grecismi
I grecismi sono parole, forme, costrutti di origine greca introdotti in italiano in epoche diverse (➔ prestiti). Un nutrito gruppo di voci greche si era già acclimatato nel latino d’età classica e postclassica, e da qui si è introdotto nella nostra lingua a partire dai testi più antichi: si pensi ai nomi di oggetti quotidiani e domestici (ampolla, borsa, canestro, ecc.), alla terminologia ittica (balena, delfino, cefalo, ecc.), ai termini di base della filosofia e delle scienze dell’antichità (filosofia, retorica, aritmetica, geometria, geografia, ecc.), alla lingua speciale dei cenacoli cristiani (apostolo, battesimo, martirio, ecc.) (➔ cristianesimo e lingua). Alcune di queste parole presentano una doppia forma dipendente dalla loro trafila: per es., il gr. krýpte «luogo sotterraneo coperto» ha avuto un duplice esito: lat. colto crypta e lat. tardo parlato crupta, dal quale discendono in italiano (con specializzazione semantica) gli ➔ allotropi cripta e grotta.
Il travaso di elementi lessicali greci è continuato anche in epoca altomedievale. Al greco bizantino risalgono voci comuni (anguria, basilico, indivia, lastrico, ecc.), voci marinaresche – spesso penetrate attraverso Venezia e il suo territorio (Cortelazzo 1970) – relative a imbarcazioni (galera, gondola) o ad attrezzi e operazioni marittime (argano, molo, ormeggiare, sartia, ecc.; ➔ marineria, lingua della). Un numero consistente di parole riconducibili a un etimo greco è penetrato anche nei dialetti, in qualche caso arrivando da qui nella lingua comune.
Come si può intuire, l’influsso greco si è esercitato soprattutto sul vocabolario. Più rari i fenomeni che riguardano la sintassi (per l’influsso morfologico v. oltre), e anche questi riflesso di una costante intermediazione svolta dal latino. Attingendo dal latino letterario di epoca augustea – per es. in Virgilio nuda genu (Eneide I, 320) «nuda il ginocchio», cioè «col ginocchio scoperto» – che si modellava su analoghi costrutti greci (gr. néos helikíen «giovane l’età»), il linguaggio poetico neoclassico ha riesumato il cosiddetto accusativo alla greca o di relazione (particolarmente nelle descrizioni del corpo), il tipo sparsa le trecce morbide (Alessandro Manzoni, Adelchi IV), cioè «con le trecce morbide disciolte (sul petto)», nel quale un complemento diretto dipende da un participio passato o da un aggettivo (Serianni 1988: II, § 37). Una probabile interferenza sintattica greca è stata anche ipotizzata per la ➔ paraipotassi romanza operante in italiano e francese antico (Tesi 2004: 434-436), un fenomeno già rilevato nel latino imperiale, dove una subordinata introdotta da cum è collegata alla principale mediante la congiunzione et (Durante 1981: 57), analogo a costrutti greci con la congiunzione copulativa kái «e», o avversativa dé «ma», molto frequenti nella koinè (Pasquali 1929: 161-167).
In particolare le parole greche che sono affluite in italiano hanno occupato in prevalenza i vari comparti del vocabolario intellettuale e, in epoca più recente, quello delle terminologie specialistiche delle scienze e della tecnica. Il Grande dizionario dell’uso di Tullio De Mauro censisce, sui circa 250.000 lemmi complessivi, circa 8000 grecismi (la maggior parte tecnico-scientifici), di cui quasi la metà arrivati senza l’intermediazione latina. Ciò significa che ogni trenta parole una è di origine greca: si tratta dunque del contingente esogeno più numeroso, fatta esclusione dei latinismi non patrimoniali, presente nel lessico italiano contemporaneo (De Mauro 2005: 136-139; ➔ lessico).
Le parole greche sono giunte in italiano in epoche diverse, con adattamenti di forma e di significato strettamente dipendenti da fattori extralinguistici e culturali. L’elenco dei vocaboli d’origine greca presenti in ➔ Dante, per es., è particolarmente rappresentativo circa la presenza e l’uso di tali elementi nel vocabolario colto del medioevo (Migliorini 1971: 280-281; Gianola 1980). Si possono individuare alcuni filoni particolarmente prolifici: voci appartenenti alle scienze del trivio (idioma, poesì, poetria, rettorica, dialettica, ecc.) e del quadrivio (arismetica, diametro, geomètra, parallelo, tetragono, armonia, melodia, metro, empireo, epiciclo, galassia, orizzonte, ecc.), all’ambito ecclesiastico (archimandrita, eretico, gerarchia, salmo, salmodia), storico-mitologico (ambrosia, musa, ninfa), arrivate a conoscenza di Dante soprattutto attraverso compilazioni enciclopediche e repertori lessicali mediolatini.
