Vedi Grecia dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
La collocazione geografica della Grecia ha storicamente reso il paese una cerniera naturale tra l’Europa occidentale e il Vicino Oriente, rendendolo storicamente vulnerabile a conflitti e gravi periodi di crisi. Il paese confina a nord con Albania, Macedonia e Bulgaria e si estende verso sud con le sue oltre 1400 isole che, bagnate dal Mar Mediterraneo, sorgono di fronte alla Turchia, paese con cui i rapporti sono sempre stati difficili per via degli antichi contenziosi territoriali e della questione di Cipro. Per tutto il periodo della Guerra fredda la Grecia è stata l’argine sud-occidentale del blocco atlantico nella politica di contenimento dell’espansionismo sovietico. Durante gli anni Novanta, invece, ha giocato un ruolo di primo piano nello sforzo di stabilizzazione dei Balcani. Con l’inizio del Ventunesimo secolo, la centralità assunta dalla lotta internazionale al terrorismo e alle reti transnazionali della criminalità organizzata hanno una volta di più evidenziato la rilevanza della collaborazione di uno stato come la Grecia, al confine tra mondo cristiano e mondo musulmano, e posta a presidio di un territorio strategico anche per i traffici lungo le rotte mediterranee. Grave e massiccio è, a tutt’oggi, il fenomeno dell’immigrazione clandestina, che attraversa la Grecia nel tentativo di raggiungere altre mete occidentali. Benché la gravissima crisi economica degli ultimi anni abbia fatto temere una fuoriuscita forzata dall’euro e benché il paese sia attraversato da forti istanze anti-europeiste, la Grecia è ancora solidamente parte dell’Unione Europea. Al processo di integrazione europea ha partecipato sin dal 1981 con l’ingresso nella Comunità economica europea (Eec). La Grecia è poi membro della Nato dal 1952, salvo una breve fuoriuscita a seguito della crisi cipriota tra il 1974 e il 1980, ed è attiva sul piano della cooperazione regionale, in particolar modo attraverso l’Organizzazione per la cooperazione economica nel Mar Nero. A livello bilaterale le relazioni politiche più intense e spesso controverse sono quelle che la Grecia ha sviluppato con i paesi confinanti.
Con la Macedonia, per esempio, esiste un’aspra e ventennale disputa legata alla legittimità dell’utilizzo da parte di Skopje del nome costituzionale di ‘Repubblica di Macedonia’. Secondo Atene, l’adozione di questo nome implicherebbe rivendicazioni sui territori della Macedonia greca. Sulla questione, la Grecia ha assunto posizioni che pesano sul piano multilaterale: Atene ha vincolato alla risoluzione condivisa della controversia il proprio assenso all’ingresso della Macedonia tanto nella Nato, quanto nell’Unione Europea (Eu). Anche i rapporti con l’Albania sono caratterizzati da tensioni latenti, legate principalmente alle condizioni della minoranza greca stanziata nelle regioni meridionali del paese e alla perdurante emergenza sociale creata dagli immigrati albanesi in Grecia (stimati intorno ai 600.000, per lo più irregolari, anche se in diminuzione a causa della grave crisi economica). È però con la Turchia che esistono i contenziosi più rilevanti e datati: dalla questione cipriota, sviluppatasi dal secondo dopoguerra, alla delimitazione delle acque territoriali nel Mar Egeo e degli spazi aerei, dalla demilitarizzazione delle isole sotto controllo greco in prossimità della costa turca sino al trattamento riservato da Ankara e Atene alle rispettive minoranze.
