FENICIO, Iacopo
Nacque a Capua (od. prov. di Caserta) intorno al 1558; nel 1580 entrò nella Compagnia di Gesù e tre anni dopo partì alla volta dell'India meridionale, dove soggiornò a lungo, soprattutto nel territorio di Cochin; tra il 1600 e il 1609 risiedette presso la corte dello "zamorin" di Calicut; morì a Cochin nel 1632.
Uomo di grande spiritualità, profonda umanità e considerevole energia - come di lui narrano i contemporanei - spese ben quarantotto anni in India, compiendo la sua opera evangelizzatrice con molto zelo, facendo numerosi proseliti, soprattutto tra le alte caste, a motivo della sua buona conoscenza delle credenze religiose indiane e della lingua malàyalam; partecipò anche a numerose confutazioni in materia religiosa contro i brahmani al cospetto dello zamorin di Calicut, di cui divenne amico. I suoi contatti con persone importanti - il nipote dello stesso zamorin fu convertito al cristianesimo - non solo facilitarono la sua opera evangelizzatrice (ottenne per es. il permesso di costruire numerose chiese), ma anche contribuirono all'approfondimento dei suoi studi sulla religione e sulle tradizioni locali, potendo egli disporre dell'aiuto di "pandit" e uomini colti che lo introdussero allo studio diretto dei testi. L'opera da lui scritta, Livro da seita dos Indios Orientais, infatti, rivela buone conoscenze delle fonti scritte, come anche di alcune tradizioni e miti locali oralmente trasmessi, poco o per nulla conosciuti.
Il suo è il primo trattato sulla religione e sugli usi e costumi indiani scritto in Europa, precedendo di qualche anno gli scritti di un altro grande missionario, Roberto De Nobili.
Al F. toccò però in sorte di essere misconosciuto per due secoli, mentre il suo manoscritto veniva plagiato da più autori, in particolare dal calvinista Philippus Baldaeus (XVII sec.), che si appropriò di numerose parti, evitando di citarne la fonte, in un'opera, Afgoderye der Oost-Indische heydenen, che ebbe grande fama per lungo tempo.
Proprio in occasione di una ristampa di tale libro, nel 1917 l'indologo J. Charpentier volle indagare sulle sue fonti e riuscì a riportare alla luce il manoscritto dimenticato, finito non si sa come nel British Museum, consentendo così un tardivo quanto giusto riconoscimento al suo vero autore. Lo studioso curò anche una edizione critica del manoscritto rinvenuto (Upsala 1933), che arricchì di note di grande interesse, sebbene non risulti perfetta nella trascrizione del portoghese; ne sono state omesse anche tutte le parti esegetiche, scritte dal F. in favore della religione cristiana per confutare le credenze indiane che andava a mano a mano esponendo e che lo Charpentier volutamente eliminò dalla sua edizione, perché, secondo il suo parere, l'opera non ne venisse appesantita. Il libro, infatti, secondo l'intenzione del F., avrebbe dovuto servire soprattutto ai nuovi missionari inviati nelle terre indiane, per istruirli sulle credenze locali e per fornir loro nello stesso tempo validi strumenti per la promulgazione della dottrina cristiana.
Degna di nota è anche la descrizione di rituali compiuti in occasione di festività religiose o di usi e costumi locali, dei quali il F. mostra di avere fatto una diretta esperienza e che rivelano un acuto spirito di osservazione oltre che interesse e curiosità verso il mondo culturale con cui egli era entrato in contatto. Di ampia formazione umanistica, cita spesso non solo i Padri della Chiesa, ma anche i classici, che mostra di conoscere bene. Sovente, inoltre, nella esposizione della mitologia indiana riporta i versi in maláyalam di un poeta indiano (Pacunar ovvero Pakkanar) che parlano, in modo invero piuttosto scherzoso, delle divinità locali.
Considerando la ricchezza di notizie e di dati contenuti in quest'opera, con le parole dello Charpentier a buon diritto si può dire del F. che egli "well deserves a place among the eminent forerunners of the present European knowledge of India".
L'opera è divisa in otto libri. Il primo tratta della creazione del mondo e dei miti relativi. che, come il F. stesso dice, sono ancora più fantastici di quelli narrati da Ovidio nelle Metamorfosi. Ilmondo, che ora si trova nella sua quarta era (chiamata Kaliyuga) della durata di 1200 anni, ha avuto origine da un solo uovo (uovo cosinico), che si aprì in due formando da una parte il cielo e dall'altra la terra. Si parla poi delle tre principali divinità Brahmā, Shiva e Vishnu ed è anche riferito un mito non conosciuto, probabilmente appartenente alla tradizione locale, in base al quale gli uomini all'origine, così come gli alberi e gli animali, erano di statura gigantesca e solo in seguito si sarebbero rimpiccioliti a causa del calore eccessivo del sole.
