Vedi Grecia dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
Propaggine meridionale della penisola balcanica protesa nel cuore del Mar Mediterraneo, la Grecia beneficia di una collocazione geografica che l’ha storicamente resa una cerniera tra l’Europa occidentale e il Vicino Oriente, influenzandone notevolmente politica interna ed estera. Per tutto il periodo della Guerra fredda la Grecia si trovò infatti ad essere l’argine sud-occidentale del blocco atlantico nella politica di contenimento dell’espansionismo sovietico, mentre durante gli anni Novanta ha giocato un ruolo di primo piano nello sforzo di stabilizzazione dei Balcani. Con l’inizio del 21° secolo, la centralità assunta dalla lotta internazionale al terrorismo e dalle reti transnazionali della criminalità organizzata hanno una volta di più evidenziato la rilevanza della collaborazione di uno stato come la Grecia, al confine tra mondo cristiano e mondo musulmano, e che controlla un territorio strategico anche per i traffici lungo le rotte mediterranee.
La Grecia è membro dei principali meccanismi di cooperazione euro-atlantici. Parte del processo di integrazione europea sin dal 1981 con l’ingresso nella Comunità economica europea (Eec), la Grecia è entrata a far parte della Nato nel 1952 e, dopo una breve fuoriuscita da essa a seguito della crisi cipriota nel 1974, vi ha fatto pieno ritorno nel 1980. È inoltra attiva sul piano della cooperazione regionale, in particolar modo attraverso l’Organizzazione per la cooperazione economica nel Mar Nero (Bsec).
A livello bilaterale le relazioni politiche più intense e spesso controverse sono quelle che la Grecia ha sviluppato con i paesi confinanti, principalmente in relazione a questioni di vicinato. Con la Macedonia, per esempio, esiste un’aspra e ventennale disputa legata alla legittimità dell’utilizzo da parte di Skopje del nome costituzionale di ‘Repubblica di Macedonia’: secondo Atene, infatti, l’adozione di questo nome implicherebbe rivendicazioni sui territori della Macedonia greca. Sulla questione la Grecia ha assunto posizioni che pesano sul piano multilaterale, in quanto Atene ha vincolato alla risoluzione condivisa della controversia il proprio assenso rispetto all’ingresso della Macedonia tanto nella Nato, quanto nell’Unione Europea (Eu). Anche i rapporti con l’Albania sono caratterizzati da tensioni latenti, legate principalmente alle condizioni della minoranza greca stanziata nelle regioni meridionali del paese e alla perdurante emergenza sociale legata al numero di immigrati albanesi in Grecia (stimati intorno ai 600.000, per lo più irregolari anche se in diminuzione a causa della violenta crisi che il paese sta attraversando). È tuttavia con la Turchia che esistono i contenziosi più rilevanti e datati: dall’annosa questione cipriota alla delimitazione delle acque territoriali nel Mar Egeo e dei rispettivi spazi aerei, dalla demilitarizzazione delle isole sotto controllo greco in prossimità della costa turca sino al trattamento riservato da Ankara e da Atene alle rispettive minoranze.
Anche la politica interna ha risentito della particolare collocazione geopolitica della penisola ellenica, specie durante gli anni della Guerra fredda, quando la contrapposizione bipolare e gli interessi del blocco occidentale, di cui la Grecia faceva parte, irrigidirono notevolmente il clima e le dinamiche politiche interne. La fine della Seconda guerra mondiale aveva coinciso infatti con lo scoppio di una guerra civile tra la destra greca, restauratasi al governo del paese dopo l’occupazione nazista e appoggiata da Stati Uniti e Regno Unito, e il partito comunista, che aveva guidato il movimento di resistenza ed era favorevole all’abolizione della monarchia. Durata tre anni, dal 1946 al 1949, la guerra civile greca si concluse con la sconfitta della sinistra e la sua marginalizzazione politica e sociale. Le tensioni e le divisioni tra i due schieramenti sarebbero tuttavia rimaste una costante nel panorama politico greco per tutta la seconda metà del Novecento, esacerbate peraltro dai sette anni della Dittatura dei Colonnelli, che dal 1967 al 1974 interruppe la vita democratica del paese.
