GRUPPO (XVII, p. 1012; App. II, 1, p. 1096; III, 1, p. 795)
Negli ultimi decenni, la teoria dei g. ha compiuto progressi molto considerevoli. Ci limiteremo qui ai più significativi.
Gruppi finiti. - Ricordiamo che un g. G si dice "semplice" se esso non possiede sottogruppi normali diversi da G stesso e dal sottogruppo unità. L'importanza dei g. semplici nella teoria dei g. finiti consiste nel fatto che se G è un g. finito, esiste almeno una catena di sottogruppi G = G0 ⊃ G1 ⊃ . . . ⊃ Gn = E (E essendo il sottogruppo unità) tale che Gi è normale in Gi-1 (i = 1, . . ., n) e il g. fattoriale Gi-1/Gi è semplice. Una tale catena si dice "serie di composizione" di G. I g. il cui ordine è un numero primo sono ovviamente semplici (g. semplici ciclici), ma esistono g. semplici di ordine composto come il g. alterno di sostituzioni su n oggetti con n > 4, o il g. delle sostituzioni lineari fratte su una variabile, a determinante = 1, in un campo finito d'ordine q con q ≠ 2, 3. Fin dalla fine del secolo scorso, il matematico inglese W. Burnside aveva formulato la congettura che non esistessero g. semplici non ciclici d'ordine dispari (congettura di Burnside).
Tale congettura ha resistito a lungo agli sforzi di diversi studiosi. Ma nel 1963, J. G. Thompson e W. Feit, in una poderosa memoria di oltre 250 pagine, riuscirono a provare l'esattezza della congettura di Burnside, dimostrando che l'ordine di ogni g. semplice non ciclico è necessariamente pari. Ricordiamo che un g. finito si dice "risolubile" se possiede una serie di composizione i cui fattoriali hanno tutti ordine primo. Il risultato di Feit e Thompson può quindi formularsi anche nel modo seguente: ogni g. finito d'ordine dispari è risolubile.
Il teorema di Feit e Thompson ha dato luogo a una notevole ripresa dell'interesse per i g. finiti semplici non ciclici. Fin dal secolo scorso erano state individuate alcune classi di g. semplici non ciclici (tra cui le già ricordate classi dei g. alterni e di certi g. di sostituzioni lineari) e alcuni g. semplici isolati, come i g. di Mathieu. Nel 1955, C. Chevalley, trasportando al caso di un campo qualunque la teoria di Cartan-Killing relativa alle algebre di Lie semplici sul campo complesso, è riuscito a costruire nuove classi di g. finiti semplici non ciclici (g. di Chevalley). Successivamente, sono state individuate da vari autori altre classi di g. semplici non ciclici, i quali figurano come sottogruppi di g. legati ad algebre di Lie (g. di Steinberg, di Tits, di Suzuki, di Ree). Notevoli i g. di Suzuki (trovati da questo autore nel 1960 per altra via, e poi riconosciuti da Ree come sottogruppi di g. legati ad algebre di Lie): essi hanno fornito un primo esempio di g. semplici non ciclici il cui ordine non sia divisibile per 3. In seguito sono stati individuati nuovi g. semplici isolati, tra cui i g. di Janko (1965), di D. G. Higman e C. Sims (1968), ecc. La scoperta di nuovi g. semplici si è notevolmente intensificata negli ultimi anni. Alcuni di essi sono stati individuati come g. di simmetrie di particolari strutture geometriche.
Notevoli progressi sono stati compiuti anche nella teoria dei g. finiti risolubili. Il punto di partenza è costituito dagli studi di P. Hall risalenti all'epoca tra le due guerre mondiali, e principalmente dalla seguente generalizzazione (limitatamente ai g. risolubili) del teorema di Sylow: se G è un g. finito risolubile d'ordine m•n, con m ed n primi tra loro, allora G ha sottogruppi d'ordine m, essi sono tra loro coniugati e ogni sottogruppo di G il cui ordine divida m è contenuto in un sottogruppo d'ordine m. Nel 1961, R. Carter provò che in ogni g. finito risolubile esistono sottogruppi nilpotenti e normalizzanti di sé stessi, e che tali sottogruppi sono tra loro coniugati (un sottogruppo H di un g. G si dice "normalizzante di sé stesso" se per x in G, ma non in H è sempre H x ≠ x H). Tale teorema ha dato lo spunto alla creazione della teoria delle formazioni, che non interessa solo i g. finiti e di cui vedi più oltre.
