STROZZI, Gregorio
STROZZI, Gregorio. – Nacque a San Severino, nel Potentino, ma non è possibile accertare la data di nascita per la distruzione dei registri parrocchiali cinque-seicenteschi dell’antica chiesa madre dedicata a Maria Santissima degli Angeli. Si ipotizza tuttavia che Giovanni Gregorio, fu battezzato comunque con questi nomi, venne al mondo intorno al 1615, poiché, vista la «buona relazione» che i governatori della S. Casa dell’Annunziata di Napoli avevano circa le sue qualità musicali, il 1° dicembre 1635 venne assunto – probabilmente ventenne, secondo una prassi abituale dell’istituzione – come organista ‘sabataro’, ovvero per le funzioni religiose ‘straordinarie’ come quelle del sabato, con la provvisione di 3 ducati al mese (Napoli, Biblioteca nazionale, S. Di Giacomo, L’Annunziata, p. 246; nelle occasioni ‘straordinarie’ la musica era comunque affidata ai quattro cantori più in vista della città, provenienti di solito dalla Cappella reale).
Dal 1635 organista ordinario della cappella era don Antonino Sabino, nipote di don Giovanni Maria Sabino, maestro di cappella dell’Annunziata dal 1° dicembre 1634 fino alla morte (inizio aprile 1649); l’assunzione di Strozzi è stata perciò messa in relazione (Prota-Giurleo, 1962) con un ipotetico discepolato del lucano presso Giovanni Maria Sabino, seguendo anche in questo caso una pratica consolidata nelle cappelle musicali del tempo.
Riconosciuta l’«abilità e valore di esso, tanto nel sonare nell’organo, quanto nella composizione», nel 1638, ancora come organista ‘sabataro’, Strozzi ebbe un aumento di salario a 5 ducati al mese e la previsione che, «succedendo mancamento di organista o di Maestro di Cappella», si sarebbe dovuta «preferire la persona di detto Gregorio» (pp. 252 s.). Ma alla morte di Giovanni Maria Sabino la responsabilità della musica dell’Annunziata passò al nipote don Antonino, senza «goder soldo essendo estinti tutti li soldi della musica» (p. 278), il che smentì la promessa del 1638, peraltro reiterata nel 1641, di preferire Strozzi per quel ruolo, per «il merito del detto, non solo nel sonar del organo, ma anco nelle compositioni di musica» (p. 276). Nonostante le sue qualità, il musicista lucano non riuscì quindi ad andare oltre il ruolo di organista ordinario del secondo coro dell’importante cappella, a partire dal 28 giugno 1641 e fino almeno al settembre del 1643 con i soliti 5 ducati mensili (p. 266 s., 276).
Tra il 1643 e il 1646, dopo gli anni dell’Annunziata, Strozzi si dedicò agli studi ecclesiastici in una diocesi non napoletana, forse Amalfi, visto che nel luglio del 1645, ancora ‘clerico’, ebbe da Pompeo d’Alagno figlio di Ettore (nel 1603 un suo avo, Pompeo, era stato sindaco di Amalfi) l’incarico di cappellano per la cappella di famiglia sotto il titolo di S. Maria dell’Arco, sita nel duomo amalfitano (Prota-Giurleo, 1962, pp. 120 s.). Assumendo il titolo di abate, fu altresì beneficiario della chiesa di S. Matteo di Albanella, abbazia regia nella diocesi di Capaccio (anch’essa nel Salernitano), dal 22 aprile 1645, in sostituzione del dimissionario abate Nicola Lettieri (Archivio di Stato di Napoli, Cancelleria e Consiglio Collaterale, Beneficiorum, 2, cc. 223r-224r). In contemporanea il ‘reverendo abate’ Strozzi, non ancora ‘dottore’, si dedicò anche all’insegnamento privato e il 5 maggio 1646 venne a convenzione con Giuseppe Mansione di Napoli stipulando un tipico contratto di locatio personae perché si occupasse del figlio Francesco, affinché «l’insegni l’arte della musica et in particolare il modo del bel cantare e di passaggi» (Prota-Giurleo, 1962, pp. 119 s.).
