GUGLIELMO Ebreo da Pesaro (Giovanni Ambrosio)
Nacque forse a Pesaro intorno al 1420, probabilmente da un Moyses, o Musetto, originario della Sicilia, maestro di danza alla corte di Pesaro; ebbe un fratello, Giuseppe, pure maestro di danza. Intorno al 1433 iniziò l'attività di maestro di ballo, teorico, compositore e coreografo, dapprima come allievo, quindi come collaboratore di Domenico da Piacenza. Lavorò stabilmente presso la corte di Alessandro Sforza a Pesaro, con occasionali spostamenti nelle vicine corti dei Varano a Camerino e dei Montefeltro a Urbino.
Nel corso della sua carriera artistica, G., divenuto presto famoso, fu spesso chiamato a intervenire come creatore, preparatore o esecutore delle danze, presso importanti feste di corti italiane: fu a Camerino (1444), Ferrara (1444), Pesaro (1447), Ravenna (1448) e ancora Pesaro (1448). Dal 1450 lavorò a Milano, probabilmente in modo non continuativo, per Francesco Sforza, fratello di Alessandro. Successivamente fu a Bologna (1454), Milano (1455), Imola (1458); nel 1459 intervenne alle corti di Milano, Mantova, Padova e l'anno seguente fu a Urbino, Milano, Pavia, Forlì.
Nel 1463 terminò il trattato sull'arte della danza, De praticaseu arte tripudii vulgare opusculum, e lo dedicò a Galeazzo Maria Sforza, figlio del duca di Milano. Nel periodo compreso tra l'ottobre 1463 e il maggio 1465 G., probabilmente ancora a Milano, si convertì alla religione cattolica, cambiando il nome in Giovanni Ambrosio. Subito dopo si sposò, sembra per la seconda volta, con una cristiana di Pesaro; dal matrimonio nacque un figlio, Pierpaolo, che avrebbe intrapreso la professione paterna. Nel 1464 G. risulta impegnato alla corte di Milano e, dall'anno seguente, alla corte del re di Napoli, dove probabilmente rimase fino al 1467. Fu di nuovo a Milano nel 1468. Curò, nel 1469, il ricevimento per la solenne visita a Venezia dell'imperatore Federico III, dal quale ricevette, in quell'occasione, l'investitura a cavaliere dello Speron d'oro. L'anno successivo G. era a Pesaro e nel 1471 lavorò tra Urbino, Faenza e Pesaro. È presumibile che, nonostante i continui impegni presso diverse corti italiane, egli sia rimasto al servizio di Alessandro Sforza fino al 1473, anno della morte di questo, e che quindi sia passato, insieme con il figlio Pierpaolo, al servizio di Federico da Montefeltro. Gli ultimi importanti impegni di G., come coreografo nelle feste di corte, furono a Napoli nel 1474 e a Pesaro nel 1475. In questi stessi anni egli cercò più volte, senza successo, di ottenere impieghi stabili presso altre corti, come quella degli Sforza di Milano o quella dei Medici a Firenze, dove è probabile che abbia occasionalmente lavorato. Nel 1481, ancora iscritto al ruolo del personale della corte di Urbino, risultò essere anche a Ferrara, come maestro di ballo della giovanissima Isabella d'Este. Nel 1484 ricevette un definitivo rifiuto da parte di Lorenzo il Magnifico alla richiesta, avallata da Camilla d'Aragona, di essere assunto stabilmente presso la corte fiorentina come maestro di danza e coreografo.
Ignoti sono il luogo e la data della morte.
Il De pratica seu arte tripudii vulgare opusculum, dopo il trattato De artesaltandi et choreas ducendi di Domenico da Piacenza e il Libro dell'arte deldanzare di Antonio Cornazzano, altro allievo di Domenico, è il più antico trattato sull'arte coreografica. Se i primi due trattati ci sono giunti in un'unica copia, il De pratica, a conferma della grande fama dell'autore, sopravvive in sette codici manoscritti e in tre frammenti. Di altri due codici, inoltre, conservati un tempo nelle biblioteche di corte di Urbino e di Pesaro, si persero le tracce fin dal principio del XVI secolo. Il codice più importante, per pregio e completezza, è conservato a Parigi (Bibliothèque nationale, Fonds ital., 973; [7747]); è un manoscritto membranaceo, con notazione musicale, miniato, terminato l'11 ott. 1463 a Milano dal copista Pagano di Rho (Paganus Raudensis). L'opera, scritta in una elegante prosa volgare toscana, si apre con due poesie in terza rima, una in volgare e una in latino, rivolte a Galeazzo Maria Sforza. La trattazione è introdotta da un sonetto caudato che celebra l'arte della danza e da una proemio nel quale l'autore, ricostruendo l'originario legame tra musica e danza, intende dimostrare l'alto valore estetico e morale di quest'ultima, a metà strada tra arte e scienza.
