I Fenici nel Mediterraneo centro-occidentale. Gli inizi della colonizzazione
La colonizzazione fenicia è fenomeno complesso che si sviluppa su un arco di tempo molto ampio, compreso all’incirca fra gli inizi dell’VIII e la metà del VII sec. a.C., e su un’area vastissima, da Cipro all’estremo Occidente mediterraneo, alle coste atlantiche del Marocco e della Penisola Iberica. Alcuni temi inerenti a questa problematica, quali le rotte commerciali e le cause prime del fenomeno, sono già stati trattati nelle voci apparse nei primi due volumi dell’opera relative alle vie e ai luoghi di scambio e all’urbanizzazione fenicia in Occidente, alle quali dunque si rimanda per ulteriori approfondimenti. In questa sede, oltre a inquadrare la colonizzazione nelle sue linee generali, si tratterà in particolare l’origine e la diffusione del fenomeno nelle regioni europee: saranno quindi esaminati l’arcipelago maltese, la Sicilia, la Sardegna, le Baleari, la Spagna e il Portogallo.
I tempi, le cause e i modi della colonizzazione fenicia nel Mediterraneo centro-occidentale sono sempre stati fra gli argomenti più dibattuti nell’ambito di questo campo di studi. In particolare, per quel che concerne l’avvio del processo coloniale, prima che cominciassero a diffondersi in modo significativo le datazioni al 14C, agli inizi degli anni Settanta del Novecento, gli strumenti di indagine erano circoscritti all’esegesi delle fonti antiche e all’analisi della documentazione archeologica. I notevoli progressi frutto delle ricerche recenti hanno portato oggi a superare l’originale divario che in passato esisteva tra i sostenitori della cronologia “alta” e quelli della cronologia “bassa”. Mentre i primi erano propensi a collocare l’inizio della colonizzazione sullo scorcio del XII sec. a.C., i secondi ponevano le prime fondazioni coloniali intorno alla metà/seconda metà dell’VIII sec. a.C., in concomitanza con le più antiche colonie greche della Magna Grecia e della Sicilia.
Successivi studi hanno però dimostrato l’inattendibilità della cronologia “alta” basata su alcune fonti classiche e su una serie di reperti orientali rinvenuti in Occidente, più verosimilmente da inserire nel quadro di frequentazioni prettamente commerciali organizzate da gruppi misti di elementi orientali ed egei a cavallo fra il II e il I millennio a.C. La critica recente ha inoltre chiarito che le notizie fornite da alcuni autori classici relative alle fondazioni di Cadice, Utica e Lixus, alla fine del XII sec. a.C., si rifacevano a un’unica tradizione, sorta verosimilmente in età ellenistica e in ambiente alessandrino. Tale tradizione considera i poemi omerici come verità storiche e poiché in essi si parla delle attività marinare dei Fenici queste ultime sono ricondotte alla stessa presunta epoca; infine, dal momento che ritiene Eracle progenitore dei Fenici, ne assimila i viaggi verso l’estremo Occidente a quelli degli Eraclidi. Di conseguenza, il racconto delle fonti classiche non ha alcun reale fondamento storico e la cronologia alta, per quanto attiene alla fondazione delle colonie fenicie, deve essere senz’altro abbandonata.
Al contrario, presenta validi fondamenti la tradizione riportata da Timeo, vissuto fra la fine del IV e la prima metà del III sec. a.C., il quale colloca la fondazione di Cartagine nell’814/3 a.C. In effetti, questo orizzonte cronologico per la presenza fenicia nell’Occidente mediterraneo concorda sostanzialmente con le datazioni che derivano dalle più recenti indagini, in particolare da quelle degli archeologi tedeschi che negli ultimi decenni del Novecento hanno scavato i livelli più arcaici della metropoli nordafricana. Infatti, sulla base di un numero abbastanza consistente di frammenti di ceramica greca e dello studio dei materiali ceramici fenici associati, per le fasi più antiche dell’insediamento sono state proposte datazioni entro la prima metà dell’VIII sec. a.C. Si è inoltre potuta osservare una corrispondenza fra la cultura materiale dei livelli più arcaici di Cartagine e quella delle prime fondazioni fenicie della Penisola Iberica: Castillo de Doña Blanca-Gadir sull’Atlantico e Morro de Mezquitilla nell’Andalusia mediterranea.
