Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Artista di levatura internazionale, Hans Holbein il Giovane è uno dei pochi rappresentanti dell’arte tedesca che può essere confrontato con i maestri dell’alto Rinascimento italiano. La sua opera, insieme a quella di Dürer, Grünewald, Cranach e Altdorfer, rappresenta l’ultimo capitolo della altdeutsche Malerei.
Premessa
L’espressione altdeutsche Malerei – "pittura tedesca del buon tempo antico" – si riferisce alla produzione pittorica realizzata nel corso di due secoli e mezzo nei Paesi di lingua e cultura tedesca. All’interno di questo periodo è possibile distinguere tre momenti. Il primo abbraccia tutto il Trecento, un secolo in perpetua oscillazione tra le preziosità di ascendenza anglo-francese della scuola di Colonia e il realismo espressionistico austro-boemo. Il secondo, dalla fine del XIV secolo ai primi decenni del Quattrocento, attraversa il gotico internazionale e interessa quei Paesi iscritti nell’arco compreso tra il Reno e il Danubio, le Alpi e la piana vestfalica, e le città marittime dell’Ansa; qui nascono artisti di alta levatura, quali Lukas Moser, Konrad Witz, Martin Schongauer e Michael Pacher.
Il terzo e ultimo momento, nel corso dell’alto Rinascimento, vede la penetrazione dell’arte italiana in area tedesca: Hans Holbein il Giovane è il massimo esponente del periodo.
Holbein e l’Italia
Attraverso la piena adesione all’esperienza del Rinascimento italiano, la pittura di Holbein perviene alla fusione tra lo spirito analitico del Nord (Germania) e la sintesi razionale del Sud (Italia), chiudendo artisticamente un’epoca. La pittura tedesca raggiunge un linguaggio figurativo autonomo che, pur risentendo delle influenze esterne, mantiene legami con la tradizione. Una sorta di continuità ideale collega, in ambito pittorico, le opere di Teodorico di Praga a quelle di Grünewald, e le tavole della scuola di Colonia a quelle di Dürer e Holbein.
Dopo la scomparsa di Holbein, l’arte della Germania partecipa al gusto del manierismo europeo con pochi pittori (Tobias Stimmer, Ludger Tom Ring) che non sapranno portare avanti la tradizione artistica della loro terra.
La stessa arte di Holbein non trova seguaci o successori e acquisterà valore solo per i realisti dell’Ottocento. Holbein, il più italianizzante dei pittori tedeschi della sua epoca, trae dalla pittura italiana un’impressione di stabilità e di grandezza, di equilibrio e di magnificenza che riesce a fondere con la sua educazione tedesca, accentuando gli aspetti di monumentalità e di fasto con estrema naturalezza e felicità creativa.
La lezione che Holbein trae dallo studio dell’arte italiana non si basa solo su fonti indirette, come le stampe di Mantegna o le incisioni e le xilografie lombarde; molto probabilmente l’artista scende in Italia intorno al 1518, anche se il viaggio non è documentato da fonti d’archivio né da lettere di contemporanei. In questo soggiorno nell’Italia del nord, probabilmente Holbein visita Como, Milano e anche Verona, dove avrebbe potuto vedere la decorazione pittorica per una casa presso la porta dei Borsari, eseguita da Niccolò Giolfino, che risulta analoga agli affreschi per il palazzetto del podestà Jacob von Hertenstein a Lucerna. Le decorazioni di Holbein – giunte fino a noi tramite disegni preparatori e copie che vengono eseguite intorno al 1825, quando l’edificio viene demolito – rivelano un’approfondita conoscenza delle soluzioni prospettiche e illusionistiche, come anche di motivi ornamentali caratteristici del Rinascimento padano. Nel polittico della Passione di Basilea, dominato da violenti effetti espressivi che vedono l’influenza di artisti danubiani e di Grünewald, si notano anche i molteplici contatti stilistici con Bernardino Luini, con Gaudenzio Ferrari e con il Sodoma. Echi italiani di impronta leonardesca si colgono in alcuni ritratti femminili, come la Laide di Corinto del 1526 e Venere con Amore.
Gli esordi
Hans Holbein il Giovane discende da famiglia legata al mondo artistico: il padre, Hans Holbein il Vecchio, era un pittore, come pure lo zio Sigmund, mentre il nonno era un orafo.
Holbein compie il suo apprendistato nella bottega paterna insieme al fratello Ambrosius, nella città di Augusta. Il padre, legato alla tradizione gotica, si avvicina solo nel primo decennio del Cinquecento ai canoni rinascimentali, ma è una scelta che condivide con tutti i pittori attivi ad Augusta. Monumento principe di questa svolta è la cappella dei Fugger nella chiesa di Sant’Anna, che avrà effetti notevoli sullo sviluppo artistico del figlio Hans.
