Dal 1987 al 2000 si apre la fase politicamente e diplomaticamente più dinamica dei rapporti arabo-israeliani. Dopo l’inizio della prima intifada (dicembre 1987) si pone chiaramente il problema di una soluzione politica che non escluda l’Olp. Le condizioni maturano dopo la Guerra del Golfo (1991), con il processo di pace che inizia a Madrid l’ottobre dello stesso anno, da cui è peraltro escluso l’Olp. I tavoli di trattativa apertisi a Madrid portano nel 1994 al trattato di pace tra Israele e Giordania.
Trattative segrete parallele condotte tra Israele e l’Olp portano prima alla Dichiarazione di principi (1993), con cui Israele e Olp si riconoscono mutuamente, poi, attraverso varie fasi, alla divisione dei territori occupati in tre zone: le città palestinesi, sotto totale controllo di una nuova Autorità nazionale palestinese (Anp) (zona A), una seconda zona di controllo amministrativo palestinese, la cui sicurezza è ufficialmente sotto controllo israeliano (zona B), una terza zona (zona C, che comprende ovviamente gli insediamenti) sotto controllo totale israeliano. L’assassinio di Yitzhak Rabin da parte di un estremista israeliano e una campagna di attentati suicidi da parte di Hamas portano alla vittoria nel 1996 Benjamin Netanyahu, con cui il processo sostanzialmente si blocca.
I problemi sul tappeto sono i confini, e quindi la sorte degli insediamenti israeliani nei territori occupati, le risorse idriche, Gerusalemme e il problema dei rifugiati. Mentre sugli altri problemi le posizioni sembravano avvicinarsi, proprio sulla questione dei profughi le posizioni sono sempre rimaste molto lontane. Il governo di centro-sinistra presieduto da Ehud Barak non riesce a sbloccare le trattative né sul tavolo siriano, né su quello palestinese, e dopo una nuova tornata di negoziati senza esito esplode la cosiddetta seconda intifada o al-Aqsa Intifada. A seguito di più ondate di terrorismo suicida, ad opera soprattutto di Hamas, la decisione di Ariel Sharon di riprendere il controllo totale di tutti i territori palestinesi prima (2003), poi di abbandonare Gaza senza coinvolgere l’Anp (2005), porta a un nuovo stallo diplomatico. Per uscire dall’impasse è stata definita una Road Map, cioè un percorso politico e diplomatico, la cui mediazione è stata affidata a un quartetto che comprende Usa, Russia, Unione Europea e Nazioni Unite, ma spesso la fatica della mediazione e della pressione è stata lasciata alla presidenza e al Dipartimento di stato americani. Infine, la divisione palestinese tra Hamas, più forte a Gaza, e l’Anp, più forte invece in Cisgiordania, è stata sancita e irrigidita da una breve e sanguinosa guerra civile. Infatti dopo le elezioni palestinesi del 2006, vinte da Hamas, si è avuta nel 2007 una sanguinosa resa dei conti tra le fazioni, che si sono impadronite ciascuna della sua roccaforte.
Nell’estate del 2006 le forze armate israeliane invadono il Libano meridionale per cercare di sradicare la forza politico-militare di Hezbollah. Le milizie sciite libanesi, pur subendo pesanti perdite, resistono senza crollare. Il risultato è una moderazione militare di Hezbollah, ottenuta al prezzo di un suo rafforzato prestigio politico in Libano. Sul campo, nel Libano meridionale alle milizie sciite si sostituisce un contingente delle Nazioni Unite. Infine, tra il 2007 e il 2008 si svolge l’operazione contro Gaza, anche questa di difficile valutazione. Le pesanti perdite inflitte alle forze paramilitari di Hamas e la cessazione degli attacchi missilistici non sembrano infatti portare a risultati politici definitivi, mentre i rapporti internazionali gettano più di un dubbio sulla condotta dell’esercito israeliano nell’operazione.