VIGNERIO, Iacopo
VIGNERIO, Iacopo. – In assenza di testimonianze documentarie, ignote sono a oggi la data di nascita e gran parte delle vicende biografiche di questo pittore operante a Messina attorno alla metà del XVI secolo.
Ricordato da Placido Samperi (ms. 1654 circa, 1742, p. 614) quale «magni Polidori discipulus», Vignerio, uno degli allievi più dotati del maestro lombardo, fu tra i protagonisti del radicale processo di rinnovamento vissuto dall’ambiente artistico messinese nella prima metà del Cinquecento, avviato nel secondo decennio del secolo da Girolamo Alibrandi e Cesare da Sesto e portato a compimento, pochi lustri dopo, proprio da Polidoro da Caravaggio e da Giovannangelo Montorsoli.
Incerti rimangono i suoi esordi e controverse sono, in merito, le posizioni della critica. Perduta parte dei dipinti assegnati a Vignerio dagli scritti storiografici dei secoli XVII-XIX, il suo catalogo, piuttosto esiguo, è stato ricostruito partendo dall’unica opera dalla cronologia certa: l’Andata al Calvario della chiesa di S. Francesco all’Immacolata di Catania, firmata e datata 1541, «testo forte e spettacolare» (Pugliatti, 1993, p. 166), ma solo in parte utile a far luce sul suo linguaggio, giacché copia in controparte della celebre Andata al Calvario di Raffaello, nota come Spasimo di Sicilia, già nella chiesa di S. Maria dello Spasimo a Palermo e oggi al Prado di Madrid, quasi certamente conosciuta dal pittore solo attraverso un’incisione.
Alla sua prima attività, da collocare in anni precedenti all’arrivo a Messina di Polidoro da Caravaggio (1528), sono stati ricondotti da Luigi Hyerace (1986, p. 410) un polittico conservato nella chiesa madre di Ficarra e un altro un tempo nella chiesa di S. Nicolò a Castroreale, e oggi nella chiesa madre della medesima cittadina, opere riferite in seguito a un ignoto pittore convenzionalmente definito «Maestro del polittico di Castroreale» (Pugliatti, 1993, p. 177) e di recente ancora una volta restituite a Vignerio (Musolino, 2008 e 2016), seppur con cautela, assieme a una Madonna con Bambino tra i ss. Sebastiano e Antonio di Padova, conservata nella chiesa di S. Pantaleone di Alcara li Fusi. Databili attorno alle metà degli anni Venti, tali lavori palesano una cultura composita, che trova nella produzione di Salvo d’Antonio e in quella di Cesare da Sesto i suoi diretti ascendenti. Lo scomparto centrale del polittico di Castroreale, in particolare, presenta convincenti elementi di collegamento con il Martirio di s. Caterina, della chiesa di Taormina intitolata alla martire alessandrina, tavola connotata da una concitata gestualità e da una vivace cromia. Ricordata per la prima volta da Francesco Susinno (ms. 1724, 1960, p. 74), in essa, seppur estremamente rovinata, sono stati rintracciati, oltre a un evidente carattere polidoresco, puntuali richiami ai dipinti di Mariano Riccio e di Marco Cardisco (Hyerace, 1988-1989), nonché la conoscenza di «un certo manierismo intellettualistico tosco-emiliano-romano» (Pugliatti, 1993, p. 166), tanto da lasciare ipotizzare un possibile soggiorno del pittore a Roma o a Napoli, che giustificherebbe la breve permanenza a Messina supposta da Jacob Philipp Hackert e Gaetano Grano (1792, 2000, p. 72) e, in seguito, da Giuseppe Grosso Cacopardo (1821, p. 56), plausibilmente per il mancato rinvenimento di notizie. Per tale pala d’altare è possibile immaginare una datazione di poco successiva alla tavola catanese, al pari del Crocifisso della chiesa di S. Nicolò a Villafranca Tirrena, già assegnato a Mariano Riccio e coerentemente ricondotto a Vignerio da Hyerace (1986, p. 411). L’opera, nella quale evidente è il richiamo al Crocifisso di Polidoro nella cattedrale della Valletta, ben si assesta, infatti, nel catalogo del pittore, non mancando di presentare al contempo forti legami con la tradizione prepolidoresca e con la produzione di Salvo d’Antonio in particolare, legami altrove non rilevabili giacché Iacopo «così da presso si mise ad imitare lo stile del precettore, che coll’andar degli anni fe’ sì che più non si distinguessero dagl’occhi de’ pratici quali fossero per avventura le tele e tavole dello scolaro, quali del maestro» (Susinno, ms. 1724, 1960, p.73).