Gruppi infiniti. - Nell'ambito dei g. infiniti, importanti progressi sono stati fatti nei riguardi del problema di Burnside (v. gruppo, App. III, 1, p. 796). Dati due interi positivi n, m, sia C(n, m) la classe dei g. G tali che: a) G ammette un sistema di generatori costituito da n elementi; b) il periodo di ogni elemento di G divide m. Il problema di Burnside, oggi chiamato più propriamente problema generale di Burnside, può formularsi nel modo seguente: i g. appartenenti a C(n, m) sono necessariamente finiti? La risposta è positiva per m ≤ 4, n qualunque (il caso m = 4 fu risolto da I. N. Sanov nel 1940), mentre in generale la risposta è negativa, essendo stato provato da S. I. Adyan e P. S. Novikov (1959) che in C(n, m) esistono g. infiniti per n ≥ 2, m dispari e abbastanza grande.
Strettamente connesso al problema generale di Burnside è il problema ristretto di Burnside: dati gl'interi positivi n, m, esiste un confine superiore per l'ordine dei g. finiti appartenenti a C(n, m)? Quando il problema generale di Burnside ammette risposta positiva, altrettanto avviene per quello ristretto, onde il primo caso in cui quest'ultimo presenta interesse è quello in cui m = 5. A. I. Kostrikin nel 1955 provò che il problema ristretto ha risposta positiva nel caso m = 5, e nel 1959 fece altrettanto nel caso in cui m è un numero primo.
Negli ultimi quindici anni si è largamente sviluppata la teoria delle "varietà di g.", di cui diamo un cenno. Partiamo da qualche esempio significativo. Si consideri l'espressione x-1 y-1 x y. Se G è un g. abeliano, e a, b sono due elementi qualunque di G, sostituendo in detta espressione, in luogo di x e y, gli elementi a e b, si ottiene l'unità u di G, avendosi a-1 b-1 a b = a-1 a b-1 b = u. Diremo pertanto che x-1 y-1 x y = u (o, semplicemente, x-1 y-1 x y) è una "legge" di G. Analogamente, se G è un g. in cui ogni elemento ha il quadrato eguale all'unità, in esso è legge x2 = u (ovvero x2). In generale, dato un insieme H di espressioni (ciascuna costituita da un prodotto di potenze di certe indeterminate x, y, ecc.) si dice "varietà di g." definita da H la totalità dei g. in cui ogni espressione appartenente ad H è legge. Abbiamo così la varietà dei g. abeliani (definita da x-1 y-1 x y), la varietà dei g. di esponente n (definita da xn), ecc. Per le varietà sussiste il seguente notevole teorema (dovuto a G. Birkhoff): una classe C di g. è una varietà se e solo se gode delle seguenti proprietà: 1) se G è in C, anche ogni sottogruppo di G è in C; 2) se G è in C e N è un sottogruppo normale di G, anche G/N è in C; 3) se certi g. (in numero finito o infinito) sono in C, anche il loro prodotto diretto completo è in C. (Data una famiglia di g. G dicesi "prodotto diretto completo" di tali g. il g. G tale che: a) ogni elemento g di G è un insieme di elementi presi uno da ciascuno dei Gi, elementi che sono chiamati le "componenti" di g; b) se g, h sono in G e se gi, hi sono le componenti di g ed h in Gi, si ha che la componente di gh in Gi è gihi). La teoria delle varietà di g. è stata sviluppata principalmente dalla scuola di B. Neumann e H. Neumann.