Questi grecismi di trafila dotta spesso non avevano una forma lessicale ben definita, ma erano soggetti a frequenti perturbazioni del significante per influsso di spinte analogiche di vocaboli affini. Esemplare il caso di antomata di Purg. X, 128, errore di trascrizione per automata (gr. autómata), cioè animali (vermi) autogenerati dalla terra putrefatta, che si legge nei codici del De generatione animalium di Aristotele circolanti ai tempi di Dante, e che trae origine dall’incrocio col greco plurale éntoma «insetti» (Minio Paluello 1993: 71-109). Allo stesso modo, la semantica dei grecismi danteschi risente delle concezioni maturate nella latinità medievale: si pensi all’accezione retorica di termini come comedìa e tragedìa, cioè composizioni rispettivamente di «stile umile» o di «stile alto» (Mengaldo 1978: 200-222), che solo in epoca rinascimentale avrebbero assunto il significato tecnico-teatrale rimasto costante fino ad oggi (Tesi 1997: 70).
L’incremento più cospicuo di grecismi direttamente attinti da fonti classiche o tardoantiche si è avuto durante il periodo umanistico-rinascimentale (Tesi 1994). I ‘termini culturali’ assunti dal latino e (soprattutto) dal greco tra Quattrocento e Cinquecento rappresentano un contingente sostanzioso, con presenze che interessano tutti i campi, dalla storiografia alla politica, dall’architettura alla retorica e alla filosofia (Migliorini 19785: 301-305; 402-408). C’è da sottolineare che quasi tutte queste voci hanno avuto diffusione europea e non solo italiana, auspice l’intermediazione del latino umanistico (per es., catastrofe, clinica, dialetto, ecatombe, entusiasmo, eutanasia, omonimo, ottica, parafrasi, peripezia, scenografia, ecc.). In concomitanza con la maggiore sicurezza filologica degli umanisti e con l’avvento della stampa che favorisce una memorizzazione più stabile delle parole, le ‘distorsioni’ del significante, frequenti in età medievale, si sono annullate e anche i significati classici perfettamente aderenti ai modelli antichi hanno preso gradualmente il posto delle accezioni diffuse nella latinità medievale. Nei primi traduttori della Poetica di Aristotele, per es., i grecismi filtrano in italiano ancora attraverso il canale di un sostituto perfettamente latino (così il gr. drâma è tradotto con atto, sul modello lat. actus), ma già nell’ultima parte del Cinquecento questa tendenza si capovolge: nella traduzione di L. Castelvetro (1570), per es., troviamo coripheo, episodio, epopea, mimo, parodia, rhapsodia, in quella di A. Piccolomini (1572) drammati «drammi», drammatico, ecc. (Tesi 1997).
Da questo momento l’ingresso massiccio di termini specialistici greci produce riassestamenti anche sulla morfologia nominale. Mentre alcuni femminili in -os vengono senza problemi collocati nella classe dei maschili in -o (metodo, periodo, mito, ecc.; come in spagnolo, ma non in francese: cfr. la méthode, la période, ma le mythe), un gruppo nutrito di nomi femminili invariabili terminanti in -is viene sistemato in un primo momento nella classe dei femminili in -e (parafrase, metamorfose, eclisse, ecc.), ma poi si riassesta stabilmente in una nuova classe morfologica di femminili invariabili in -i, comprendente molte voci del lessico intellettuale e delle terminologie scientifiche (tesi, ipotesi, catarsi, eclissi, diuresi, ipofisi, necrosi, sclerosi, parentesi, prostaferesi, prostesi, ecc.; oscillano ancora nell’italiano contemporaneo eclisse / eclissi, apocalisse / apocalissi).
Un ulteriore incremento si registra tra Seicento e Settecento con la nascita delle scienze moderne. Il passaggio dal modello latino a quello greco è ben visibile in alcune scienze pilota come la medicina o l’anatomia. Il belga Andrea Vesalio, attivo nelle maggiori università italiane del tempo, pubblica nel 1543 il De humani corporis fabrica, opera a cui si deve la fissazione di gran parte della terminologia anatomica moderna su base latina (Mazzini 1989: 23): cartilago, femur, palatum, alveolus, vertebra, ecc. Ma le affezioni che riguardano gli organi della terminologia clinica postcinquecentesca sono quasi tutte modellate sul greco: nefrite, spondilite, epatite, ecc. E si pensi che ancora agli inizi del Seicento ➔ Galilei e la sua scuola preferivano chiamare cannone o occhiale il telescopio, occhialetto il microscopio, istrumento per misurare il caldo e il freddo il termometro, ecc. (Migliorini 1948: 149-150; Tesi 2005: 71-72).
