Gran Bretagna e Irlanda del Nord, Regno Unito diGeografia umana ed economica
di Berardo Cori
Stato insulare dell'Europa occidentale. Nei primi anni del 21° sec., il Regno Unito continuava a presentarsi sul piano internazionale nel ruolo di Paese di rango planetario, centro storico e simbolico di un'organizzazione mondiale quale il Commonwealth, e al tempo stesso di Paese europeo, membro effettivo, alla pari della maggior parte degli Stati di questa parte di mondo, dell'Unione Europea. Inoltre, con l'attribuzione dell'autonomia amministrativa alla Scozia e, in minor misura, al Galles (devolution; 1997), e successivamente con la creazione di un'Assemblea autonoma dell'Irlanda del Nord (1999), il Regno ha assunto anche la fisionomia di uno 'Stato regionale', intermedio fra lo Stato unitario e quello federale.
La popolazione al censimento del 2001 risultava di 58.789.194 ab., e a una stima del 2005 sfiorava i 60 milioni, quasi 50 dei quali nell'Inghilterra propriamente detta, 5 nella Scozia, circa 3 nel Galles, mentre l'Irlanda del Nord si poneva fra 1,5 e 2. Per quanto riguarda la nazionalità, nel 2002 le minoranze principali erano quella irlandese (un po' meno di mezzo milione di ab., ovviamente senza contare quelli dell'Irlanda del Nord, cittadini del Regno Unito a tutti gli effetti), seguita da quella indiana (120.000), statunitense (110.000), italiana (80.000) e pachistana (70.000): a parte il caso degli italiani, si tratta di ovvie conseguenze del passato coloniale e della comunanza linguistica. Naturalmente le cifre sopra indicate si riferiscono a quegli immigrati che conservano ancora la cittadinanza originaria, ma sono ormai numerosi, anche se è difficile valutarli numericamente, gli immigrati, specie tra quelli provenienti dai Paesi del Commonwealth, che hanno ormai assunto la cittadinanza britannica; comunque, al censimento del 2001 risultavano nati al di fuori delle isole britanniche 4,3 milioni di ab., 3,6 dei quali fuori dall'Europa. La popolazione è in massima parte urbana (89% nel 2003), ma va segnalata la tendenza a una lenta seppur progressiva crescita della percentuale di quella rurale (dovuta, peraltro, soprattutto ai cambi di residenza di abitanti delle grandi città).
Il saldo migratorio è moderatamente ma costantemente di segno positivo: nel 2002 sono immigrate nel Regno Unito 513.000 persone, contro 359.000 che sono emigrate. Ne risulta una situazione etnica in cui la maggioranza di origine europea resta schiacciante (con irlandesi, statunitensi e italiani come minoranze principali), ma con gruppi non trascurabili di indo-pachistani-bengalesi (3%), africani (2%) e altri. Da ciò deriva naturalmente anche una notevole varietà di confessioni religiose: su un totale del 69% dichiaratosi 'religioso', gli anglicani rappresentano il 43,5%, i protestanti appartenenti ad altre chiese il 10%, i cattolici il 10%, i musulmani l'1,5%, gli induisti lo 0,7%, gli ebrei lo 0,5%, i sikh lo 0,4%.
L'economia britannica è basata in misura dominante e massiccia sui servizi, che rappresentano quasi i tre quarti delle attività produttive, mentre l'agricoltura e le altre attività del settore primario occupano una percentuale minima della popolazione attiva e contribuiscono nella stessa modestissima misura alla formazione del PIL. Quasi la metà della superficie del Paese è occupata da prati e pascoli, quasi un terzo è boschivo o incolto; solo un quarto di essa viene dunque utilizzato per la produzione agricola in senso stretto. Tuttavia, il Regno Unito ha una buona produzione di frumento (15,7 milioni di t nel 2004), di cui è anche un discreto esportatore, di orzo (5,9 milioni di t), avena (652.000 t) e patate (6 milioni di t). Per quanto riguarda i prodotti dell'allevamento, è terzo in Europa per il latte (14,6 milioni di t), quarto per il burro, sesto per i formaggi e per la carne. Uscendo dal campo dei prodotti agricoli destinati all'alimentazione, il Regno Unito è secondo produttore europeo di fibre di lino (28.000 t) e primo per la lana grezza (60.000 t), grazie a un patrimonio ovino che, con i suoi 35,5 milioni di capi, risulta il primo d'Europa. Modesto invece, malgrado l'insularità, il contributo britannico alla pesca europea, che tuttavia alimenta una non indifferente esportazione.
