ROSETO, Iacopo
(Iacopo da Bologna). – Gli elementi biografici su questo orefice erano pressoché nulli fino a pochi anni fa, quando fu identificato, in via ipotetica, con Iacopo degli Azzi, figlio di Alberto di Prendiparte (Pini, 2007, p. 66).
Qualora confermata, questa ipotesi farebbe di Iacopo il fratello di Stefano di Alberto degli Azzi, miniatore fra i più apprezzati nel panorama bolognese del Trecento.
Nulla si sa della madre. Nonostante questa identificazione, il quadro biografico di Iacopo rimane poverissimo: ignote le date di nascita e di morte, ignota del tutto la vita privata, eccetto una notizia del 1382 relativa all’acquisto di una casa nella parrocchia bolognese di S. Giorgio in Poggiale (p. 67). Anche la sua produzione rimane in gran parte nell’ombra: solo due le opere a lui attribuite con certezza, datate 1380 e 1383, mentre sembra definitivamente sottratta al corpus dell’artista la cosiddetta ‘saliera’, in realtà una teca per ostie, conservata nel Museo civico medievale di Bologna e fino al 1971 considerata autografa (Pizzi, 1971, p. 210; Trento, 1987, p. 237). Nel 1380 portò a termine, firmandolo in più punti, il reliquiario del capo di s. Petronio, conservato dal Museo di S. Stefano.
Gli elementi strutturali e le scelte iconografiche e stilistiche che caratterizzano il manufatto vanno inquadrati nel contesto politico e ideologico dell’ultimo quarto del secolo, che vide a Bologna, dopo la cacciata del legato pontificio Guglielmo di Noellet (1376), la restaurazione del sistema comunale di governo. Promosso dai nuovi statuti approvati nel 1378, il culto di Petronio, riconosciuto come principale patrono cittadino, divenne un elemento costitutivo dell’identità politica comunale, e anzi fu assunto come il vero fulcro del patriottismo bolognese. Una complessa e articolata operazione culturale si sviluppò in quegli anni attraverso iniziative liturgiche e artistiche, culminando con la fondazione, nel 1390, della grande basilica petroniana.
Rientrava a pieno titolo in questo progetto l’incarico, attribuito verso il 1378 a Iacopo Roseto, per la realizzazione di un grande reliquiario, destinato non solo ad accogliere degnamente il capo del santo, ma anche a trasportarlo in processione lungo le vie cittadine, consentendo ai devoti un’adeguata visione della reliquia. Questo specifico impiego processionale dell’opera, decisivo per la scelta della forma a ostensorio rispetto a quella ‘a busto parlante’, ebbe poi la sua piena espressione dopo la costruzione della basilica comunale, quando, come attestano i documenti notarili conservati presso l’Archivio di Stato di Bologna, la preziosa reliquia fu traslata ogni anno, in occasione della festa patronale del 4 ottobre, dalla chiesa di S. Stefano, che la custodiva abitualmente, a quella di S. Petronio, per essere poi, terminate le celebrazioni, riaccompagnata processionalmente al mausoleo del santo, la cui struttura ottagonale continuava idealmente in quella analoga del reliquiario (Archivio di Stato di Bologna, Notarile, Notai Panzacchi).
Iacopo seppe far fronte a una commissione di tale importanza: l’opera, oltre a rispondere alle finalità liturgiche per cui era stata pensata, costituì, per le soluzioni stilistiche e iconografiche adottate, un punto di riferimento per pittori, scultori e miniatori alle prese, negli anni successivi, con la divulgazione del mito petroniano. Priva di qualunque precedente iconografico, quella del reliquiario fu la prima sintesi visiva di una leggenda agiografica nota, fino allora, solo grazie a fonti narrative. L’originalità delle scelte stilistiche dell’orefice e la sua capacità di dialogare con i maggiori interpreti della cultura tardogotica bolognese, pittori e miniatori ovviamente, ma anche scultori e architetti, si sono manifestate con chiarezza a seguito dell’ultimo restauro (Iacopo Roseto e il suo tempo, 1992) che, grazie allo smontaggio e allo studio delle numerose parti costitutive, ha consentito di apprezzare la perizia tecnica e la creatività di Iacopo nelle diverse fasi della fusione, incisione e scultura, nella realizzazione degli smalti, ma anche nel disegno architettonico, e soprattutto nella capacità di coordinare questi diversi elementi finalizzandoli all’efficacia del racconto agiografico e ai suoi contenuti patriottici. Dettata dalla struttura ottagonale della teca, a sua volta modellata sul sepolcro stefaniano, la scelta narrativa si concentra su otto episodi della vita di Petronio, ospitati in otto formelle incise e trattate a smalto traslucido sui vivacissimi toni del verde, del giallo, del blu e del violetto. Decisiva nel determinare la riuscita del programma iconografico fu la capacità di estrapolare dal racconto i momenti salienti del rapporto fra santo e città: l’elezione di Petronio a vescovo, ispirata in sogno da s. Pietro a papa Celestino; l’arrivo di Petronio a Bologna; la consacrazione delle quattro croci a tutela della città; la concessione del diploma di fondazione dello Studio da parte di Teodosio II e così via. Ma decisiva fu anche l’elaborazione originale degli attributi fisionomici del santo: barbuto, accigliato, dai lineamenti enfatizzati, tratti recepiti e divulgati di lì a poco da pittori, miniatori e scultori. Ancora più complessa e di grande spessore ideologico è la questione del modellino di Bologna che la statua apicale del santo tiene nella mano sinistra, espressione di un privilegiato rapporto affettivo fra la città e il suo defensor. Qualora la statuetta costituisse un elemento originale del manufatto (Iacopo Roseto e il suo tempo, 1992, p. 62; Pini, 2007, p. 69), quell’immagine applicata a Petronio sarebbe una geniale invenzione di Iacopo, dato che non si conoscono a Bologna versioni più antiche di tale iconografia, destinata a straordinaria fortuna nei secoli successivi.