L’8 dicembre del 1974 un referendum popolare si pronunciò per l’abolizione della monarchia e il 7 giugno del 1975 fu adottata una nuova Costituzione che sanciva l’istituzione della repubblica parlamentare. Capo di stato è il presidente della Repubblica, che svolge prevalentemente funzioni di rappresentanza e cerimoniali. Il potere legislativo è invece esercitato da un Parlamento monocamerale, composto da 300 membri. I deputati sono eletti per un mandato quadriennale con un sistema di tipo proporzionale, che prevede uno sbarramento del 3% e un premio di maggioranza di 40 seggi da assegnare al partito che ottiene più voti.
Dalla ripresa della normalità democratica nel 1974, la politica interna greca ruota principalmente attorno a due partiti e alla loro alternanza nella guida del paese: uno socialdemocratico, il Movimento socialista panellenico o Pasok, l’altro liberal-conservatore, la Nuova democrazia. La grave crisi economica sta tuttavia compromettendo questi equilibri: la Grecia è infatti lo stato che più ne ha subìto gli effetti, sia dal punto di vista economico che politico-sociale. Dopo sei mesi di governo tecnico di Lucas Papademos durante il quale si è cercato di tenere a galla il paese, lasciato dal governo socialista precedente con un debito pubblico smisurato e con la necessità di fornire garanzie ai prestiti erogati dal Fondo monetario internazionale e dai paesi dell’eurozona per evitare la bancarotta, dal giugno 2012 la Grecia è guidata da Antonis Samaras. L’obiettivo del nuovo governo, appoggiato anche dall’opposizione, è quello di varare le riforme strutturali necessarie per migliorare le pessime finanze pubbliche e ottenere le tranches dei prestiti concessi dalla ‘troika’ – il gruppo dei rappresentanti di Banca centrale europea (Ecb), Commissione europea e Fondo monetario internazionale coinvolti nell’intervento sul debito greco. Le eccezionali misure di austerity e riduzione della spesa pubblica insieme all’aumento della pressione fiscale stanno mettendo duramente alla prova i cittadini greci. Il piano di salvataggio, concesso dall’Europa dietro condizioni molto stringenti per far restare il paese nell’eurozona, è tutt’altro che indolore. Tra le misure adottate per il riordino dei conti greci rientrano anche un piano che rivoluziona l’organizzazione amministrativa del paese, i tagli al settore pubblico, diverse privatizzazioni e la riforma delle pensioni. Le misure di austerity stanno tuttavia facendo sprofondare il paese in una spirale recessiva che rende sempre più difficile rispettare le condizioni imposte dall’Eu, tanto da rendere necessaria una loro revisione nel novembre 2012.
Popolazione, società e diritti
La popolazione greca è composta da poco più di 11 milioni di persone, 3,7 milioni delle quali vivono nella capitale, Atene. La crescita demografica è negativa (-0,1% nel 2011) e gli ultrasessantenni sono quasi un quarto del totale della popolazione.
La Grecia è stata tradizionalmente un paese di emigrazione. Dopo la Seconda guerra mondiale numerosi greci emigrarono infatti verso l’Europa nord-occidentale (600.000 in Germania dal 1955 al 1973), Stati Uniti, Canada e Australia. Con il ritorno della democrazia e lo sviluppo economico, dagli anni Ottanta il paese ha tuttavia fatto registrare un’inversione di tendenza, attirando greci già emigrati e immigrati da paesi anche asiatici e africani. Negli anni Novanta è poi cominciato il flusso migratorio dall’Europa dell’Est e in particolare dall’Albania. La popolazione straniera è dunque stimata in più di 800.000 persone e di questi il 62% ha origini albanesi. La precisione delle stime è tuttavia ostacolata dalla diffusione del fenomeno dell’immigrazione irregolare, proveniente anche da Afghanistan, Iraq, Egitto, Pakistan e Georgia, e favorita dalle difficoltà di controllo dei confini greci, specie su quello orientale.