Per quanto riguarda le risorse minerarie, il Regno Unito ha perso da tempo la sua immagine di Paese carbonifero, pur restando un buon produttore di antracite (27,8 milioni di t nel 2003), mentre ha assunto, grazie soprattutto alle estrazioni sottomarine praticate nella piattaforma continentale del Mare del Nord, il nuovo ruolo di Paese petrolifero (92 milioni di t nel 2004), terzo in Europa dopo Russia e Norvegia, e gassifero (102.840 milioni di m3 nel 2003), secondo dopo la Russia. Tradizionale invece la sua scarsità di minerali metallici, che peraltro non gli impedisce di produrre, grazie soprattutto a minerali importati, ghisa e acciaio, una buona quantità di piombo, e in minor misura anche di alluminio. Carbone e idrocarburi alimentano la maggior parte della produzione di energia elettrica, ma il nucleare (con 31 centrali) assicura quasi un quarto dell'energia totale (2003).
L'industria, molto diversificata, conserva i suoi tradizionali distretti siderurgici, metallurgici e chimici; ma si è sviluppata anche in settori innovativi ad alta tecnologia, come l'elettronica e il nucleare (isotopi e materiali radioattivi usati in medicina, nell'agricoltura e nell'industria). Si è molto ridotto, invece, il ruolo del Paese nel sistema che ruota attorno all'automobile: la sua produzione di autovetture è superata in Europa non solo da Germania e Francia, ma anche dalla Spagna; per i pneumatici il Regno Unito ha meno importanza anche dell'Italia, della Russia e della Polonia; stessa situazione per quanto riguarda la produzione dei veicoli commerciali. In compenso il Regno Unito è il quarto produttore mondiale di trattori agricoli, ha un'elevata produzione di biciclette, e conserva, sia pure in misura ridotta, una buona tradizione nel campo delle costruzioni navali e aeronautiche. Fra le modeste industrie alimentare spiccano le eccezioni produttive rappresentate dal whisky scozzese e dal gin londinese, che sono ben conosciute sui mercati mondiali, e le diffuse fabbriche di birra.
Tradizionalmente vivaci, nell'ambito del settore terziario, le attività bancarie, finanziarie, borsistiche e assicurative, che hanno in particolare a Londra di gran lunga il maggior centro europeo e uno dei pochissimi a livello mondiale. Il turismo 'd'affari', fra l'altro, fa della stessa Londra un grande centro turistico internazionale, al quale contribuiscono notevolmente l'attrazione universitaria e quella esercitata dalla lingua inglese. Avvantaggiano lo sviluppo turistico anche la tradizionale alta densità dei collegamenti aerei e la valorizzazione delle ferrovie, ristrutturate, privatizzate e collegate alla rete dell'Europa continentale sullo scorcio del trascorso millennio.
