Generale e patriota (Squillace 1783 - Torino 1855), fratello di Florestano. Combatté nella Repubblica Napoletana (1799), poi contro i Borboni a fianco di Napoleone e di G. Murat. Guidò i moti carbonari del 1820, ma, vinto, fu costretto all'esilio. Amnistiato da Ferdinando II, diresse infine la resistenza antiaustriaca di Venezia (1849), alla cui caduta fu nuovamente in esilio.
Quattordicenne, fu mandato a Napoli, dove frequentò la scuola militare, e, uscitone nel 1799, s'iscrisse nella milizia della Repubblica Napoletana. Combatté (1799) a Portici e a Napoli contro le soldatesche del generale Ruffo; esule in Francia, si arruolò nella legione italiana e combatté a Marengo. Andato in Toscana, partecipò alla lotta contro i ribelli a Siena e ad Arezzo, quindi si portò a Milano recatosi (1803) e di là a Napoli a congiurare contro i Borboni, dove fu imprigionato nel carcere di Maretimo e liberato solo tre anni dopo da Giuseppe Bonaparte. Con l'avvento di Murat, P. fu inviato (1811) a combattere in Spagna e fece la campagna d'Italia (1815), segnalandosi sull'Enza e alla Secchia. Tornati i Borboni a Napoli, ottenne (1818) il comando della terza divisione militare; scoppiati i moti carbonari del 1820, P., incaricato di sedarli, entrò invece trionfalmente in Napoli alla testa degli insorti e fu creato comandante supremo dell'esercito; sopraggiunta l'invasione austriaca, fu vinto a Rieti (1821) e costretto all'esilio in Inghilterra e in Francia. Confortato dall'amicizia di Foscolo, pubblicò (1822) a Londra una narrazione degli avvenimenti napoletani del 1820-21; a Parigi si dedicò a studi di storia e di politica (Memoria sui mezzi che menano all'italiana indipendenza, 1833; L'Italia militare, 1836; L'Italia politica, 1839; Memoria intorno alla sua vita e ai recenti casi d'Italia, 1846). Amnistiato (1848), ebbe da Ferdinando II il comando dell'esercito spedito nel Veneto contro gli Austriaci; richiamato dopo i tragici fatti di Napoli del 15 maggio, rifiutò di ubbidire e seguito da 2000 uomini raggiunse Venezia, dove il governo di quella repubblica lo nominò generale in capo dell'esercito. Caduta la città (1849), P. esulò a Corfù, Malta, Genova, Parigi; qui scrisse le sue memorie sui Casi d'Italia negli anni 1847, '48, '49 (1850). Dopo il colpo di stato del 2 dic. 1851 si recò a Torino, dove trascorse gli ultimi suoi anni.