La Grecia è inoltre paese di destinazione e di transito di donne e bambini vittime del traffico di persone a fini di prostituzione e lavoro forzato, che provengono da Russia, Romania, Bulgaria, Ucraina, Moldavia e Albania. A causa della crisi si sta verificando un’ulteriore inversione di tendenza, con un aumento di greci che lasciano il paese verso stati economicamente più solidi come la Germania.
La quasi totalità della popolazione (98%) è di religione cristiana ortodossa e vi sono minoranze di musulmani (1,3%), ebrei, cattolici e protestanti. Il Trattato di Losanna del 1923 garantisce alla minoranza musulmana in Tracia il diritto di mantenere associazioni (awqāf), il diritto all’istruzione in lingua turca e all’applicazione di alcuni princìpi di diritto islamico da parte dei muftì in materia di diritto di famiglia. Viceversa, gli altri gruppi religiosi non ricevono fondi e alcune minoranze etniche e religiose rischiano di essere socialmente discriminate. La Chiesa ortodossa, che tradizionalmente riceveva un sostegno economico dallo stato, con l’inasprirsi della crisi ha partecipato alla ricapitalizzazione della Banca Nazionale e dal 2010 versa nelle casse dello Stato una serie di contributi, in quanto le persone giuridiche pagano delle imposte. L’istruzione è gratuita e obbligatoria dai 6 ai 15 anni. Gli ultimi tre anni di scuola secondaria sono di fatto visti come la preparazione agli esami di ammissione all’università e, data la maggiore competitività che caratterizza questi ultimi, sono di livello elevato. L’università, gratuita, è tuttavia accessibile solo per coloro che superano tali esami, che vengono gestiti da un comitato nazionale. Ciò spinge un elevato numero di studenti greci ad affrontare gli studi all’estero. Esistono anche alcuni istituti privati, ma i titoli rilasciati dai medesimi non sono riconosciuti ai fini di un impiego nel settore pubblico.
La corruzione resta un grave problema per il paese. Secondo l’indice di corruzione percepita elaborato da Transparency International nel 2011, la Grecia risulta infatti al penultimo posto tra i membri dell’Eu, prima solo della Bulgaria.
Economia, energia e ambiente
La Grecia ha un’economia relativamente aperta, per quanto di piccole dimensioni. Lo stato svolge tuttora un ruolo significativo, anche se dagli anni Novanta (quando ancora lo stato controllava tre quarti di tutte le attività) è in atto un programma di privatizzazioni. Il settore dell’economia sommersa è piuttosto ampio. L’industria, che conta per il 20% del pil, è un settore relativamente piccolo. La Grecia produce prevalentemente cemento e alluminio, olio d’oliva, birra, tabacco, petrolio raffinato e ha un settore delle telecomunicazioni sviluppato. La produzione tessile è invece in declino a causa della concorrenza asiatica e dei paesi dell’Europa dell’Est. Principali partner commerciali sono Germania e Italia. Il settore dei servizi contribuisce al 77% del pil ed è dominato dal turismo. Nel 2008 la Grecia ha ospitato circa 16 milioni di turisti, che hanno prodotto quasi 17 miliardi di euro di entrate, divenendo così il 16° paese al mondo per numero di turisti. Tale numero è però diminuito sia nel 2009 che nel 2010. Nel 2007 il turismo ha fornito 896.000 posti di lavoro (il 20% del totale), sebbene molti fossero di tipo stagionale. Di rilievo la flotta mercantile: la Grecia possiede infatti una delle flotte più grandi al mondo, con 4577 imbarcazioni.