Dell'immenso e vecchio impero britannico restano due eredità: il Commonwealth e le residue dipendenze. Il Commonwealth è una libera associazione di Stati indipendenti, che raccoglie su base volontaria quasi tutte le ex colonie e dipendenze britanniche: oltre cinquanta Stati, dalle dimensioni territoriali e demografiche diversissime, i quali nell'insieme racchiudono grosso modo un quarto della superficie e della popolazione della Terra sotto la simbolica figura del Capo dello Stato britannico. Quanto alle residue dipendenze coloniali, si tratta di un insieme di territori sparsi in ogni angolo del globo, dalle dimensioni territoriali e demografiche assai modeste (a parte il Territorio antartico britannico, vastissimo ma del tutto disabitato), che hanno voluto mantenere un legame di dipendenza e/o di stretta associazione con il Regno Unito.bibliografia
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Politica economica e finanziaria
di Giulia Nunziante
La Gran Bretagna si presentava, all'inizio del 21° sec., forte di un quadro macroeconomico consolidato. Tuttavia, al dinamismo del settore dei servizi e della domanda interna - soprattutto del consumo privato - si contrapponeva l'impatto negativo sul saldo della bilancia commerciale e sulla produzione industriale del forte apprezzamento della sterlina (dalla seconda metà degli anni Novanta del 20° sec.) e della contrazione dell'economia nell'Europa continentale. Grazie a una politica fiscale volta a garantire una gestione prudente della finanza pubblica, mediante la realizzazione di numerosi interventi strutturali mirati a incrementare la produttività delle imprese e a vivacizzare il mercato del lavoro, e con il contributo di una politica monetaria indirizzata ad attenuare l'instabilità dei mercati nazionali e internazionali, il Paese conseguì risultati economici positivi: un'espansione media della produzione leggermente inferiore al 3%, un tasso d'inflazione stabile e tra i più bassi dell'Unione Europea, una disoccupazione in progressivo miglioramento, scesa ai livelli più bassi registrati nei due decenni precedenti, una significativa incidenza degli investimenti sul livello della produzione nazionale.
La politica fiscale del governo registrò un drastico cambiamento di impostazione nel dicembre del 1998. Infatti, con la promulgazione del Codice di stabilità fiscale, le autorità competenti si impegnarono ad assicurare maggiore trasparenza al processo di determinazione degli obiettivi di politica economica, di attuazione degli interventi e di valutazione dei risultati conseguiti. Nel medio periodo, la manovra fiscale sarebbe stata realizzata e giudicata sulla base del rispetto di due regole. La prima, denominata regola d'oro, consentiva al governo, nel corso di un ciclo economico, di ricorrere all'indebitamento mediante emissione di titoli pubblici esclusivamente per finanziare investimenti e non per coprire le spese correnti. Il rispetto di tale vincolo costringeva le autorità economiche a realizzare il pareggio o, meglio ancora, l'avanzo di budget corrente. Inoltre, in base alla regola dell'investimento sostenibile, il debito netto pubblico doveva comunque essere mantenuto a un livello stabile e prudente, che il governo indicava al di sotto del 40% del PIL. In questo periodo fu rivista la gestione delle spese pubbliche in una prospettiva di lungo periodo: la metà circa delle uscite statali fu collocata in un orizzonte temporale pluriennale. Le amministrazioni pubbliche, anch'esse richiamate al rispetto di principi di maggiore chiarezza e trasparenza, furono invitate a informare i cittadini sui propri obiettivi 'produttivi'; in cambio venne loro concessa una maggiore autonomia nella gestione delle spese. Furono infine introdotti nuovi criteri di contabilità e forme di budget patrimoniali, con la finalità di razionalizzare la gestione delle voci in attivo del bilancio statale. Questo complesso di misure, insieme alla revisione del calendario e della documentazione fiscale, contribuì a ridurre la possibilità per le autorità economiche di realizzare 'ritocchi' opportunistici ai conti pubblici. Gli orientamenti di fondo della politica fiscale furono individuati nella promozione della crescita del Paese e nel sostegno, ove possibile, agli obiettivi di politica monetaria garantendo stabilità al sistema. A partire dalla fine del 1998 e fino al 2000, il governo realizzò un inasprimento della sua azione di consolidamento dei conti pubblici. Di conseguenza, nella successiva fase di contrazione del ciclo economico, grazie alle maggiori disponibilità, le autorità economiche poterono incrementare le spese. Tuttavia, il protrarsi delle difficoltà dell'economia portò a un nuovo peggioramento dei conti pubblici, che registrarono un disavanzo a partire dal 2002.