Di poco posteriore, ma comunque saldamente ancorata alla metà dell’VIII sec. a.C., è inoltre la fondazione di Sulcis, nella Sardegna sud-occidentale, come testimoniato dalla documentazione proveniente dal tofet e da quella recentemente edita relativa a un settore dell’abitato. Poco lontano da questo centro, infine, in località San Giorgio di Portoscuso, sono state recuperate alcune tombe a incinerazione, con corredi inquadrabili nel secondo quarto dell’VIII sec. a.C., che sottintendono la presenza di un insediamento al momento non ancora identificato. Questo quadro indica chiaramente che il fenomeno coloniale sin dalle sue fasi iniziali è stato frutto della programmazione e dell’impegno delle classi dirigenti dei più importanti centri della Fenicia, indirizzate al controllo di alcune delle aree strategicamente ed economicamente più appetibili del Mediterraneo centro-occidentale.
Recenti indagini hanno inoltre chiarito che in tale processo Tiro ebbe un ruolo fondamentale, promuovendo la fondazione delle colonie fenicie più importanti. Infatti, le ricerche condotte dagli archeologi americani in questo centro hanno evidenziato i più stretti confronti con i livelli di fondazione dei più antichi insediamenti d’Occidente. In particolare, lo strato III (740-720 a.C. ca.) risulta quello dell’effettivo consolidamento di tale processo storico, dato che vi si manifesta per la prima volta una delle forme più caratteristiche della colonizzazione: la brocca con orlo espanso, definita anche come “brocca con orlo a fungo”. Comunque a Cartagine, Morro de Mezquitilla e Castillo de Doña Blanca non mancano confronti con tipologie ceramiche rinvenute in strati di Tiro ancora più antichi; si tratta delle coppe carenate per bere vino appartenenti a una produzione di lusso, la cosiddetta Phoenician Fine Ware, ampiamente diffusa presso le principali corti del Vicino Oriente e di Cipro (strati V-IV: ?760-740 a.C.), e dei piatti decorati con bande orizzontali a più colori che si trovano a Tiro già nel IX sec. a.C., ma che raggiungono la loro massima diffusione negli strati VI (800-?760) e V.
Come si evince da questi dati, l’inizio della colonizzazione fenicia in Occidente si può saldamente porre nell’ambito della prima metà dell’VIII sec. a.C.; tuttavia non si deve perciò concludere che i Fenici non frequentarono le coste del Mediterraneo centro-occidentale prima dell’inizio del movimento coloniale. Un innalzamento di tale processo storico nel IX, se non addirittura nel X sec. a.C., è stato di recente proposto da alcuni studiosi che hanno raccolto e sistematizzato le numerose analisi al 14C che a partire dagli inizi degli anni Settanta del Novecento sono state condotte soprattutto nella Penisola Iberica, sia in centri coloniali fenici (Toscanos, Morro de Mezquitilla) sia, soprattutto, in villaggi indigeni i cui abitanti stabilirono ben presto relazioni commerciali con l’elemento orientale (Ronda la Vieja-Acinipo; El Cerro de la Mora; Peña Negra de Crevillente; Alcáçova de Santarem, ecc.).
Dalle ricerche recenti emerge dunque che anche prima della costituzione di colonie vere e proprie una presenza fenicia è attestata in Occidente, ma che essa sfrutta generalmente le rotte già aperte da altre genti (in specie dai Micenei) e non dà luogo a stanziamenti stabili, né è programmaticamente intesa a favorire future fondazioni coloniali. Si tratta in sostanza di una frequentazione episodica e circoscritta ad alcune aree mediterranee nelle quali i Fenici si pongono in comunicazione con le potenziali controparti del loro commercio, da un lato introducendo oggetti artigianali di pregio e dall’altro favorendo la ricezione in tali ambienti di specifiche influenze culturali. Tale fenomeno si manifesta peraltro solo laddove i Fenici trovino una realtà sufficientemente strutturata e comunque interlocutori “affidabili” con i quali intrattenere i propri rapporti commerciali.
