Entità comprese in una specie (dette anche spesso razze). Per la nomenclatura delle piante coltivate il Congresso internazionale di orticoltura del 1952 stabilì alcune norme e propose il termine cultivar, che si riferisce a un’entità subordinata alla specie; con ciò fu abolito per le piante coltivate il termine v. (e razza); le cultivar non devono avere nomi latini, come li hanno le v. di piante spontanee. La cultivar per essere commercializzata deve essere inclusa in un apposito registro nazionale e comunitario.
Nozione che ha avuto origine dai tentativi di generalizzare quelle di curva e di superficie, cioè di enti geometrici a 1 e 2 dimensioni; da questo punto di vista intuitivo una v. si presenta come un ente geometrico a n dimensioni (n intero positivo arbitrario) ovvero come una figura geometrica il cui punto è funzione di un numero n (arbitrario) di parametri. Così, per es., la totalità delle rette dello spazio si può pensare come una v. a 4 dimensioni i cui elementi (punti della v.) sono appunto le rette dello spazio che, com’è noto, dipendono da 4 parametri; per motivo analogo le circonferenze del piano costituiscono una v. a 3 dimensioni e si parla quindi della v. delle circonferenze del piano, della v. delle rette dello spazio e così via; similmente lo spazio-tempo della relatività si può riguardare come una v. a 4 dimensioni, essendo ogni elemento individuato da 3 coordinate spaziali e una coordinata temporale. Una caratteristica comune a tutte le v. è comunque la presenza di coordinate, cioè di parametri atti a individuare i punti della v. stessa, generalizzando in tal modo i concetti di spazio e di iperspazio.
Si possono dare varie definizioni del concetto di v., a seconda del tipo di spazio a cui ci si riferisce e delle particolari proprietà che si vogliono mettere in evidenza: si parla allora di v. algebrica (definita da un sistema di equazioni algebriche), di v. differenziabile (nel caso in cui le coordinate si possano rappresentare per mezzo di funzioni differenziabili dei parametri), di v. lineare, di v. topologiche ecc. Va detto però che quasi tutti i tipi di v. considerati hanno in comune una struttura di base minima che è una struttura di tipo topologico; in questo senso le v. analitiche, differenziabili ecc., si possono considerare come casi particolari di v. topologiche. Del tutto naturale è la nozione di sottovarietà (o v. subordinata) di una data v. V; si tratta di un sottoinsieme di V che ha una struttura di v. dello stesso tipo della V, e da questa opportunamente subordinata.
Sia S uno spazio topologico (➔ spazio), U un aperto di S, e ϑ un omeomorfismo (funzione biunivoca e continua) tra U e un aperto dello spazio reale n-dimensionale Rn. La coppia (U, ϑ) prende il nome di sistema di coordinate locali nell’aperto U in quanto permette di associare, a ogni punto P di U, n numeri reali (x1, ..., xn) che sono le coordinate del punto corrispondente di P in Rn nell’omeomorfismo ϑ. Se (U′, ϑ′) è un altro sistema di coordinate relativo all’aperto U′, nell’intersezione U∩U′ ogni punto avrà certe coordinate (x1, ..., xn) nel primo sistema e (y1, ..., yn) nel secondo; le yi sono legate alle xi da un cambiamento invertibile di coordinate, del tipo yi=fi(x1, ..., xn) per i=1, ..., n. Lo spazio topologico S acquista la struttura e la denominazione di v. quando è dotato di una famiglia di sistemi di coordinate locali (Ui, ϑi), dove gli aperti Ui formano un ricoprimento di S, e quando i cambiamenti di coordinate appartengono a una determinata classe, che qualifica la v. stessa. Così se le funzioni fi che esprimono il cambiamento delle coordinate sono funzioni di classe C0 (cioè continue), la v. stessa si dice v. di classe C0 o v. topologica; se le funzioni fi sono differenziabili di classe Ci (cioè continue insieme con tutte le loro derivate fino all’ordine i), la v. si dice v. differenziabile di classe Ci; se le funzioni sono di classe C∞ (hanno derivate di tutti i possibili ordini), la v. si dice una v. C∞; se le funzioni sono analitiche, la v. è analitica e si indica con Cω e così via. L’intero n è la dimensione della v., e in definitiva è il numero di parametri (coordinate) da cui dipende un punto della v. stessa; nei casi n=1 e n=2 si parla più propriamente di linea differenziabile e di superficie differenziabile. Normalmente nella teoria delle v. si suppone di più che lo spazio S, come spazio topologico, sia uno spazio di Hausdorff (➔ spazio); se inoltre S gode di attributi particolari (spazio connesso, compatto, non compatto ecc.) gli stessi attributi si applicano alla v. che diventa quindi una v. connessa, compatta, non compatta ecc.
