Gregorio VI
Il suo nome di nascita era "Iohannes". Alcune fonti gli attribuiscono inoltre l'ulteriore appellativo "Gratianus", sia da solo sia unito a "Iohannes" (per un elenco completo al riguardo cfr. G.B. Borino, L'elezione e la deposizione di Gregorio VI, pp. 229-30 con le nn. relative). Di lui non si conoscono né il luogo né la data di nascita, e anche le sue origini familiari sono oscure. La notizia che lo vorrebbe legato da vincoli di parentela con la famiglia romana dei Pierleoni è infatti molto tarda: a livello documentario compare per la prima volta nell'epigrafe che Ottavio Pierleoni fece apporre, nel 1674, sul sepolcro del suo avo Pietro di Leone, situato nell'atrio della basilica di S. Paolo. In essa G. era definito "patruus", cioè zio, del defunto (sull'inconsistenza della tradizione cfr. però P. Brezzi, p. 208). G. era arciprete della chiesa di S. Giovanni a Porta Latina allorché Benedetto IX, in seguito a pressioni esercitate dai circoli riformatori romani, rinunciò al papato in suo favore (1° maggio 1045). Non è possibile stabilire con certezza chi fossero coloro che spinsero Benedetto IX ad abbandonare la carica; forse del gruppo faceva parte lo stesso G., che secondo alcune testimonianze era legato al pontefice da vincoli di parentela spirituale. Gli Annales Romani lo definiscono ad esempio "patrinus" di Benedetto IX (cfr. Le Liber pontificalis, p. 331). In ogni caso è probabile che la sua ascesa al soglio pontificio sia stata il frutto di un accordo tra le due famiglie da decenni in lotta per il predominio sulla città: i Crescenzi e i conti di Tuscolo. È inoltre arduo pronunciarsi in merito all'effettiva canonicità dell'elezione di Gregorio VI. Da un lato appare difficilmente verificabile la testimonianza degli Annales Romani (ibid.) secondo cui, con procedura del tutto irregolare, egli sarebbe stato scelto personalmente dal suo predecessore e avrebbe addirittura ricevuto da lui garanzia scritta al riguardo ("Benedictus […] eiusdem pontificatus sui honorem per cartulam refutavit Iohanni archipresbitero"). D'altro canto le fonti appaiono, in generale, concordi nell'affermare che l'elezione di G. fruttò del denaro al suo predecessore. Non è chiaro se la somma fosse versata dallo stesso G. o, come egli avrebbe in seguito affermato, da suoi sostenitori che egli avrebbe solo in un secondo tempo provveduto a rimborsare. Molti testi indicano esplicitamente che G. sarebbe stato coinvolto in prima persona nella transazione (cfr. per tutti Annales Altahenses maiores, in M.G.H., Scriptores rerum Germanicarum in usum scholarum, IV, a cura di E. von Oefele, 1891², p. 47), alcuni addirittura quantificano in 2000 "librae" la somma versata al papa uscente (così il catalogo tràdito dal trecentesco ms. Vat. lat. 1340, per la cui descrizione cfr. Le Liber pontificalis, p. CCV).
In ogni caso, almeno sulle prime, il nuovo pontefice fu accolto con entusiasmo da coloro che tanta ostilità avevano manifestato nei confronti di Benedetto IX. Pier Damiani, ad esempio, salutò l'evento con grande gioia, scrivendo a G. una calorosa lettera nella quale lo esortava a intraprendere un'energica azione di riforma (la lettera è edita in P.L., CXLIV, coll. 205-06). Altra indiretta testimonianza di una consonanza di intenti tra il nuovo pontefice e gli ambienti riformatori può essere dedotta dalla buona intesa che egli sempre ebbe con Ildebrando, il futuro papa Gregorio VII, che fu suo collaboratore e amico.
