I Fenici e la colonizzazione nel Mediterraneo
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nella lotta fra gli imperi mesopotamici e fra le contese di questi con l’Egitto, al volgere fra II e I millennio a.C. si creano le condizioni per lo sviluppo di una serie di città costiere: da esse prende avvio la grande avventura mediterranea dei Fenici e, in seguito, delle loro colonie, destinate a influire radicalmente sul volto del Mediterraneo occidentale.
Il territorio compreso fra la zona cananaica e l’intera area transgiordanica fra il XII e l’XI secolo a.C. appare interessato in maniera disuguale dalla dissoluzione delle egemonie imperiali circostanti: in alcune città dell’area costiera si registra, anzi, un sensibile sviluppo economico. I Fenici appartengono a questa realtà, ma presentarne la fisionomia in maniera unitaria è un’operazione, sebbene parzialmente legittima e sinora proficua sotto il profilo divulgativo, forse non altrettanto corretta sul versante metodologico. Diversa fu infatti la storia delle varie città-stato situate sul litorale siro-cananaico, profondamente e orgogliosamente calate nella propria autonomia, che solo relativamente tardi saranno riunite in agglomerazioni amministrative più ampie e che comunque solo i Greci, e poi i Romani, chiameranno collettivamente “Fenici”, ossia il popolo proveniente o appartenente alla terra della porpora (phoiniké in greco, kinakhkhu nei testi di Nuzi). Per se stessi, i Fenici non sembra siano mai stati altro che Sidonii, Tirii ecc. Occorre dunque tenere presente che se qui, come altrove, si continuerà ancora a parlare di Fenici, ciò avverrà unicamente in ragione delle affinità etniche, linguistiche e culturali fra determinate città, nei limiti complessivi del territorio da esse rappresentato: un territorio che ha come limite settentrionale il sito di Tell Suqas e i suoi centri più importanti in Arwad/Arados, Gebal, Tiro e Sidone, cui seguono, con importanza variabile secondo i periodi, altre città quali Simira, Tripoli, Berito, Sarepta, Dor, e come limite sud, la città di Akko e il promontorio del Carmelo.
Sino alla fine del II millennio a.C. le città della costa cananaica che indichiamo come fenicie – alcune delle quali di antichissima origine, come Gebal (Gubla nelle fonti accadiche, Byblos in quelle greche) – in realtà non presentano nulla che le distingua con tratti autonomi dall’insieme della realtà socio-culturale dell’entroterra siriano. Dal 1200 a.C. ca., invece, esse approfittano della debolezza dell’Egitto e della penetrazione dei Popoli del Mare riuscendo, in breve tempo, a costituire o a rafforzare la propria identità e autonomia. Grazie alla perizia nella marineria, alla facilità nell’impiantare ovunque insediamenti commerciali e produttivi, e alla capacità di ridistribuire sotto la propria cifra culturale intuizioni e scoperte nate altrove, un pugno di città riesce ad assumere un ruolo di cerniera, se non il controllo assoluto, di una serie di commerci e scambi basilari per tutta l’economia mediterranea. Abbastanza singolarmente – almeno rispetto alla storia delle altre realtà circostanti – questo processo conduce a una ragguardevole concentrazione di benessere e di ricchezza, sebbene i dominii di queste popolazioni rimangano a lungo angusti: quella stretta fascia di terra – chiamata Kena’an (Canaan) nella Bibbia – compressa fra la Siria e il mare, limitata a nord-est dalla conformazione stessa del territorio, dalla presenza degli Aramei (l’area finitima della prefenicia Ugarit già non le appartiene) e a sud da zone da tempo prelazionate dall’Egitto oppure occupate da altre popolazioni, locali o allogene, come i Theker/Tjeker (già visti fra i Popoli del Mare), i Filistei e quindi gli Israeliti, che d’altra parte non mancano, in qualche caso, d’incidere sulla vita delle città fenicie, come nel caso della distruzione di Sidone da parte dei Filistei, da poco impiantatisi nella città di Ashkalon.
Grazie alla loro prosperità, a capacità diplomatiche e alla favorevole collocazione, talora su piccole isole vicine alla costa (Tiro) o promontori sul mare (Sidone) – un modello insediativo che sarà seguito anche nelle colonie d’Occidente – le città fenicie riescono a mantenere la propria autonomia in tempi – come quelli delle invasioni neoassire nell’VIII secolo a.C. – in cui le realtà vicine crollano. La loro collocazione ne rende naturale la propensione alle attività marittime: ma esse sviluppano a livelli altissimi anche vari tipi di produzioni e tecnologie, non solo applicate alle manifatture di prodotti finiti, ma anche nella sfera agricola ed edilizia. La perizia dei Tirii in quest’ultimo settore trova, per esempio, testimonianza nel fatto che gli autori biblici, pur non mostrando particolare simpatia per gli abitanti delle città fenicie, dichiarano essere stati impiegati per la costruzione del palazzo di David e del tempio di Salomone a Gerusalemme non solo materiali, ma anche manodopera e ingegneria provenienti da Tiro (2Sam 5:11; 1Re 5). Vero o leggendario il dato sulla prima edilizia palatina israelitica, i suoi presupposti sono confermati dall’accertata ampia disponibilità di legname nella regione – si pensi ai famosi “cedri del Libano” – anche attraverso altre testimonianze, la più antica delle quali (risalente al 1100 a.C. ca.) mostra gli uomini di Tiglat-pileser I impegnati nell’acquisizione di legno da Arwad, Gebal e Sidone. Lo stesso scopo spinge a Gebal il personaggio di Wen-Amon, ricevuto dal principe della città Zakerba’al mentre “le onde del gran mare s’infrangevano dietro la sua testa”, come racconta un ben noto e coevo testo letterario egiziano.