Anche la politica interna ha risentito della particolare collocazione geopolitica della penisola ellenica, specie durante gli anni della Guerra fredda, quando la contrapposizione bipolare e gli interessi del blocco occidentale, di cui la Grecia faceva parte, irrigidirono notevolmente il clima e le dinamiche politiche interne. Il termine della Seconda guerra mondiale aveva coinciso con lo scoppio di una guerra civile. Da una parte, la destra greca, posta al governo del paese alla fine dell’occupazione nazista e appoggiata da Stati Uniti e Regno Unito, dall’altra il partito comunista, che aveva guidato il movimento di resistenza ed era favorevole all’abolizione della monarchia. Durata tre anni, dal 1946 al 1949, la guerra civile greca si concluse con la sconfitta della sinistra e la sua marginalizzazione politica e sociale. Le tensioni e le divisioni tra i due schieramenti sarebbero tuttavia rimaste una costante nel panorama politico greco per tutta la seconda metà del Novecento, esacerbate peraltro dai sette anni della dittatura dei colonnelli, che dal 1967 al 1974 interruppe la vita democratica del paese. L’8 dicembre del 1974 un referendum popolare si pronunciò per l’abolizione della monarchia e il 7 giugno del 1975 fu adottata una nuova Costituzione che sanciva l’istituzione della repubblica parlamentare. Capo di stato è il presidente della Repubblica, che svolge prevalentemente funzioni di rappresentanza e cerimoniali. Il potere legislativo è invece esercitato da un parlamento monocamerale, composto da 300 membri. I deputati sono eletti per un mandato quadriennale con un sistema di tipo proporzionale, che prevede uno sbarramento del 3% e un premio di maggioranza di 40 seggi da assegnare al partito che ottiene più voti. Dalla ripresa della normalità democratica nel 1974, la politica interna greca ruota principalmente attorno a due partiti e alla loro alternanza alla guida del paese: uno socialdemocratico, il Movimento socialista panellenico o Pasok, l’altro liberal-conservatore, la Nuova democrazia.
La grave crisi economica, ma anche politica e sociale, che la Grecia sta vivendo, rischia di compromettere questi equilibri. Nell’ottobre 2009 le elezioni vennero vinte dal Pasok guidato da George Papandreou, che ereditò il governo di un paese con un debito di 367 miliardi di euro, accumulatosi in decenni di spese pubbliche senza freni e bilanci ritoccati. Nel novembre 2011, al rientro dal vertice di Cannes del G20, Papandreou fu costretto a scoprire le carte, rivelando che il paese si trovava a un passo dal default. Venne varato un governo tecnico di emergenza nazionale, affidato alle prestigiose mani di Lucas Papademos, ex vicepresidente della Banca centrale europea (Ecb). A Papademos venne affidato il difficile compito di negoziare i prestiti con i maggiori organismi internazionali per salvare il paese.
Alle elezioni parlamentari del maggio 2012 Nuova democrazia otteneva la maggioranza relativa, non sufficiente per formare un governo. La ripetizione delle votazioni, nel giugno dello stesso anno, affidava il governo del paese a una coalizione formata da Nuova democrazia, Pasok e Dimar, piccolo partito della Sinistra democratica, fuoriuscito dalla coalizione nel giugno 2013. Da un lato le condizioni pur sempre critiche dell’economia greca, dall’altro, lo stallo istituzionale nato a seguito della mancata elezione nel dicembre 2014 del nuovo presidente della Repubblica - infatti secondo la Costituzione greca se non si dovesse riuscire ad eleggere il capo dello stato entro tre turni si scioglie il parlamento e si indicono nuove consultazioni - ha portato il paese ad andare a nuove elezioni anticipate che hanno visto la vittoria netta di Syriza guidato dal giovane leader Alexis Tsipras. Non godendo per soli due seggi della maggioranza assoluta, Syriza ha dovuto allearsi con il partito dei Greci indipendenti (Anel), una formazione della destra nazionalista, anch’essa figlia della grande crisi che ha travolto il paese. Per quanto all’apparenza innaturale, la nuova coalizione di governo è unita dalla comune volontà di interrompere o quanto meno rivedere il piano di aiuti imposti dalla troika alla Grecia sin dal 2010.
