BIANCHI, Gustavo
Nacque a Ferrara da Luigi e da Carolina Pagliarini il 24 ag. 1845 e, appena decenne, si trasferì con la famiglia ad Argenta. Compiuti gli studi al collegio militare di Ivrea, e poi a Bologna, entrò all'Accademia militare di Modena; sottotenente nel 1865, col 49º reggimento di fanteria partecipò alla campagna contro l'Austria dell'anno successivo.
Qualche anno dopo, il B., lasciato l'esercito per miopia, dopo una breve permanenza ad Argenta, s'impiegò a Milano come contabile in una ditta commerciale. Insoddisfatto di questa attività, cercò di partecipare a qualche spedizione in Africa: nel 1876 tentò invano di aggregarsi a quella di O. Antinori. Due anni dopo le notizie che altre spedizioni si accingevano a partire per lo Scioa e le relazioni di O. Antinori e Piaggia sulle risorse di quei paesi fecero sorgere l'idea di inviarvi anche una missione commerciale: l'idea fu lanciata dall'on. L. Canzio sul giornale Il Sole (7 sett. 1878) e accolta da L'Esploratore di M. Camperio e, dal Giornale delle Colonie di A. Brunialti. Organizzata con l'aiuto di alcuni industriali e commercianti di varie città d'Italia e con un contributo dello Stato, la spedizione, a carattere misto commerciale e geografico, fu affidata a P. Matteucci e partì da Napoli il 14 nov. 1878: oltre al B., vi parteciparono F. Filippini, E. Tagliabue, C. Legnani, P. Vigoni e V. Ferrari. Dopo una sosta di quattro mesi tra Massaua e Adua, il gruppo proseguì per Debra Tabor, dove si trovava il campo di re Giovanni e dove giunse il 29 maggio 1879. Mentre gli altri componenti la spedizione proseguivano per direzioni diverse, il B. si trattenne a Debra Tabor, desideroso di assolvere ai compiti assegnatigli dalla Società di esplorazione commerciale (fondata nel frattempo a Milano il 2 febbr. 1879 e di cui era divenuto organo L'Esploratore).
Scopo principale della missione era quello di studiare le possibilità di esportazione di prodotti italiani nel Goggiam. Il Matteucci, dopo primi contatti col re, rientrò ben presto in Italia, esprimendo però giudizi sostanzialmente negativi sui risultati raggiunti dalla spedizione. Il B., rimasto a Debra Tabor, girò in lungo e in largo il paese inviando interessanti relazioni alla Società. Nel novembre partì per lo Scioa e a Let Marefià si incontrò con O. Antinori, P. Antonelli e S. Martini. Nell'aprile 1880 rientrò nel Goggiam, percorrendo i paesi Galla e la zona del Guraghe. Durante il soggiorno a Debra Tabor ebbe occasione di incontrare il card. Massaia in procinto di rimpatriare perché espulso dal negus, e da lui ebbe notizia della prigionia di A. Cecchi e G. Chiarini. Molte sono state le polemiche, e ad esse intervenne personalmente anche lui stesso, intorno all'azione del B. per la liberazione del Cecchi: in realtà questa avvenne per il concorso di varie circostanze favorevoli e per l'intervento personale del re, ma è certo che il B. si adoperò attivamente presso il signore del Goggiam, ras Adal - poi negus Tecla Haimanot - a favore del Cecchi, con il quale, dopo che era stato liberato, riuscì a incontrarsi.
Tornato in Italia nel marzo 1881, il B. vi ricevette grandi onori e riconoscimenti (ebbe una medaglia d'oro dalla Società geografica italiana) e presentò una relazione commerciale alla Società di esplorazione, sostenendo che scarse erano le possibilità di importazione in quelle zone, mentre più redditizie le esportazioni dal Goggiam. Desideroso di tornare in Africa, il B. si trovò però di fronte a nuove difficoltà dovute principalmente all'inerzia e alla diffidenza del governo (a causa anche del recente eccidio della missione Giulietti, 1881) e delle società italiane, per cui cercò di partecipare anche a spedizioni straniere. Nella primavera del 1882, però, il governo, avendo sistemato la questione di Assab, riesaminò la possibilità di inviare una nuova missione presso re Giovanni, mentre l'Antonelli già nell'agosto era partito per recarsi presso Menelik. Fu deciso quindi di inviare una missione politico-governativa, capeggiata da un funzionario del ministero degli Esteri (nella persona del commissario civile ad Assab, console G. Branchi), e una missione scientifico-commerciale privata con a capo il Bianchi.
I fondi furono forniti dai ministeri degli Esteri e Agricoltura e Commercio, dalla Real Casa (per i doni da inviare al re), in piccola misura dalla Società di esplorazione commerciale in Africa, e da G. Monari e C. Diana membri della spedizione. Il compito affidato al B. era duplice: creare una base commerciale a Baso nel Goggiam (a cui era connessa la costruzione - affidata all'ing. Salimbeni e già promessa dal B. e dal Cecchi a ras Adal - di un ponte sul fiume Abbai) e aprire la strada Lasta-Assab, di notevole valore - si riteneva - per la valorizzazione di Assab come porto commerciale.La missione, partita il 27 genn. 1883 da Napoli e sbarcata il 10 febbraio a Massaua, fu ben presto in viaggio per l'interno e giunse a Debra Tabor il 25 maggio. Ben presto, però, si dimostrò quanto era infelice la coesistenza delle due missioni, prive anche di precise istruzioni sui rispettivi compiti, che causava attriti tra il B. e il Branchi: quest'ultimo ben presto, consegnati i doni al re, rientrò ad Assab (1º ott. 1883), senza essere riuscito a stipulare l'accordo commerciale, che era lo scopo principale del suo viaggio, e avendo ricevuto solo assicurazioni verbali circa il consenso del re per l'apertura della strada per Assab. Inoltre quando il B., nell'aprile del 1884, stava muovendosi da Makallé con Diana e Monari per iniziare il viaggio verso la costa, molti mutamenti erano sopravvenuti nel campo dei rapporti tra l'Italia e l'Abissinia, avendo influito decisamente sugli umori di re Giovanni soprattutto l'apertura della strada dell'Aussa avvenuta a opera dell'Antonelli per intensificare i traffici e per ravvivare i rapporti con il sovrano dello Scioa, Menelik, rivale di Giovanni. Così era stata in gran parte neutralizzata e resa sterile l'impresa del B., abbandonato a se stesso, senza ordini, senza direttive, nell'impossibilità di valutare in pieno le conseguenze scaturienti dalla nuova situazione.