Oltre alla marineria e all’attività d’importatori e commercianti, il nome dei Fenici è associato anche alla trasformazione e alla esportazione di materie prime, specie nel ramo dei beni di lusso, come la porpora, la cui manifattura ha definito il nome dell’intera regione, e il vetro.
Sempre ai Fenici si attribuiscono il perfezionamento e la diffusione della scrittura lineare prealfabetica. Un’immagine tardiva ma efficace di uno dei più importanti centri fenici di ogni tempo, Tiro, è nel libro del profeta Ezechiele, dove la città è paragonata a una grande nave mercantile, con un prezioso “catalogo” dei paesi nella rete dei suoi rapporti commerciali: “Gli abitanti di Dedan trafficavano con te; il commercio delle molte isole era nelle tue mani: ti davano in pagamento zanne d’avorio ed ebano. Aram commerciava con te per la moltitudine dei tuoi prodotti e pagava le tue merci con turchese, porpora, ricami, bisso, coralli e rubini. Con te commerciavano Giuda e la terra d’Israele. Ti davano in cambio grano di Minnit, dolci, miele, olio e balsamo. Damasco trafficava con te per i tuoi numerosi prodotti, per i tuoi beni di ogni specie, scambiando vino di Chelbon e lana di Sacar. Vedan e Iavan da Uzal ti fornivano ferro lavorato, cassia e canna aromatica in cambio dei tuoi prodotti. Dedan trafficava con te in coperte di cavalli. L’Arabia e tutti i principi di Kedar commerciavano con te: negoziavano con te agnelli, montoni e capri. I mercanti di Saba e di Raamà trafficavano con te, scambiando le tue merci con i più squisiti aromi, con ogni sorta di pietre preziose e con oro. Carran, Canne, Eden, i mercanti di Saba, Assur, Chilmad trafficavano con te. Al tuo mercato scambiavano con te vesti di lusso, mantelli di porpora e di broccato, tappeti tessuti a vari colori, funi ritorte e robuste. Le navi di Tarsis viaggiavano portando le tue mercanzie. Così divenisti ricca e gloriosa in mezzo ai mari.” (Ez 27:15-25; versione CEI).
Tuttavia, malgrado benessere, primati e condizioni favorevoli, la fisionomia della civiltà fenicia ci è nota praticamente solo dalla cultura materiale emersa dai ritrovamenti archeologici. Perduto, in particolare, è il suo patrimonio testuale, letterario, religioso e storiografico, che alcuni frammenti e varie testimonianze indirette indicano essere stato ragguardevole, nonché ogni tipo di documentazione d’archivio, pubblica e privata. Inoltre, malgrado le più di 6 mila iscrizioni fenicie sinora disponibili, anche della religione conosciamo, nel complesso, abbastanza poco, tranne alcuni riti e il fatto che ogni città possedesse un suo pantheon di riferimento: a Tiro, divinità principale è Melqart, il “Re della città”; a Gebal si ha una triade formata da Ba’alat (la “Signora”), con posizione preminente, quindi El e Adone; a Sidone appare un’altra triade con Astarte, Ba’al (il “Signore”) ed Eshmun. La dea Tanit e Ba’al Hammon dominano il pantheon di Cartagine. Alture, sorgenti, boschi sacri appaiono dedicati a varie divinità: frequente è la definizione o denominazione dell’essere supremo come “Signore”, ba’al, dell’uno o dell’altro luogo; fra gli altri dèi, non mancano divinità astrali (Yarih, dio lunare; Shemesh, dio solare; Ba’al-shamem, “Signore del cielo”) e altre legate a fenomeni atmosferici, come la folgore o la tempesta (Reshef, Hadad).