Tra il 2000 e il 2008 il pil greco è cresciuto mediamente del 4,6%. Dal 2009 il paese è però entrato in una fase di gravissima recessione economica (−9,7% nel 2011) e ha evitato la bancarotta solo grazie a successive tranches di prestiti da 110, 130 e 30 miliardi da parte della cosidetta ‘troika’, ossia il Fondo monetario internazionale, la Ecb e l’Eu, in cambio di una politica di austerity.
Tra le principali cause del dissesto finanziario vi è la crescita del debito greco nel primo decennio del 21° secolo. Nonostante la Grecia sia entrata nell’area euro dal gennaio 2002 dichiarando di rispettare i parametri di Maastricht sul debito (rapporto debito/pil al 60%) e sul deficit (rapporto deficit/pil al 3%), una successiva revisione operata da Eurostat ha dimostrato come i dati dichiarati non corrispondessero a quelli effettivi.
Per ciò che concerne la questione energetica, il petrolio è la principale fonte di energia primaria, mentre il carbone rimane la principale fonte per la generazione di elettricità – 27% del totale nel 2010. La produzione di petrolio non è significativa e la maggior parte del petrolio è importata, per il 60%, da paesi Opec. Storicamente la Grecia ha cercato di sostituire il petrolio con la lignite, al fine di sfruttare i propri giacimenti e ridurre la dipendenza dalle importazioni. Tuttavia tale politica è limitata dagli impegni a favore della riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra, per il raggiungimento dei quali il governo ha favorito l’utilizzo del gas. Quest’ultimo è in gran parte importato e mentre negli anni Novanta proveniva soprattutto dalla Russia, oggi, grazie ad una politica di diversificazione, proviene anche da Algeria e Azerbaigian. La compagnia nazionale greca Depa è stata messa all’asta dal governo di Atene per arginare le conseguenze della crisi economica: il monopolista russo Gazprom e il colosso azero Socar sono i maggiori contendenti nella scalata.
Difesa e sicurezza
La Grecia destina il 3,1% del pil alla spesa militare: il peso del comparto militare sul prodotto interno lordo greco è più del doppio della media degli altri stati dell’Unione. Si tratta di una percentuale rilevante, peraltro tendenzialmente costante negli anni, emblematica della circostanza che Atene continua a considerare prioritario il mantenimento di ingenti forze militari, specie in considerazione delle tensioni con la Turchia.
Storici e naturali interessi greci nell’area mediorientale hanno spesso spinto Atene ad avere particolare interesse per il conflitto israelo-palestinese, rispetto al quale la Grecia ha tradizionalmente tenuto una posizione filopalestinese. Tale posizione non ha tuttavia impedito che, a partire dalla fine degli anni Novanta, la Grecia avviasse con Israele un’intensa attività di cooperazione militare e una comune lotta antiterroristica. Alleato storico della Grecia sono gli Stati Uniti. Primi fornitori di armi della difesa greca, gli Usa intrattengono con Atene una consolidata partnership militare, rinnovatasi in occasione della lotta globale al terrorismo internazionale. Il governo greco ha risposto infatti con un appoggio significativo all’operazione Enduring Freedom, lanciata dall’amministrazione Bush l’indomani degli attentati al World Trade Center: lo spazio aereo fu messo a disposizione della campagna, fu fornito supporto logistico alle attività militari e furono portate avanti importanti operazioni contro-terroristiche.
I rapporti con la Nato sono tornati alla normalità da quando la Grecia ha deciso di rientrarvi nel 1980, dopo che si era ritirata dalla sua struttura militare integrata nell’agosto del 1974, per protestare contro le mancate reazioni all’occupazione turca del nord di Cipro. Soldati greci sono dispiegati nelle due principali operazioni militari della Nato, in Afghanistan e in Kosovo. Sono, inoltre, circa un migliaio i soldati greci permanentemente dislocati a Cipro.
