Lana, Iacopo della
Commentatore trecentesco della Commedia, il primo che (tra il 1324 e il 1328), dopo le iniziali esperienze di Iacopo Alighieri e di Graziolo Bambaglioli, limitate alla prima cantica, abbia diffusamente chiosato l'intero poema, dando così compiuto fondamento alla secolare esegesi.
Dal punto di vista dell'accertamento storico-archivistico non è agevole, anche oggi, individuare sicuramente il nostro tra i vari Iacopi vissuti in Bologna tra l'ultimo ventennio del sec. XIII e il terzo decennio del sec. XIV, appartenenti alla famiglia (fiorentina di origine) dei della Lana. Le ricerche condotte prima dal Gualandi, poi dal Rocca e più di recente (nel secolo nostro) dal Livi han portato a rilevare, per quegli anni e decenni, la presenza in atti di almeno sei Iacopi della L.: Iacopo di Zone (Uguccione, Cione) di fra Filippo (del quartiere di Porta Procula); Iacopo di fra Guglielmo (del quartiere di Porta Ravennate); Iacopo di Gherarduccio (del quartiere di Porta Stiera); e ancora Iacopo q. Dominici; Iacopo q. Bonzanini; Iacopo " qui Mellus vocatur, filius q. Vandi ". E a essi potrebbe aggiungersi secondo l'opinione del Livi (ma altrettanto probabile è il coincidere del personaggio con qualcuno dei nominati) anche quello Iacopo della L. frate eremitano, il quale il 17 giugno 1325 nella chiesa di San Giacomo era teste in un atto di pace tra privati: " Ex instrumento... hodie facto Bononiae, in Ecclesia Sancti Iacopi fratrum Heremitarum, praesentibus fratre Iacobo de Lana dicti Ordinis, qui dixit se contrahentes cognoscere; fratre Iacobo de Sancto Stephano etc. ... testibus ".
Se, col Gualandi e col Rocca, si assuma l'identità del nostro con Iacopo di Cione di fra Filippo di Cambio di Oliviero della Lana, il cui nome, nella forma " Iacomo de çone del fra Filippo de la Lana " o " lanarolo " o " da Bologna " compare più volte ai vivagni di uno dei più antichi e importanti manoscritti del commento (Firenze, Riccardiano 1005, Inferno e Purgatorio; Milano, Braindese ag XII 2, Paradiso), esemplato e miniato da Maestro Galvano di Tommaso (ben noto copista e miniatore operante in Bologna fino al 1341, indi a Padova ove morì nel 1347), se dunque accettiamo la precisa indicazione di Galvano il quale, per età e residenza, dovette essere ben informato sulla persona del commentatore, potremo enunciare i dati relativi alla famiglia e al nostro, riducendoli all'essenziale. Fra Filippo di Cambio di Oliviero, frate del terz'ordine di s. Bernardo, ascritto alla Società dei Toschi nel 1263, prese in moglie Biagia di Uguccione Tettalasina e fece testamento nel 1282; suo figlio Uguccione (Zone), padre del nostro, ascritto alla Società dei Toschi nel 1293, fu censito nel 1296, nel 1304, nel 1308: ma lo vediamo in seguito (1323) abitare in Venezia coi fratelli Bartolomeo e Oliviero. Quanto a Iacopo, il fatto che nel 1296 non compaia in una generale rassegna degl'individui fra i diciotto e i settant'anni (per la cappella di Santa Lucia sono presenti un " dominus Ugucio " e un " dominus Bertolinus condam fratris Phylipi ", cioè il padre e lo zio) ci assicura che in tale anno non aveva ancora diciotto anni: nacque quindi sicuramente dopo il 1278.