La seconda opera di Iacopo, il reliquiario del capo di s. Domenico conservato presso la chiesa domenicana di Bologna, riporta anch’essa più volte la firma dell’autore, che la completò, dopo alcuni anni di lavoro, nel febbraio del 1383. Vari elementi accomunano, per ispirazione e struttura, i due reliquiari, entrambi frutto di committenze scaturite nel clima di forte mobilitazione patriottica che caratterizzò l’ultimo venticinquennio del Trecento bolognese. Si può dire anzi che l’intento dei promotori del reliquiario domenicano, in primo luogo gli stessi frati predicatori, fosse di contrastare il declino cui la figura patronale di Domenico sembrava condannata dal successo inarrestabile del culto petroniano. Analoghe le finalità dei due manufatti, dunque, sia pure in concorrenza fra loro, e analoghe le strutture ottagonali dei due ostensori, da cui derivò anche nel secondo la necessità di scegliere otto episodi salienti della vita del santo, da proporre alla devozione popolare come elementi identitari in ambito religioso e civile. In questo caso, però, il talento figurativo di Iacopo poteva attingere, oltre che alle fonti agiografiche, a un autorevole precedente iconografico: i bassorilievi dell’arca di Nicola Pisano, che conserva il corpo di s. Domenico, ispirarono direttamente almeno cinque delle otto scene riprodotte nelle placche smaltate.
Sul piano stilistico, il secondo reliquiario risultò rispetto al primo decisamente più elaborato, caratterizzato da una decorazione floreale più morbida e preziosa, arricchito da numerose, splendide microsculture di santi, vescovi, angeli musicanti. Comune alle due opere, invece, è il coronamento, affidato a una statua dalla problematica valutazione critica. Sulla teca del reliquiario di s. Domenico, circondato da fiori e figurine umane, si erge un busto del santo, variamente giudicato in tempi recenti: ipertrofico rispetto all’ostensorio, e quindi non originale e anzi quattrocentesco secondo alcuni (Pini, 2007, p. 75); per altri, invece, perfettamente corrispondente ai caratteri di drammatico realismo tipici di Roseto (Trento, 1987, p. 235).
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Bologna, Notarile, Lodovico Panzacchi, 1487, 3 ottobre; Melchiorre Panzacchi, 1490, 3 ottobre; Giovanni Battista Panzacchi, 1494, 3 ottobre.
V. Alce, Il reliquiario del capo di San Domenico, in Culta Bononia, III (1971), 1, pp. 3-45; G. Pizzi, I. R. orafo, ibid., pp. 200-219; D. Trento, Tracciato per l’oreficeria a Bologna: reliquiari e paramenti liturgici dal 1372 al 1451, in Il tramonto del Medioevo a Bologna (catal.), a cura di R. D’Amico - R. Grandi, Bologna 1987, pp. 231-253; I. R. e il suo tempo: il restauro del reliquiario di S. Petronio, a cura di F. Faranda, Forlì 1992; C. Francesconi, Oreficeria per il santo: note di iconografia, in Petronio e Bologna. Il volto di una storia... (catal.), a cura di B. Buscaroli - R. Sernicola, Bologna 2001, pp. 209-218; R. Pini, Oreficeria e potere a Bologna nei secoli XIV e XV, Bologna 2007, pp. 65-97.