guerra fredda
Il mondo diviso in due
Guerra fredda è l'espressione con cui si indica il confronto mondiale tra Stati Uniti e Unione Sovietica iniziato nel secondo dopoguerra. Tale lotta per il controllo del mondo conobbe diverse fasi, caratterizzate anche da guerre 'calde', come quelle in Corea e in Vietnam. Il bipolarismo, ossia il sistema fondato intorno ai due blocchi contrapposti, si concluse definitivamente dopo quasi mezzo secolo, nel 1991, con lo scioglimento dell'URSS
La diffusione dell'espressione guerra fredda iniziò a partire dal 1947, quando il giornalista americano Walter Lippmann volle così definire lo stato delle relazioni internazionali che si andava delineando dopo la Seconda guerra mondiale, a causa della sempre più evidente spaccatura tra l'Unione Sovietica, che aveva occupato l'Europa orientale, e gli Stati Uniti, che si erano affermati come maggiore potenza dell'Occidente democratico.
L'invenzione di Lippmann entrò nel linguaggio comune per descrivere la contrapposizione in ogni sfera (politica, economica, ideologica) tra i due blocchi, un'ostilità che non sembrava ai più risolvibile attraverso una guerra frontale tra le due superpotenze, dato il pericolo per la sopravvivenza dell'umanità rappresentato da un eventuale ricorso alle armi nucleari.
In una prima fase il confronto bipolare ebbe soprattutto il carattere di una guerra di posizione, alla ricerca della stabilità del quadro internazionale. Fino al 1949, infatti, gli eventi principali furono la cacciata dei comunisti dai governi in Francia e in Italia (maggio 1947), l'azione di forza dei comunisti cecoslovacchi che presero il potere (febbraio 1948) e il blocco di Berlino (i Sovietici bloccarono l'accesso via terra al settore ovest della città nel giugno del 1948, ma posero fine all'iniziativa nel maggio dell'anno successivo di fronte all'imponente ponte aereo grazie a cui i Berlinesi continuavano a ricevere da Occidente tutti i beni necessari).
Il Piano Marshall del 1947 (di aiuti economici americani per la ricostruzione europea) e il Patto atlantico del 1949 (di cooperazione tra le potenze occidentali) contribuirono a stabilizzare la situazione in Europa. Ma la guerra fredda, a quel punto, entrò in una fase 'calda' in altre aree, soprattutto in Asia con l'affermarsi della Rivoluzione cinese (ottobre 1949). Nel 1950 si giunse inoltre a un conflitto tra la Corea del Nord (comunista) e quella del Sud (filoamericana). L'esercito statunitense respinse le truppe nordcoreane, ma così provocò l'intervento cinese. Nel 1953 la guerra si concluse con la divisione della penisola in due Stati. Nello stesso anno segnarono una svolta, inoltre, la morte di Stalin e l'uscita di scena del presidente americano Harry Spencer Truman. Le relazioni tra Stati Uniti e Unione Sovietica si indirizzarono successivamente verso il disgelo (o anche, come poi si disse, la distensione), pur non mancando alcune gravi crisi, come quella di Berlino del 1959-61, culminata con l'erezione di un muro tra la parte occidentale e quella orientale della città (uno dei più significativi simboli della guerra fredda), e la crisi missilistica di Cuba del 1962 (l'isola, dal 1959 sotto il regime di Fidel Castro, ospitò rampe missilistiche sovietiche, che furono smantellate dopo forti tensioni tra le due superpotenze), forse il momento in cui maggiormente il mondo intero si sentì sull'orlo di un conflitto nucleare.
Nel 1965, con le proposte sulla non proliferazione delle armi atomiche, si aprì la fase della cosiddetta coesistenza pacifica, accompagnata in realtà da nuove tensioni internazionali. La più grave emerse con la guerra del Vietnam (1965-75): gli Americani, vedendo profilarsi la fine del regime anticomunista nel Vietnam del Sud, intervennero militarmente, ma ne uscirono nettamente sconfitti, oltre che lacerati al loro interno. Con gli accordi di Helsinki del 1975 la guerra fredda, per molti versi, si concluse: venne riconosciuto l'equilibrio mondiale realizzatosi fino a quel momento. Salvo alcuni episodi (come l'invasione sovietica dell'Afghanistan nel 1979), si giunse a una relativa stabilità del quadro internazionale, nel quale divenne però particolarmente evidente la crisi interna dell'URSS. Il suo collasso, nonostante i tentativi di riforma messi in atto da Michail S. Gorbačëv, seguì il crollo dei regimi comunisti nell'Europa orientale (iniziato con la caduta del Muro di Berlino il 9 novembre 1989).