Il decreto ILVA
Quando si parla di “decreto ILVA”, ci si riferisce in realtà a ben tre interventi normativi d’urgenza susseguitisi fra il 2012 e il 2013 i quali hanno dato luogo a tre pronunce della Corte costituzionale e a una notevole sequela di prese di posizione in ambito pubblicistico, politico, giudiziario e – non da ultimo – giornalistico.
Con il presente contributo ci si soffermerà sul contenuto e sulle ricadute sistematiche del secondo di tali decreti (d.l. 3.12.2012, n. 207 il quale ha riconosciuto al decreto ministeriale di riesame dell’A.I.A. l’effetto di autorizzare la prosecuzione dell’attività di impresa anche a prescindere dalla pregressa adozione da parte della Magistratura penale di provvedimenti di sequestro) e sulle pronunce del giudice delle leggi intervenute nel 2013 e, in particolare, sugli importanti principi espressi con la sentenza n. 85/2013.
Nell’ultimo anno e mezzo circa, gli interventi normativi, amministrativi e giurisprudenziali relativi all’attività degli stabilimenti italiani del colosso carbosiderurgico “ILVA” (con particolare riguardo allo stabilimento di Taranto) si sono susseguiti con un ritmo talmente incessante da rendere difficoltoso anche per gli osservatori più attenti disporre di un quadro conoscitivo completo, esaustivo ed aggiornato.
Solo per giustificare in qualche misura lo stesso titolo del presente contributo (e per prevenire in qualche misura ogni possibile critica sull’eccessiva semplificazione che esso reca con sé), basti pensare che fra l’agosto del 2012 e il giugno del 2013 il Governo ha emanato ben tre “decreti ILVA”, ciascuno dei quali si distingue per una serie cospicua di implicazioni di ordine costituzionale, politico, giudiziario e (certamente non da ultimo) giornalistico/mediatico.
In estrema sintesi:
- il d.l. 7.8.2012, n. 129, convertito con modificazioni dalla l. 4.10.2012, n. 171 (Disposizioni urgenti per il risanamento ambientale e la riqualificazione del territorio della città di Taranto) è stato emanato all’indomani del sequestro conservativo (26.6.2012) di sei impianti dell’“area a caldo” dello stabilimento dell’ILVA di Taranto da parte del GIP presso il Tribunale di quella città per inquinamento e disastro ambientale. Con il decreto in parola (che seguiva di alcuni giorni la stipula di un Protocollo di intesa per gli interventi urgenti di bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione dell’area) era stata, altresì, disposta la nomina di un Commissario straordinario legittimato ad esercitare gli speciali poteri, anche sostitutivi, di cui all’art. 13 del d.l. 25.3.1997, n. 67;
- il d.l. 3.12.2012, n. 207 convertito con modificazioni dalla l. 24.12.2012, n. 231 (Disposizioni urgenti a tutela della salute, dell’ambiente e dei livelli di occupazione, in caso di crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale)1 ha introdotto disposizioni di particolare interesse in relazione ai rapporti fra le prescrizioni contenute nell’autorizzazione integrata ambientale (d’ora innanzi: “A.I.A.”) e la possibilità di proseguire l’attività produttiva per un apprezzabile lasso di tempo (fino a 36 mesi) nel caso in cui tale autorizzazione riguardi l’attività di “stabilimenti di interesse strategico nazionale”. Il decreto in parola (ma sul punto v. infra, § 2) ha altresì previsto che la reimmissione nel possesso dei beni d’impresa e l’autorizzazione in via amministrativa alla prosecuzione dell’attività trovino applicazione «anche quando l’autorità giudiziaria abbia adottato provvedimenti di sequestro sui beni dell’impresa titolare dello stabilimento». Il decreto risulta di particolare interesse in quanto pone delicate questioni in ordine: i) alla controversa compatibilità con il principio di riserva della funzione giurisdizionale (art. 102, co. 1, Cost.); ii) alla controversa legittimità (in primis: costituzionale) della scelta di politica normativa nel caso di specie esercitata, la quale sembra riconoscere una sorta di immanente prevalenza alle esigenze della produzione rispetto alla concomitante necessità di salvaguardare ulteriori e diversi valori di rango costituzionale (in primis: tutela della salute e dell’ambiente). Il d.l. n. 207/2012 ha dato luogo a un importante contenzioso costituzionale il quale si è tradotto: a) in due ordinanze del 13.2.2013 con cui la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili i ricorsi per conflitto di attribuzione sollevati dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Taranto2; b) in una sentenza (la n. 85 del 9.4 – 9.5.2013) con cui la medesima Corte ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1 del richiamato d.l. (questione che era stata sollevata in relazione alla ritenuta violazione degli articoli 2, 3, 9, co. 2, 24, co. 1, 32, 41, 101, 102, 103, 104, 107, 111, 112 e 113, Cost.)3;
- il d.l. 4.6.2013, n. 61 (Nuove disposizioni urgenti a tutela dell’ambiente, della salute e del lavoro nell’esercizio di imprese di interesse strategico nazionale), sul presupposto della permanente inottemperanza degli Organi gestionali dell’ILVA rispetto alle prescrizioni contenute nel provvedimento di riesame dell’A.I.A.4, ha disposto il commissariamento straordinario dell’ILVA, con attribuzione al Commissario di tutti i poteri e le funzioni degli organi di amministrazione dell’impresa e contestuale sospensione dell’esercizio dei poteri di disposizione e gestione da parte dei titolari. Il decreto in questione ha altresì stabilito (art. 1, co. 2) che, a seguito del commissariamento, la prosecuzione dell’attività produttiva è comunque funzionale alla conservazione della continuità aziendale ed alla destinazione prioritaria delle risorse aziendali alla copertura dei costi necessari per gli interventi conseguenti alle gravi violazioni degli obblighi derivanti dall’A.I.A.