Se l’obiettivo del governo conservatore guidato da Samaras era stato di varare le riforme strutturali necessarie per migliorare le pessime finanze pubbliche e ottenere le tranches dei prestiti concessi dalla troika, il nuovo premier Tsipras, in discontinuità con il recente passato, ha improntato un’agenda politica volta a ridefinire in parte i precedenti accordi. Pur rimanendo sensibile ai richiami di Bruxelles sul non allentamento dei ferrei vincoli finanziari in tema di bilancio pubblico, il nuovo esecutivo vorrebbe rinegoziare l’erogazione dell’ultima tranche (2 miliardi di euro) del salvataggio da 240 miliardi che i paesi dell’Unione Europea e il Fondo monetario internazionale hanno erogato alla Grecia, in cambio dell’implementazione delle riforme. Secondo il nuovo governo una rimodulazione del debito renderebbe più sostenibile la ripresa nel paese senza gravare ulteriormente in tagli alla spesa pubblica nazionale.
Le eccezionali misure di austerity e riduzione della spesa pubblica, assieme all’aumento della pressione fiscale, hanno infatti messo a dura prova la stabilità finanziaria e sociale dei cittadini greci. Il piano di salvataggio per tenere il paese nell’eurozona, concesso dall’Europa a condizioni molto stringenti, è stato molto doloroso. Tra le misure adottate per il riordino dei conti anche un piano che rivoluziona l’organizzazione amministrativa del paese: pesanti i tagli al settore pubblico, scuola e informazione comprese, diverse privatizzazioni, la riforma delle pensioni. Le politiche intraprese dal governo per uscire dalla crisi hanno provocato una forte crescita dell’euroscetticismo nel paese.
L’ingresso in parlamento nel 2012 del partito di estrema destra Alba dorata – costituito da Nikos Mihaloliakos nel 1980, poi registrato nel 1993 –, che ha ottenuto per la prima volta 18 seggi, un dato parzialemente confermato anche nelle consultazioni del gennaio 2015 con 13 scranni, ha sconcertato anche gli osservatori esterni. La campagna elettorale era basata sullo slogan «Così possiamo liberare questa terra dalla sporcizia»: l’attacco era diretto agli immigrati. In seguito a un’escalation di violenze nel paese, il partito è stato rapidamente estromesso dal parlamento a fine settembre 2013 e il suo leader è stato arrestato. Infatti, in occasione delle elezioni europee del maggio 2014, i cittadini greci hanno espresso un forte sostegno per Syriza che già alle elezioni parlamentari del giugno 2012 era divenuto la seconda forza politica del paese. Nonostante il forte risultato delle elezioni europee e quello soprattutto esaltante del gennaio 2015, vi è forte scetticismo circa le reali capacità di governo di Syriza a livello nazionale.
La popolazione greca è composta da poco più di 11 milioni di persone, 4 milioni delle quali vivono nell’area metropolitana comprendente la capitale, Atene. La crescita demografica è negativa (-0,5% nel 2013) e gli ultrasessantenni sono quasi un quarto del totale della popolazione. La Grecia è stata tradizionalmente un paese di emigrazione. Dopo la Seconda guerra mondiale numerosi greci si spostarono verso l’Europa nord-occidentale (600.000 in Germania dal 1955 al 1973), Stati Uniti, Canada e Australia. Dagli anni Ottanta, con il ritorno della democrazia e lo sviluppo economico, il paese ha registrato un’inversione di tendenza, attirando greci precedentemente emigrati e immigrati da paesi asiatici e africani. Negli anni Novanta, con il crollo dei sistemi comunisti, è cominciato il flusso migratorio dall’Europa dell’Est, in particolare dall’Albania. La popolazione straniera è dunque stimata in più di 800.000 persone, il 62% delle quali ha origini albanesi. La precisione delle stime è limitata dalla diffusione del fenomeno dell’immigrazione irregolare, proveniente anche da Afghanistan, Iraq, Egitto, Pakistan e Georgia, e favorita dalle difficoltà di controllo dei confini greci, specie quello orientale. Secondo Frontex, l’agenzia europea per la gestione delle frontiere esterne dell’Eu, la Grecia rappresenta il principale paese d’accesso per i migranti irregolari che vogliono raggiungere l’Europa.
