CERVELLÓN, Guglielmo de
Nacque in Catalogna, verso la fine del secolo XIII da Guglielmo (III), discendente di una delle più antiche famiglie della nobiltà catalana, e da Bianca de Banyeres. Fu educato, secondo la tradizione feudale del paese, nella pratica delle armi e nel servizio di corte e avviato quindi verso la carriera governativa militare e civile.
Poco più che trentenne prese parte - col padre, che morì poco dopo - alla spedizione per la conquista della Sardegna realizzata dall'infante Alfonso d'Aragona nel biennio 1323-1324. Si distinse nella decisiva battaglia di Luctocisterna tenendo alto, in un momento di sbandamento, lo stendardo d'Aragona. L'infante volle premiarlo nominandolo suo luogotenente nel Regno di Valenza ma, volendo che il C. rimanesse con lui in Sardegna, non ottenne l'approvazione del re in quanto - osservò questi - il luogotenente doveva risiedere in Valenza per far fronte al pericolo dei Mori. In cambio l'infante gli conferì uno dei più alti gradi dell'armata che assediava il castello di Cagliari. Conclusa la campagna sarda, rientrò in Catalogna e rimase a diretto servizio del principe che nel 1328, poco dopo la sua ascesa al trono, lo nominò governatore generale del Regno di Sardegna. Ma il C. non prese possesso dell'ufficio e due mesi dopo fu nominato all'alta carica di luogotenente dell'infante primogenito, il futuro Pietro il Cerimonioso, per la Catalogna. Tenne questa carica per sette anni e contemporaneamente ebbe altri incarichi, come il comando, nel 1330-31, della squadra navale di Barcellona in guerra con Genova, il comando, nel 1333, delle truppe inviate nell'Urgell per respingere l'invasione del conte di Foix. Successivamente fu ambasciatore presso il papa Benedetto XII, reggente della Procurazione reale di Catalogna, luogotenente dell'erede al trono nel Regno di Valenza e alcaide del castello di Xátiva.
Si era conquistato fama di uomo valoroso ed accorto e come aveva goduto la stima di Alfonso IV (1327-1336) così ebbe quella del successore Pietro IV d'Aragona (1336-1387) il quale nel 1339 lo nominò governatore generale del Regno di Sardegna. Ma neanche questa volta il C. assunse l'incarico, che però gli fu conferito nuovamente nel luglio del 1341, con poteri vastissimi e con promessa di ratifica per quanto avesse fatto in Sardegna nell'interesse del re.
Le clausole erano eccezionali, ma eccezionale stava diventando anche la situazione isolana. Gli antichi signori, che una ventina d'anni prima avevano pacificamente accettato la sovranità aragonese, erano tutti scontenti. Giacomo II d'Aragona, per avere il loro aiuto, aveva promesso molto e mantenuto poco. I Doria, signori di Alghero, di Castelgenovese e di vasti feudi nel settentrione dell'isola, contestavano apertamente gli ufficiali regi e, spalleggiati da Genova sempre ostile agli Aragonesi, non esitavano ad assumere atteggiamenti che rasentavano la rivolta. La casa dei giudici d'Arborea, che era stata ed era il vero sostegno della Corona in Sardegna, recriminava sulle promesse di ingrandimenti territoriali, fatte e non mantenute da Giacomo II, e cercava di forzare il sovrano ad acconsentire di acquistare le terre dei Doria per danaro o a conquistarle con le armi. Ma Pietro IV non intendeva assolutamente permettere una crescita della già grande potenza della casa d'Arborea.
Il C. passò in Sardegna nel 1342 con i figli Gherardo e Ramón Alaman (Monico per lo Zurita), col nipote Ughetto de Cervellón e con una piccola schiera d'armati. Capì subito che era impossibile raggiungere un accordo con i Doria ed era perciò necessario cacciarli dall'isola; ma il re non aveva forze sufficienti per farlo e il giudice non era disposto a muoversi contro i Doria senza compensi. Seguendo le direttive del re, il C. adottò una politica spesso incerta e contraddittoria, mirante ora all'acquisto delle terre dei Doria - o almeno di Alghero e di Castelgenovese che dominavano il settentrione dell'isola -, ora ad istruire segreti processi miranti alla confisca dei feudi, ora a dividere i Doria, allettando parte di essi con munifiche concessioni. In realtà il vero obiettivo fu quello di tenere a freno quei riottosi vassalli, non dar loro modo di ribellarsi, trascinandosi appresso la potente Repubblica di Genova. Le cose andarono avanti in un clima di reciproca diffidenza, di contrasti e di accuse e non approdarono a nulla. Dopo un quinquennio, nel luglio del 1346, il C. fu riconfermato nella carica e contemporaneamente ricevette l'ordine di insistere per giungere all'acquisto almeno delle due fortezze, che il re voleva ottenere a tutti i costi.
