STRAVINSKIJ, Igor
Compositore di musica, nato a Oranienbaum presso Pietroburgo il 5 (18) giugno 1882, dove la famiglia era solita villeggiare durante l'estate. Il padre Fjodor, di origine polacca, era un apprezzato cantante (baritono-basso) dell'Opera imperiale e distinto musicista. A sette anni il fanciullo iniziò la sua educazione musicale, studiando il pianoforte sotto la guida di A. Kacjperova, allieva di A. Rubinstein. Frequentò il ginnasio, pure studiando armonia e composizione e assistendo regolarmente ai concerti e alle rappresentazioni d'opera. Iscritto alla facoltà di legge dell'università, si legò di amicizia con Vladimiro Rimskij-Korsakov, figlio del compositore, e nel 1902 s'incontrava a Heidelberg con quest'ultimo e gli faceva conoscere le sue prime composizioni. N. Rimskij-Korsakov lo incoraggiò a continuare lo studio della composizione con un suo allievo e nel 1906 gli dava egli stesso lezioni di strumentazione, confortandolo inoltre col suo consiglio e con la sua autorità.
Alla sua morte (1908) lo S. aveva già scritto la suite di canzoni da Puškin per mezzo soprano e orchestra, Le Faune et la Bergère op. 2, la Sinfonia in mi bemolle (1907), le due liriche di Gorodeckij, La novice e La Roiée sainte op. 6, lo Scherzo Fantastico op. 3 (ispirato dalla Vie des Abeilles di M. Maeterlinck) e Feu d'artifice op. 4 per orchestra (in occasione delle nozze della figlia di Rimskij-Korsakov col compositore M. Steinberg), Pastorale, vocalizzo per canto e pianoforte, Quattro studi per pianoforte, e Chant funèbre op. 5 per orchestra, che fu eseguito per la morte di Rimskij-Korsakov e di cui il manoscritto è andato perduto. In tutte queste opere giovanili sono evidenti, in diversa misura, le influenze oltre che del maestro, di Wagner, di Debussy, di Dukas e dei compositori russi da Musorgskij a Borodin.
Decisivo per l'avvenire dello S. è l'incontro con Sergej Diagilev, audace animatore in quel tempo della vita artistica della capitale russa, che stava preparando le brillanti tournées dei suoi "Balletti" nell'Europa occidentale. Diagilev comprese il valore del musicista e dopo avergli fatto orchestrare due pagine chopiniane per il balletto Les Sylphides, all'improvviso, com'egli era solito fare, lo incaricò della composizione del balletto L'Oiseau de feu che fu presentato con grande successo a Parigi il 25 giugno 1910.
Per adempiere a questo incarico, lo S. aveva interrotto dopo il primo atto la composizione dell'opera Le Rossignol su libretto dell'amico S. S. Mitusov (da Andersen); il lavoro doveva essere ripreso e terminato soltanto nei primi mesi del 1914 e rappresentato all'Opéra di Parigi il 26 maggio dello stesso anno. Naturalmente la differenza dello stile era più che evidente, fra il primo atto (1908-09), lasciato tal quale, e gli altri due: per ovviare a questa incoerenza, nel 1917 lo S. trasformò il secondo e il terzo atto in un poema sinfonico ch'ebbe per titolo Le Chant du rossignol e fu anche eseguito come balletto (1920).
Il successo dell'Oiseau de feu richiamò l'attenzione ammirata di tutto il mondo musicale sul giovine compositore russo: la sua notorietà doveva essere confermata e accresciuta dopo la rappresentazione del balletto Petruska (Parigi, 13 giugno 1911), concepito e cominciato in ottobre a Losanna come pezzo di concerto per pianoforte e orchestra (il secondo quadro, nella cameretta di Petruska) e terminato la primavera seguente a Roma. Seguì Le Sacre du Printemps, quadri della Russia pagana in due parti, ideati dal pittore N. Roerich, rappresentato al Nouveau Théâtre des Champs-Élysées di Parigi il 28 maggio 1913, sotto la direzione di Pierre Monteux; quella serata è ancora ricordata per l'inaudita violenza degli oppositori che sconcertò i danzatori (diretti da V. Nižinskij) e per gli altissimi clamori che coprivano i suoni dell'orchestra.
D'ora innanzi la vita dello S. coincide con lo sviluppo della sua attività creatrice. Abbandonata definitivamente la Russia, egli vive per molti anni in Svizzera (a Clarens, a Morges, a Salvan) e in Francia (a Biarritz, a Parigi, a Voreppe) componendo attivamente e dirigendo esecuzioni di sue pagine.