Spintisi sulle rotte del Mediterraneo più lontano rispetto a quei Micenei che assai probabilmente essi incontravano nelle regioni che entrambi erano soliti frequentare (ad es., l’isola di Cipro), i Fenici introdussero così nuove tecnologie in Sicilia, dove tra la fine del II e gli inizi del I millennio a.C. sono loro attribuiti i primi manufatti di ferro, e in Spagna, dove alla loro presenza sono riconducibili nuove tecniche di sfruttamento delle risorse minerarie. In Sardegna le prime frequentazioni dei Fenici determinano la diffusione in alcuni siti e santuari della civiltà nuragica di categorie tipiche del loro artigianato, come i tripodi miniaturistici e le statuine di bronzo, un tipo di prodotto destinato a esercitare un’evidente influenza sui ben noti bronzetti nuragici.
Portatori di un modello di organizzazione sociale assai diverso da quello delle culture occidentali con cui vengono a confronto, i Fenici tuttavia stimolano in esse significativi processi di ristrutturazione: sia in Sardegna sia in Spagna, infatti, a contatto con i Fenici le classi detentrici del controllo delle materie prime assumono ben presto la guida delle proprie comunità acquisendo costumi tipici delle aristocrazie mediterranee, come, ad esempio, l’autocelebrazione eroica o aspetti della ritualità simposiaca con la diffusione dei relativi oggetti. Una più organica presenza dei Fenici in Occidente, in questa fase definita per certi versi impropriamente “precoloniale”, è percepibile solo in rari casi: in Sardegna vi è, ad esempio, la presenza di ceramiche fenicie da trasporto nel contesto del villaggio nuragico di Sant’Imbenia ubicato sul Golfo di Alghero, mentre altrove la frequentazione dei Fenici è piuttosto documentata da oggetti di pregio acquisiti dai membri delle comunità locali.
Da quanto fin qui detto, dunque, emerge che il movimento di colonizzazione non è il logico concludersi o il perfezionarsi di un espansionismo commerciale precedente, ma è piuttosto un fatto nuovo che segna insieme la fine e l’inizio di un’epoca. La “precolonizzazione” fenicia è una cosa diversa dal trasferimento etnico legato alla fondazione coloniale e all’acquisizione più o meno rapida del relativo hinterland: risulta pertanto arbitrario tentare di chiarirne alcuni aspetti facendo ricorso a dati della fase coloniale. Inoltre, occorre sottolineare che i luoghi prescelti per attuare i primi contatti con le popolazioni indigene del Mediterraneo centro-occidentale sono spesso diversi da quelli utilizzati per le fondazioni coloniali. Se i luoghi possono non essere gli stessi, soprattutto è stato differente nei due momenti il rapporto con la componente indigena in relazione all’individuazione e alla scelta di spazi strutturalmente adibiti o da adibirsi ad attività di scambio. In effetti, i materiali che fino a oggi sono stati ritenuti più significativi nel discorso sulla precolonizzazione appaiono concentrati prevalentemente all’interno di centri indigeni e comunque non nei siti di successiva colonizzazione.
In conclusione, quindi, la precolonizzazione e la colonizzazione sono due fenomeni diversi sia da un punto di vista concettuale sia funzionale; proprio perché l’uno non è la diretta conseguenza dell’altro essi non sono necessariamente distinguibili cronologicamente e possono anche coesistere. È possibile infatti che una frequentazione commerciale sia presente in fase coloniale, cioè che luoghi di scambio o empori possano esistere a questo livello, senza trasformarsi in un insediamento coloniale vero e proprio. L’unico rapporto evidente fra precolonizzazione e colonizzazione riguarda piuttosto la conoscenza geografica dei luoghi sede delle future colonie. La fondazione di una colonia, infatti, non è un fatto casuale, ma si spiega con una precisa conoscenza da parte dei coloni della regione occupata.
Così, tra apporti di cultura tecnologica, importazioni di prodotti di pregio, scambi al livello di élite, si instaurano i primi rapporti con i possibili partners nelle regioni occidentali più interessanti per l’attività commerciale fenicia. Benché nulla suggerisca che in tali contatti i Fenici operino in termini di esclusività o di monopolio, va comunque riconosciuto che all’alba del I millennio a.C., tramontata ormai la potenza micenea, essi si apprestano a divenire gli interlocutori privilegiati delle genti locali in molte regioni mediterranee, a premessa di quel movimento assai più consistente e impegnativo che sarà, di lì a poco tempo, il fenomeno coloniale.
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