Alla fine del IX secolo a.C. si assiste a un decadere dell’importanza di Gebal e con Sidone – probabilmente prima città “fenicia” per importanza e grandezza – ancora sulla via di riprendersi dalla distruzione filistea, si consolida la fortuna di Tiro, il cui iniziatore è indicato, almeno dalla storiografia classica, nel re Hiram I (sovrano dal 969 al 936 a.C.), ben noto anche dalla Bibbia per i suoi presunti rapporti imprenditoriali con David e Salomone, e la catena dei cui successori fino al 774 a.C. ci è stata trasmessa dallo storico giudeo Flavio Giuseppe, il quale dichiara di aver attinto a documenti fenici indicati come Annali di Tiro. Non si hanno fonti dirette da Tiro per questo periodo: diverse informazioni sono ottenibili dalla più settentrionale Gebal attraverso varie iscrizioni, come quella incisa sul grande sarcofago del re Ahiram, posta da suo figlio Ittuba’al (secondo alcuni risalente al XIII secolo a.C.), o l’iscrizione dedicatoria, di poco posteriore, del re Yehimilk, posta verso il 950 a.C. per la ricostruzione del più importante santuario locale: “Tempio che ha costruito Yehimilk, re di Gebal; ed egli ha fatto rivivere tutte le rovine dei templi. Che Ba’al-shamem, il Ba’al di Gebal e l’assemblea degli dèi santi di Gebal allunghino la vita di Yehimilk e suoi anni (di regno) su Gebal, perché egli è un re giusto e retto innanzi agli dèi di Gebal.”
Con l’ascesa del faraone Sheshonq I (sovrano dal 945 al 924 a.C.) e sul finire del suo principato, l’Egitto sembra riassumere per qualche tempo il controllo dell’intera area: si tratta tuttavia di una ripresa effimera, dal momento che poco dopo le città fenicie sembrano riassumere il controllo della situazione per circa un secolo, ossia fino alle campagne condotte da Salmanassar III in Siria fra l’852 e l’837 a.C.
Quasi in coincidenza con questi ultimi eventi, e probababilmente anche in seguito alla crisi degli scambi con l’Assiria, si assiste all’avvio di una massiccia espansione commerciale e coloniale fenicia verso il Mediterraneo (secondo alcuni preceduta da analoghe missioni da parte dei Filistei). È dell’814 a.C. la fondazione sulla costa nordafricana della colonia più importante, Cartagine, ad opera di fuoriusciti Tirii allora sotto il re Pigmalione (sovrano dal 820 al 774 a.C.), che dà inizio alla civiltà punica, variante “occidentale” di quella fenicia della madrepatria. Nel volgere di alcuni decenni, troveremo empori e colonie fenicie e puniche da Cipro alle sponde dell’Atlantico (a Cadice, Tangeri, Lixus e altrove), interessando il Nordafrica (oltre a Cartagine, colonie a Cirene, Gerba, Leptis Magna, Naucrati, Utica ecc.), la Sicilia (Mozia, Palermo, Solunto), la Sardegna (Bithia, Cagliari, Nora, Sulcis, Tharros). L’elenco dei centri interessati sarebbe lungo: nell’Egeo, Citera, Rodi, Thassos, Telos, Thera; fra le isole minori del Mediterraneo, Gozo, Lampedusa, Malta, Pantelleria; nella Spagna orientale e nelle Baleari, ad Abdera, Baria, Cartagena, Malaga, Ibiza. Come si è visto sopra, per qualche tempo (fra IX e VIII sec. a.C.) l’importanza dei Fenici è tale che il loro stesso idioma viene spesso utilizzato in vari centri neoittiti come seconda o anche prima lingua epigrafica.
Verso la metà dell’VIII secolo a.C., tuttavia, l’importanza economica e la condizione sin troppo prospera dei principati fenici convince l’Assiria a non accontentarsi più dei tributi e, quindi, ad annettersene militarmente il territorio, la cui parte settentrionale è ridotta a provincia sotto Tiglat-pileser III, mentre con Sargon II quella meridionale riesce a mantenere un’autonomia di facciata. L’inizio del secolo successivo, con Sennacherib e poi Esarhaddon, vede alcuni tentativi di rivolta ma anche un intensificarsi della reazione assira, che si traduce fra l’altro in una punizione esemplare per Sidone:
“Ho raso al suolo Sidone, la città munita posta in mezzo al mare; ho distrutto le sue mura e le sue case e le ho gettate in mare, ho annientato il luogo in cui era. Al suo re Abdi-milkutti, fuggito in mare innanzi alla mia armata, ho fatto tagliare la testa. In Assiria ho deportato i suoi sudditi, in gran numero, e sul Paese ho messo un mio servo come governatore (dagli Annali di Esarhaddon d’Assiria)”.
Poco tempo dopo è la volta di Tiro, il cui ultimo re Ba’al I (sovrano dal 680 al 660 a.C.) ottiene di restare al suo posto, ma privato di ogni potere. La prima parte della storia fenicia si conclude piuttosto mestamente: le sorti del Paese passano di mano dagli Assiri ai Babilonesi sotto cui infine Tiro, da tempo ormai non più retta da re ma da un consiglio di “giudici”, cade nuovamente, dopo una resistenza durata ben 13 anni.