Il secondo libro è dedicato interamente a Shiva (Ishvara) ed ai miti ad esso collegati. Il F. attribuisce a questa divinità quattro figli, Ganesha, Hanumān, Subrahmaṇya e Kālī, "dea nera dai denti di porco", che in tal modo viene distinta dalla sposa Pārvatī. Interessante è la descrizione dei riti svolti in occasione dell'anniversario dei defunti, per i quali i parenti organizzano un gran banchetto, offrendo a consanguinei ed amici alcuni piatti speciali. Parlando ancora del dio Shiva che taglia la testa a Brahmā, il F. nella sua confutazione dimostra l'assurdità dell'esistenza di una divinità tanto imperfetta che può anche macchiarsi di peccati cosi gravi. Prova anche a dimostrare un'altra assurdità, quella di attribuire la responsabilità del vaiolo ad una divinità, pregata e venerata dai fedeli per scongiurare il male.
Dal terzo al sesto libro si parla di Vishmi e dei suoi avatāra o incarnazioni; il quarto ed il quinto in particolare si riferiscono ai poemi epici Mahābhārata e Rāmāyaya e narrano la storia di Rāma e Krishna. Il F. si sofferma quindi a disquisire sul principio della trasmigrazione delle anime e sulla legge del karma, che confuta in base alla dottrina cristiana.
Il settimo libro tratta di Brahmā e di alcune divinità locali. L'ottavo è dedicato ai templi hindu, alle cerimonie di culto, ai sacrifici, alle festività ed ai riti; il F. si sofferma in particolare sui digiuni rituali osservati in occasione di importanti festività. Tale libro più degli altri rivela l'esperienza diretta del F., che descrive avvenimenti ai quali egli stesso assistette, inserendo notazioni e particolari interessanti; accenna ad es. all'origine delle ceneri "con cui i pagani si santificano", provenienti dallo sterco di vacca, particolarmente sacro agli hindu.
Del F. si conoscono anche tre lettere ed una relazione su un viaggio apostolico da lui compiuto sui monti Nilghiri, che trattano in gran parte dello stato delle missioni in Malabar (Charpentier, Preliminary..., pp. 734 ss.).
Fonti e Bibl.: P. Du Jarric, Thesaurus rerum Indicarum, Coloniae Agrippinae 1615, III, 2, pp. 43 ss.; Ragguagli d'alcune missioni fatte dalli padri della Compagnia di Giesù nell'Indie Orientali, cioè nella provincia di Goa e Coccino e nell'Africa in Capo Verde, Roma 1615, p. 142; S. Purchas, Hispilgrimage, or relations of the world, London 1625, p. 549; W. H. R. Rivière, The Todas, London 1906, pp. 719 ss.; Ph. Baldaeus, Afgoderye der Oost-Indische heydenen (Idolatria dei pagani delle Indie Orientali), a cura di A. J. De Jong, s'Gravenhage 1917, p. LXX; Relaçao anual de 1602-03, f. 84v; 1604-05, f. 117v; 1606-1607-08, ff. 63 ss., in V. Streit, Bibliotheca missionum, V, Asiatische Missionsliteratur, Aachen 1929; M. Farla y Sousa, Asia portuguesa, I-III, Lisboa 1666-75, passim;A. Pinelo de Leon, Epitome de la Bibliotheca oriental y occidental, nautica y geographica, Madrid 1737, I, pp. 55, 455; M. Mulbauer, Geschichte der katholischen Missionen in Ostindien von der Zeit Vasco da Gamas bis zur Mitte des achtzehnten Jahrhunderts, München 1851, pp. 112 ss., 288; M. J. P. A. da Camara, Missòes dos Vesuitas no Oriente, Lisboa 1894, p. 145; J. Charpentier, Preliminary report on the "Livro da seita dos Indios Orientais", in Bulletin of the School of Oriental Studies, II (1918), pp. 413 ss.; III (1919), pp. 731 ss.; P. Dahmen, Robert de Nobili, Münster 1924, p. 10; G. Messina, Un plagio scoperto dopo tre secoli, il gesuita F. e il pastore Baldaeus, in Civiltà cattolica, 1934, t. III, pp. 475-488; F. Rodrigues, O "Livro da seita dos Indios Orientais", in Brotéria, XVIII (1934), pp. 39-44; P. Caironi, A great missionary scholar of India, in Woodstock Letters, LXIII (1934), pp. 490-494; G. Schurhammer, Das "Livro da seita dos Indios Orientais" desp. J. F. S. I. (1609), in Archiv. histor. Societ. Iesu, III (1937), pp. 142-147; Id., The mission work of the Jesuits in Muthedath (alias Arthunkal) and Porakad in the 16th and 17th centuries, Aleppo 1957, cap. II, pp. 5-30; Id. (rec. all'ed. dello Charpentier), in Bibl. Instituti historici S.I., XXIII, Gesammelte Studien, IV, Varia II, Lisboa 1965, pp. 808-811; D. Ferroli, The Jesuits in Malabar, I, Bangalore 1939, p. 212; A. Ballini, L'India e la Compagnia di Gesù, in Ilquarto centenario della costituzione della Compagnia di Gesù, Milano 1941, pp. 183-209; Le missioni cattoliche e la cultura dell'Oriente, Roma 1943, pp. 274-276; G. Tucci, Italia e Oriente, Milano 1949, pp. 6-12; Arch. hist. Soc. Iesu, Index generalis, I-XX (1932-1951), Romae 1953, pp. 73, 311; R. M. Cimino-F. Scialpi, India and Italy (catal. della mostra), Roma 1974, pp. 82 s.