Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nel XVI secolo il ballo si afferma nelle corti rinascimentali come una delle attività di maggior impatto celebrativo e spettacolare nel contesto della festa cortigiana. Dal ballo come intrattenimento, sempre più codificato nei tempi e nei passi e virtuoso nell’esecuzione, nasce il balletto come forma d’arte rappresentativa che unisce danza, musica e poesia alle prime meraviglie della scena prospettica.
Intorno alla metà del Quattrocento, dall’affinarsi e regolamentarsi delle danze popolari in ambito cortese, si codifica il ballo di corte. I primi maestri e trattatisti sono italiani e la loro opera al servizio delle grandi signorie centro-settentrionali del Paese fonda e diffonde uno stile inconfondibile che esce presto dai confini d’Italia. Domenico da Piacenza (De arte saltandi et choreas ducendi), Guglielmo Ebreo (De praticha seu arte tripudii) e Antonio Cornazano (Libro dell’arte del danzare) sono i maggiori promotori della danza come strumento educativo e mondano per i cortigiani. Nei loro trattati si fissano le norme, i modi e i tempi del ballare lombardo, che nelle grandiose feste di corte si trasforma da gioco dilettantesco in scuola di comportamento, ricerca di stile, e infine arte.
Due sono le forme di danza principali: la bassadanza, di misura costante, contegnosa e aderente al terreno, e il ballo (o ballitto), composito e variabile nel tempo e nelle figure, con accenni tematici e pantomimici.
In Italia, come altrove, si assiste contemporaneamente all’evoluzione cortigiana della moresca, una danza pantomimica medievale di origine spagnola (morisca) che rappresenta simbolicamente la lotta fra cristiani e saraceni. Il suo svolgimento movimentato e fortemente mimetico ben si presta a sviluppi di carattere spettacolare e infatti la moresca diventa un immancabile elemento delle feste cortesi europee.
La danza è la nuova, grande passione della nobiltà e trova un impiego ideale sia come momento ludico collettivo, che nelle “intromesse” allegoriche dei banchetti e negli intermezzi rappresentativi delle prime commedie umanistiche. Alle corti degli Sforza, degli Este, dei Gonzaga si inizia così a sperimentare quel rapporto tra danza, musica e rappresentazione drammatica che un secolo più tardi trova il suo apice nel ballet de cour francese.
Intorno al 1520, Baldassare Castiglione, nel suo Libro del cortegiano, consacra la danza come una virtù di cui il perfetto uomo di corte non può ormai essere privo. Egli deve esercitarla “con una certa dignità, temperata però con leggiadra ed aerosa dolcezza di movimenti”, evitando “quelle prestezze de’ piedi e duplicati ribattimenti” che, preziose in un maestro di ballo, non si addicono però a un gentiluomo. Nella corte di Urbino del 1507, alla quale Castiglione fa riferimento, si danza frequentemente, in pubblico e in privato, e i nobiluomini partecipano in incognito ai balli del popolo, dove la danza è spesso sfrenata e sempre “alta”, ossia saltata, e veloce.
Alla bassadanza, finora ballo aulico di rappresentanza, si è sostituita ormai a corte la pavana (in 4/4), ancora più semplice e camminata, che permette di pavoneggiarsi in tutta la pompa degli abbigliamenti ingombranti e sontuosi. Ma al suo fianco si è sviluppata la gagliarda (in 3/4 o 6/8), danza di corteggiamento tipica del Cinquecento italiano, vivace ed elevata, in cui i salti maschili di origine popolare si impreziosiscono nella codificazione cortese. Dall’alternanza di pavana e gagliarda nasce il nucleo della suite di danza all’italiana, che si diffonde in Europa e si arricchisce via via di tempi e modi di origine straniera: francesi, inglesi, tedeschi e spagnoli.
La spettacolarizzazione della danza e la nascita del balletto derivano dalla confluenza delle suites danzate con gli elementi pantomimici della moresca e dall’alternarsi in composizioni premeditate di momenti di danza “astratta” ad altri di danza figurata.
Nel corso del Cinquecento, le danze nobili d’intrattenimento si fanno via via più stilizzate e astratte, mentre quelle pantomimiche si complicano e si ampliano nella dinamica e nella mimica, fino a rendersi sostanzialmente impraticabili a livello amatoriale e a richiedere una specializzazione professionale.