L’11 marzo 1650 il «reverendo sacerdote don Io. Gregorio Stroczi de Terra Santi Severini», dopo l’ordinario corso quinquennale, si laureò in diritto civile e canonico nell’Università di Napoli (Archivio di Stato di Napoli, Collegio dei dottori, fascio 19, c. 155r). Cinque anni dopo comparve la raccolta di musiche per la settimana santa – compresa una Passione, certamente frutto dell’esperienza fatta all’Annunziata – sotto il titolo Responsoria, lamentationes, improperia, psalmi, hymni, moteta, et evangelia Passionis a 4 voci e organo (Roma 1655), stampata come opus primum con i suoi nuovi titoli di «abate-protonotario apostolico» e di dottore in utroque iure.
Nessuna evidenza documentaria vi è invece per il ruolo di organista e maestro di cappella nel duomo di Napoli tra il 1645 e il 1655 che gli è stato recentemente accreditato (Fabris, 2007) forse sulla mera scorta del fatto che l’opera prima è indirizzata al cardinale arcivescovo Ascanio Filomarino. La dedica dei «primi saggi del suo ingegno» al proprio arcivescovo va semmai interpretata con lo status di ecclesiastico di primo piano che il regio abate don Gregorio, laureato in legge e rivestito della dignità di protonotario apostolico, occupò nell’ambito della Chiesa napoletana, e con i benefici goduti sulla cappellania di S. Maria della Cicogna officiata all’altare maggiore della cattedrale, per la quale almeno dal 1648 pagava lo ius sacrestiae all’economo della maggiore chiesa cittadina (D’Alessandro, in corso di stampa).
Morì verosimilmente nel 1692/1693. Aveva mantenuto fino all’ultimo il beneficio goduto sull’abbazia di S. Matteo di Albanella, poi trasferito «p(er) morte dell’abbate Strozzi» a don Francesco Antonio de Mendia il 27 gennaio 1696 (Archivio di Stato di Napoli, Cancelleria e Consiglio Collaterale, Beneficiorum, 5, cc. 133v-134v), dal 1692 al 1695 impegnato in altre mansioni in diverse sedi (cc. 80r, 85v, 95r, 107r, 110v-111r, 133r). Al momento della scomparsa don Gregorio risiedeva nella circoscrizione parrocchiale di S. Agnello Maggiore a Caponapoli: i registri della parrocchia sono scomparsi nel terremoto del 1980, sicché il dato anagrafico si ricava dal sopravvissuto Indice dei defunti nell’archivio della chiesa parrocchiale di S. Maria di Costantinopoli (Defunti, II, 1633-1728, c. 58r); l’informazione, priva della precisa data del decesso, è corroborata con i dati cronologici provenienti da uno spoglio ottocentesco del citato registro dei defunti di S. Agnello Maggiore (Archivio di Stato di Napoli, Archivio Serra di Gerace, Atti parrocchiali, fascio 2).
Contemporaneo di don Giovanni Salvatore, l’altro grande organista e compositore napoletano di quest’epoca, Strozzi pubblicò tardi («nella mia cadente età») la sua opera più famosa, i Capricci da sonare cembali et organi opera IV (Napoli 1687; ed. anast. a cura di L. Alvini, Firenze 1979; ed. moderna a cura di B. Hudson, s.l. 1967, e A. Carideo, Latina 2016), ben quarantasei anni dopo i Ricercari di Salvatore (1641): di fatto essa contiene composizioni scritte dal 1647 al 1675 testimoniate da un manoscritto ritenuto autografo e datato, conservato in una ignota collezione privata e acquistato a un’asta londinese intorno al 1994-95 (Ghielmi, 1995). In precedenza, oltre la citata opera prima del 1655 composta per onorare la Passione di Cristo, Strozzi aveva realizzato come opera II l’«Officio del santo Natale» in omaggio alla Madonna (non pervenuto, è elencato nella dedica dei Capricci), e infine, come opera III, il trattato Elementorum musicae praxis utilis non tantum incipientibus sed proficientibus et perfectis (Napoli 1683; ed. moderna a cura di A. Bornstein, Bologna 2001): dedicato alla Trinità, «Augustissima Triade, Principio d’ogn’armonia» (così nella dedica dei Capricci), esso contiene il suo contributo alla teoria e alla didattica sotto forma di canoni a 2 voci. Strozzi volle dedicare agli arcangeli, all’angelo custode e a tutti i cori angelici i propri Capricci, ch’egli definisce «non inutili divertimenti da occupationi più gravi»: oramai settuagenario, chiudeva così, nel 1687, una personale tetralogia musicale interamente dedicata al mondo ultraterreno (ma in realtà fin da metà secolo egli «avea disegnato dare alle stampe le sue Ricercare e Capricci», come dice lo stampatore romano Maurizio Balmonti nell’avviso anteposto ai Responsoria del 1655).