Holbein il Giovane si allontana presto dalla sua città natale e compie i primi passi, come professionista del mestiere, nella città di Basilea. Purtroppo, a causa del rogo degli iconoclasti del 9 febbraio 1529, la maggior parte delle testimonianze figurative della città è andata distrutta. Il giovane Holbein trova lavoro nella bottega di Johann Froben, il maggior editore del mercato, che gli garantisce un sicuro guadagno. Per Froben, nel 1515, egli illustra una copia della seconda edizione dell’Elogio della follia di Erasmo da Rotterdam. In questo periodo Holbein entra in contatto con molti importanti personaggi. Nel 1516 gli viene commissionata un’insegna per un maestro di scuola, un insegnante di nome Myconio, che esegue in collaborazione con il fratello Ambrosius.
Un’altra grande commissione gli viene affidata lo stesso anno da esponenti dell’aristocrazia di Basilea: i ritratti di Jacob Meyer e della sua seconda moglie Dorothea Kannengiesser. Il dittico dei due coniugi mostra un carattere vivido e colorato, e rivela l’attenta osservazione dei due modelli da parte dell’artista e la padronanza del vocabolario rinascimentale. I disegni preparatori vengono eseguiti con la punta d’argento, una tecnica che ha appreso dal padre, diventandone a sua volta un esperto. Con tale tecnica egli esegue anche Adamo ed Eva (1517), un foglio su tavola che accoglie la rara iconografia "affettuosa" inaugurata da Dürer, in cui Holbein contempla impassibile l’esistenziale dolore dei primi uomini. Grazie all’amicizia con i Meyer, inoltre, il consiglio cittadino gli commissiona numerosi affreschi per la decorazione delle mura della città di Basilea. A questi impegni si affianca l’attività di Holbein come ritrattista, che si caratterizza per lo studio del dato reale e per quell’osservazione distaccata e obiettiva che lo renderà celebre.
I dipinti religiosi
Nel 1519, Holbein riceve la committenza di un dipinto a carattere religioso. Si tratta del primo di una serie di dipinti sacri, sempre più ambiziosi, che formano il più grande gruppo di lavori giunti fino a noi, relativi al soggiorno di Holbein a Basilea.
Uno dei primi lavori è il piccolo dittico devozionale che rappresenta Cristo come Ecce Homo e la Vergine come Madre dolorosa, inseriti in un’unica complessa struttura architettonica rinascimentale: il tema del dittico, molto vicino a quello dei disegni che Holbein esegue a chiaroscuro (maniera diffusa dagli stampatori tedeschi nel periodo del gotico tardo), riprende il tema di un disegno eseguito a penna, datato 1519, che rappresenta l’Ecce Homo seduto sulla Croce. Sia il dittico che il disegno riflettono gli studi che Holbein conduce sulle stampe di Dürer, una fonte di cui si servirà spesso.
Una luce mistica che proviene dal Cristo bambino è il passaggio più suggestivo dell’altare Oberried, il primo dei lavori che Holbein esegue su larga scala, servendosi di stampe di Dürer e avvalendosi della collaborazione del padre per le figure dei donatori. Nel 1522, Holbein esegue la cosiddetta Madonna Solothurn, che gli consente di esprimersi in modo molto indipendente. Commissionata da Hans Gerster, segretario comunale di Basilea, la pala riflette una nuova chiarezza nell’impostazione dei personaggi, collocati sotto un grande arco definito da travi di supporto. Molto suggestiva è la rappresentazione della texture dei vestiti: il largo manto della Madonna avvolge la figura, creando un’aura tutt’intorno.
Nello stesso periodo, tra il 1521 e il 1522, Holbein lavora al Corpo di Cristo deposto nella tomba. Secondo la tradizione l’artista usa come modello un cadavere ripescato dal fiume Reno. La luce filtra nella tomba, evidenziando con acuto realismo lo stato di decomposizione del corpo; il messaggio che il pittore intende mandare con questa immagine sembra sancisca la decadenza del corpo e che, ciò nonostante, Cristo risorgerà in gloria. Holbein acquista piena maturità come artista religioso nell’altare con le Storie della Passione, dove dominano violenti effetti espressivi ancora in parte riconducibili all’influenza di artisti danubiani e di Grünewald.
La pala d’altare eseguita per il borgomastro Meyer, la cosidetta Madonna Meyer, rappresenta il punto più alto raggiunto da Holbein nello studio della ritrattistica condotto a Basilea. Nei lavori religiosi Holbein conferisce un saldo ed equilibrato impianto compositivo che prevale sull’intenso realismo dei particolari; la nobile ampiezza delle forme conferisce ai volumi uno stacco monumentale che rompe la tradizione tardogotica.