Le politiche strutturali realizzate dal governo furono dirette principalmente a favorire la crescita della produttività - che si manteneva a livelli inferiori rispetto alle principali economie avanzate - e il dinamismo imprenditoriale. Gli investimenti furono promossi con la riduzione dell'aliquota fiscale sul reddito delle imprese e l'introduzione di un regime fiscale privilegiato per le aziende più piccole. Nel 2000 entrò in vigore un'importante legge di tutela della concorrenza, che consentì l'allineamento del Paese agli indirizzi dell'Unione Europea in materia di divieto degli accordi non-concorrenziali e di lotta ai reati di abuso di posizione dominante. Furono incrementati i poteri dell'autorità garante e inasprite le sanzioni pecuniarie. Nel 2002 fu garantita la piena indipendenza delle autorità di tutela del mercato interno e furono rafforzati i loro poteri investigativi. Infine, nel 2004 il governo intervenne direttamente per promuovere la concorrenza in alcuni settori, quali i servizi legali, i servizi finanziari e il mercato dell'energia. Al fine di favorire la creazione di nuove imprese e la spesa del settore privato in ricerca e sviluppo, a partire dal 2000 furono deliberati alcuni sgravi di natura fiscale e furono realizzate azioni di promozione allo scopo di facilitare l'accesso degli operatori al sistema di incentivi alla ricerca.
Con l'obiettivo di incrementare le opportunità occupazionali e raggiungere entro il 2010 la piena occupazione, fu di fatto aumentata la flessibilità del mercato del lavoro e si tentò di attenuare le forme più vistose di esclusione sociale e di ridurre il livello di povertà. Questi programmi di 'New Deal' furono rivolti in primo luogo ai giovani e successivamente ai disoccupati di lunga durata e ai loro congiunti, e ai portatori di handicap. Il governo deliberò inoltre un aumento delle spese per l'istruzione e la formazione, con l'intento di elevare la qualificazione professionale. Per facilitare l'inserimento dei giovani nel mondo del lavoro furono incoraggiate forme di collaborazione tra scuole e imprese, e fu ampliata la dotazione informatica e tecnologica delle scuole. Lo Stato introdusse infine una sovvenzione forfetaria a favore delle persone che aprivano un conto bancario speciale mirato a finanziare la propria formazione professionale. La ridistribuzione della ricchezza a favore della componente più disagiata della società fu perseguita mediante l'introduzione di uno scaglione di imposta con un'aliquota del 10% per i redditi minori e di altre modifiche al sistema impositivo.
Il settore sanitario, già riformato nel corso degli anni Novanta, fu oggetto di un maggiore controllo statale della spesa, promuovendo tra l'altro il ricorso a iniziative di finanziamento privato. Gli erogatori del servizio (ospedali e corpo medico) furono invitati a un maggiore rigore nel rispetto dei vincoli imposti dal budget e furono incentivati a migliorare la qualità del servizio. Per quanto concerne il sistema previdenziale, anche in vista dell'invecchiamento della popolazione e del conseguente maggior onere futuro per le finanze statali, venne incoraggiato il ricorso a forme private e volontarie di previdenza.
Anche la politica monetaria subì una profonda revisione a partire dal 1998. La trasparenza delle misure prese dalle autorità monetarie venne perseguita mediante la definizione chiara delle condizioni economiche che avrebbero richiesto l'intervento della Banca centrale. La separazione delle decisioni di politica monetaria dagli orientamenti politici di breve termine e la definizione delle responsabilità dei diversi organi coinvolti - con il supporto anche di esperti esterni - assicurò il consolidamento della credibilità del sistema di gestione della politica monetaria britannica presso gli operatori nazionali e internazionali. L'obiettivo principale rimaneva la stabilità dei prezzi, perseguita con immediati (se non preventivi) interventi di variazione del tasso di interesse in corrispondenza tanto di spinte inflazionistiche quanto di pressioni deflazionistiche (v. tab.).
