GOVERNO (latino gubernare, dal gr. κυβερνῶ, "reggo il timone")
La parola ha un significato più ampio e comune alle varie letterature (lat. regimen; fr. gouvernement; sp. gobierno; ted. Regierung; ingl. government), e un significato più ristretto, particolare alla legislazione italiana di cui sarà detto appresso. Secondo il primo significato, s'intende per governo l'istituzione, o il complesso delle istituzioni, cui dall'ordinamento giuridico è affidato l'esercizio della sovranità. Talora la sovranità è esercitata da queste istituzioni, o dalle persone che le compongono, in proprio nome, come diritto loro esclusivamente spettante; altre volte viene, invece, esercitata come un diritto o una potestà dello stato, e quindi in rappresentanza di esso o addirittura in qualità di organi suoi. La prima situazione si trova nello stato patrimoniale e anche in quello nel quale è attuato il principio della sovranità di una classe o della sovranità del popolo, inteso questo come istituzione distinta dallo stato. La seconda situazione si verifica nella maggior parte degli ordinamenti moderni, nei quali, essendo attribuita allo stato la personalità giuridica, a lui fa capo la sovranità e ogni potestà in essa contenuta, e ai governanti spetta soltanto il relativo esercizio.
Varie forme di governo. - Secondo il modo come il governo si presenta composto e ordinato, si hanno di esso varie forme. La classificazione delle forme di governo fu tentata dai filosofi e dagli scrittori politici dell'antichità e del Medioevo. Fra le classificazioni dell'antichità è rimasta celebre quella di Aristotele; fra quelle relativamente moderne, la distinzione del Machiavelli. Aristotele distingueva i governi in monarchie, aristocrazie e democrazie, secondoché il potere era esercitato da una sola persona, da una ristretta classe privilegiata di persone o dalla maggioranza del popolo. Di fronte a queste, che sono le forme pure di governo, altre se ne dànno in pratica, dette dall'autore degenerate: quando i governanti s'ispirano, anziché all'interesse dei governati e della città, a quello proprio o della propria classe, la monarchia degenera in tirannide, l'aristocrazia in oligarchia, la democrazia in demagogia. Viceversa, le tre forme pure possono utilmente combinarsi, dando luogo a una forma mista di governo, che riunisce i pregi di due o di tutte e tre le figure elementari. La distinzione del Machiavelli si limita alle due forme fondamentali della monarchia e della repubblica.
Molti sono stati i tentativi della moderna dottrina per escogitare nuove classificazioni (I. C. Bluntschli, E. Treitschke, V. E. Orlando); ma tutte queste non sono che derivazioni, più o meno dirette, delle due accennate, le quali restano tuttora fondamentali. Quella del Machiavelli è più corrispondente alla terminologia delle costituzioni dei moderni stati e quindi anche la più largamente seguita dalla dottrina. Discusso, tuttavia, è il criterio di distinzione fra la monarchia e la repubblica. Quello tradizionale dell'ereditarietà o elettività del capo dello stato, sebbene seguito e propugnato anche da scrittori recenti (L. Duguit), si dimostra insufficiente di fronte agli esempî storici di alcune monarchie elettive, quali quelle del Sacro Romano Impero, del regno di Polonia, della Chiesa con lo Stato Pontificio. Secondo l'opinione che sembra preferibile, è monarchico quello stato che ha a capo un organo individuale non rappresentativo, repubblicano quello che ha a capo un organo collegiale o, se individuale, rappresentativo di un collegio o di una collettività. Per questo, le monarchie sono ereditarie e, se elettive, vitalizie; le repubbliche sono sempre elettive e con elezione da rinnovarsi a brevi periodi, in modo da assicurare la costante corrispondenza politica fra il corpo elettorale e l'eletto. La repubblica è stata detta anche governo, diretto o indiretto, di collettività; laddove la monarchia, insieme con alcune forme a essa simili, quali la diarchia, sarebbe governo d'individui.