Non erano mancate, tuttavia, al B. l'esortazioni a rinunciare al viaggio: lo stesso Antonelli gli aveva scritto da Aden di diffidare dei Dancali, il governatore di Makallé lo aveva messo in guardia sui pericoli a cui andava incontro, G. G. Naretti, uomo di fiducia del re Tecla Haimanot, e il Salimbeni avevano insistito perché non si avventurasse in un paese sconosciuto e ostile. A nulla, valsero consigli e avvertimenti, forse anche perché il B. era convinto che tutti mirassero a scoraggiarlo da un'impresa da cui si riprometteva onori e fama.
Nemmeno l'inequivocabile atteggiamento contrario di re Giovanni riuscì a fermare il B.; spintosi dapprima a Saket, nella piana del Sale, e poi a Sereba, da maggio a fine settembre del 1884 attese con i due compagni il momento favorevole per proseguire, quasi fiero dell'isolamento in cui era venuto a trovarsi. La partenza da Seket avvenuta nel settembre, dopo un primo tentativo fallito per la defezione della scorta abissina (altro ammonimento a cui non volle dare importanza), ebbe il sapore di una sfida lanciata un po' a tutti con malcelata altezzosità: egli si mosse, alfine, con una scorta di otto Dancali, tra i quali una guida, Mandaitù, poi considerato, l'organizzatore dell'eccidio, ispirato dal sultano dell'Aussa, Mohammed ibn Anfari, decisamente avverso all'apertura di un'altra strada, che avrebbe potuto far concorrenza a quella funzionante attraverso il suo territorio. La prima vaga notizia dell'uccisione dei tre Italiani, avvenuta il 7 ottobre, pervenne all'Antonelli una decina di giorni dopo: il 17 novembre fu confermata da G. Pestalozza, segretario del commissario civile di Assab, al ministero degli Affari Esteri.
Solo nel 1928, con la spedizione di M. L. Nesbitt, di cui facevano parte T. Pastori e G. Rosina, fu identificato esattamente il luogo del massacro, indubbiamente compiuto dai Dancali: il letto disseccato del torrente Tio, nella regione Harak, nel sultanato del Biri, a quindici giorni di marcia da Dallol. I resti e alcuni oggetti personali degli sventurati esploratori furono, in parte, recuperati nel luglio del 1886da A. Gagliardi: imbarcati sul "Gottardo", vennero inumati in Italia dove già il 16marzo, a Ferrara, era stata inaugurata, con un discorso di Giovanni Bovio, una lapide a loro ricordo.
Opere: Le Chiese copte in Abissinia, in L'Esploratore, II(1879), pp. 27-30; Lettere,ibid., III(1880), pp. 106-118; Itinerario attraverso l'Abissinia, in Bollettino della Società geografica ital., V(1880), pp. 390-395; La liberazione del capitano Cecchi,ibid., Milano 1881, pp. 1-10; I Soddo Galla,dal giornale di viaggio,marzo 1880, in L'Esploratore, IV (1881), pp. 163-166, 191-204; Alla terra dei Galla, Milano 1884; Esplorazioni in Africa,memorie, a c. di Dino Pesci, Milano 1886.
Fonti e Bibl.: N. Lazzaro, G. B. e gli esploratori africani, in L'Illustraz. ital., VIII (1881), p. 246; G. D. V., La spediz. Bianchi, in Boll. della Soc. geografica ital., X(1885), pp. 5-30; C. Cucca,B. Monari e Diana, in Boll. della Soc. africana d'Italia, IV(1885), pp. 11-13; V. Ferrari,Notizie sul massacro B., Roma 1885; A. Filippi, G. B. martire della civiltà in Africa, Milano 1887; A. Brunialti, G. B. e la sua morte, Milano 1896; L. Pirani,In memoria di Monari e di B., Cento 1907; M. Rava,Vita eroica di G. B., in Augustea, III (1927), pp. 678-680; A. Nigra,L'esploraz. di G. B. nella Dankalia, in L'Oltremare, IV (1930), pp. 415-417; C. Zaghi,L'ultima spediz. africana di G. B., Milano 1930;Id.,G. B. e la liberaz. del capitano Cecchi, in Riv. delle Colonie italiane, III (1930), pp. 904-920; Id.,B. alla ricerca di Cecchi in Nuova Antologia, 16ag. 1935, pp. 507-521; Id.: C. Diana e la spediz. B. alla luce dt nuovi docum., in Riv. delle colonie, X (1936), pp. 488-521, 721-654; E. de Leone,Le prime ricerche di una colonia e la esploraz. geogr., polit. ed econom., Roma 1955,passim.