ROSSA, Guido
– Nacque a Cesiomaggiore, in provincia di Belluno, il 1° dicembre 1934 da Giuseppe e da Maria Sartor.
Nel 1936 la famiglia si trasferì dal Veneto a Torino per motivi di lavoro: il padre, minatore, si era ammalato di silicosi e andò per questo a lavorare in fabbrica.
Dopo le scuole elementari e l’avviamento professionale, a quattordici anni iniziò a lavorare in un’officina meccanica, dove dimostrò subito una spiccata abilità manuale che utilizzò anche nel campo della sua grande passione: la montagna. Gli amici e i conoscenti lo descrissero come un audace arrampicatore fin dall’adolescenza. Compì il servizio militare negli alpini paracadutisti e trovò poi impiego alla FIAT Mirafiori, dove avvenne anche il primo incontro con il sindacato.
La sua intensa attività alpinistica, pur se non diventò mai un impegno a tempo pieno, lo portò a essere conosciuto per le sue doti e per l’atteggiamento quasi dissacratore nei confronti delle gerarchie dell’alpinismo piemontese, ancora segnato da una certa rigidità e da una concezione eroica e sacrificale dell’arrampicata; al contrario, egli fu ritenuto quasi un precursore del Nuovo Mattino, il movimento della contestazione alpinistica sessantottina, di ispirazione californiana, che anche in Italia portò l’alpinismo a svestire il manto di sacralità che lo aveva fino ad allora caratterizzato.
Esplorando sistematicamente le palestre di roccia piemontesi, compì numerose e difficili scalate su pareti alpine, sulle quali sperimentò anche sue invenzioni, come un nuovo tipo di chiodi da roccia a espansione e dei martelli che ancora oggi portano il suo nome.
Grazie al suo contributo di idee fu a lungo una delle anime del Gruppo alta montagna del CAI (Club Alpino Italiano) di Torino, che coagulò attorno a sé i migliori alpinisti del panorama nazionale.
Considerava la solidarietà e l’amicizia come le componenti fondamentali della disciplina; nel dicembre 1953 partecipò all’operazione di salvataggio di due scalatori dispersi sulla cresta svizzera del monte Cervino. Si iscrisse anche al corso per istruttori nazionali, che superò brillantemente sul campo ma che non concluse, dichiarando al momento dell’esame finale teorico di non avere alcun interesse per le scuole.
Nel 1961, dopo il matrimonio con Silvia Carrara, si trasferì a Genova, dove si impiegò nello stabilimento siderurgico Oscar Sinigaglia di Cornigliano come aggiustatore elettrico presso l’officina meccanica. L’attenzione al sociale e la maturazione politica avvenuta in fabbrica lo portarono, con la stessa generosità, lo stesso coraggio e il medesimo rigore, a rivedere la scala di valori cui dare la priorità; senza per questo rinunciare alla passione per la montagna: ancora nel 1963 partecipò a una spedizione sul Langtang Lirung, vetta dell’Himalaya nepalese. Fu un’esperienza che lo segnò profondamente, per la morte di due compagni travolti da una valanga e per l’incontro con la povertà estrema delle popolazioni asiatiche. La riflessione che ne seguì, insieme al grave lutto subito per la perdita del figlio Fabio, vittima di un tragico incidente in tenerissima età, lo portarono a privilegiare da allora in poi l’impegno per i diritti dei lavoratori e per le lotte sociali. Una visione ampia e articolata dei problemi geopolitici e della loro interconnessione a livello globale caratterizzò la sua progressiva concentrazione sulle possibilità di azione nei confronti del presente. La militanza all’interno del Partito comunista italiano e l’attività sindacale nella CGIL (Confederazione Generale Italiana del Lavoro) furono due aspetti importanti di questa concezione in cui ciascuno era chiamato a fare la sua parte, con senso di responsabilità e impegno.
Nel tempo libero, oltre a dedicarsi alla figlia Sabina, nata nel 1962, Rossa coltivava la passione per la fotografia, la pittura e la scultura.
Nello stabilimento genovese nel 1970 venne eletto dagli operai delegato sindacale di reparto per la CGIL, successivamente componente del direttivo del consiglio di fabbrica e infine del direttivo provinciale della FIOM (Federazione Impiegati Operai Metallurgici). Il clima nelle fabbriche di quegli anni era caratterizzato da un’alta conflittualità e da scioperi e agitazioni frequenti, culminati nel cosiddetto autunno caldo del 1969, che portò al rinnovo del contratto dei metalmeccanici e, nell’anno successivo, allo Statuto dei diritti dei lavoratori. Il contesto politico e sociale italiano subiva la stagione dello stragismo e l’inizio di quelli che sarebbero stati definiti ‘anni di piombo’.