Nel 1308 (secondo semestre) la famiglia era fuor di Bologna: se il 7 agosto di quell'anno Tommasino del quondam Rolandino, general procuratore " Uguicionis, cui dicitur Zonus, Bertolini et Auliverii fratrum et filiorum condam fratris Philippi, Capellae Sanctae Luciae, et dominae Blaxiae, filiae condam Uguicionis de Tetalaxinis " curava nei nomi la vendita di un pezzo di terra nel suburbio (Livi, 1921, pp. 38-39). Secondo il Gualandi e il Rocca già allora dovette avvenire l'espatrio definitivo: meta probabile Venezia, se lì abitavano il padre e gli zii di Iacopo nel 1323. Il Gualandi riteneva che Iacopo fosse in quegli anni rimasto in Bologna, e l'identificava con uno di tal nome, annoverato fra i milites nel 1314, scelto l'anno dopo a far parte dei cavalieri che Bologna inviava a Firenze contro Uguccione della Faggiuola (Rocca, p. 219), infine menzionato nel 1323 in atti per la vendita da lui fatta al comune, quale ingegnere e " magister lignaminis ", di una quantità di assi di legno. Ma tale professione mal s'inquadra con il carattere intrinseco dell'opera esegetica del nostro: meglio raccogliere, a questo proposito, l'indicazione fornita dal giureconsulto Alberico da Rosciate, al termine della sua traduzione in latino del commento lanèo: " Hunc comentum composuit quidam dominus Iacobus de la Lana bononiensis, licentiatus in artibus et theologia, qui fuit filius fratris Filipi de la Lana, ordinis Gaudentium ". L'inesattezza di alcune notizie (si confondono padre e nonno, si ritiene Filippo frate godente mentre fu del terz'ordine di s. Bernardo) non vieterà di accogliere un dato sintomatico e suggestivo come quello circa l'essere il L. un ‛ licenziato ' in arti e teologia: tanto più che è proprio il carattere e il tono di tutto il lavoro a confermare - continua, sovrabbondante documentazione - le linee di una ben precisa fisionomia magisteriale, di una tipica esperienza culturale e di lettura. Quanto alla possibilità che dopo il 1323 Iacopo fosse comunque a Bologna (frate eremitano secondo il Livi; " magister lignaminis " secondo il Gualandi e il Rocca) chi scrive la ritiene assai probabile, proprio per le patenti, sicure connessioni del commento lanèo con l'ambiente dello Studio bolognese.
Con Iacopo l'esegesi del poema s'incontra infatti con la cultura accademica e scolastica: il poema viene considerato anzitutto un'opera dottrinale, un'enciclopedia didascalica da esporre e illustrare. La chiosa si fa così analitica, suscettibile di allargamenti più in superficie che in profondità; ciò che interessa è prevalentemente la dottrina che si presume sia oggettivamente racchiusa nella lettera: sì che spesso la chiosa si viene determinando e sviluppando all'esterno dell'occasione offerta dal testo, e finisce per non coglierne o per tradirne (su un piano interpretativo) la genuina fisionomia e intenzione, mentre il discorso del commentatore si disnoda nel complesso in modo frammentario, in lezioni e questioni autonome, tipiche di un'enciclopedia didascalica o di una Summa dottrinale. Astratto scientificismo che improntava di sé, correndo la terza decade del Trecento, il pensiero e gli orientamenti dello Studio bolognese, e che pesa indubbiamente sulla qualità e i risultati di tutta l'opera, nel prevalere della quaestio autonoma sulla lectio, della tendenza insomma a muover dal testo per giungere nella glossa a una libera indagine, in qualche caso del tutto accidentale rispetto al luogo commentato e sviluppata come un quesito autonomo: perché, avverte il L., " è da savere che in tuti luogi là dove Dante mostra amiratione, si è dubio o titolo de questione ".
Tali ‛ questioni ' o digressioni vengono per lo più svolte dal commentatore nei proemi ai vari canti (un'innovazione, questa dei proemi, rispetto alla sintetica brevità delle chiose di Iacopo Alighieri e di Graziolo): i quali proemi, man mano che il lavoro procede, si fanno sempre più ampi e meglio organizzati, sino a raggiungere, nel Purgatorio e nel Paradiso, dimensioni soverchianti rispetto al commento puntuale, e rappresentano indubbiamente (si tenga conto soprattutto del momento cronologico e storico) uno fra i più importanti sforzi che mai siano stati compiuti per giungere a un inquadramento dottrinale della materia contenuta nel poema. Che poi questo tentativo d'inquadramento e di esplicitazione degli elementi teologico-dottrinali ed enciclopedico-didattici abbia sempre corrisposto allo sforzo (nonostante l'indubbio impegno del commentatore) è ipotesi di lavoro da prendersi col più ampio beneficio d'inventario, nonostante che uno studioso (lo Schmidt-Knatz) di fronte alle 124 citazioni dai padri della Chiesa, o alle 380 allegazioni da s. Tommaso, abbia un giorno affermato che " il Lana ha fissato in modo definitivo e una volta per tutte il fondamento teologico-filosofico della Commedia ". L'orientamento ‛ professionale ', da teologo ‛ licenziato ', della chiosa emerge anche dai frequenti accenni a un pubblico che si accosti al poema come a un testo di studio, come a un testo di scuola: si veda almeno If XIII 25 (" qui bistiçça per indur dillecto al studente... ") o 151 (" E perché li exempli nella presente commedia eno posti ad intellientia de lo studente... "), e ancora Pd I 136 (" et aço che le fabule introditte no agenerasseno ne l'animo del studiente alcuna oscuritade, si è da palexar le soe allegorie ").
