GUGLIELMO da Forlì
Di G., detto anche Guglielmo dagli Organi dal nome di una antica e nobile famiglia della città (Viviani Marchesi) e ricordato da Vasari tra i discepoli di Giotto, non si conoscono le date di nascita e di morte.
In verità, di lui non si conservano neppure opere certe, nonostante le fonti meno recenti ne ricordino molte. Gli storici locali (Bonoli, Viviani Marchesi e, dopo di loro, i compilatori delle guide ottocentesche Casali e Calzini - Mazzatinti) che, sulla base della nota vasariana, considerarono G. allievo di Giotto, e per questo "mitico fondatore della scuola pittorica forlivese" (Argelli), immaginarono che egli fosse vissuto nei primi decenni del Trecento. Nessun documento d'archivio contribuisce tuttavia a dare consistenza storica alla sua figura. Le carte che riguardano un "magister Guillelmus de contrata Sclavoniae" si riferiscono, infatti, a un pittore attivo a Forlì alla fine del XIV secolo e probabilmente ancora in vita all'inizio del Quattrocento. Questi, dopo esser stato testimone in un atto notarile del 28 genn. 1393 (Grigioni, Per la storia della pittura…), viene menzionato in un documento successivo relativo a un tale Salomone, pittore, che viene indicato come figlio di "magister Guillelmus" (ibid.). Inoltre, nel Chronicon di frate Girolamo da Forlì, in cui è narrata la storia del convento domenicano della città tra il 1397 e il 1433, si ricorda un "magister Guillelmus de Forlivio" impegnato nel 1408 nella realizzazione degli affreschi che decoravano la cappella maggiore della chiesa del convento (intitolata a S. Giacomo, ma nota dalle fonti come S. Domenico).
Tra Otto e Novecento, nel tentativo di identificare il vasariano G. facendo coincidere la tradizione letteraria e le notizie archivistiche, aveva preso forma, presso la storiografia locale, l'ipotesi di un pittore assai longevo. A questo pittore centenario, vissuto dai primi del Trecento all'inizio del secolo successivo, era costume ricondurre la maggior parte delle frammentarie e scarsamente conservate memorie della tradizione pittorica forlivese che allora si credevano risalenti al XIV secolo e che, invece, in larga misura appartengono al secolo successivo (Tambini, 1982).
Del supposto catalogo di questo artista facevano tradizionalmente parte sia opere "giottesche" del primo Trecento, come la Crocifissione del capitolo della chiesa forlivese di S. Maria dei Servi (che oggi si ritiene dipinta da Giuliano da Rimini intorno al 1308: Boskovits), sia dipinti "neogiotteschi" di molto successivi, come il lacerto con il Corteo dei magi, proveniente dalla chiesa di S. Maria in Sclavonia (completamente trasformata tra 1833 e 1840) e attualmente conservato nella Pinacoteca cittadina, che Brandi, leggendo sul margine dell'affresco staccato la firma "Agostinus" (già notata nel 1838 dallo storico locale Casali), assegnò a un non identificato pittore con questo nome. Oltre a queste due opere, entrambe con ogni probabilità uniche testimonianze superstiti di ben più ampie figurazioni perdute, al pittore venivano anche accostati numerosi altri dipinti di qualità meno rilevante: "avanzi giotteschi", come scrivevano Crowe e Cavalcaselle, ripresi nel 1925 da Van Marle, che, in anni recenti, hanno perso anch'essi la loro antica attribuzione (Tambini, 1982, 1988).
In ragione di questa revisione, il pittore ricordato da Vasari, al quale non sembra più possibile ricondurre alcuna opera conservata, potrebbe trasformarsi in una figura del tutto immaginaria.
E però, tutte le notizie che le fonti letterarie riportano a proposito dei dipinti del pittore riguardano opere che risultano perdute, perché realizzate in edifici religiosi radicalmente trasformati tra Seicento e Settecento o addirittura distrutti. È il caso del complesso conventuale di S. Francesco Grande, completamente demolito nel 1815, a riguardo del quale Oretti annotava: "in Convento la Concezione e Santi di quello dalli organi". E pure Lanzi, pochi anni più tardi, a proposito di G., "il più antico pittore di Forlì", scriveva che "le sue pitture a fresco fatte ai francescani più non si veggono". Si tratta, quindi, di opere perdute, che si possono tuttavia parzialmente documentare, restituendo in questo modo un'identità concreta al pittore forlivese, vissuto non nella prima metà del Trecento, bensì nella seconda, come attesterebbero sia i menzionati documenti notarili sia il Chronicon di frate Girolamo, tra i quali c'è concordanza cronologica; ed è molto probabile che essi si riferiscano allo stesso maestro. Il frate domenicano annotava infatti che il 21 sett. 1408 un fulmine aveva danneggiato le pitture appena realizzate nella cappella maggiore della chiesa del suo convento, non ancora terminata, e che l'autore di quelle storie, "magister Guillelmus de Forlivio", si era prontamente incaricato di riparare le figure rovinate. Del resto, lo stesso Vasari, nell'elencare i dipinti del suo giottesco, segnalava che il pittore "oltre a molte opere fece in San Domenico di Forlì sua patria la cappella dell'altare maggiore", riferendosi dunque proprio a quei dipinti, forse realizzati in occasione del capitolo generale dell'Ordine domenicano tenutosi a Forlì nel 1398, che nel Cinquecento dovevano essere ancora ben visibili.