La Grecia è inoltre paese di destinazione e di transito di donne e bambini vittime del traffico di persone a fini di prostituzione e lavoro forzato, che provengono da Russia, Romania, Bulgaria, Ucraina, Moldavia e Albania. A causa della crisi si sta verificando un’ulteriore inversione di tendenza, con un aumento di greci che lasciano il paese verso stati economicamente più solidi, come la Germania.
La quasi totalità della popolazione (98%) è di religione cristiana ortodossa. Vi sono minoranze di musulmani (1,3%), ebrei, cattolici e protestanti. Il Trattato di Losanna del 1923 garantisce alla minoranza musulmana in Tracia il diritto di costituire associazioni (awqaf), il diritto all’istruzione in lingua turca e all’applicazione di alcuni princìpi di diritto islamico da parte dei mufti in materia di diritto di famiglia. Viceversa, gli altri gruppi religiosi non ricevono fondi e alcune minoranze etniche e religiose rischiano di essere socialmente discriminate. La Chiesa ortodossa, che tradizionalmente riceveva un sostegno economico dallo stato, con l’inasprirsi della crisi ha partecipato alla ricapitalizzazione della Banca nazionale e dal 2010 versa nelle casse dello stato una serie di contributi: è stata cioè equiparata alle altre persone giuridiche che pagano imposte.
L’istruzione è gratuita e obbligatoria dai 6 ai 15 anni. Gli ultimi tre anni di scuola secondaria sono di fatto visti come la preparazione agli esami di ammissione all’università e ciò, vista la difficoltà a essere ammessi negli atenei, ha sempre imposto uno standard elevato. L’università, gratuita, è accessibile solo a chi supera gli esami, che vengono gestiti da un comitato nazionale. Ciò spinge un elevato numero di studenti greci delle classi più agiate ad affrontare gli studi all’estero. Esistono anche alcuni istituti privati, ma i titoli rilasciati non sono riconosciuti ai fini di un impiego pubblico. La corruzione è stata e resta un grave problema per il paese, anche se la posizione della Grecia, all’80° posto su 177 paesi nel mondo secondo l’indice di Transparency International per il 2013, è notevolmente migliorata rispetto a due anni prima, in cui era al 94° posto.
I dati macroeconomici della Grecia rendono le dimensioni di un paese non soltanto in crisi economica, ma anche con caratteristiche strutturali che rendono l’uscita da tale crisi un processo difficile. La Grecia ha un pil pro capite piuttosto basso, pari ad appena 24.574 dollari misurato in parità di potere d’acquisto del 2014. A ciò si aggiunge un tasso di disoccupazione del 26,3% nel 2014, che saliva al 54,8% tra i giovani già nel 2012 e che, nell’estate del 2013, ha toccato il 60,8%. Grave è poi il rapporto debito/pil, pari al 174,7%. Anche la bilancia commerciale del paese è in sofferenza e registra un deficit commerciale negativo che nel 2013 è stato pari a 24.892 milioni di dollari.
Nonostante dagli anni Novanta sia in atto un programma di privatizzazioni, lo stato svolge ancora un ruolo significativo nell’economia nazionale, il sommerso ha dimensioni vaste e l’industria, che conta per il 16,5% del pil, non sembra strutturalmente abbastanza grande da poter trainare il paese fuori dalla crisi.
La Grecia produce prevalentemente cemento, alluminio, olio d’oliva, birra, tabacco, petrolio raffinato e ha un settore delle telecomunicazioni sviluppato. La produzione tessile, al pari di quanto accade in altri paesi occidentali, è in declino, penalizzata dalla concorrenza di paesi con manodopera a bassissimo costo come quelli asiatici e quelli dell’Europa dell’Est.