Così il governo monarchico come quello repubblicano si distinguono, in base ai limiti che incontra l'esercizio della sovranità, in assoluti e costituzionali: a) si ha governo assoluto, quando il capo dello stato, individuo o collegio che sia, accentra in sé ogni potere e può da solo porre l'ordinamento giuridico, modificarlo e derogare alle sue norme. Esso non è da confondersi col governo dispotico, nel quale il capo dello stato, individuo o collettività, è al disopra del diritto e non conosce freni, neppure interni e neppure formali, alla sua volontà, perché nel governo assoluto esiste una serie di limitazioni che, sebbene puramente interne, costituiscono una relativa garanzia per i sudditi; b) il governo costituzionale è quello nel quale esistono, oltre il capo dello stato, altri organi costituzionali, cioè egualmente supremi e indipendenti, e in tale pluralità di organi viene distribuita la competenza all'emanazione dei varî atti della sovranità. Secondoché, poi, la competenza di questi altri organi è soltanto eccezionale, sicché le funzioni non espressamente loro attribuite si devono presumere proprie del capo dello stato (presunzione generale di competenza), o la competenza stessa è per tutti gli organi egualmente normale e istituzionale, il governo si dice costituzionale limitato oppure costituzionale in senso stretto.
Nei governi costituzionali moderni, si ha quasi sempre un organo rappresentativo, costituito dal parlamento. Perciò, tali governi, indipendentemente dalla loro qualità di governi costituzionali, si dicono anche rappresentativi. Siccome poi i parlamenti sono di solito rappresentativi del popolo, così la loro presenza conferisce al governo anche il carattere di governo, almeno parzialmente, democratico. La rappresentanza è, infatti, il modo di attuazione della democrazia negli stati moderni: non essendo ivi possibile far partecipare il popolo al governo direttamente, esso vien fatto partecipare attraverso l'elezione. È questa la democrazia indiretta o rappresentativa. Talora l'organo rappresentativo, cioè il parlamento assume nello stato una particolare preponderanza, che gli permette d' influire in modo decisivo, con la sua volontà e con la sua fiducia e sfiducia, sulla nomina e sulla conservazione in carica dei ministri, cioè degl'immediati collaboratori del capo dello stato. In questi casi, il governo si dice, oltreché costituzionale e democratico-rappresentativo, anche parlamentare. Il governo parlamentare, o di gabinetto, è così una sottospecie del governo costituzionale e, secondo alcuni, una degenerazione di questo.
Governo legittimo e illegittimo. - Ogni governo, in quanto determinato dall'ordinamento giuridico, è legittimo: non può parlarsi, senza contraddizione, di governi illegittimi. Può, tuttavia, distinguersi in legittimo e illegittimo il passaggio da una ad altra forma di governo o, come si dice con formula più generica, l'instaurazione di un nuovo ordinamento costituzionale. Quest'ultima, infatti, può avvenire secondo un procedimento stabilito nella costituzione vigente (p. es. a opera di un' assemblea costituente, nella stessa prevista, o degli ordinarî organi legislativi, quando la costituzione sia in tal modo modificabile); oppure attraverso un procedimento contrario a tale costituzione, come la rivoluzione, il colpo di stato, l'usurpazione. In quest'ultimo caso l'instaurazione è illegittima. Si può anche ricordare l'instaurazione giuridicamente irrilevante, la quale si verifica quando il nuovo governo non possa essere valutato alla stregua di un precedente ordinamento, sia perché questo manca, come dopo un periodo di anarchia, sia perché, pure esistendo, versa nell'impossibilità di continuare per la mancanza di un elemento essenziale, del quale non è stabilito il modo di sostituzione (es. l'estinzione naturale della dinastia regnante, in una monarchia). Però, se antigiuridica o giuridicamente irrilevante può essere l'instaurazione, il nuovo governo, quando è stabilito e consolidato, è sempre giuridico e legittimo: esso costituisce la base di un nuovo ordinamento, di fronte al quale non si può che riconoscerlo legale. Quest'ultima asserzione, conforme a una dottrina recente e accreditata, non è pacificamente accettata: è, anzi, una questione che per secoli si è agitata e tuttora si agita quella relativa al modo di legittimarsi degli ordinamenti puramente di fatto.
