KANZLER, Hermann
Nacque il 28 marzo 1822 a Weingarten, nel Granducato di Baden, da Maximilian, funzionario statale dell'amministrazione carceraria, e da Maria Magdalene Krehmer. Terminati gli studi al liceo di Mannheim, entrò nel collegio militare di Karlsruhe, uscendone come sottotenente destinato al 4° reggimento fanteria. Promosso tenente il 25 maggio 1841, nel gennaio del 1844 si dimise dall'esercito granducale dopo essersi rifiutato, come cattolico, di battersi a duello con un collega che lo aveva sfidato.
Ancora incerto circa il proprio futuro, il K. soggiornò per alcuni mesi in Inghilterra, ove s'impratichì della lingua, che parlò insieme con l'italiano, il francese e lo spagnolo. Risoltosi, infine, a riprendere la carriera delle armi, scelse di porsi al servizio della S. Sede e, il 1° sett. 1845, si arruolò come cadetto nel 1° reggimento della Brigata estera pontificia, costituita nel 1833 per presidiare le irrequiete Legazioni e le Marche e formata nella quasi totalità da elementi svizzeri. Venne promosso sottotenente il 12 marzo 1847, lo stesso giorno in cui si unì in matrimonio con Letizia Pepoli, appartenente a una fra le più note famiglie dell'aristocrazia bolognese. Tuttavia, la giovane morì l'anno successivo, così come il bambino nato da questa unione. Com'è attestato dalla corrispondenza conservata presso l'Archivio segreto Vaticano, il K. rimase comunque assai legato ai Pepoli, anche dopo il suo secondo matrimonio.
Nel 1848 il K. partecipò con il suo reparto alla fase iniziale della campagna in Italia settentrionale, distinguendosi il 24 maggio nella difesa di Vicenza, dove fu leggermente ferito e dove, unico ufficiale superstite, terminò lo scontro al comando della propria compagnia. Fu così insignito, il 14 ottobre successivo, con la croce di cavaliere dell'Ordine di S. Gregorio Magno.
Tornato a Bologna dopo la capitolazione di Vicenza, venne chiamato a Roma dal generale C. Zucchi, ministro della Guerra, ma giunse nella capitale dopo che il papa Pio IX, così come Zucchi, si era rifugiato a Gaeta. Con una certa difficoltà il K. li raggiunse, venendo incaricato di delicate missioni. Pio IX in persona lo promosse tenente il 17 apr. 1849 (il che gli causò poi qualche difficoltà con la burocrazia militare per il riconoscimento del grado), ma un altro avanzamento ottenne subito dopo, il 21 giugno, divenendo capitano di 2ª classe dello stato maggiore generale. Ancora Pio IX il 25 giugno gli conferì la croce di cavaliere dell'Ordine di S. Silvestro. Ristabilito a Roma il governo temporale, il 26 luglio 1850 il K. fu nominato ufficiale d'ordinanza del proministro delle Armi, G. de Kalbermatten; il 28 ott. 1851 fece ritorno a Bologna come aiutante del comando della 3ª divisione militare.
Il 1° marzo 1854, promosso maggiore, passò al comando del II battaglione del 1° reggimento fanteria di linea indigeno (composto cioè di sudditi pontifici), di stanza a Ravenna, città della quale divenne anche comandante di piazza. Tenente colonnello dal 21 giugno 1855, venne trasferito a Roma al 2° reggimento di linea, dove rimase anche dopo la sua promozione a colonnello, il 1° maggio 1859. Un mese dopo fu inviato nelle Marche per coordinare le operazioni militari che dovevano riportare le Romagne insorte sotto il controllo pontificio.
La permanenza a Roma, che faceva seguito a quella del biennio 1850-51, permise al K. di essere in contatto con i vertici dell'amministrazione militare pontificia: ciò gli sarebbe risultato assai utile in seguito, sommandosi alle notevoli capacità personali, all'assidua applicazione, e alla solida preparazione professionale acquisita in Germania e sempre coltivata attraverso un continuo interessamento per quanto si andava pubblicando in campo militare (diversamente dalla gran maggioranza degli ufficiali pontifici allora in servizio).