Storia
di Francesco Bartolini
Nel corso del 2000, dopo un calo di consensi per il Partito laburista (Labour Party) amplificato dai dissidi interni culminati nell'espulsione di K. Livingstone (poi eletto sindaco di Londra nel maggio 2000), il governo di Blair rafforzò la sua popolarità giovandosi della crescita economica e dello stanziamento di maggiori fondi per servizi e pensioni. Ma all'inizio del 2001 l'esecutivo divenne bersaglio di aspre critiche: prima per le accuse al ministro dell'Irlanda del Nord, P. Mandelson, costretto a dimettersi per aver indebitamente aiutato un imprenditore indiano a ottenere la cittadinanza britannica (genn.), poi per là di arginare l'epidemia dell'afta epizootica (febbr.), un virus che colpì migliaia di pecore, maiali e capre provocando danni ingenti a un settore, quello dell'allevamento, ancora in crisi per gli effetti dell'encefalopatia spongiforme bovina (BSE, Bovine Spongiform Encephalopaty). Nella campagna elettorale per le politiche del giugno 2001, però, il Partito laburista riguadagnò consensi impegnandosi per un miglioramento dei servizi e un contenimento delle tasse. Riuscì così a confermarsi al governo conquistando 413 seggi su 659 (con il 40,7% dei voti), mentre il Partito conservatore (Conservative and Unionist Party) ne ottenne 166 (31,7%) e i liberaldemocratici (Liberal Democrats) 53 (18,3%). Malgrado la scarsa affluenza alle urne (59,4%, la percentuale più bassa dal 1918), il risultato elettorale rappresentò un notevole successo per Blair, e provocò tra l'altro le dimissioni del leader conservatore W. Hague, poi sostituito da I. Duncan Smith (sett.). Ma la nuova agenda politica del governo laburista, incentrata sulla realizzazione di riforme economico-sociali considerate indispensabili per rendere maggiormente competitivo il Paese, venne sconvolta dagli attentanti a New York e Washington (sett. 2001), che trasformarono la lotta al terrorismo internazionale in una priorità assoluta. Blair, infatti, si schierò subito con il presidente statunitense G.W. Bush e ne appoggiò con forza il progetto per un intervento militare in Afghānistān, offrendo truppe e mezzi. Apparve così come il leader europeo più determinato a sostenere la necessità di un'azione energica per sconfiggere il terrorismo islamico. Il premier, inoltre, s'impegnò per l'introduzione in Gran Bretagna di una nuova legislazione antiterroristica che prevedeva la possibilità di tenere in carcere senza processo gli stranieri sospettati di far parte di organizzazioni eversive. Queste norme, approvate dal Parlamento nel dicembre 2001, suscitarono forti critiche non solo nell'opinione pubblica, ma anche all'interno dello stesso Partito laburista. Le difficoltà maggiori per il governo, tuttavia, arrivarono quando Blair decise di appoggiare i piani statunitensi per un attacco militare all'Irāq. Nel corso del 2002 il governo britannico sostenne la campagna diplomatica di Bush per costringere il leader iracheno Ṣ. Ḥusayn ad accettare le ispezioni delle Nazioni Unite agli arsenali militari, e presentò a settembre un dossier che avvalorava la presenza di armi di distruzione di massa in ̔Irāq. In seguito, fallito l'obiettivo di ottenere un vasto consenso internazionale per