Ma non è soltanto l'aspetto dottrinale quello che interessa il chiosatore. Accanto alla prospettiva di studio è presente anche un interesse per la " polita parladura " (come il L. scrive), che si risolve in rapidissimi quanto relativamente sporadici giudizi di gusto concreto, posti a rilevare immagini, espressioni, parole sentite come autonomo artifizio per adornare il dettato. Da questo punto di vista, se pur non si possa ovviamente parlare di giudizio letterario, il L. mostra una certa sensibilità di lettore: quella sensibilità che, sulla fine del buon secolo, sarà precipuo carattere della postilla di Benvenuto da Imola. Accanto a questo incipiente interesse retorico, vi è poi un gusto assai marcato per gli spunti novellistici: per le ‛ favole ', antiche e moderne, nell'intrecciarsi fitto di mitologia e di cronaca a erudizione e diletto di chi legge. Sia che si tratti d'illustrare avvenimenti e personaggi contemporanei, di creare un quadro cronachistico sullo sfondo del personaggio chiamato in causa; sia che invece la chiosa esponga elementi mitologici con l'intento di ricavarne una precisa moralizzazione, il L. reagisce sempre piacevolmente, con un senso del novellare che talora si presenta come un divagato pretesto, quasi a interrompere la tensione dottrinale e ad alleviar l'ideale uditorio (si vedano a questo proposito le due novelle inserite deliberatamente nel solenne proemio al canto XXIX del Paradiso, ove la complessa analisi del contenuto, condotta bellamente col ricorso a numerose fonti scolastiche, viene interrotta, quasi con un sospiro di sollievo, per aprire una parentesi novellistica sulle " ciance " dei moderni predicatori). Nell'ambito di questo filone si comprende la maggior vivezza e libertà nel colorire e presentare i personaggi e gli avvenimenti storici, in tutte e tre le cantiche.
Un altro elemento assai interessante ai fini di tratteggiare un profilo del L. è il suo impegno politico, il coincidere del suo pensiero, della sua ideologia con quella più volte espressa e documentata, nel corso del poema e altrove, dall'Alighieri. C'è una pressoché totale adesione, da parte del commentatore, alle posizioni dantesche, in qualche caso addirittura ‛ scavalcate ' in senso più apertamente ‛ ghibellino ' e antiierocratico: esempio tipico di queste posizioni la chiosa al canto VI del Paradiso, che ben al di là dalla materiale esposizione del testo fornisce la misura di una personale, risentita partecipazione. Notevole inoltre il fatto che il L. sia il primo a inserire nel commento brani copiosi dalla Monarchia, anche se sfugge all'autore la possibilità di trarre dal trattato latino non soltanto punte polemiche, ma elementi precisi e significanti per un'ermeneutica globale della Commedia, come avverrà invece nel Commentarium di Pietro. Accanto alla Monarchia il L. conosce l'epistola a Cangrande e se ne serve (siamo, si è detto, tra il 1324 e il 1328): sia nel proemio al commento, sia a If XV 69 (donde estrae il titolo dell'opera con l'indicazione " e però sì si scrivea l'auctore Dante da Fiorenza per natione et non per costumi "). Ma anche dall'epistola egli non ricava tutto il frutto (sul piano interpretativo), se la chiosa cede assai spesso a un'allegorizzazione astratta dei personaggi (primo fra tutti D. stesso, ma poi anche Virgilio, Beatrice, le altre guide) che sposta l'asse dell'ermeneutica dal realismo concreto della poesia dantesca verso un clima goticizzante che D. aveva ormai trasceso con la propria arte. Sicché, a distanza di secoli, la fatica del L. è apprezzabile (e in qualche misura utile) soprattutto in quanto sia ancora usufruibile l'imponente corredo dottrinale; cioè a dire per quanto consenta al moderno lettore, sul piano di una ricognizione sincronica, di osservare come un lettore legato alla tarda Scolastica procedesse a verificare, iuxta propria principia, i contenuti del poema. Altro indubbio merito, l'avere offerto per la prima volta, con le chiose al Purgatorio e al Paradiso, l'ordito su cui, per successive stratificazioni, si sarebbe fittamente intrecciata nel tempo la secolare postilla dell'intiero poema.