A Roma il K. conobbe la sua seconda moglie, Laura Vannutelli, quarta di dodici figli di un avvocato di Genazzano bene introdotto negli ambienti di Curia. Il matrimonio fu celebrato il 2 maggio 1860, alla vigilia della partenza del K. per le Marche, dove fino all'assedio di Ancona lo seguì la consorte, donna di spiccata intelligenza che seppe sempre essergli degna compagna, permettendogli anche, negli anni successivi, di estendere e mantenere relazioni sociali adeguate allo status che avrebbe rivestito. Dall'unione nacque un solo figlio, Rodolfo.
Dopo le riduzioni territoriali subite dallo Stato pontificio nel 1859, divenne indispensabile procedere a un potenziamento delle forze armate papali, di cui furono artefici il belga monsignor F.-X. de Merode e il francese generale L.-C. Juchault de Lamoricière, nominati, nell'aprile del 1860, rispettivamente, pro-ministro delle Armi e comandante in capo. La riorganizzazione e il rafforzamento dell'esercito pontificio nei mesi successivi a tali nomine videro il K. tenuto un po' in disparte, tanto più che gli si affiancarono diversi altri ufficiali superiori provenienti dall'estero.
A settembre, scoppiati nelle Marche i moti insurrezionali che dovevano giustificare - e facilitare - l'avanzata delle truppe piemontesi, il K. fu inviato a reprimere quelli di Pergola. Al suo arrivo, il giorno 11, trovò la cittadina già abbandonata dagli insorti ma fu raggiunto dalla notizia dell'avanzata degli Italiani e dall'ordine di ripiegare. Riuscì a portare in salvo la sua colonna (un battaglione del 2° reggimento di linea, un battaglione di bersaglieri austriaci, e due pezzi) eludendo le truppe avversarie, disimpegnandosi con un combattimento in ritirata, il giorno 13, a Sant'Angelo, e perdendo un centinaio di uomini, per lo più bersaglieri austriaci. La sera successiva, dopo aver percorso 45 miglia in meno di due giorni, la colonna raggiunse Ancona. Anche il generale Lamoricière riuscì di lì a poco a raggiungere Ancona, ma soltanto con qualche decina di soldati scampati a Castelfidardo. La città venne bloccata da terra e dal mare. L'assedio si protrasse dal 23 al 29 sett. 1860, e il K., che il 27 era stato promosso generale, ebbe la responsabilità della difesa delle posizioni di monte Pelago e monte Pulito. Caduta Ancona, con gli altri ufficiali prigionieri venne inviato per mare a Genova. Considerato come italiano, perché il suo ultimo comando era stato in un reggimento indigeno, non fu rimpatriato come gli altri ufficiali di origine straniera e poté far ritorno a Roma a metà ottobre solo dopo essersi obbligato a non combattere per un anno contro reparti italiani. Il 19 ottobre fu nominato comandante dei depositi di ogni arma esistenti nella capitale.
Dopo la convenzione di settembre e il ritiro delle truppe francesi che dal 1849 avevano garantito la sicurezza interna dello Stato, la S. Sede, pur potendo ancora contare sull'appoggio politico della Francia malgrado gli orientamenti ultra-legittimisti del cardinale de Merode, dovette ancora provvedere alla riorganizzazione dell'esercito. Cogliendo anche l'occasione della morte di Lamoricière, il 15 ott. 1865 il K., promosso tenente generale, subentrò a de Merode nell'incarico di pro-ministro delle Armi: tale scelta si dovette a Pio IX, che lo conosceva e apprezzava. In effetti il K., il cui ultimo impegno era stato quello di ispettore della fanteria, era l'uomo più adatto in quel particolare momento: lavoratore instancabile e buon organizzatore, costituiva anche un punto di equilibrio tra le due componenti, estera e indigena, dell'esercito. Era sì straniero (tedesco e non francese, quando i francesi costituivano la nazionalità prevalente), ma era stato anche a lungo al comando di reparti indigeni e conosceva bene il funzionamento dell'amministrazione militare. Si mise, dunque, subito all'opera, e il 15 dicembre il papa approvò il suo piano organico dell'esercito, che nei mesi successivi venne posto in applicazione, così da formare milizie in grado di garantire l'ordine pubblico e di proteggere le frontiere se non contro un esercito regolare, almeno contro incursioni di irregolari, in attesa dell'aiuto francese. Venne anche iniziata una decisa campagna contro il brigantaggio che, favorito dapprima per motivi politici a cavallo del confine meridionale, aveva finito per colpire i sudditi pontifici della zona.