Il controllo dei traffici, delle rotte commerciali e dei flussi migratori che attraversano il Mediterraneo, la cooperazione economica e di sicurezza tra i paesi che vi si affacciano e, ancora, la stabilizzazione politica di instabili regioni vicine (Balcani e Medio Oriente) sono alcune tra le issues internazionali che vedono la Grecia particolarmente coinvolta. In ciascuno di questi ambiti il paese partecipa a importanti iniziative multilaterali messe in atto, negli ultimi due decenni, dai governi occidentali per la stabilizzazione politico-strategica dell’Europa sud-orientale. Tra queste ultime spiccano il Partenariato euromediterraneo, lanciato dall’Unione Europea a Barcellona nel 1995, il Dialogo mediterraneo della Nato, inaugurato dall’Alleanza atlantica l’anno precedente, o ancora il Processo di cooperazione del sud-est europeo (Seecp), sempre in ambito Eu.
Potenziali minacce alla sicurezza nazionale giungono infine anche dall’interno del paese, legate in particolar modo all’attività terroristica di formazioni di matrice marxista. Sebbene nell’estate del 2002 la Grecia abbia concluso operazioni antiterrorismo che hanno condotto all’arresto di numerosi esponenti del gruppo terroristico ‘17 novembre’, negli ultimi due anni si è assistito a un ritorno degli attentati da parte di gruppi antimperialisti. In particolare, in concomitanza con le proteste sociali legate ai tagli alla spesa pubblica previsti dal governo, dal 2010 si stanno verificando scontri di piazza e attentati, con esplosioni di bombe in aree sensibili della capitale. Questi episodi riportano all’attenzione il pericolo del terrorismo e della violenza generato da malcontento e povertà, inducendo le autorità a rafforzare le misure di sicurezza.
La Turchia è storicamente considerata da Atene come la principale minaccia alla sicurezza nazionale. Il reciproco sospetto e l’antagonismo culturale e politico tra i due paesi possono ritenersi elementi fondanti del processo di creazione tanto delle rispettive identità nazionali, quanto dei relativi stati moderni. Fasi di conflitto aperto alternate a fasi di riconciliazione hanno così caratterizzato le relazioni tra i due paesi, fin da quando la Grecia si rese indipendente, nel 1829, dall’Impero Ottomano. Da allora, infatti, è possibile contare ben quattro guerre (due guerre greco-turche, nel 1887 e 1919-22, la guerra balcanica del 1912 e la Prima guerra mondiale) e un discreto numero di crisi politiche, spesso arrivate fino alla soglia dello scontro armato.
I principali motivi di disaccordo, che permangono quasi del tutto immutati anche oggi, si basano sia su motivi culturali, legati in primis alla differenza religiosa tra le due popolazioni, che su un dualismo storico tradottosi negli anni nell’incapacità di risolvere le dispute bilaterali o raggiungere accordi su tipiche questioni di vicinato: demarcazione territoriale, controllo dei confini comuni, diritti di sfruttamento economico di zone a sovranità contestata o ancora il trattamento delle rispettive minoranze. Proprio i problemi legati alla difficile convivenza interna tra le due popolazioni con le rispettive minoranze etniche ospitate sono state spesso la scintilla per l’accendersi di momenti di alta tensione politica: le condizioni della popolazione greca a Istanbul e il riconoscimento della chiesa ortodossa di Costantinopoli, da un lato, e quelle delle minoranze musulmane, e primariamente turche, che abitano la parte occidentale della Tracia, dall’altro.