un intervento militare, Blair non esitò a schierarsi con gli Stati Uniti (marzo 2003) nella decisione di ricorrere alla forza anche senza un mandato delle Nazioni Unite. Questa scelta suscitò proteste di piazza e dissensi nel Partito laburista: i ministri C. Short e R. Cook annunciarono le dimissioni, mentre 139 deputati laburisti votarono una mozione per condannare l'attacco. Il Parlamento, comunque, approvò la decisione del governo con 412 voti contro 149. L'esercito britannico partecipò all'occupazione dell'Irāq e, concluse le operazioni militari (maggio 2003), assunse in luglio il comando delle forze multinazionali dislocate nelle regioni sud-orientali. Non cessarono, tuttavia, le critiche contro l'operazione militare, alimentate dal precario controllo della situazione nel Paese mediorientale e dal mancato ritrovamento delle armi di distruzione di massa. Al riguardo scoppiò anche un acceso contrasto tra il governo e la BBC, che accusò l'esecutivo di aver manipolato le informazioni dei servizi segreti che avrebbero dovuto giustificare l'urgenza di un intervento militare. Alla fine di una tormentata vicenda, che spinse anche al suicidio un consulente del governo, tre diverse inchieste scagionarono Blair dal sospetto di aver voluto ingannare l'opinione pubblica britannica, pur sottolineando alcuni sostanziali errori di valutazione da parte del governo e degli apparati di sicurezza.
Le divisioni provocate dalla guerra in ̔Irāq penalizzarono l'azione del governo anche nella politica interna. Nonostante la persistente debolezza dei conservatori, chiamati a scegliere il quarto leader in sei anni (M. Howard, ott. 2003), Blair fu costretto a confrontarsi con crescenti resistenze ai suoi progetti di riforma. Da una parte, alcuni settori della Camera dei Lords si opposero ai piani per una serie di modifiche costituzionali, che prevedevano l'eliminazione dei seggi ereditari (ridotti nell'ottobre 1999) e la costituzione di una Corte suprema (approvata nel marzo 2005), dall'altra un gruppo consistente di deputati laburisti provò a contrastare l'approvazione della riforma della sanità e dell'assistenza sociale (nov. 2003), che introduceva principi di liberalizzazione e tagli alle spese, e quella dell'istruzione universitaria (genn. 2004), che aumentava le tasse garantendo però borse di studio ai meritevoli. Nel 2004 altri segnali testimoniarono una progressiva riduzione del consenso per i laburisti: se è vero infatti che Livingstone, rientrato nei ranghi del partito, conquistò un secondo mandato alla guida del municipio della capitale, tuttavia in altre elezioni locali e alle europee il partito di Blair subì in giugno secche sconfitte. Un insuccesso per il governo si rivelò anche un referendum per concedere poteri di autogoverno alle regioni nord-orientali dell'Inghilterra (nov.), respinto dal 78% dei votanti. Infine, le dimissioni del ministro dell'Interno D. Blunkett (dic.), accusato di aver sollecitato un permesso di soggiorno per una dipendente della sua ex amante, assestarono un altro duro colpo alla credibilità dell'esecutivo. Blair, tuttavia, non cambiò posizione rispetto alla guerra irachena e alla necessità di un atteggiamento duro nella lotta contro il terrorismo.