I Doria cominciarono a prepararsi alla lotta. Contemporaneamente, da varie parti giunse la voce che Genova armava una flotta di sessanta galee per invadere la Sardegna e aveva stretto intese con Pisa e con Milano. Il C. continuò le trattative, ma si trasferì a Sassari e quivi incominciò a predisporre le difese contro un possibile colpo di mano dei Doria. La tensione diminuì quando spie aragonesi, inviate a Genova e a Pisa dal governatore, informarono che nessuna nave si allestiva nei due porti. Poi, nell'aprile del 1347, i più turbolenti dei Doria si ribellarono e con ingenti forze si attestarono a breve distanza da Sassari. Contemporaneamente fecero sapere al governatore che erano pronti a riconoscere le prerogative spettanti alla Corona, a patto però che questa riconoscesse la loro potenza e i diritti di cui godevano prima della conquista. Il C. portò a conoscenza del re le condizioni poste dai ribelli, aggiungendo che, se non poteva inviargli adeguati rinforzi, era meglio che le accettasse, altrimenti sia Sassari sia tutto il Logudoro avrebbero corso grave pericolo. Pietro IV, pur disposto ad accogliere molte delle richieste, insistette per avere Alghero e Castelgenovese. I Doria risposero rinforzando le truppe intorno a Sassari e occupando il caposaldo di Sorra. Il 7 agosto il C. proclamò la mobilitazione generale e subito dopo uscì con le migliori compagnie per andare incontro al figlio Gherardo che di ritorno da Cagliari con 300 balestrieri si era visto tagliare il passo dai Doria nei pressi di Macomèr. Questi, conosciuta la mossa del governatore, accorsero in forze. Il giudice Mariano d'Arborea, vista la piega che prendeva la lotta, inviò 300 uomini a cavallo al C. e gli consigliò di non muoversi finché non gli avesse mandato altre forze; nello stesso tempo avvertì i Doria di non attentarsi a molestare il governatore. Risposero, essi, che se il governatore fosse passato senza far danni alle loro terre non lo avrebbero molestato.
Il C., fidando nella risposta, si avviò verso Sassari; ma giunto in località detta Aidu de Turdu, venne travolto dalle forze dei Doria. Gherardo, Ramón Alaman e Ughetto caddero nel combattimento. Il C., rimasto con pochi uomini, retrocesse verso le terre del giudice; ma le aveva appena raggiunte che, stremato dalle fatiche e dalla sete, moriva in un bosco. Mariano d'Arborea mandò a ricuperarne il corpo e gli diede sepoltura nel castello del Goceano donde, pare, fu traslato nella chiesa ora scomparsa di S. Francesco di Cagliari. I corpi dei figli e del nipote non furono rinvenuti.
Il C. aveva sposato Sibilia de Cardona dalla quale aveva avuto due figlie e sei figli. Tra questi, oltre a Gherardo e Ramón Alaman, sono noti Guglielmo che fu arcivesovo di Cagliari e Guglielmo Raimondo che ereditò il patrimonio familiare, costituito dalle signorie di Pontils, Salmellá, Santa Perpetua, Montagut e altre località della Catalogna.
Il ramo sardo dei Cervellón, direttamente discendente dal C., ebbe il suo capostipite in Gerolamo Urbano, secondogenito di Arnaldo Guglielmo, signore di Pontils, Santa Perpetua e Monclar, e di Alieta de Castro y Pinoso, che nell'anno 1481 sposò Benedetta de Alagón, figlia del marchese Salvatore e si stabilì nell'isola. Da lui ebbero origine tre rami: quello dei baroni e poi conti di Samatzai, quello dei conti di Sedilo e quello dei marchesi de las Conquistas. A quest'ultimo ramo appartenne Bernardino Mattia che per un ventennio (1648-1668) fu governatore dei Capi di Cagliari e Gallura e più volte viceré interino. Col tempo la famiglia dei Cervellón s'imparentò con la più alta nobiltà sardo-catalana e castigliana. Finì con l'estinguersi nella seconda metà del secolo XVIII trasmettendo i titoli e i feudi a varie famiglie sarde e iberiche.
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