La spinta maggiore a coniare parole nuove con elementi greci è dovuta al rifiorire degli studi di questa lingua nelle maggiori università europee. Questa tendenza prese il sopravvento nel corso del Settecento, rappresentando da allora una costante nelle terminologie scientifiche internazionali, almeno fino alla seconda metà del Novecento, quando ai grecismi iniziano ad affiancarsi nuovi termini inglesi (d’irradiazione angloamericana) in scienze come la medicina (bypass, pacemaker, clearance «depurazione renale», ecc.) o la fisica (scattering «dispersione», spin «momento di rotazione»).
C’è da osservare che il greco delle parole scientifiche in molti casi si modella sul greco classico solo superficialmente. Uno dei capisaldi che regolano la neologia delle scienze moderne è rappresentato dal meccanismo della produttività morfolessicale potenzialmente illimitata.
La maggior parte dei neologismi specialistici è costituita da composti bimembri o trimembri formati da elementi prefissoidali o suffissoidali estratti da parole greche (auto-, demo-, filo-, idro-, ecc.; -fobia, -logia, -mania, -patia, ecc.) e spesso risemantizzati secondo le esigenze degli scienziati (➔ elementi formativi). Nel 1787 Lavoisier, per es., fondando ex novo la nomenclatura della chimica moderna, aveva utilizzato il suffisso -geno nei composti oxygène e hydrogène, diffusi da allora con minimi adattamenti in tutte le lingue moderne: ma tali composti neologici non erano conformi al significato passivo che quel suffisso aveva nel greco classico (-genés «che è nato»; cfr. eugenés «di nobile nascita»), ma a un nuovo significato attivo «che genera, che produce», esteso da quel momento ad altre scienze (termogeno, elettrogeno, patogeno, ecc.; Cottez 19854: 162).
Il nuovo interesse rinascimentale e postrinascimentale per lo studio del greco ha prodotto anche riflessi linguistici in itinere, alcuni attivi in tutte le lingue moderne, altri limitati a singoli idiomi. Tra i secondi, si può citare un fenomeno tipico della lingua colta nella quale si è iniziato ad assegnare un morfema -a ‘ipergrecizzante’ sul modello dei maschili greci in -a (poeta, problema, teorema e sim.) a numerosi grecismi che avevano una terminazione -o (gr. -os): cataclismo → cataclisma, sismo → sisma, autodidatto → autodidatta, sofismo → sofisma, cardiopalmo → cardiopalma, ecc. (Tesi 1994: 246-255).
Trascurando un aspetto marginale quale la pronuncia sdrucciola che rispecchia l’accento greco originario in sclèrosi, nècrosi e sim., tipica dell’uso colto o specialistico di oggi (mentre l’accentazione tradizionale preferiva stabilmente il tipo parossitono scleròsi, necròsi), i dati più rilevanti di discontinuità (con importanti riflessi sulla pronuncia) si registrano:
(a) nelle voci greche non adattate delle terminologie internazionali (pathos, climax, neon, plancton, thermos, pentathlon, ecc.) filtrate in italiano a partire dall’ultimo scorcio dell’Ottocento;
(b) nel settore delle traslitterazioni di parole o formativi greci in presenza dei dittonghi ai, ei, oi.
Fino al Rinascimento il criterio di traslitterazione delle parole greche seguiva lo standard fissato nel latino classico: gr. ai, ei, oi > lat. ae, ī, oe > it. e, i, e (ad es., cinedo, ironia, economia). L’introduzione tra Seicento e Settecento nelle università tedesche, olandesi e inglesi della cosiddetta pronuncia erasmiana del greco antico ha favorito indirettamente un nuovo tipo di traslitterazione, con la riproduzione lettera per lettera della base greca (gr. ai, ei, oi > ai, ei, oi) e ha definitivamente marginalizzato alcuni fenomeni di ‘disturbo’ causati dalla pronuncia medievale o greco-moderna (Tesi 1994: 275-301). Tale criterio è responsabile dell’aspetto ‘antilatino’ di numerose parole di origine greca dei lessici specialistici contemporanei (paideia, paideutico, elaiotecnica; deissi, deittico, eidetico, caleidoscopio, pleistocene; monoico, monoicismo, ecc.). Nonostante si vengano a formare coppie di parole (moneco e monoico «ermafrodito») e composti formati da un’identica struttura greca (ad es., eco- in ecologia, ma -oico in oicofobia), dove la parola più recente ha, per così dire, saltato un passaggio, il nuovo standard di traslitterazione si è rivelato ottimale per i linguaggi scientifici moderni perché consente una decodificazione immediata e più trasparente della base etimologica (al contrario di quanto sia avvenuto nell’italiano letterario, dove, per es., un grecismo eufemistico primonovecentesco come etàira non è riuscito a imporsi su etera).
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