high frequency trading
<hài frìiku̯ënsi trèidiṅ> locuz. sost. ingl., usata in it. al masch. – Sistema di negoziazioni a elevata frequenza realizzate mediante strumenti software e hardware che utilizza algoritmi matematici per effettuare una moltitudine di transazioni in tempi rapidissimi simultaneamente su più mercati (azionari, obbligazionari, dei derivati, ecc.). Inondando i mercati di transazioni fittizie, consistenti in ordini di acquisto di titoli che vengono cancellati nell’arco di frazioni di alcune decine di millesimi di secondo (ordini flash), i software dell’high frequency trading consentono di ‘osservare’, rimanendo invisibili, le intenzioni di investimento degli operatori istituzionali (banche, fondi comuni, assicurazioni), di intercettare prima di altri investitori le tendenze di acquisto e vendita che si formano sul mercato e di far partire automaticamente e in tempi brevissimi le transazioni effettive che consentono di lucrare margini di guadagno anche di pochi centesimi. Il numero degli scambi generati in modo automatico dai sistemi di high frequency trading è elevatissimo (si stima che diano origine al 70% del volume complessivo di scambi sul mercato statunitense e del 40% su quelli europei), ma di questi solo l’1% si conclude con un contratto. Introdotto nel 1998 sul mercato statunitense, l’high frequency trading è stato oggetto di diversi rilievi critici, sia per il carattere iniquo connesso al vantaggio asimmetrico che offre rispetto agli altri operatori che utilizzano sistemi tradizionali di trading, sia per l’elevato numero di scambi improduttivi, ritenuti causa dell’elevata volatilità dei mercati borsistici, sia, infine, perché si presta all’utilizzo di tecniche illegali che consentono di manipolare i mercati e provocare variazioni ingiustificate dei prezzi dei titoli. Per limitare gli effetti distorsivi connessi alla proliferazione degli scambi a elevata frequenza e sopperire all’assenza di adeguati strumenti di controllo da parte delle autorità di vigilanza dei mercati di borsa, sono state avanzate diverse proposte di intervento normativo e regolamentare, tra cui l’introduzione della Tobin tax che, applicata a ogni singola transazione, esercita un fattore di disincentivo proprio sugli scambi attivati dall’high frequency trading.