Lo strappo più rilevante e ancora oggi sentito dalle opinioni pubbliche nazionali greca e turca riguarda la crisi di Cipro del luglio 1974 e la conseguente divisione politica e amministrativa dell’isola in due entità etnicamente omogenee – quella greca a sud e quella turca a nord. Grecia e Turchia sono inoltre arrivate sino alle soglie del conflitto armato diverse altre volte, anche in anni più recenti. Nel 1987, ad esempio, si sfiorò la guerra in occasione del cosiddetto ‘incidente di Sismik’, dal nome della nave turca che era in procinto di sconfinare nelle acque greche per effettuare esplorazioni petrolifere. Nel 1996 forti tensioni si verificarono, ancora, in relazione alla disputa sulla sovranità della minuscola isoletta dell’Egeo Imia/Kardak.
Su questo sfondo, la fine degli anni Novanta ha registrato l’avvio di una nuova fase di distensione politica, inaugurata dalla cosiddetta ‘diplomazia dei terremoti’: una fase di intesa politica innescatasi sulla scorta delle reazioni di reciproca solidarietà verificatesi a seguito dei sismi che colpirono i due paesi nel 1999. Nel 1999, inoltre, la decisione greca di non porre il veto all’ingresso della Turchia nell’Eu spianò la strada, in occasione del Consiglio europeo di Helsinki, per la concessione ad Ankara dello status di candidato alla membership europea. Il primo anno e mezzo di governo Papandreou – già protagonista da ministro degli esteri greco (1999-2004) degli anni dell’intenso dialogo con il suo omologo turco Ismail Cem – ha segnato un ulteriore rafforzamento di questa nuova fase di rapporti bilaterali.
Il 2 maggio 2010 Atene ha concluso un accordo con Unione Europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale (Imf) per un prestito triennale da 110 miliardi, di cui circa 30 sono stanziati dall’Imf e 80 dai partner dell’area euro. Il prestito, al quale ne è seguito un altro ancora più consistente pari a 130 miliardi, è stato concesso a condizione che Atene proceda a: tagli della spesa pubblica, aumento delle tasse e riforme strutturali riguardanti le pensioni, il mercato del lavoro, la sanità e la pubblica amministrazione. Alla Grecia è stato richiesto di ridurre il debito pubblico e allo stesso tempo promuovere la competitività e generare crescita. Il prestito alla Grecia rappresenta il primo salvataggio di uno stato membro della zona euro ed è arrivato appena in tempo per evitare l’insolvenza della Grecia sul proprio debito sovrano, dopo un acceso dibattito tra i membri dell’Eu. La Germania, infatti, primo contribuente dei membri Eu con 22 miliardi di euro, ha acconsentito all’impopolare erogazione del prestito solo dopo l’impegno della Grecia ad adottare misure drastiche per la riduzione del debito. A livello di zona euro la questione che si è posta era se salvare un paese che non aveva rispettato il patto di stabilità dell’Unione o se lasciare che la Grecia arrivasse a un default dalle conseguenze devastanti per tutta la regione, anche considerando che il debito sovrano greco era detenuto in larga misura da banche francesi e tedesche. Tenendo conto che altri paesi hanno o potrebbero in futuro avere bisogno di aiuti, e che dall’introduzione dell’euro si sono verificate già circa 100 violazioni del tetto del deficit stabilito dal patto di stabilità e crescita senza l’applicazione di alcuna penale, è quindi seguita una riforma del patto stesso e, in particolare, è stato introdotto, su volere prevalentemente tedesco, il ‘Fiscal Compact’, che tra le altre cose prevede l’inscrizione del pareggio di bilancio nelle costituzioni nazionali e rende obbligatorio la graduale riduzione del debito pubblico al 60% del pil. Il braccio di ferro attualmente in corso tra la Grecia e alcuni paesi dell’eurozona, soprattutto quelli del Nord Europa, Germania in primis, e le prevedibili ricadute sociali che stanno avendo i tagli alla spesa pubblica richiesti come garanzia per l’erogazione dei prestiti alimentano un clima di tensione nel paese e soffiano sul fuoco di un euroscetticismo già diffuso, malgrado nel novembre del 2012 le condizioni per il ripagamento del debito siano state ammorbidite.