Il settore dei servizi contribuisce invece positivamente al 70,3% del pil ed è dominato dal turismo. Nel 2008 la Grecia ha ospitato circa 16 milioni di turisti, che hanno prodotto quasi 17 miliardi di euro di entrate: è diventata così il 16° paese al mondo per numero di turisti. Il flusso è però diminuito sia nel 2009 sia nel 2010. Nei primi sei mesi del 2014, gli ingressi turistici hanno fatto registrare un incremento del 17,1% rispetto all’anno precedente, portando l’obiettivo ufficiale dell’anno a 19 milioni di ingressi, un milione in più rispetto a quelli registrati nell’anno precedente.
Dopo una crescita media del 4,6% annuo tra il 2000 e il 2008, a partire dal 2009 il paese è entrato in una gravissima recessione economica (-9,7% di crescita del pil nel 2011). Atene ha evitato la bancarotta solo grazie a successive tranches di prestiti da 110, 130 e 30 miliardi, concessi dalla cosiddetta troika, in cambio di una politica di austerity. Tra le principali cause del dissesto finanziario, oltre alla corruzione e ai conti pubblici che sono stati di fatto truccati per anni, vi è stata l’enorme crescita del debito greco nel primo decennio del Ventunesimo secolo. Benché la Grecia sia entrata nell’eurozona dal gennaio 2002 dichiarando di rispettare i parametri di Maastricht sul debito (rapporto debito/pil al 60%) e sul deficit (rapporto deficit/pil al 3%), una successiva revisione operata da Eurostat ha dimostrato come i dati dichiarati non corrispondessero a quelli effettivi. Il prestito concesso nel febbraio 2012 ha evitato l’insolvenza della Grecia, dopo un acceso dibattito tra i paesi dell’Eu. La Germania, primo contribuente Eu con 22 miliardi di euro, ha acconsentito all’impopolare erogazione del prestito solo dopo l’impegno greco ad adottare misure drastiche per la riduzione del debito. Il dibattito verteva su due opzioni: salvare la Grecia anche se non aveva rispettato il patto di stabilità, o lasciare che arrivasse a un default dalle conseguenze devastanti per tutta la regione, anche considerando che il debito sovrano greco era detenuto in larga misura da banche francesi e tedesche. Conseguenza e segnale forte dello stato di crisi in cui versa il paese è stata la decisione di chiudere nel giugno 2013 la televisione di stato, la Ert. Alla chiusura si sono opposti con forza i dipendenti. L’ultimo episodio di resistenza risale al 7 novembre 2013, quando la polizia ha sgombrato la sede occupata dagli ultimi lavoratori rimasti nonostante la chiusura. Tecnici e giornalisti hanno dunque organizzato una precaria alternativa autofinanziata online, ertopen.com.
Il fabbisogno energetico greco pesa sui conti, come sottolineato nell’ultimo report del think tank Iobe. La produzione nazionale di petrolio non è significativa e per questo la maggior parte del greggio è importata, soprattutto dalla Russia, che contribuisce con quasi il 40%. Storicamente la Grecia ha cercato di sostituire il petrolio con la lignite, per sfruttare i propri giacimenti e ridurre la dipendenza dalle importazioni. Tuttavia tale politica è limitata dagli impegni a favore della riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, per il raggiungimento dei quali il governo ha favorito l’utilizzo del gas. Anche quest’ultimo viene in gran parte importato; mentre negli anni Novanta proveniva soprattutto dalla Russia, oggi, per effetto di una politica di diversificazione, arriva anche da Algeria e Azerbaigian.