Non a caso, «comunemente onorato con il nome di Polidoro» era uno dei suoi testi pittorici più celebrati, e cioè la perduta Salita al Calvario della distrutta chiesa di S. Maria la Scala a Messina, «copiosissima di figure» (ibid.), datata 1552 e deprecabilmente venduta per poche onze prima del 1821 (Grosso Cacopardo, 1821). Di tale dipinto vi era una replica, senza ragione riferita a Giulio Romano, in una cappella della chiesa di S. Basilio al Monte di Pietà, sempre a Messina, della quale si è persa traccia dopo il suo recupero tra le macerie del terremoto del 1908 (Salinas-Columba, 1915), ma a lungo, per sbaglio, identificata con un Cristo portacroce oggi nei depositi del Museo regionale di Messina e un tempo nel locale Museo civico, come chiarito da Teresa Pugliatti (1993, p. 166).
La lezione del maestro lombardo doveva riecheggiare, altresì, nell’affresco raffigurante S. Martino che consegna il mantello al povero, eseguito sul prospetto principale della chiesa di S. Martino a Messina – evidentemente nel solco della peculiare tradizione polidoresca delle facciate graffite e dipinte – parecchio danneggiato già nella prima metà del Seicento e non più esistente alla fine del secolo successivo. L’attività di frescante resta, invece, miracolosamente attestata a Taormina, nell’abside della piccola chiesa di S. Pietro, nella quale il pittore raffigurò Cristo e gli Apostoli, sovrastati dall’Eterno e fiancheggiati dall’Arcangelo Gabriele e dall’Annunciata, attingendo a piene mani a idee e modelli di Polidoro, come conferma, ad esempio, il confronto con un disegno conservato al Gabinetto dei disegni e delle stampe degli Uffizi (inv. 13370F), identificato come probabile studio per la decorazione dell’abside maggiore della cattedrale di Messina, di fatto mai realizzata (Hyerace 1988-1989). Da esso, in particolare, pare ripresa l’idea, sviluppata da Vignerio, di inquadrare coppie di apostoli entro un’intelaiatura architettonica impostata su un alto basamento arricchito da formelle o medaglioni. Benché in parte compromessi dal mediocre stato di conservazione e da svisanti ridipinture seicentesche, gli affreschi lasciano trasparire caratteri che inducono a immaginare una datazione non distante da quella del citato Martirio di s. Caterina. Allo stesso periodo apparteneva, verosimilmente, la grande pala con l’Adorazione dei Magi un tempo nella chiesa madre della stessa Taormina, andata distrutta o venduta dopo il 1821, e che Grosso Cacopardo (1821, pp. 56 s.) ebbe modo di ammirare abbandonata in un magazzino. Nelle tre opere, del resto, Susinno (ms. 1724, 1960, p. 74) osservava il medesimo gusto, che «non ha niente di delicatezza ma si è forte e risentito», suggerendo così, implicitamente, un’esecuzione delle stesse in momenti prossimi e quindi un soggiorno non troppo breve del pittore nell’antico centro del messinese per la loro esecuzione.
Caratteri affini alle pitture taorminesi sono stati riscontrati in una Natività della chiesa di S. Biagio ad Altolia, villaggio alle porte di Messina (Sola, 1999), lasciando tuttavia cautamente sospesa una possibile attribuzione al pittore per questo dipinto, di fatto già accostato prudentemente ai modi di Mariano Riccio (Pugliatti, 1993, p. 171) e ancor prima attribuito ad Alfonso Franco (S. Bottari, La cultura figurativa in Sicilia, Messina-Firenze 1954, p. 251). Controversa permane altresì l’assegnazione a Vignerio della tavola con S. Paolo oggi al Museo regionale di Messina, scomparto superstite di un perduto polittico e copia dell’opera di analogo soggetto di Girolamo Alibrandi presente nel medesimo museo. Assegnata al pittore da Francesca Campagna Cicala (1990), essa è stata infatti ricondotta in seguito dalla stessa studiosa a un ignoto messinese (Campagna Cicala, 1996), venendo però al contempo accolta con convinzione nel catalogo dell’artista da Pugliatti (1993, p. 166) e da Caterina Di Giacomo (1993), e recentemente riferita a Franco (A. Migliorato, Migrations of artists and cultural influences in the Renaissance Sicily, in Unlimit. Rethinking, the boundaries between philosophy, aesthetics and arts, a cura di G. Bird - D. Calabrò - D. Giuliano, Milano-Udine 2017, p. 214).