Governo provvisorio. - Si connette a quest'argomento quello dei governi provvisorî, cioè di quei governi che, contrarî al diritto preesistente, hanno preceduto il nuovo ordinamento, senza giungere a consolidarsi in questo. Di solito gli atti di tali governi restano legittimati, anche senza espressa disposizione, dall'ordinamento posteriore, del quale costituiscono una necessaria preparazione. Ogni altro particolare su questo punto sarebbe fuor di luogo.
Il governo del re. - Rinviando alle apposite voci per quanto concerne la forma e l'ordinamento del governo italiano (v. italia: Ordinamento costituzionale), dobbiamo accennare come nella legislazione e nella dottrina italiana la parola governo riceve, oltre il significato generico, nel quale è stata fin qui adoperata, un significato specifico e particolare. Con l'espressione "governo" e "governo del re" si indica quel complesso organo costituzionale, che risulta dall'unione del primo ministro, dei ministri e dei sottosegretarî di stato, e che, con parola tolta dal diritto pubblieo inglese, è detto anche gabinetto. L'accennata espressione s'incontra in tutte le disposizioni, con le quali al governo del re vengono conferiti pieni poteri per legiferare sopra alcune materie, in quelle con cui il medesimo viene autorizzato ad emanare norme regolamentari o a dare esecuzione nel regno a un trattato internazionale, nonché in moltissime altre. In tempi recenti, il governo così inteso ha ricevuto una definizione in una legge di carattere costituzionale: quella del 24 dicembre 1925, n. 2263, sul primo ministro. "Il potere esecutivo - reca l'art. 1 - è esercitato dal re per mezzo del suo governo. Il governo del re è costituito dal primo ministro segretario di stato e dai ministri segretari di stato. Il primo ministro è capo del governo".
Il governo in sé stesso non costituisce un organo collegiale in senso tecnico, ma tale figura esso assume quando esercita funzioni deliberative con la riunione dei suoi componenti sotto la presidenza del capo del governo, formando quel particolare organo che è detto più propriamente Consiglio dei ministri. Mentre le espressioni gabinetto e governo sono usate preferibilmente per designare l'organo costituzionale, con l'espressione Consiglio dei ministri s'indica piuttosto l'organo amministrativo.
Bibl.: J. C. Bluntschli, Allgemeine Staatslehre, Berlino 1875, pp. 369-561 (trad. ital., Napoli 1879, I, p. 249 segg.); E. Bernatzik, Monarchie und Republik, Friburgo 1882; G. Mosca, Sulla teoria dei governi, Palermo 1884; C. Schanzer, Di una nuova classificazione delle forme di governo, in Riv. del dir. pubbl., 1890, p. 805; F. Racioppi, Forme di stato e forme di governo, Roma 1898; S. Romano, La istaurazione di fatto di un nuovo ordinamento costituzionale e la sua legittimazione, in Arch. giur., LVIII (1902), p. 3; V.E. Orlando, Principî di dir. costituzionale, Firenze 1909, pp. 59-72; G. Arangio-Ruiz, Istituzioni di dir. costituzionale, Torino 1913, pp. 33-42; V. Miceli, Principî di dir. costituzionale, Milano 1913, pp. 194-216; E. Treitschke, La politica, trad. ital. , Bari 1918, III; G. Jellinek, Allgemeine Staatslehre, 4ª ed., 1922, pp. 671-736; L. Duguit, Traité de droit constitutionnel, 2ª ed., II, Parigi 1923, pp. 473-671; A. Merkl, Das Kriterium von Republik und Monarchie, in Zeitschrift für Verwaltung, 1923, p. 63; H. Kelsen, Allgemeine Staatslehre, Berlino 1925, pp. 320-371; S. Romano, Corso di dir. costituzionale, Padova 1932, pp. 95 segg., 160 segg.