La Grecia destina il 2,4% del proprio pil alla spesa militare, più del doppio della media degli altri stati dell’Unione. Si tratta di una percentuale rilevante, tendenzialmente costante negli anni, emblematica del fatto che Atene continua a considerare prioritario il mantenimento di ingenti forze militari, specie in considerazione delle tensioni con la Turchia. Storici e naturali interessi nell’area mediorientale hanno spesso spinto Atene a occuparsi del conflitto israelo-palestinese, rispetto al quale la Grecia ha tenuto una posizione filo-palestinese. Tale simpatia non ha tuttavia impedito che, a partire dalla fine degli anni Novanta, la Grecia avviasse con Israele un’intensa attività di cooperazione militare e una comune lotta antiterroristica. Alleato storico della Grecia sono gli Stati Uniti. Primi fornitori di armi della difesa greca, gli Usa intrattengono con Atene una consolidata partnership militare, che si è rinnovata in occasione della lotta al terrorismo internazionale. Il governo greco aveva risposto con un appoggio significativo all’operazione Enduring Freedom, lanciata dall’amministrazione Bush all’indomani degli attentati al World Trade Center del settembre 2001: lo spazio aereo venne messo a disposizione della campagna, venne fornito supporto logistico alle attività militari e vennero portate avanti importanti operazioni controterroristiche. I rapporti con la Nato sono tornati alla normalità da quando la Grecia ha deciso di rientrare nell’organizzazione, nel 1980. Atene si era infatti ritirata dalla sua struttura militare integrata nell’agosto del 1974, per protestare contro le mancate reazioni all’occupazione turca del nord di Cipro. Soldati greci sono dispiegati in due tra le principali operazioni militari della Nato, in Kosovo e Libano. Inoltre, sono circa un migliaio i soldati greci permanentemente dislocati a Cipro.
Il controllo dei traffici, delle rotte commerciali e dei flussi migratori che attraversano il Mediterraneo, la cooperazione economica e di sicurezza tra i paesi che vi si affacciano e, ancora, la stabilizzazione politica di instabili regioni vicine (Balcani e Medio Oriente) sono alcune istanze internazionali che vedono la Grecia particolarmente coinvolta. In ciascuno di questi ambiti il paese partecipa a importanti iniziative multilaterali messe in atto dai governi occidentali, negli ultimi due decenni, per la stabilizzazione politico-strategica dell’Europa sud-orientale. Tra queste ultime spiccano il Partenariato euromediterraneo, lanciato dall’Unione Europea a Barcellona nel 1995, il Dialogo mediterraneo della Nato, inaugurato dall’Alleanza atlantica l’anno precedente, o ancora il Processo di cooperazione dell’Europa sudorientale (Seecp), sempre in ambito europeo.
Potenziali minacce alla sicurezza nazionale giungono anche dall’interno del paese. Sono legate all’attività terroristica di matrice marxista e anarchica e alle frange di estrema destra, legate al partito Alba dorata. In particolare, nell’estate del 2002 la Grecia ha concluso operazioni anti-terrorismo che hanno condotto all’arresto di numerosi esponenti del gruppo terroristico ‘17 novembre’. Negli ultimi anni si è assistito a un ritorno degli attentati da parte di gruppi antimperialisti, a cui si sono aggiunte le azioni violente dell’estrema destra. In concomitanza con le proteste sociali legate ai tagli alla spesa pubblica previsti dal governo, dal 2010 si stanno verificando scontri di piazza e attentati, con esplosioni di bombe in aree sensibili di Atene.
La Turchia è storicamente considerata da Atene come la principale minaccia alla sicurezza nazionale. Il reciproco sospetto e l’antagonismo culturale e politico tra i due paesi possono ritenersi elementi fondanti del processo di creazione tanto delle rispettive identità nazionali, quanto dei relativi stati moderni. Fasi di conflitto aperto alternate a fasi di riconciliazione hanno così caratterizzato le relazioni tra i due paesi, fin da quando la Grecia si rese indipendente, nel 1829, dall’Impero ottomano. Da allora, infatti, è possibile contare ben quattro guerre (due Guerre greco-turche, nel 1887 e 1919-22, la Guerra balcanica del 1912 e la Prima guerra mondiale) e un discreto numero di crisi politiche, spesso arrivate alla soglia dello scontro armato.