Per lo studio delle v. hanno importanza fondamentale la nozione di applicazione tra due v. e la costruzione delle relative classi di equivalenza e, tra queste, i cosiddetti germi di funzioni. Precisamente, date due v. V e V′ di classe Ci, un’applicazione ϕ: V→V′ si dirà un’applicazione di classe Ci se la sua rappresentazione a mezzo delle coordinate locali ha luogo mediante funzioni di classe Ci, cioè se due punti corrispondenti P e P′ (su V e V′ rispettivamente) sono tali che le coordinate di P′ sono funzioni di classe Ci delle coordinate di P. L’applicazione si dice un isomorfismo tra V e V′ se esiste l’inversa ϕ−1 anch’essa di classe Ci (si parla in tal caso anche di omeomorfismo differenziabile o diffeomorfismo). Due v. isomorfe hanno necessariamente la stessa dimensione n. La relazione di isomorfismo tra v. di dimensione n e classe Ci è una relazione di equivalenza, le cui classi sono classi di isomorfismo delle v. considerate (a una classe appartengono tutte le v. isomorfe a una v. data). Uno dei problemi fondamentali nella teoria delle v. è quello di determinare tutte le classi distinte, in altre parole quello di classificare le v. rispetto alla relazione di isomorfismo. Si dimostra, per es., che esistono due sole classi di v. topologiche connesse di dimensione 1, delle quali si possono prendere come modelli, rispettivamente, la retta e la circonferenza.
Particolare tipo di v. algebrica, di dimensione p, topologicamente isomorfa a un toro complesso T (quoziente dello spazio complesso Cp rispetto a un opportuno gruppo di traslazioni operante su Cp); si può riguardare anche come v. di gruppo. Dal punto di vista analitico lo studio delle v. abeliane equivale allo studio delle funzioni meromorfe di p variabili complesse, con 2p periodi indipendenti (i generatori del gruppo di traslazioni), e si presenta come generalizzazione dello studio delle curve ellittiche, collegate alle funzioni di 1 variabile complessa con 2 periodi (funzioni ellittiche).
Lo studio dei polinomi in più indeterminate è alla base delle definizione di v. algebrica. La nozione di v. algebrica che per prima si è affermata nello sviluppo storico della geometria algebrica, è quello di v. algebrica immersa in uno spazio proiettivo complesso r-dimensionale Pr, e cioè come insieme dei punti di Pr le cui coordinate proiettive soddisfano un sistema di equazioni algebriche omogenee:
con f1, ..., fk appartenenti all’anello dei polinomi in r indeterminate, a coefficienti in un assegnato campo algebricamente chiuso. Esempi elementari sono: una curva algebrica piana, una superficie algebrica nello spazio a 3 dimensioni, un’ipersuperficie algebrica di un iperspazio; esse sono tutte rappresentate da una sola equazione nel rispettivo spazio e prendono anche il nome di forme algebriche, oltreché quello di ipersuperfici algebriche. Una curva algebrica sghemba è invece un esempio di v. algebrica che non sia una ipersuperficie. Date due v. algebriche V e V′ di Pr, la loro unione (punti appartenenti a V o a V′) e la loro intersezione (punti appartenenti a V e V′) sono ancora v. algebriche. Una v. algebrica si dice riducibile o spezzata se risulta l’unione di due o più v. algebriche non coincidenti con essa; irriducibile nel caso opposto (per es., una curva piana costituita da una retta e da una circonferenza è riducibile). Per una proprietà generale, ogni v. algebrica V è l’unione di un numero finito di v. algebriche irriducibili, univocamente determinate da V, dette le sue componenti irriducibili. Viene detto insieme algebrico il luogo degli zeri (soluzioni) di [1], riservando la denominazione di v. algebrica al caso di v. irriducibili. I complementari in V degli insiemi algebrici formano la base di aperti che definiscono la topologia di Zariski della v. algebrica. Grazie alla particolare topologia si possono opportunamente definire intorni, funzioni regolari e trattare le v. algebriche analogamente alle v. differenziabili o analitiche. Proprietà importanti di una v. (irriducibile) V di Pr sono l’ordine e la dimensione. La dimensione di V è il massimo intero d tale che ogni sottospazio Pr−d di Pr abbia intersezione con V; l’ordine di V è il numero n di punti (costante) di intersezione di V con un generico Pr−d; una v. di dimensione d e ordine r si indica con Vrd (per es., una conica è una V21; un’ipersuperficie di Pr è una v. di dimensione r−1).