I ritratti e la corte di Enrico VIII
"La pittura di Holbein vive di una visione dell’uomo come essere appartenente alla società: la dignità dell’individuo non è cercata nell’universale umano e tanto meno nella scintilla divina che è nell’uomo, bensì nell’accordo fra la persona e la sua posizione e funzione sociale", così lo storico Roberto Salvini spiega l’enorme successo di Holbein come ritrattista. Una forte componente psicologica permea il Ritratto di Bonifacius Amerbach (1519) che, rispetto ai ritratti dei Meyer, rivela una maggiore capacità nel rendere il carattere del soggetto, facendo trasparire dal quadro gli elementi peculiari dell’animo di Bonifacius, uomo risoluto, di natura gentile e con una mente dotta. Lo straordinario realismo che si accompagna al distacco mentale e obiettivo nell’accuratezza del dettaglio, eseguito con il tratto sicuro della pennellata, si manifesta nei ritratti dell’amico Erasmo da Rotterdam (1523): sia quello di Parigi, con una veduta in perfetto profilo che non toglie niente al volume e allo spazio, che quello di Longford Castle, con la figura posta di tre quarti in linea con l’ambiente, colgono il personaggio nella sua essenza di meditatore tranquillo.
Il Ritratto familiare della moglie e dei figli (1528) presenta un forte naturalismo nella resa delle sembianze e assume un valore di paga dignità che sembra derivare da un’armonia quasi raffaellesca della composizione.
A Basilea Holbein era entrato in contatto con numerosi umanisti: Erasmo, Paolo Giovio e Nicholas Bourbon, estimatori entusiasti dell’opera del maestro. Grazie a queste amicizie, Holbein riesce ad allontanarsi dalle lotte religiose che dilagano in città. Nel 1524 giunge in Inghilterra, portando con sé lettere di presentazione scritte per lui da Erasmo e indirizzate a Thomas More (il Ritratto di Thomas More è del 1527).
In questa sua prima e breve visita, Holbein non entra in contatto con la corte reale, ma esegue il ritratto della famiglia More (andato perduto). Tornato a Basilea nel 1528, se ne allontana definitivamente nel 1532 per stabilirsi in Inghilterra, dove resterà fino alla morte. Nella sua seconda visita in Inghilterra le commissioni che gli sono affidate vengono per lo più dai suoi concittadini residenti a Londra: mercanti e membri dell’agenzia della Lega Anseatica di Londra.
Uno dei primi ritratti eseguito dall’artista è quello del mercante George Gisze (1532), un vero e proprio saggio della sua straordinaria maestria: una quantità di accessori, tra cui chiavi, anelli, orologi e scatole dipinti con minuzioso realismo, è sparsa su di un ricco tappeto. In questi anni, Holbein esegue probabilmente Gli ambasciatori (1533), ritratto degli ambasciatori Jean De Dinteville e Georges De Selve, considerato il manifesto della sua pittura, dove le innumerevoli allusioni simboliche al tema della morte (splendida l’anamorfosi di un teschio, il memento mori per eccellenza di tutta la tradizione tardogotica e cinquecentesca dell’ambiente cortese), si fondono con gli attributi dei due ambasciatori effigiati.
Holbein viene presto introdotto alla corte di Enrico VIII e comincia una fase della sua carriera ricca di successi: del 1536-1537 è il Ritratto di Enrico VIII a quarantasei anni, del 1539-1540 Enrico VIII a quarantanove anni; tra il 1536 e il 1537 esegue il ritratto di Giovanna Seymour e nel 1539 il ritratto del Principe di Galles a due anni. L’umanista Nicholas Bourbon si riferisce a Holbein come "Sig. Hans, il pittore reale, l’Apelle del nostro tempo" e scrive ancora: "O straniero, se tu desideri vedere figure che sembrano vive, guarda quelle che la mano di Holbein ha creato". Nel lungo periodo del suo soggiorno inglese Holbein è il ritrattista oggettivo per eccellenza. La sua tecnica non è arricchita solo dall’esperienza fiamminga, che gli permette una resa nitida dei particolari e dell’insieme, Holbein assume infatti anche un atteggiamento distaccato e rispettoso di fronte al modello: egli non cerca di penetrare l’uomo che ha di fronte, né di proiettare su di lui i propri sentimenti, ma si impegna soprattutto nel cogliere l’accordo fra l’aspetto del personaggio e la sua posizione sociale, come dimostrano dipinti quali Nikolaus Kratzer (1528), Charles de Solier (1534-1535), Anna di Cleves (1539) e Sir Richard Southwell (1536).