I principali motivi di disaccordo, che rimangono quasi del tutto immutati anche oggi, si basano sia su motivi culturali, legati in primis alla differenza religiosa tra le due popolazioni, sia su un dualismo storico tradottosi negli anni nell’incapacità di risolvere le dispute bilaterali o raggiungere accordi su tipiche questioni di vicinato: demarcazione territoriale, controllo dei confini comuni, diritti di sfruttamento economico di zone a sovranità contestata o, ancora, il trattamento delle rispettive minoranze.
Proprio i problemi legati alla difficile convivenza interna tra le due popolazioni, e le rispettive minoranze etniche ospitate, sono state spesso la scintilla per l’accendersi di momenti di alta tensione politica: le condizioni della popolazione greca a Istanbul e il riconoscimento della Chiesa ortodossa di Costantinopoli, da un lato, e quelle delle minoranze musulmane, primariamente turche, che abitano la parte occidentale della Tracia, dall’altro. Lo strappo più rilevante, ancora oggi sentito dalle opinioni pubbliche nazionali greca e turca, riguarda la crisi di Cipro del luglio 1974 e la conseguente divisione politica e amministrativa dell’isola in due entità etnicamente omogenee – quella greca a sud e quella turca a nord. Grecia e Turchia sono inoltre arrivate alle soglie del conflitto armato diverse altre volte, anche in anni più recenti. Nel 1987, ad esempio, si sfiorò la guerra in occasione del cosiddetto ‘incidente di Sismik’, dal nome della nave turca che era in procinto di sconfinare nelle acque greche per effettuare esplorazioni petrolifere. Nel 1996 forti tensioni si verificarono, ancora, in relazione alla disputa sulla sovranità della minuscola isoletta dell’Egeo Imia/Kardak. Su questo sfondo, la fine degli anni Novanta ha segnato l’avvio di una nuova fase di distensione politica, inaugurata dalla cosiddetta ‘diplomazia dei terremoti’: una fase di intesa politica innescatasi sulla scorta delle reazioni di reciproca solidarietà verificatesi a seguito dei sismi che colpirono i due paesi nel 1999. Nel 1999, inoltre, la decisione greca di non porre il veto all’ingresso della Turchia nell’Eu spianò la strada, in occasione del Consiglio europeo di Helsinki, alla concessione ad Ankara dello status di candidato alla membership europea. Il primo anno e mezzo di governo Papandreu - già protagonista da ministro degli esteri greco (1999-2004) degli anni dell’intenso dialogo con il suo omologo turco Ismail Cem Ipekçi - ha segnato un ulteriore rafforzamento di questa nuova fase di rapporti bilaterali.
La sera del 18 settembre 2013 è stato ucciso nel quartiere di Keratsini, vicino al Pireo, la grande area portuale di Atene, il cantante rap Pavlos Fyssas, conosciuto con il nome di Killah P. Il 1° novembre 2013 due affiliati di Alba dorata sono stati ammazzati, sempre ad Atene, a colpi di pistola appena fuori da una sede del partito. L’eco di entrambi gli episodi ha varcato i confini nazionali perché rappresentano il punto a cui è arrivata la lacerazione del tessuto sociale greco. Si tratta, fra l’altro, solamente di due dei molti episodi di violenza, non tutti mortali, avvenuti nella capitale nel 2013.
La violenza è solo un aspetto della profonda crisi di Atene, specchio dell’abisso in cui è piombata l’intera nazione. Le fratture all’interno della società greca sono profonde e di difficile saldatura. In generale il paese si è politicamente spostato verso il centro e l’estrema destra. L’affermazione elettorale del partito neonazista Alba dorata è la punta dell’iceberg di un malessere con radici che si sono via via approfondite per diverse ragioni. Esiste una pesante legacy del passato, a cui si sono aggiunti il problema dell’immigrazione e la crisi economica. Per quanto riguarda l’eredità del passato, la destra ha radici profonde nel paese. I flussi migratori di cui la Grecia è stata meta negli ultimi decenni hanno alimentato i pregiudizi. L’intolleranza è spesso sfociata in episodi di razzismo, soprattutto nella capitale Atene. La voglia di ‘ripulire’ la capitale ha contaminato anche fasce insospettabili della popolazione autoctona. Inizialmente i flussi migratori provenivano dai Balcani, in particolare Albania, Bulgaria e Romania; mentre negli anni più recenti i migranti provengono da zone più lontane, da Africa e Asia. Le ricadute sociali dei tagli alla spesa pubblica richiesti come garanzia per l’erogazione dei prestiti non hanno fatto altro che alimentare il clima di tensione già fortissimo nel paese, soffiando sul fuoco di un euroscetticismo già diffuso.