La chiesa dei domenicani risulta esser stata rinnovata tra il 1715 e il 1720 soprattutto nella zona absidale e, ancora, dopo il terremoto del 1781. Tuttavia, le tracce dei dipinti realizzati nel coro, forse già rovinati, si erano perse in precedenza: nel 1691 lo storico locale Cignani (Il S. Domenico di Forlì, p. 198) scriveva che i padri domenicani, in occasione di un loro capitolo provinciale non troppi anni prima, avevano provveduto a imbiancare gli affreschi che si "vedevano nella volta del Coro ed altar maggiore". In effetti, una descrizione della chiesa del 1650 riporta: "presbiterio e Coro tutto sistemato e coperto" (ibid.). Probabilmente per tale ragione né gli inventari di Oretti, che censì nel 1777 le pitture conservate nella città di Forlì, né la successiva Storia pittorica di Lanzi, che ne seguì le indicazioni, fanno riferimento a queste opere.
L'autore delle opere della chiesa domenicana e di quelle ricordate presso i francescani morì probabilmente nel 1408.
La data si desume dal Chronicon, che a seguito della notizia sull'impresa per i domenicani portata a termine dall'artista, aggiungeva a riguardo del pittore "cuius anima requiescat in pace". L'ipotesi sembra trovare conferma nel secondo documento notarile già citato, datato dicembre 1408 e riguardante Salomone, figlio del "quondam" maestro Guglielmo (Grigioni, Per la storia della pittura…).
Fonti e Bibl.: Hieronymus Foroliviensis, Chronicon Foroliviense ab anno 1397 usque ad annum 1433, a cura di A. Pasini, in Rer. Ital. Script., XIX, 5, p. 11; G. Vasari, Le vite… (1568), a cura di G. Milanesi, I, Firenze 1906, p. 304; P. Bonoli, Istorie della città di Forlì…, Forlì 1661, p. 154; G. Viviani Marchesi, Vitae virorum illustrium Foroliviensium, Forlì 1726, p. 256; M. Oretti, Pitture nella città di Forlì (1777), in Il patrimonio culturale della provincia di Forlì, II, Gli edifici di culto del centro storico di Forlì, Bologna 1974, p. 49; C. Casali, Guida per la città di Forlì, Forlì 1838, pp. 13, 56 n. 1, 71; E. Calzini - G. Mazzatinti, Guida di Forlì, Forlì 1893, pp. 13, 21, 60, 88; G.B. Cavalcaselle - J.A. Crowe, Storia della pittura in Italia, II, Firenze 1897, pp. 53 s.; E. Calzini, Marco Palmezzano e le sue opere, in Arch. stor. dell'arte, VII (1894), pp. 476 s.; C. Grigioni, in Per la storia della pittura in Forlì, in Bull. della Soc. fra gli amici dell'arte per la provincia di Forlì, I (1895), 4, pp. 76 s.; 9, p. 131; Id., Documenti di alcuni inventari di chiese forlivesi dei secoli XV e XVI, ibid., 6, p. 118; E. Calzini, È esistito un Agostino da Forlì, pittore?, in Rass. bibliografica dell'arte italiana, XVIII (1915), 11-12, p. 159; R. Van Marle, The development of the Italian school of painting, IV, The Hague 1924, pp. 503 s.; A. Pasini, I francescani a Forlì, in Forum Livii, 1926, nn. 1-3, pp. 27-33; E. Casadei, La città di Forlì e i suoi dintorni, Forlì 1928, pp. 414 s.; A. Argelli, La Pinacoteca e i Musei comunali di Forlì, Forlì 1935, p. 13; C. Brandi, La pittura riminese del Trecento (catal.), Rimini 1935, p. 102; L. Servolini, La pittura gotica romagnola, Forlì 1944, pp. 22 s.; A. Tambini, Pittura dall'Alto Medioevo al tardo gotico nel territorio di Faenza e Forlì, Faenza 1982, pp. 15, 100 s., 107 (con bibl.); Id., Giuliano da Rimini e la pittura fra la Romagna e le Marche nella prima metà del Trecento, in Notizie da Palazzo Albani, XVI (1988), 1, pp. 51-67; G. Viroli, L'espressione artistica, in Storia di Forlì, II, Il Medioevo, a cura di A. Vasina, Bologna 1990, pp. 212, 218; Il S. Domenico di Forlì. La chiesa il luogo la città, a cura di M. Foschi - G. Viroli, Bologna 1991, pp. 55 s., 198 s.; M. Boskovits, Per la storia della pittura tra la Romagna e le Marche ai primi del Trecento, in Arte cristiana, LXXXI (1993), 755-756, pp. 95-114, 163-182; G. Viroli, La pittura dal Duecento al Quattrocento a Forlì, Bologna 1998, ad indicem; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XV, p. 259.