In Italia, a Milano, nasce verso la metà del secolo la prima, famosa scuola per maestri di ballo e ballerini: è quella di Pompeo Diobono, dove si forma un’intera generazione di danzatori e “inventori” di balli, che diffondono nel mondo lo stile italiano.
I sontuosi banchetti di corte dell’ultimo Quattrocento italiano sono la palestra delle prime composizioni coreografiche a carattere dichiaratamente spettacolare. Le portate vengono inframmezzate e spesso presentate da intromesse musicali e coreografiche su temi mitologici in accordo con i cibi o con la festività celebrata. Si attribuisce al nobile tortonese Bergonzio Botta la paternità della prima unificazione “drammaturgica” di tutti i momenti spettacolari di un banchetto (nozze Sforza-Aragona del 1489) in una sequenza organica (sul tema dell’amore coniugale), pur se la danza non vi è esplicitamente documentata.
Nel Cinquecento la consuetudine degli intermezzi con musica, canto e danza è ormai invalsa nell’uso di corte come divagazione tra gli atti di commedie e tragedie. Gli intermezzi, talvolta tematicamente connessi tra loro, finiscono per costituire uno spettacolo a sé, spesso più gradevole e ben accetto di quello principale. La danza vi è sempre ampiamente presente, soprattutto nelle sue forme di moresca e di brando e le coreografie intrecciano sul terreno complesse forme geometriche nel segno della simmetria figurativa e spaziale rinascimentale.
Gli strumenti di accompagnamento sono prevalentemente liuti, “piffari” e piccole percussioni.
Il gusto italiano, tuttavia, finisce con il tempo per sviluppare negli intermezzi principalmente il canto e le meraviglie scenografiche, che divengono parte integrante del melodramma. Il balletto, come opera autonoma e in sé compiuta, conquista la sua piena indipendenza in Francia, alla corte della regina italiana Caterina de’ Medici, che importa musicisti e maestri di ballo di scuola milanese.
Baltazarini, allievo di Diobono giunto a Parigi come violinista, diviene allestitore di balli. Dopo un Ballet de polonais (1573), organizza nel 1581 il Ballet comique de la royne, prototipo di una tradizione di ballet de cour che arriva oltre la metà del Seicento. Questo balletto svolge in modo particolarmente unitario il tema di Ulisse prigioniero di Circe, e presenta un’organizzazione spaziale, una scenografica multipla e una struttura coreografica che esercitano una forte influenza nei secoli successivi. A un prologo cantato che espone l’argomento seguono entrées di diverso tipo (balletti, carri allegorici, pantomime, canti corali) e l’azione si conclude con un gran ballo finale che accomuna attori e spettatori. La musica e gli strumenti impiegati variano a seconda del tipo di azione e le coreografie, osservate dall’alto di gradoni, tracciano virtuosi disegni sul terreno.
Questo esempio di enorme successo viene imitato e sviluppato nel Seicento durante il regno di Luigi XIII con il gradimento del cardinale Richelieu, e diviene poi spettacolo pubblico ai tempi di Luigi XIV, per merito soprattutto di Molière, Jean-Baptiste Lully e Pierre Beauchamps.
Due trattati di fine secolo, Il ballarino (1581; ampliato nel 1600 con il titolo Nobiltà di dame) di Fabrizio Caroso da Sermoneta e Le gratie d’amore (1602) di Cesare Negri, consacrano la tecnica italiana del ballo nobile oramai divenuta europea. Il primo, composto in forma di dialogo tra allievo e maestro, accanto alla descrizione dei passi e delle composizioni di ballo corredate da immagini, offre complete partiture musicali per liuto e norme di comportamento. Il secondo riporta anche una serie di preziose notizie su balli mascherati, feste, ballerini professionisti contemporanei e committenti nobili, che costituiscono il più ricco documento sulla danza dell’epoca. Da entrambi si ricavano nomi e modalità delle danze più in voga, di origine italiana e non: gagliarda, pavaniglia, brando, canario, contrapasso, passo e mezzo, spagnoletta, tordiglione, barriera, corrente, nizzarda.
Nello stesso periodo (1588) appare l’Orchésographie di Thoinot Arbeau (pseudonimo del canonico Jehan Tabourot), primo vero trattato francese, anch’esso in forma di dialogo, in cui è riassunta la tradizione cortese d’oltralpe già influenzata dagli apporti italiani. Il trattato illustra danze autoctone come branle e gavotte insieme ad altre di provenienza straniera e introduce una scrittura dei passi abbinata a quella musicale, aprendo la via alla seicentesca codificazione accademica della danza.