Il trattato prosegue con una prima parte teorica, in due libri, e con una seconda parte pratica. Nella prima parte (libro I), in sette capitoli, vengono esposti i principî basilari della danza, ai quali seguono regole ed esercizi pratici. Sempre nella prima parte (libro II), l'autore, nell'illustrare i precetti fondamentali ai quali i danzatori dovrebbero attenersi, adotta la forma del dialogo, rivolgendosi a ipotetici allievi; un secondo sonetto caudato chiude questa sezione. La seconda parte del trattato contiene la descrizione coreografica di quattordici bassedanze, cinque delle quali sono state attribuite dallo stesso autore a Domenico da Piacenza; le bassedanze di G. sono la Alexandrescha, Genevra, Pietosa, Cupido, Pellegrina, Gioliva, Patientia, Principessa, Caterva. Alle bassedanze seguono diciassette balli, dei quali cinque di G.: Duchesco, Ligiadra, Colonese, Gratioso, Spero. La sezione è chiusa da una canzone morale, in terza rima, scritta in lode di G. da Giovanni Mario Filelfo. Fanno poi seguito, sempre per mano di Pagano di Rho, le melodie, monofoniche, dei seguenti balli notati: Belriguardo, Colonnese, Gelosia, Gratioso, Ingrata, Iove, Legiadra, Leoncello, Marchesana, Pizocara, Presoniera, Spero.
Un'altra importante copia del trattato De pratica fu completata intorno al 1474, dopo la conversione dell'autore, che compare quindi come Giovanni Ambrosio (Paris, Bibliothèque nationale, Fonds ital., 476). Rispetto alla copia del 1463, a questa copia del trattato mancano la dedica, le poesie iniziali, l'ode di Filelfo e le miniature, delle quali tuttavia era previsto l'inserimento. In più questa seconda copia ha tre nuovi capitoli, nei quali si tratta del rapporto tra stile di danza e modo di vestire; compaiono inoltre descrizioni coreografiche di tre balli e una bassadanza francesi, con musica composta dallo stesso Guglielmo. Di questa copia del trattato è importante l'ampia autobiografia posta a conclusione, dalla quale sono tratte la maggior parte delle notizie sulla vita di G. (ibid., cc. 72 ss.).
Le altre copie del trattato sono prive di dedica, di notazione musicale, di miniature. È pregevole tuttavia la copia, in pergamena, posseduta dalla Biblioteca comunale di Siena (Mss., L.V.29): insieme con la copia di Parigi (Bibliothèque nationale, Fonds ital., 973) e con il trattato di Cornazzano, rappresentano gli unici tre manoscritti in pergamena di trattati di danza del Rinascimento. Altre copie del De pratica sono conservate a Modena (Biblioteca Estense e universitaria, Cod. Ital., 82.a.j.94), a Firenze (Biblioteca nazionale, Magliab., XIX.9.88; Biblioteca Mediceo-Laurenziana, Cod. Antinori, 13), New York (Public Library, Lincoln Center, Dance Collection, MGZMBZ-Res. 72-254). I codici di Siena, Modena e New York riportano i capitoli teorici del trattato di G. (libri I e II) e includono parti del trattato di Domenico da Piacenza; i codici di Siena e di New York contengono inoltre numerose danze, anche anonime, non presenti nelle altre redazioni.