Con la collaborazione dello scrittore svizzero C. F. Ramuz scrive Renard (1916-17), storia burlesca per la scena, tratta da racconti popolari russi, in cui si narra del gallo insidiato dalla volpe e salvato dal gatto e dal montone, e la Histoire du Soldat (1918) per sette strumenti; il Ramuz stesso è autore del testo francese di Les Noces (1914-17), scene coreografiche russe per soli, coro, quattro pianoforti e strumenti a percussione. Seguono il balletto con canto Pulcinella, su musiche di Pergolesi, rappresentato a Parigi nel 1920. L'opera buffa Mavra, da Puškin, rappresentata nel 1922, l'opera-oratorio Oedipus Rex, su testo latino tratto da Sofocle, eseguita a Parigi sotto la direzione dell'autore il 30 maggio 1927, il balletto Apollon Musagète (Parigi, 12 giugno 1928), il balletto allegorico Le Baiser de la Fee scritto per Ida Rubinstein (Parigi, 27 novembre 1928) e il melodramma Perséphone, testo di A. Gide, rappresentato a Parigi il 30 aprile 1934. Sono queste le composizioni destinate al teatro: tra quelle sinfoniche di musica da camera si ricordano le più importanti come le 3 Pièces (1914), il Concertino (1920) e il Quartetto per archi (1914), il Ragtime per undici strumenti (1918), le Symphonies per strumenti a fiato "in memoria di Debussy" (1920), l'Ottetto per strumenti a fiato (1923), il Concerto (1923-24), e il Capriccio (1929) per pianoforte e orchestra, la Sonata (1922) e la Serenata (1925) per pianoforte, la Symphonie de Psaumes per coro e orchestra (1930), il Concerto per violino e orchestra (1930-31), e il Duo Concertante per violino e pianoforte (1932), e il Concerto per due pianoforti.
Nelle Chroniques de ma vie lo S. scrive di avere sempre preferito, anche per la scarsa fiducia nella sua memoria, di risolvere i problemi che gli si presentavano nella creazione facendo assegnamento soltanto sulle proprie forze, senza ricorrere mai a procedimenti già usati e provati, anche da lui stesso. L'esame delle sue opere ci conferma che egli ha applicato questo sistema rigorosamente, sempre cercando nuovi modi e mai ripetendo quelli concretati nelle pagine precedenti (anche se poi in questo variare e apparente disviare vi sia una ferrea logica conseguenziale e ogni pagina contenga in nuce i motivi fondamentali, le linee secondo cui si svolgerà la seguente). Una sommaria classificazione di tutta l'opera stravinskiana può essere quella che la divide in due periodi: quello della musica ancora aderente a un programma, a un soggetto, a un testo, e quella della musica oggettiva, classicheggiante, costruita secondo schemi astratti. Il primo va all'incirca dall'Oiseau de feu al Sacre du Printemps, il secondo s'inizia con i tre pezzi per clarinetto solo e va fino al Concerto per due pianoforti. Fra i due si collocano opere di diverso valore, che appartengono per certi tratti alla prima, per altri alla seconda maniera. In questo tempo di transizione è caratteristica l'influenza della pittura cubista, di cui si ritrovano trasposte le note concezioni e deformazioni (l'estetica di P. Picasso è applicata, p. es., con eccezionale acutezza in Renard), nonché quella, meno appariscente ma pure innegabile, delle teorie di A. Schönberg sulla forma musicale. Come pure nel Sacre è già evidente talora la tendenza oggettiva, poiché la musica non illustra (anzi il soggetto è venuto ad aggiungersi posteriormente): l'opera è nata solo dal bisogno di manifestare un certo dinamismo musicale. Contemporaneamente a questo processo di liberazione dallo psicologismo (di liberazione dal "sentimento", affermano lo S. e i suoi esegeti), si afferma una volontà di concentrazione e di semplificazione, ch'è poi lo stadio ultimo di classicità cui tendono e pervengono tutti i grandi artisti: così dopo l'orgia coloristica del Sacre si giunge alla povertà timbrica dell'orchestra d'archi, attraverso alle più varie combinazioni di strumenti, di cui il compositore cerca di sfruttare al massimo le peculiarità solistiche. È naturale che in questa ricerca di modi sempre diversi il compositore non riesca a sfuggire i pericoli dell'eclettismo e dell'imitazione: peccato ch'egli stesso confessa apertamente dichiarando a volta a volta la sua improvvisa ammirazione per Bach o per Händel, per Glinka o per Čajkovskij. Così la melodia della Symphonie de Psaumes e della Sonata per pianoforte riecheggia i caratteristici disegni di Bach, mentre quella del Baiser de la Fée ci richiama a Čajkovskij (e magari anche a Délibes) e quella di Mavra a Glinka e all'opera italiana.
È inutile aggiungere che ogni pagina reca il segno di un'arte perfetta e di un gusto nella cura del particolare melodico o armonico che non soffre quasi mai eccezione. Ma è altrettanto certo che molta parte dell'irresistibile fascino che emanava dalle opere del periodo russo non si ritrova più nell'Oedipus Rex (che fra le composizioni dell'ultima maniera è quella che ha maggiore coerenza artistica) o in Perséphone, che pure ha momenti di serena e altissima bellezza.
Bibl.: A. Casella, I. S., Roma 1926; A. Schaeffner, S., Parigi 1931; B. de Schloezer, I. S., ivi 1929; E. W. White, S.'s Sacrifice to Apollo, Londra 1930; P. Collaer, S., Bruxelles 1930; H. Fleischer, I. S., Berlino 1931; G. Pannain, I. S., in Musicisti dei tempi nostri, Torino 1932; D. de' Paoli, I. S., ivi 1934; vedi inoltre: I. Strawinskij, Chroniques de ma vie, Parigi 1935-36; C. F. Ramuz, Souvenirs sur I. S., ivi 1929, e il numero di dicembre 1933 de La Revue Musicale dedicato a S.