XIII (1902); id., Germ. Sprachwiss., Lipsia 1905, 3ª ed., Berlino 1918.