La raccolta del 1687 rappresenta un consuntivo ideale della musica napoletana per tastiera della prima parte del Seicento: Strozzi vi passa infatti in rassegna tutti i generi praticati ancora ai suoi tempi, consapevole che, all’epoca dell’arrivo a Napoli di Alessandro Scarlatti nel 1683, il suo ‘antico’ modo di comporre – messo in crisi, nell’ambito della musica per tastiera, da un musicista all’avanguardia come Gaetano Greco – non era più al passo con i tempi. Nondimeno, con Salvatore, il musicista lucano va comunque considerato l’artefice a Napoli della definizione formale del moderno genere della sonata (nella sua accezione seicentesca). L’antologia, retrospettiva anche nella presentazione del testo musicale – è redatta in prevalenza in partitura a quattro pentagrammi, secondo un sistema ormai superato –, raccoglie tre capricci, tre ricercari, tre sonate, quattro toccate, un madrigale intavolato e ‘diminuito’ (Ancidetemi pur, gravi martiri, di Jacques Arcadelt), partite sopra la romanesca, tre gagliarde, otto correnti, tre balli, un’aria con partite e infine una Toccata de Passagagli.
Fonti e Bibl.: Napoli, Biblioteca nazionale, S. Di Giacomo, L’Annunziata, ms. XVII.9, pp. 243-278; P. Pirri, Il duomo di Amalfi e il chiostro del Paradiso, Roma 1941, p. 67; U. Prota-Giurleo, Due campioni della scuola musicale napoletana del XVII secolo, in L’Organo, III (1962), pp. 118-121; W. Apel, Geschichte der Orgel-und Klaviermusik bis 1700, Kassel 1967 (trad. it. Storia della musica per organo e altri strumenti da tasto fino al 1700, a cura di P. Neonato, III, Firenze 1985, pp. 1002-1006); B. Hudson, Notes on G. S. and his “Capricci”, in Journal of the American musicological society, XX (1967), pp. 209-221; D. Fabris, Generi e fonti della musica sacra a Napoli nel Seicento, in La musica a Napoli durante il Seicento. Atti del Convegno internazionale di studi, Napoli... 1985, a cura di D.A. D’Alessandro - A. Ziino, Roma 1987, pp. 422 s.; L. Ghielmi, Un autografo di G. S., organista del Seicento napoletano, in Informazione organistica, VII (1995), 2, p. 31; R. Pilone, Guida alla serie «Beneficiorum». Archivio del Consiglio Collaterale conservato nell’Archivio di Stato di Napoli (1593-1731), Napoli 2000, pp. 90, 351, 394; D. Cannizzaro, La musica per organo e clavicembalo nei regni di Napoli e di Sicilia tra XVI e XVII secolo, tesi di dottorato, Università degli studi di Roma La Sapienza, 2002-04, I, pp. 167-188; D. Fabris, Music in seventeenth-century Naples: Francesco Provenzale (1624-1704), Aldershot 2007, p. 70, n. 9; D.A. D’Alessandro, Mecenati e mecenatismo nella vita musicale napoletana del Seicento e condizione sociale del musicista. I casi di Giovanni Maria Trabaci e Francesco Provenzale, in Storia della musica e dello spettacolo a Napoli. Il Seicento, a cura di F. Cotticelli - P. Maione, Napoli, in corso di stampa.