Pur riconoscendo errori di valutazione e difficoltà impreviste, il premier continuò a sostenere la legittimità della guerra, giustificata a suo giudizio dal rovesciamento della dittatura di Ḥusayn. Né rinunciò ai propositi di rafforzare la legislazione antiterrorismo, anche dopo che l'Alta corte giudicò (dic. 2004) le norme approvate nel 2001 discriminatorie e contrastanti con il rispetto dei diritti umani. Nel febbraio 2005, infatti, il governo presentò una nuova legge che prevedeva la possibilità per il Ministero dell'Interno di imporre una serie di misure di controllo su britannici e stranieri sospettati di avere legami con le organizzazioni terroristiche. Questo progetto suscitò forti opposizioni, anche tra i laburisti, e il governo fu costretto a modificarlo riservando maggiori poteri di intervento alla magistratura (marzo). Ad aprile il premier decise di convocare le elezioni per maggio, con oltre un anno di anticipo rispetto alla scadenza naturale della legislatura. Blair annunciò che questa sarebbe stata la sua ultima candidatura alla guida del governo, e i laburisti condussero una campagna elettorale concentrata soprattutto sui temi economici e sociali, promettendo un maggior impegno nel miglioramento dei servizi pubblici. I conservatori, invece, decisero di puntare sui problemi dell'immigrazione, scegliendo come priorità la sicurezza sociale e la riduzione delle tasse. Alle urne i laburisti persero seggi rispetto al 2001, ma ne ottennero comunque 355 su 645 (con il 35,2% dei voti), sufficienti per conquistare un terzo mandato al governo. Inferiori alle aspettative furono i risultati del Partito conservatore e dei liberaldemocratici: per i primi 197 seggi (32,3%), per i secondi 62 (22,1%). Il leader dei conservatori, Howard, annunciò le dimissioni. L'attività del governo laburista fu però ancora una volta condizionata dall'emergenza terrorismo.
Il 7 luglio, a Londra, quattro musulmani britannici di origine pachistana compirono un attacco suicida, il primo attacco nell'Europa occidentale: tre si fecero esplodere nella metropolitana e uno in un autobus, provocando 52 morti e oltre 700 feriti. Il governo reagì intensificando l'azione repressiva e preparando un inasprimento della legislazione antiterrorismo. A settembre fu presentata una nuova legge che prevedeva, tra l'altro, la detenzione senza processo fino a tre mesi e la punibilità di chi esaltava (glorify) il terrorismo. Come nel 2001, sorsero forti resistenze, e proprio sull'estensione dei termini di detenzione il governo laburista fu per la prima volta sconfitto (nov.) in un voto alla Camera dei Comuni. Tra la fine del 2005 e l'inizio del 2006 Blair sembrò in difficoltà: arrivarono notizie di un rallentamento della crescita economica e uno scandalo coinvolse ancora un volta Blunkett, rientrato al governo ma di nuovo costretto alle dimissioni per aver svolto consulenze illecite per conto di alcune società private. I conservatori nel dicembre 2005 avevano scelto come loro leader D. Cameron, un giovane capace di ridare fiducia all'opposizione avviando una più efficace propaganda contro il premier. Il governo, comunque, riuscì a raggiungere alcuni dei suoi obiettivi, come l'introduzione della carta d'identità per i cittadini britannici (peraltro facoltativa, almeno fino alla fine del 2009) e l'approvazione del reato di esaltazione del terrorismo (febbr. 2006). Ma alle elezioni locali in Inghilterra nel maggio 2006 il Partito laburista subì una secca sconfitta.
In politica estera l'impegno di Blair nella guerra in ̔Irāq, insieme all'abbandono del progetto di un rapido ingresso del Paese nell'Unione monetaria europea, ha in parte penalizzato i rapporti della Gran Bretagna con la Francia e la Germania, a vantaggio di un legame più stretto con gli Stati Uniti. In realtà Blair, dopo aver svolto un ruolo decisivo nella guerra contro la Iugoslavia (marzo-giugno 1999), non aveva nascosto l'intenzione di candidarsi a guida di un processo di rinnovamento della politica comune europea, che avrebbe dovuto accompagnare una più attiva partecipazione di Londra nell'Unione Europea (UE). Ma gli attentati negli Stati Uniti del 2001 e le successive divisioni internazionali sulle strategie per contrastare il terrorismo islamico cambiarono radicalmente lo scenario politico. Il dissidio con Parigi e Berlino sulla guerra irachena, infatti, indebolì l'azione del premier per una riforma della UE, auspicata all'inizio del suo secondo mandato. Tra l'altro, nel giugno 2003, il governo laburista annunciò un rallentamento nel processo di avvicinamento all'euro, giustificandolo con valutazioni di convenienza economica e con la necessità di superare lo scetticismo dell'opinione pubblica nazionale, in maggioranza contraria a una più stretta integrazione europea. Non contribuirono poi a migliorare i rapporti con la Francia e la Germania i successivi scontri sui bilanci comunitari legati all'allargamento della UE, né la decisione di Londra di annullare il referendum sulla Costituzione europea dopo il voto negativo in Francia e nei Paesi Bassi (giugno 2005). Ma non mancarono divergenze anche con gli Stati Uniti, soprattutto riguardo alle modalità di detenzione dei sospetti terroristi nella base militare statunitense di Guantanamo. Londra, inoltre, continuò a conservare un ruolo da protagonista negli sforzi della diplomazia internazionale per arginare la proliferazione nucleare, partecipando alle trattative con la Libia - che, dopo aver ripristinato le relazioni con la Gran Bretagna nel 1999, annunciò la rinuncia all'atomica alla fine del 2003 - e con l'Irān.