La spedizione garibaldina dell'autunno 1867 non colse impreparato l'esercito pontificio. Sfruttando anche le linee ferroviarie esistenti (primo caso, in Italia, di uso tattico della ferrovia), il K. seppe rintuzzare le puntate offensive dei volontari, attento nel contempo a non sguarnire Roma, dando così tempo alla Francia di intervenire. Volle allora mettersi alla testa dei suoi e il 3 novembre era a Mentana. Dopo avere sconfitto i garibaldini con l'aiuto francese, il K. (che su tali eventi scrisse un Rapporto alla santità di n. sig. papa Pio IX sulla invasione dello Stato pontificio nell'autunno 1867, Roma 1868) tornò a Roma, accolto come un trionfatore dal papa, che gli si rivolse con i primi versi della Gerusalemme liberata.
Nei due anni successivi l'esercito fu ulteriormente potenziato ricevendo, nel 1869, le prime armi a retrocarica introdotte in Italia. Quando, nel 1870, l'esito della guerra franco-prussiana rese manifesto l'isolamento della S. Sede nel probabile caso di un attacco italiano, il K. si pronunziò in favore di una resistenza a oltranza, se possibile anche con contrattacchi limitati. Concentrata su Roma la difesa dello Stato, il K., contravvenendo a una lettera del pontefice che gli aveva ordinato la resa dopo che i primi colpi di cannone avessero evidenziato che si cedeva alla violenza, protrasse invece la resistenza, con qualche perdita da ambo le parti, sino all'apertura della breccia presso porta Pia.
All'indomani del 20 sett. 1870 il K. si stabilì con la famiglia in Vaticano, dedicandosi negli anni seguenti all'assistenza degli ufficiali e dei soldati pontifici che non avevano voluto prestare servizio nell'esercito italiano. Dopo l'avvento al soglio pontificio di Leone XIII, che lo avrebbe nominato barone, tornò ad abitare a Roma alternando la permanenza in città con lunghi soggiorni nella villa che aveva acquistato a Borgo a Buggiano, in Toscana.
La morte, sopravvenuta quasi improvvisa, colse il K. a Roma, nella notte tra il 5 e il 6 genn. 1888.
Il figlio Rodolfo (1861-1924), interessato sin da giovane all'arte nei suoi diversi aspetti, studiò architettura, pittura e musica. Discepolo di G.B. De Rossi, fu segretario della Pontificia Commissione di arte sacra, conservatore del Museo cristiano della Biblioteca apost0lica Vaticana, consigliere della Pontificia Scuola superiore di musica sacra e docente di canto gregoriano e storia del costume a S. Cecilia. Prima di morire curò la scenografia e i costumi per film storici di ambientazione romana quali Fabiola, di E. Guazzoni (1918) e Quo vadis? di Gabriellino D'Annunzio (1924).
Fonti e Bibl.: Presso l'Arch. segreto Vaticano sono conservate le Carte Kanzler-Vannutelli, soltanto in piccola parte relative a quest'ultima famiglia, riordinate da P. Dalla Torre e divise in due fondi. Il fondo A (46 buste, in origine 62) comprende documenti in prevalenza di interesse militare, successivi anche alla presa di Roma, e ritagli di giornali. Il fondo B (15 buste, di cui 2 di pertinenza della famiglia Vannutelli) raccoglie corrispondenza e documentazione di carattere contabile del K., della moglie e del figlio, fino al 1908.
Annuario militare pontificio, aa. 1858-70, ad nomen; V. Vannutelli, Il generale K.: cenni biografici, Roma 1889; A. Vigevano, La fine dell'esercito pontificio, Roma 1920, passim; Id., La campagna delle Marche e dell'Umbria, Roma 1923, pp. 295-302, 415 s., 447; P. Dalla Torre, L'anno di Mentana, Milano 1968, passim; R. Ugolini, Cavour e Napoleone III nell'Italia centrale, Roma 1973, ad ind.; Diz. del Risorgimento nazionale, III, s.v.; Enc. cattolica, VII, sub voce.