Edizioni: Venezia, Vendelin da Spira, 1477 (il commento vi è attribuito a Benvenuto); Milano, Nibia, 1478 (Nidobeatina); Comedia di D. degli Allagherii col commento di I. di Giovanni della L. bolognese, Milano 1865 (a c. di L. Scarabelli); Comedia di D. degli Allagherii, col commento di I. della L. bolognese. Nuovissima edizione della Regia Commissione per la pubblicazione dei testi di lingua sopra iterati studii del suo socio L. Scarabelli, Bologna 1866-67 (" Collezione di opere inedite o rare dei primi tre secoli della lingua ").
Bibl. - Sulle edizioni del commento: C. Witte, Commentare zur D.C.: Iacopo della L., in Dante-Forschungen, II, Heilbronn 1879, 406-427; per il problema critico alla luce di più moderne indagini, cfr. H. Schroeder, Das Problem einer Neuherausgabe des Lana-Kommentars, in " Deutsches Dante- Jahrbuch " XVII (1935) 77-101. Un'edizione in facsimile, dal codice cosiddetto Arci-β di Francoforte: D.A., La Commedia col commento di Jacopo della L. dal codice Francofortese Arci-β, a c. di F. Schmidt-Knatz, Francoforte sul Meno 1939. Il progetto di una nuova edizione è stato da tempo annunciato dalla Commissione per i testi di lingua.
Studi. - Giacomo dalla L. bolognese primo commentatore della D.C. di D.A. - Notizie biografiche con documenti, a c. di A. Gualandi, Bologna 1865; C. Hegel, Über den historischen Werth der älteren Dante - Commentare mit einem Anhang zur Dino-Frage, Lipsia 1878, 10-17; C. Witte, Die beiden ältesten Commentare von Dante's Göttlicher Komödie, in Dante - Forschungen, I, Heilbronn 1878, 382 ss.; L. Rocca, Di alcuni commenti della D.C. composti nei primi vent'anni dopo la morte di Dante, Firenze 1891, 127-227; F.P. Luiso, Tra Chiose e commenti antichi della D.C., in " Archivio Storico Italiano " s. 5, XXXIII (1903), 39-40; G. Livi, D., suoi primi cultori, sua gente in Bologna, Bologna 1918, 52-53, 63-64, 253-256; ID., D. e Bologna. Nuovi studi e documenti, ibid. 1921, 36-43; F. Mazzoni, La critica dantesca del secolo XIV, in " Cultura e Scuola " 13-14 (gennaio-giugno 1965), 292-293; ID., lacopo della Lana e la crisi nell'interpretazione della Divina Commedia, in " Dante e Bologna nei tempi di Dante ", Bologna 1967, 265-306; B. Sandkühler, Die frühen Dantekommentare und ihr Verhältnis zur mittelalterlichen Kommentartradition, Monaco di B. 1967, 192-205 (non scevro da gravi mende). Su Maestro Galvano miniatore (oltre che copista) cfr. F. Filippini e G. Zucchini, Miniatori e Pittori a Bologna. Documenti dei secoli XIII e XIV, Firenze 1947, 227; T. Gerevich, Le relazioni tra la miniatura e la pittura bolognese nel Trecento, in " Rassegna d'Arte " X (1910) 46-48; M. Levi D'Ancona, in " The Art Bulletin " 1971, 121.