Oltre ai codici, ci sono giunti anche tre frammenti del trattato di G., conservati a Firenze (Biblioteca nazionale, Cod. Palat., 1021), Foligno (Seminario vescovile, Biblioteca L. Jacobilli, D.I.42, incipit: "Questa ene una bassa danza"); Venezia (Biblioteca nazionale Marciana, Mss. It., cl. II, 34 (=4906), incipit: "La moderna: si va 2 pasi"); quest'ultimo contiene, tra l'altro, la descrizione di due bassedanze non riportate in altre fonti.
Edizioni: De pratica seu arte tripudii, a cura di B. Sparti, Oxford 1993; inoltre Trattato dell'arte del ballo di Guglielmo Ebreo pesarese, a cura di F. Zambrini, Bologna 1873; Della virtute ed arte deldanzare, a cura di G. Messori-Roncaglia, Modena 1885; Otto basse danze dim. G. da P., a cura di M. Faloci Pulignani, Foligno 1887; C. Mazzi, Una sconosciutacompilazione di un libro quattrocentistico di balli, in La Bibliofilia, XVI (1914-15), pp. 185-209; A. Francalanci, The "Copia of m. Giorgio del Guido di ballare basse danze e balletti" asfound in the New York Public Library, in Basler Jahrbuch für historischesMusikpraxis, XIV (1990), pp. 87-189.
Fonti e Bibl.: A. Marsand, I manoscritti italiani della Regia Biblioteca Parigina, I, Paris 1835, pp. 98 s.; G. Mazzatinti, Inventario dei manoscritti italiani delle biblioteche di Francia, I, Roma 1886, p. 172; O. Kinkeldey, A Jewish dancemaster of the Renaissance (G. E.), in Studies in Jewish bibliography andrelated subjects. In memory of A.S. Freidus, a cura di L. Ginzberg, New York 1929, pp. 329-372; P.L. Rambaldi - A. Saitta Revignas, I manoscritti Palatini della Biblioteca nazionale di Firenze, III, Roma 1950, pp. 14-18; B. Becherini, L'"Arte della danza" di G. da P., in La Scala. Rivistadell'Opera, LXXXIV (1956), pp. 20-24; A. Melica, G.E. da P. maestro di ballo del Quattrocento, in Rassegna musicale, XXIX (1959), 1, pp. 51-60; B. Pescerelli, Una sconosciuta redazione del trattato didanza di G. E., in Riv. italiana di musicologia, IX (1974), pp. 48-55; F.A. Gallo, Il "ballare lombardo" (circa 1435-1475). I balli e le bassedanze di Domenico da Piacenza e di G.da P., in Studi musicali, VIII (1979), pp. 61-84; Id., L'autobiografia artistica di Giovanni Ambrosio (G. E.) daP., ibid., XII (1983), 2, pp. 189-202; G. Tani, Storia della danza, dalle origini ai giorni nostri, I, Firenze 1983, pp. 376-384; Mesura et arte del danzare: G. E. da P. e la danza nelle corti italiane del XV secolo, a cura di P. Castelli - M. Mingardi - M. Padovan, Pesaro 1987; G. E.da P. e la danza nelle corti italiane del XV secolo. Atti del Convegnointernazionale di studi, Pesaro… 1987, a cura di M. Padovan, Pisa 1990 (in partic. A.W. Smith, Una fontesconosciuta della danza italiana del Quattrocento, pp. 71-84); D.R. Wilson, La giloxia/Gelosia as described by Domenico and G., in Historical Dance, III (1992), 1, pp. 3-9; M. Lo Monaco - S. Vinciguerra, Passo doppio e "contrappasso" nei balli italiani del Quattrocento, in Nuova Riv. musicale italiana, XXVI (1992), 3-4, pp. 499-501, 503 s., 513-515; J. Nevile, The performance of fifteenth-century Italian balli: evidence from the Pythagorean ratios, in Performance Practice Review, IV (1993), 2, pp. 116-128; B. Sparti, The function and status of dance in the fifteenth-century Italian courts, in Dance Research, XIV, estate 1996, n. 1, pp. 42-61; B. Becherini, Catalogo dei manoscritti musicali della Biblioteca nazionale di Firenze, Kassel 1959, pp. 35 s., 109; Enc. dello spettacolo, VI, coll. 37-40; The New Grove Dict. of music and musicians (ed. 2001), X, pp. 516 s.; International Dict. of ballet, I, a cura di M. Bremser, Detroit 1993, pp. 621 s.