Può avvenire che una medesima varietà sia definita da due diversi insiemi di espressioni, perché se in un g. certe espressioni sono leggi, lo sono di conseguenza anche altre (per es., se in un g. è legge l'espressione x-1 y-1 x y, lo è anche x-1 y-2 x y2). È stata, per un certo tempo, incerta la risposta al quesito: data una varietà C, esiste sempre un insieme finito di leggi atte a definirla? Recentemente (ad opera di A. Ju. Ol'šanskiĭ, M. R. Vaughan Lee, S. I. Adyan) è stata data risposta negativa a tale domanda, cioè sono state costruite varietà che non possono essere definite mediante un insieme finito di leggi.
D'altra parte è stato dimostrato (S. Oates e M. B. Powell, 1964) che la varietà individuata da un g. finito G (cioè la minima varietà contenente G) si può definire mediante un numero finito di leggi, cioè che tutte le leggi valevoli in G sono conseguenza di un numero finito di esse.
Oltre alle varietà di g. sono state introdotte e studiate negli ultimi anni altre notevoli classi di g.: le formazioni e le classi di Fitting. Si dice "formazione" (W. Gaschütz, 1963) una classe di g. ℱ verificante le due proprietà seguenti: 1) Se il g. G è in ℱ, e N è un sottogruppo normale di G anche G/N è in ℱ; 2) Se N1, N2 sono sottogruppi normali del g. G, e se G/N1, G/N2 sono in ℱ, anche G/(N1 ⋂ N2) è in ℱ (ove N1 ⋂ N2 sta a indicare il sottogruppo normale costituito dagli elementi comuni ad N1 e N2). Si dice invece "classe di Fitting" (B. Fischer, W. Gaschütz, B. Hartley 1967) una classe ℱ di g. tale che: 1) se il g. G è in ℱ e N è un sottogruppo normale di G, anche N è in ℱ; 2) se N1, N2 sono sottogruppi normali di G appartenenti ad ℱ, e se G = N1N2 (se cioè ogni elemento di G si può esprimere come prodotto di un elemento di N1 per uno di N2) anche G è in ℱ.
Nell'ambito dei g. infiniti ha avuto notevole sviluppo negli ultimi tempi lo studio dei g. "localmente finiti", cioè dei g. in cui ogni sottoinsieme finito è contenuto in un sottogruppo finito. Per tale argomento rimandiamo al volume di Kegel e Wehrfritz citato nella bibliografia.
Molti progressi si sono avuti anche nella teoria dei g. abeliani infiniti (v. il volume di Fuchs, citato nella bibliografia). Gran parte di tale teoria s'inquadra oggi nella teoria degli A-moduli e nell'algebra omologica (v. topologia, App. III, 11, p. 960).
Gruppi topologici e di Lie. - Nell'App. II, 1, p. 1096 alla v. gruppo, si accenna alla teoria dei g. topologici e al modo d'inquadrare in essa la teoria dei g. di Lie.
Si dice "g. topologico" un insieme G tale che: 1) G sia un g.; 2) G sia uno spazio topologico; 3) l'applicazione che associa a ogni coppia di elementi x, y di G l'elemento x-1 sia continua.
Se V è uno spazio topologico, e A è un suo aperto, si dice "carta" di dominio A e di dimensione n un omeomorfismo (cioè una corrispondenza biunivoca e bicontinua) ϕ tra A e un aperto di uno spazio euclideo reale n-dimensionale S. Se p è un punto di A, le coordinate di ϕ(p) si diranno coordinate di p in ϕ. Due carte ϕ, ϑ di dominio A e B rispettivamente, si diranno "collegate analiticamente" se, per ogni eventuale punto p comune ad A e B, le coordinate di p in ϑ, sono funzionali analitiche delle coordinate di p in ϕ, e viceversa. Si dice "varietà analitica" uno spazio topologico V per il quale sia dato un sistema di carte, a due a due collegate analiticamente: ogni punto di V appartiene al dominio di almeno una carta.
Si dice "g. di Lie" un insieme V tale che: 1) V è un g. topologico; 2) V è una varietà analitica; 3) l'applicazione che associa a ogni coppia di elementi x, y di V l'elemento xy-1 è analitica.