Una nozione fondamentale è anche quella di punto semplice o non singolare di una Vnd di Pr; si tratta di un punto A tale che un generico Pr−d passante per A ha una sola intersezione con la v. nel punto A; punti singolari sono tutti i rimanenti. Si riconosce che il punto generico di una v. irriducibile è semplice (per es., per una cubica piana nodata o cuspidata, tutti i punti sono semplici tranne il nodo o la cuspide che sono singolari). Lo studio delle v. algebriche immerse in uno spazio proiettivo Pr con i metodi della geometria proiettiva costituisce la geometria algebrica proiettiva; la geometria algebrica in senso proprio consiste però nello studiare il comportamento delle v. algebriche di fronte alle trasformazioni birazionali; considerando equivalenti due v. trasformabili birazionalmente l’una nell’altra, si può dire che il problema fondamentale della geometria algebrica è quello della classificazione delle v. algebriche di fronte a questa equivalenza. In quest’ordine di idee particolare importanza ha il problema della ricerca, tra tutte le v. equivalenti a una data, di una che goda di particolari proprietà, per es., di essere priva di punti singolari (costruzione del modello non singolare di una data v.).
Lo stesso concetto di v. algebrica ha subito una evoluzione passando da un insieme di punti di uno spazio proiettivo, alla v. algebrica astratta (non definita in uno spazio proiettivo), e modificatasi poi recentemente nella nozione di schema, e generalizzando successivamente il corpo base (inizialmente il corpo complesso, poi un corpo di caratteristica zero, di caratteristica p>0, o più in generale un anello opportuno). La teoria degli schemi si basa su un diverso approccio al concetto di punto, identificato con un ideale primo di un anello K. Lo spettro di K, Spec K, è l’insieme di punti che sono ideali primi di K. In quest’ottica moderna una v. algebrica su K è uno schema su Spec K, cioè uno spazio topologico con topologia di Zariski e opportuni morfismi su K. Per es., nel caso degli interi Z, gli ideali primi sono (0), (2), (3), ..., (p), con p numero primo; (0) è un punto denso, cioè vicino, nella topologia di Zariski, a ogni altro punto della varietà e non è chiuso, cioè non è ideale massimale, quindi lo schema su Z coincide con la chiusura di (0) cioè Spec Z={(0¯)}.
V. dotata in ogni suo punto di coordinate locali, in maniera che i cambiamenti di coordinate siano espressi da funzioni analitiche. Si tratta di un caso particolare di v. differenziabile, essendo le funzioni analitiche particolari funzioni differenziabili.
Tipo di v. dotata in ogni suo punto di un sistema di coordinate (o carta o parametrizzazione) locali, in modo che i cambiamenti di coordinate siano espressi da funzioni differenziabili di una certa classe Ci; la v. stessa prende il nome di v. differenziabile di classe Ci. Una v. differenziabile è caso particolare di v. topologica (in quest’ultima i cambiamenti di coordinate sono espressi da funzioni soltanto continue); si dimostra peraltro che esistono v. topologiche sulle quali non è possibile introdurre alcuna struttura di v. differenziabile; si dimostra altresì che due v. differenziabili possono essere isomorfe come v. topologiche, ma non come v. differenziabili (in altri termini è possibile introdurre in uno stesso spazio topologico due strutture differenziabili essenzialmente distinte). Di fondamentale importanza nello studio delle v. differenziabili è la considerazione dello spazio vettoriale tangente Tx alla v. in ogni suo punto x, la cui base è costituita dalle derivate direzionali in x delle funzioni definite sulla varietà. In conseguenza è possibile la considerazione e lo studio sulla v. differenziabile di campi di vettori, di campi di tensori, dell’algebra delle forme differenziali esterne nonché dei loro integrali, che permettono di stabilire importanti legami con proprietà algebriche e topologiche della v. stessa (omologia, coomologia ecc.). Una funzione differenziabile F tra due v. differenziabili è un’immersione se il differenziale di F è un’applicazione lineare iniettiva, è un embedding se è un’immersione con un omeomorfismo sull’immagine; in questo modo una sottovarietà può essere considerata come una v. immersa (o embedded). Il teorema di Whitney stabilisce che ogni v. differenziabile di dimensione n può essere immersa in R2n ed embedded in R2n+1 (per un’analisi del ruolo che hanno gli elementi qui sopra indicati in geometria differenziale ➔ tensore).