Una fonte fondamentale per comprendere le posizioni di Rossa e l’importanza sempre maggiore che assunsero per lui i problemi sociali e politici in cui gli uomini si dibattevano è una lunga lettera scritta nel febbraio 1970 all’amico Ottavio Bastrenta, nella quale, dopo una critica rivolta ai difetti riscontrati nell’ambiente alpinistico, Rossa sosteneva «l’assoluta necessità di trovare un valido interesse nell’esistenza», concretizzandolo nella necessità di allargare «fra tutti gli uomini la nostra solidarietà che porti al raggiungimento di una maggior giustizia sociale, che lasci una traccia, un segno, tra gli uomini di tutti i giorni e ci aiuti a rendere valida l’esistenza nostra e dei nostri figli» (Fasanella - Rossa, 2006, pp. 165-167).
Fedele alla linea berlingueriana, Rossa, pur professandosi non credente, non si sottraeva al dialogo con le componenti cattoliche sensibili in quegli anni alla ventata di novità portata dal Concilio Vaticano II, partecipando insieme ai compagni di lavoro a dibattiti su fede e politica, sui rapporti tra la gerarchia e il messaggio evangelico, occasioni per trovare obiettivi e percorsi comuni.
A Genova, la stagione del terrorismo si aprì con il sequestro (1974) del giudice Mario Sossi e una serie di attentati e rapine che fecero della colonna genovese delle Brigate rosse (BR) una delle basi dello sviluppo del gruppo terroristico su scala nazionale. La città, che pagò un alto tributo di sangue, fu teatro del primo omicidio rivendicato dall’organizzazione, quello del procuratore Francesco Coco nel giugno 1976.
Le fabbriche erano i luoghi privilegiati della propaganda brigatista. Il 25 ottobre 1978 un operaio dello stabilimento, Francesco Berardi, venne scoperto mentre diffondeva volantini delle BR. Rossa, fedele all’ordine del consiglio di fabbrica di isolare gli elementi sospettati di terrorismo, fu l’unico a sottoscrivere la denuncia ai carabinieri, mentre altri colleghi scelsero alla fine di defilarsi per non esporsi. Ebbe chiaro di essere diventato un obiettivo dell’organizzazione, ma difese sempre la sua scelta motivandola con la coerenza nella lotta antiterroristica. Berardi, processato e condannato, si sarebbe tolto la vita in carcere nell’ottobre del 1979.
Il 24 gennaio 1979, al mattino presto, mentre si recava al lavoro, Rossa fu assassinato da un commando brigatista composto da Vincenzo Guagliardo, Riccardo Dura e Lorenzo Carpi. Successive indagini rivelarono che probabilmente l’azione era stata progettata per gambizzare la vittima, ma Dura, con un gesto non previsto dal piano dell’operazione, decise di colpire al cuore la vittima.
I funerali si svolsero il 27 gennaio, nella grande piazza De Ferrari che era stata al centro delle manifestazioni antifasciste del 30 giugno 1960. Oltre al sindaco Fulvio Cerofolini erano presenti anche il presidente della Repubblica Sandro Pertini, che concesse la medaglia d’oro al valor civile, il segretario della CGIL Luciano Lama e il segretario del PCI Enrico Berlinguer.
Molti parlarono, a proposito dell’uccisione di Guido Rossa, di un suicidio politico delle BR. Per la prima volta un operaio, un sindacalista, diventava vittima di coloro che affermavano di voler difendere e liberare proprio la classe operaia.
Fonti e Bibl.: G. R. un uomo una vita, Genova 1983; E. Camanni, Le due vite di G. R., in Nuovi mattini. Il singolare Sessantotto degli alpinisti, a cura di E. Camanni, Torino 1998, pp. 166-183; F. Jöchler - S. Gargioni, G. R., in Club alpino italiano, sezione di Bolzaneto, Annuario, XXIII (2004), 27, pp. 17-21; G. Fasanella - S. Rossa, G. R., mio padre, Milano 2006; G. Bianconi, Il brigatista e l’operaio, Torino 2011.