La posizione di G. alla guida della Chiesa di Roma non era però affatto salda. Nell'autunno del 1046 il re di Germania Enrico III scese in Italia e, giunto a Pavia, presiedette un sinodo nel corso del quale fu pronunciata una nuova condanna della simonia. G. si risolse a muovere incontro al sovrano, dal quale fu ricevuto a Piacenza. Il pontefice fu forse accolto con onore da Enrico III (cfr. ad esempio Herimanni Augiensis Chronicon, in M.G.H., Scriptores, V, a cura di G.H. Pertz, 1844, p. 1046; Arnulfus, Gesta archiepiscoporum Mediolanensium, ibid., VIII, a cura di G.H. Pertz, 1848, p. 17), ma è assai improbabile che nella circostanza la sua legittimità fosse riconosciuta. Poco tempo dopo, il 20 dicembre dello stesso anno, egli infatti fu costretto a presentarsi di fronte a un sinodo riunito a Sutri. Anche Silvestro III e Benedetto IX, i quali evidentemente continuavano a manifestare le proprie aspirazioni al pontificato, avrebbero dovuto recarsi in giudizio. Essi, però, non lo fecero e a subire l'inchiesta e la conseguente condanna per simonia fu il solo Gregorio VI. Secondo alcune fonti l'imperatore ne avrebbe ordinato la deposizione (cfr. ad es. Chronicon Sancti Benigni Divionensis, ibid., VII, a cura di G.H. Pertz, 1846, p. 237; De ordinando pontifice, ibid., Libelli de lite imperatorum et pontificum saec. XI et XII conscripti, I, a cura di E. Dümmler-L. von Heinemann-F. Thaner, 1891, p. 13); secondo altre, sarebbe stato G. stesso a dichiararsi colpevole e quindi, pur invocando alcune circostanze attenuanti, non meritevole della dignità papale (tale versione degli avvenimenti compare, con alcune varianti, ad es. in Desiderius abbas Casinensis, Dialogi III, ibid., Scriptores, XXX, 2, a cura di G. Schwartz-A. Hofmeister, 1926-34, pp. 1142-43; Chronica monasterii Casinensis, ibid., XXXIV, a cura di H. Hoffmann, 1980, p. XX; Bonizo episcopus Sutrinus, Liber ad amicum V, ibid., Libelli de lite imperatorum et pontificum saec. XI et XII conscripti, I, pp. 585 ss.; Bernoldus, Chronicon, ibid., Scriptores, V, p. 1046). Egli fu comunque imprigionato il giorno stesso, mentre veniva eletto papa l'arcivescovo di Bamberga Suidger, che assunse il nome di Clemente II. Desiderando probabilmente allontanare quanto più possibile dalla scena romana G., che doveva avere ancora solidi appoggi in seno alla Curia, Enrico III ordinò che fosse condotto prigioniero in Germania, probabilmente a Colonia, accompagnato da Ildebrando. La possibilità di una nuova accessione di G. al soglio pontificio si presentò quando, il 9 ottobre 1047, Clemente II morì. A Roma Benedetto IX - forse grazie a una nuova elezione - era tornato a capo della Chiesa romana. Tuttavia Enrico III manifestò l'intenzione di proporre un altro candidato. Vi fu allora chi, come il vescovo di Liegi Wazone, avanzò la candidatura di G. come la più autorevole (cfr. al riguardo Anselmus, Gesta episcoporum Leodiensium, ibid., Scriptores, VIII, a cura di G.H. Pertz, 1848, pp. 228-30). Enrico III scelse invece (Natale 1047) il vescovo tedesco Poppone, che assunse il nome di Damaso II. Non è possibile stabilire se, a questa data, G. fosse già defunto (dubbi in proposito sono espressi da G.B. Borino, "Invitus ultra montes cum domno papa Gregorio abii", p. 30 n. 63). Egli comunque dovette morire in quel torno di tempo giacché da questa data in avanti non se ne hanno più notizie.
fonti e bibliografia
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