Non del tutto conforme ai modi riconosciuti a Vignerio sembra, invece, la Madonna del Rosario della chiesa di S. Marina a Cumia Inferiore (Messina), attribuita da Pugliatti (1993, p. 167), diversamente dalla parte inferiore della tavola di Tutti i Santi oggi nella chiesa di S. Maria degli Angeli a Castroreale, per la quale Antonino Bilardo (1995, p. 24) ha supposto un intervento del maestro messinese, restituendo il resto del dipinto a Francesco Roviale detto il Polidorino.
Sconosciuti restano il luogo e la data di morte di Vignerio.
Fonti e Bibl.: P. Samperi, Messana [...] illustrata (ms. 1654), I, Messina 1742, p. 614; F. Susinno, Le vite de’ pittori messinesi (ms. 1724), a cura di V. Martinelli, Firenze 1960, pp. 73 s.; A. Mongitore, Memorie dei pittori, scultori, architetti, artefici in cera siciliani (ms. 1742 circa), a cura di E. Natoli, Palermo 1977, p. 95; C.D. Gallo, Annali della Città di Messina, II (1758), a cura di A. Vayola, Messina 1879, pp. 566 s.; J.F. Hackert - G. Grano, Memorie dei pittori messinesi (1792), a cura di G. Molonia, Messina 2000, pp. 71 s.; G. Grosso Cacopardo, Memorie de’ pittori messinesi e degli esteri che in Messina fiorirono dal secolo XII al secolo XIX, Messina 1821, pp. 55-57; G. Di Marzo, Delle belle arti in Sicilia dal sorgere del sec. XV alla fine del XVI, III, Palermo 1862, pp. 304 s.; G. La Corte Cailler, Alcune opere d’arte osservate a Taormina, in Atti della R. Accademia Peloritana, XVI (1902-1903), pp. 85-104; A. Salinas - G.M. Columba, Terremoto di Messina (28 dicembre 1908). Opere d’arte recuperate dalle RR. Soprintendenze dei Monumenti, dei Musei e delle Gallerie di Palermo, Palermo 1915, p. 55; L. Hyerace, Su Mariano Riccio e intorno alla pittura messinese della prima metà del Cinquecento, in Nuovi annali della facoltà di magistero dell’Università di Messina, IV (1986), pp. 410 s.; C. Vargas, V., Jacopo, in La pittura in Italia. Il Cinquecento, II, Milano 1988, pp. 863 s.; L. Hyerace, Jacopo V.: un affresco da salvare, in Prospettiva, 1988-1989, n. 53-56, Scritti in ricordo di Giovanni Previtali, I, pp. 377-382; F. Campagna Cicala, Scheda, in Antologia di restauri, a cura di F. Campagna Cicala, Messina 1990, pp. 28-30; C. Di Giacomo, V. Jacopo, in L. Sarullo, Dizionario degli artisti siciliani, II, Pittura, a cura di M.A. Spadaro, Palermo 1993, p. 565; T. Pugliatti, Pittura del Cinquecento in Sicilia. La Sicilia orientale, Napoli 1993, pp. 160-167, 177; A. Bilardo, Una traccia messinese di Polidorino (?), in Quaderni del Museo civico di Castroreale, I, 1995, pp. 15-25; F. Campagna Cicala, Aspetti della pittura a Messina nel Cinquecento. Interventi di restauro e acquisizioni culturali (catal.), Messina 1996, p. 20; Vincenzo degli Azani da Pavia e la cultura figurativa in Sicilia nell’età di Carlo V (catal., Palermo), a cura di T. Viscuso, Siracusa 1999 (in partic. T. Pugliatti, Lo “Spasimo” di Raffaello, la sua influenza ed alcuni umori di marca iberica nella pittura palermitana del Cinquecento, p. 54; F. Campagna Cicala, La cultura pittorica nella Sicilia orientale, pp. 138-140; V. Sola, Scheda n. 19, pp. 282 s.); G. Musolino, Scheda n. 20, in Agata santa. Storia, arte, devozione (catal., Catania), a cura di G. Algranti, Firenze 2008, pp. 283 s.; Ead., L’applicazione dei modelli di Cesare da Sesto nei dipinti di Castroreale, Alcara li Fusi e Ficarra, in Palazzo Ciampoli tra arte e storia. Testimonianze della cultura figurativa messinese dal XV al XVI secolo (catal., Taormina), a cura di G. Musolino, Soveria Mannelli 2016, pp. 475-481.