Le proprietà di una v. differenziabile possono interessare la v. stessa solo localmente (proprietà locali) o possono invece esigere la considerazione della v. tutta intera (proprietà globali). Ricordiamo a questo proposito che esistono importanti legami tra proprietà locali e globali, a cominciare dal teorema di De Rham che stabilisce un collegamento tra forme differenziali esterne da una parte (proprietà algebrica locale) e i numeri di Betti della v. dall’altra (proprietà topologica globale). Lo studio approfondito dei legami tra proprietà differenziali e topologiche conduce a risultati interessanti che riguardano l’esistenza di soluzioni di equazioni differenziali sulla varietà.
V. algebrica irriducibile, che si possa porre in corrispondenza birazionale senza eccezioni con uno spazio proiettivo della stessa dimensione. Per es. una conica è una v. lineare di dimensione 1.
In generale, date due v. V e V′, si può considerare il loro prodotto V×V′ come insieme delle coppie di elementi appartenenti a V e V′. Ciò non basta però per parlare di v. prodotto; è necessario infatti che, V e V′ essendo v. dotate di una certa struttura, venga definita su V×V′ una struttura dello stesso tipo.
Si tratta di una v. differenziabile di classe Ci, dotata di una struttura addizionale di natura metrica, e precisamente di una metrica riemanniana.
Tipo molto generale di v., dotata soltanto di una struttura topologica. Tale struttura rappresenta, in certo senso, la struttura minima che si possa attribuire a una v.; infatti ogni v. di altro tipo è praticamente sempre dotata di una struttura topologica e in più di qualche altra struttura o proprietà addizionale (così accade per le v. differenziabili, le v. riemanniane ecc.). Come abbiamo già detto nella parte introduttiva, una struttura topologica è basata sul fatto che i cambiamenti di coordinate locali sono rappresentabili mediante funzioni continue (di classe C0). Qualora sia possibile stabilire un omeomorfismo tra una v. topologica e un complesso simpliciale, si dice che la v. stessa è triangolabile, e l’omeomorfismo è una triangolazione della varietà. È dimostrato che ogni v. topologica di dimensione inferiore a 4 è triangolabile, mentre una v. differenziabile ammette sempre una triangolazione. Circa la classificazione delle v. topologiche in classi di isomorfismo, oltre al risultato già citato che ogni v. topologica connessa di dimensione uno è equivalente a una retta o a una circonferenza, ricordiamo che esiste un’infinità numerabile di classi di equivalenza di v. topologiche di dimensione due sia aperte sia chiuse; queste ultime sono le sfere con p manici, p essendo un intero arbitrario ≥0.
Spettacolo d’arte varia, con danze, canzoni, scene comiche, esibizioni acrobatiche o illusionistiche, presentato inizialmente in locali di tipo particolare, che partecipavano del teatro e del caffè, poi anche in teatri, e spesso come integrazione di spettacoli cinematografici. Si è affermato poi anche come programma radiotelevisivo.
Lo spettacolo di v., chiamato agli inizi café-chantant, poi café-concert, nacque a Parigi intorno al 1770. In un primo tempo si componeva soltanto di musiche, brani d’opera, operetta, esecuzioni di antiche canzoni e canzonette in voga. Alla metà del 19° sec. sorsero i primi veri teatri di v., i variétés, nei quali lo spettacolo era diviso in tre parti: nella prima, canzonette, duetti comici, romanze, esibizioni di buffi; nella seconda, numeri d’attrazione, ginnasti, acrobati, giocolieri e grandi vedette di fama internazionale; la terza parte era riservata a un breve atto comico, un vaudeville. Con il passare degli anni, il programma di v. si restrinse a due sole parti e non si seguì più un ordine prestabilito dei numeri. Accanto ai primi variétés della fine dell’Ottocento, sorsero altri locali di nuovo tipo: i cabaret (poi tabarin), cioè dei variétés in miniatura; tra la fine del 19° sec. e l’inizio del 20° alcuni v. parigini presero il nome di music-hall, pur senza mutare genere di spettacolo. Il v. ebbe anche in Italia grande voga e seguito di pubblico, ma dopo la Prima guerra mondiale, divenuto ormai uno spettacolo troppo facile, si cercò d’infondergli nuova vita arricchendone il contenuto: dall’innesto del vecchio v. su uno scheletro tipo operetta comparve la nuova rivista.
Gruppo sistematico (abbreviato in var.) di ambito inferiore alla sottospecie, da taluni considerato all’incirca equivalente alle razze naturali.
In base alle regole di nomenclatura zoologica in uso, alle v. non si può attribuire un nome scientifico.