In un g. di Lie, tutte le carte hanno la stessa dimensione, che si chiama "dimensione" del gruppo. Dato un g. di Lie G di dimensione n, si consideri una carta ϕ di G definita in un intorno U dell'unità u di G. Possiamo ridurci al caso in cui le coordinate di u nella ϕ sono tutte nulle. Si possono allora definire in u i vettori tangenti
(λi reali). Se f è una funzione definita in U, espressa mediante le coordinate x1, . . ., xn del punto nella ϕ, il vettore tangente
associa a ogni f il numero reale
I vettori tangenti in u formano evidentemente uno spazio vettoriale di dimensione n. A partire da L si può costruire una "traslazione infinitesima destra" X, cioè un'applicazione dell'insieme H delle funzioni analitiche in G in sé che associa alla funzione f appartenente ad H una funzione Xf la quale, in un punto x di G in cui f sia definita e analitica, assume il valore Lfx; ove si ponga fx(y) = f (xy).
Le traslazioni infinitesime destre costituiscono uno spazio vettoriale isomorfo a quello formato dai vettori tangenti in u. Ma date due traslazioni infinitesime destre X, Y, si ha che anche XY = YX è una traslazione infinitesima destra, e che l'insieme delle traslazioni infinitesime destre risulta essere un'algebra di Lie sul campo reale (v. algebra, App. III, 1, p. 61), in cui il prodotto di Lie si definisca appunto nel modo seguente: [X, Y] = XY− YX. Essa si dice "algebra di Lie " del g. G.
Due g. di Lie si dicono "localmente isomorfi" se può stabilirsi tra due intorni U e U′ delle unità dei due g. una corrispondenza biunivoca e bicontinua ϕ tale che, se x, y, xy sono in U, si abbia ϕ(xy) = ϕ(x) ϕ(y). Due g. di Lie danno luogo alla stessa algebra di Lie se e solo se sono localmente isomorfi. Se G è un g. di Lie di dimensione n, indicati con X1, X2, . . ., Xn gli elementi di una base dell'algebra di Lie, si ha
I numeri cijk, detti "costanti di struttura", verificano le relazioni
Viceversa n3 numeri reali che verificano dette relazioni sono sempre le costanti di struttura di un'algebra di Lie, e quindi individuano, a meno di isomorfismi locali, un g. di Lie di dimensione n.
G. di Lie localmente isomorfi non sono necessariamente isomorfi; pertanto si pone il problema di costruire, a meno di isomorfismi, tutti i g. di Lie localmente isomorfi a un dato g. di Lie. A tal fine, dato un g. di Lie connesso G, si può costruire un g. di Lie univocamente determinato G (detto "ricoprimento universale" di G), che è localmente isomorfo a G e tale che ogni g. connesso localmente isomorfo a G è immagine omomorfa di G.
Per gli ulteriori sviluppi della teoria dei g. di Lie rimandiamo ai trattati citati nella bibliografia.
Bibl.: L. S. Pontrjagin, Nepreryvnye gruppy, Mosca 1945 (trad. ted. Topologische Gruppen, Lipsia 1957); C. Chevalley, Theory of Lie groups, I, Princeton 1946; id., Théorie des groupes de Lie, II, Parigi 1951; id., Théorie des groupes de Lie, III, ivi 1955: P. M. Cohn, Lie gorups, Cambridge 1957; W. R. Scott, Group theory, Englewood Cliffs 1964; E. Schenkman, Group theory, Princeton 1965; G. Zappa, Fondamenti di teoria dei gruppi, I, Roma 1965; II, ivi 1970; B. Huppert, Endliche Gruppen, I, Berlino 1967; A. G. Kuroš, Teorija grupp, Mosca 19673; H. Neumann, Varieties of groups, Berlino 1967; D. Gorenstein, Finite groups, Londra 1968; L. Fuchs, Infinite abelian groups, I, New York 19702; II, ivi 1973; O. Kegel, B. A. F. Wehrfritz, Locally finite groups, Amsterdam 1973.