Per contrastare il potere del movimento-partito Alba dorata e le sue azioni violente, anche a seguito di forti proteste di piazza, il 28 settembre 2013 il governo guidato dall’allora premier Samaras ha deciso di far arrestare il suo leader Nikos Mihaloliakos, incarcerato con altri tre dei 18 esponenti del partito eletti in parlamento. Dato che la Costituzione greca non prevede la messa al bando di un partito, l’accusa formale è di aver creato un’organizzazione criminale.
Nel mese di maggio 2014 l’Imf ha completato la quinta revisione della performance dell’economia greca legata all’Extended Fund Facility (Eff), il pacchetto di finanziamenti da circa 240 miliardi di euro accordato al paese sin dal 2010. Tale completamento ha permesso lo sblocco di un’ulteriore tranche da 3,41 miliardi di euro, che ha portato a 11,58 miliardi di euro il totale versato nelle casse greche dall’Imf.
In cambio, il governo greco si è impegnato a intraprendere un’ ulteriore serie di riforme in alcuni settori chiave della struttura politico-economica del paese. In primo luogo, Atene si è impegnata a una riforma strutturale del sistema e delle politiche fiscali: l’obiettivo era di raggiungere un surplus di bilancio pari all’1,5% del pil nel 2014 e al 3% del pil nel 2015. L’introduzione di una nuova tassa sulla proprietà e la riforma della tassa sul reddito sono tra gli strumenti legislativi adottati dalle autorità del paese per raggiungere questo ambizioso obiettivo.
In secondo luogo, Atene si era impegnata sul fronte della stabilità finanziaria: le quattro banche principali del paese sono state sottoposte a una seconda ricapitalizzazione, oltre che a una revisione del sistema di monitoraggio delle insolvenze e a un rafforzamento generale della supervisione sulle attività bancarie.
Infine, il governo greco aveva accettato di intraprendere più ampie riforme strutturali, adottando le raccomandazioni dell’Oecd per l’eliminazione degli ostacoli alla concorrenza in quattro settori-chiave: ciò prevede il varo di specifiche misure per la liberalizzazione di alcune attività economiche, lo stimolo alla concorrenza nel settore dell’energia, l’alleviamento dell’onere burocratico che grava sulle imprese e il miglioramento della qualità dei servizi pubblici nazionali.
Mentre gli aiuti dell’Imf sono destinati a continuare almeno fino al 2016, il secondo programma di salvataggio varato dalla troika nei confronti di Atene è destinato a esaurirsi il 28 febbraio 2015. Il varo di un terzo programma di aiuti è subordinato a un’ulteriore revisione dell’adempimento del governo greco alle richieste precedentemente formulate dai suoi finanziatori. La questione sembra essersi spostata però sulla possibilità di restituire la proprietà dell’agenda delle riforme al governo greco, togliendo alla troika la responsabilità della supervisione trimestrale del comportamento di Atene. Tale responsabilità passerebbe nelle mani di una task force della Commissione europea, che diminuirebbe la periodicità dei controlli a due volte all’anno.
Tuttavia l’incertezza politica seguita immediatamente dopo l’annuncio del governo di indire elezioni anticipate ha costretto le agenzie di rating a rivedere in negativo il giudizio sulla performance di lungo termine dell’economia greca. Allo stesso tempo, le stesse agenzie ritengono che la fine della recessione potrebbe essere vicina, pur restando il fatto che la ripresa sarà graduale, lenta e dipendente soprattutto da un contesto di stabilità politica.