Uomo politico inglese (Broadlands, Hampshire, 1784 - Brocket Hall, Hertfordshire, 1865). Deputato tory, poi vicino ai liberali di G. Canning, come ministro degli Esteri sostenne i movimenti liberali europei e le rivoluzioni del 1848 e fronteggiò l'espansionismo francese e russo. Come primo ministro (1855-58; 1859-65) condusse con successo la guerra di Crimea.
Nato da una famiglia nobile e ricca, in cui era tradizione la carriera diplomatica, passò parte della giovinezza in Italia e compì i suoi studi a Harrow, a Edimburgo e a Cambridge. Cordiale, affabile, di fine educazione letteraria e compiuto uomo di sport, saldo nei suoi convincimenti religiosi, nell'avversione all'oppressione e all'ingiustizia, tenace nel suo patriottismo, rappresentò bene l'aristocrazia inglese del suo tempo, rispettosa della tradizione e delle forme e ligia a un austero senso del dovere. Eletto ai Comuni (1807) per i tories nel collegio di Newton (is. di Wight), fu con S. Perceval (1809) ministro della Guerra, incarico che tenne anche nei quattro successivi ministeri (fino al 1828). Furono soprattutto l'amicizia e la collaborazione con G. Canning che portarono P., già lontano per temperamento dal rigido conservatorismo dei tories, a interessarsi di politica estera. Ministro degli Esteri nel gabinetto liberale di lord Grey (1830), tenne da allora la carica per undici anni quasi ininterrottamente (1830-34 e 1835-41). Risolta a scapito delle ambizioni francesi la crisi belga (1831), P. non esitò ad appoggiare le regine costituzionali di Spagna e di Portogallo rispettivamente contro don Carlos e don Miguel, di cui conosceva il feroce spirito reazionario e antinglese. La politica estera perseguita da Luigi Filippo anche dopo la firma del trattato di Londra (1834), aprì quella lunga polemica tra Francia e Inghilterra che ebbe il documento più importante nel trattato di Londra del 1840 tra Russia, Austria, Prussia e Inghilterra, inteso a sostenere il sultano turco contro il francofilo Moḥammed ῾Alī, la più temibile minaccia per quell'equilibrio nel Medio Oriente che P. aveva cercato di mantenere già con l'accordo anglo-russo sulla Persia del 1834. Alla caduta del ministero Melbourne (1841), Aberdeen aprì con Guizot una nuova fase dei rapporti anglo-francesi: P., all'opposizione, bollò la nuova politica come rinunciataria e poco dignitosa. Tornato poi (luglio 1846) con lord Russell agli Esteri, con una energica azione personale, spesso incurante dell'ostilità della regina e dell'irritazione dei compagni di gabinetto, sostenne le rivoluzioni del 1848 in Italia e in Ungheria (appoggiò i Siciliani contro Napoli, il Piemonte contro Vienna e volle ospitare a Broadlands L. Kossuth). Di contro all'opposizione furiosa dei tories e alla perplessità dei wighs, P. dominò in quegli anni superando con il suo prestigio personale l'ostilità di Gladstone e di Disraeli. L'ostilità delle due Camere e la diffidenza della regina lo travolsero (1851) dopo che egli ebbe esaltato il colpo rivoluzionario di Luigi Napoleone. Dimessosi J. Russell (1851), P. fu ministro degli Interni nel ministero di coalizione Aberdeen; caduto questo gabinetto (1855), presiedette un nuovo ministero; dopo la vittoriosa impresa di Crimea, riprese la politica di intervento in Persia e in Cina: battuto ai Comuni, sciolse la Camera (1857), rafforzando con nuove elezioni la propria base parlamentare. Sostituito da lord Derby (1858), tornò per l'ultima volta al potere (1859-65): rafforzò la presenza inglese in Cina, ma non riuscì a evitare che la Francia traesse vantaggio dall'indipendenza italiana. Con il suo appoggio agli stati del Sud allo scoppio della guerra di secessione (1861), rischiò di creare una pericolosa frattura con gli USA, mentre non poté impedire ad Austria e Prussia di impadronirsi dello Schleswig-Holstein (1864).