Questione irlandese
Dopo l'accordo del 1998, che sanciva il diritto all'autodeterminazione dell'Ulster, il processo di pace rimase a lungo in stallo. Gli unionisti, infatti, reclamavano il completo disarmo dell'IRA (Irish Republican Army) come condizione per l'ingresso dei repubblicani del Sinn Féin di G. Adams nell'esecutivo nordirlandese. Questi ultimi, a loro volta, si limitavano a promettere un impegno futuro dell'IRA ad abbandonare le armi. Malgrado i contrasti, nel dicembre 1999 fu comunque formato un governo dell'Ulster. Due mesi dopo, però, davanti alla stasi delle trattative politiche, Londra revocò i poteri al governo di Belfast e assunse di nuovo il controllo diretto della regione. Nel maggio 2000, dopo la decisione dell'IRA di sigillare le armi in bunker segreti (aperti, però, alle ispezioni della commissione per il disarmo), il governo britannico ritornò sui suoi passi e a novembre D. Trimble, leader dell'Ulster Unionist Party, divenne capo del governo dell'Irlanda del Nord. Alle elezioni per il Parlamento britannico del giugno 2001 le forze radicali si rafforzarono a danno dei moderati: tra gli unionisti guadagnò seggi il Democratic Unionist Party di I. Paisley, tra i repubblicani il Sinn Féin. A luglio Trimble si dimise in segno di protesta per il mancato disarmo dell'IRA. Ma a ottobre quest'ultima annunciò la messa fuori uso di una parte consistente degli armamenti, e il mese successivo Trimble decise di ritornare alla guida del governo. Nel corso del 2002 il processo di pace fu messo a rischio da nuove violenze nelle strade di Belfast e da un raid della polizia negli uffici dello Sinn Féin, sospettato di aiutare l'IRA a spiare l'attività del governo nordirlandese. A ottobre l'esecutivo britannico riprese il controllo diretto della regione. Alle elezioni per l'Assemblea nordirlandese del novembre 2003, il partito di Paisley, sostenitore di una revisione dell'accordo del 1998, conquistò 30 seggi su 108, divenendo la prima forza politica nell'Ulster. Da allora la trattativa tra unionisti e repubblicani avanzò faticosamente per poi subire un nuovo blocco alla fine del 2004, quando l'IRA fu accusata di aver organizzato una rapina in una banca di Belfast. Nell'aprile 2005 Adams invitò pubblicamente l'IRA ad abbandonare la lotta armata. Alle elezioni di maggio per il Parlamento britannico, i partiti di Paisley e di Adams ottennero buoni risultati, al contrario di quello di Trimble, che perse quattro seggi su cinque. A luglio l'IRA fece l'annuncio a lungo atteso, proclamando la fine della lotta armata e la rinuncia alla violenza. A settembre una commissione internazionale certificò il disarmo, ma le trattative per la definitiva pacificazione non registrarono progressi immediati.
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