Nei paragrafi che seguono, ci si soffermerà, in particolare, sul “secondo decreto ILVA” e sulle pronunce della Corte costituzionale cui esso ha dato luogo, soffermandosi – comunque – in relazione a singole questioni sul contenuto degli altri due decreti dinanzi sinteticamente descritti.
Nel corso di tale esame, ci si porranno – in sequenza – i seguenti ordini di questioni: i) se il meccanismo delineato dal d.l. n. 207/2012, nell’attribuire un rilievo sostanzialmente assorbente al contenuto dell’A.I.A. anche nei confronti degli effetti dei provvedimenti di sequestro preventivo adottati dell’A.G., risulti compatibile con le prerogative dell’Ordine giudiziario e, più in generale, con il principio di riserva nell’esercizio della funzione giurisdizionale di cui all’art. 102, co. 1, Cost.5; ii) se il bilanciamento fra principi fondamentali di rango costituzionale nel caso di specie operato (i.e.: fra tutela della salute e dell’ambiente da un lato e fra tutela dei livelli occupazionali e delle prerogative della produzione dall’altro) sia pervenuto a conclusioni condivisibili anche alla luce della giurisprudenza (in primis: della S.C.) formatasi negli ultimi trent’anni circa in relazione alla controversa primazia da riconoscere al diritto alla salute rispetto ad ulteriori princìpi di rango costituzionale.
Qui di seguito si individueranno sinteticamente i contenuti di maggiore interesse sistematico del “secondo decreto ILVA”, per poi esaminare nei successivi sottoparagrafi le due questioni dinanzi anticipate (§1).
In primo luogo, il decreto in questione si distingue in quanto (all’evidente fine di salvaguardare i canoni di generalità ed astrattezza tipicamente propri di ogni intervento normativo) detta ai suoi primi tre articoli (1, 1 bis e 2) una disciplina di carattere generale in ordine all’efficacia dell’A.I.A. in caso di crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale, salvo poi declinare puntualmente (al successivo art. 3) le disposizioni in questione in relazione alle peculiarità del “caso ILVA”, trattando dell’efficacia dell’autorizzazione integrata ambientale rilasciata il 26.10.2012 in favore dell’impresa in questione, nonché dei conseguenti controlli e garanzie6.
Il decreto in questione (che non reca una diretta definizione di “stabilimento di interesse strategico nazionale”, ma ne demanda l’individuazione concreta a decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, anche in relazione alle caratteristiche dimensionali dell’impianto) prevede che, laddove si verifichi l’assoluta necessità di salvaguardare l’occupazione e la produzione, il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare (d’ora innanzi: “M.A.T.T.M.”) possa autorizzare, in sede di riesame dell’A.I.A., la prosecuzione dell’attività produttiva per un periodo determinato e comunque non superiore a 36 mesi.
Tale possibilità viene espressamente condizionata al fatto che siano puntualmente adempiute le prescrizioni contenute nel provvedimento di riesame, «al fine di assicurare la più adeguata tutela del’ambiente e della salute, secondo le migliori tecniche disponibili».
Già sotto tale aspetto, quindi (e anticipando una notazione su cui si tornerà nel prosieguo), si osserva che il decreto in parola attribuisce al provvedimento amministrativo di rilascio - e di successivo riesame - dell’A.I.A. il cruciale compito di individuare un adeguato punto di equilibrio fra i rilevanti e concomitanti valori in campo (tutela della salute e dell’ambiente da un lato; tutela del lavoro e della produzione dall’altro). Al contempo, il decreto attribuisce all’atto che individua tale punto di equilibrio la fondamentale funzione di fissare i presupposti e le condizioni per la prosecuzione dell’attività produttiva demandando – a ben vedere – all’atto amministrativo, mercé la forza abilitante derivante dalla previsione normativa, la funzione di vera e propria “stanza di compensazione” per la ponderazione in sede applicativa di princìpi e valori potenzialmente fra loro confliggenti7.
La seconda disposizione di particolare interesse sistematico è quella di cui al co. 4 dell’art. 1, secondo cui le disposizioni in tema di autorizzazione alla prosecuzione dell’attività produttiva dinanzi sinteticamente descritte trovano applicazione anche quando (come nel caso in esame) l’A.G. abbia adottato provvedimenti di sequestro sui beni dell’impresa titolare dello stabilimento. In tal caso, «i provvedimenti di sequestro non impediscono, nel corso del periodo di tempo indicato nell’autorizzazione, l’esercizio dell’attività di impresa».
Un’ulteriore disposizione di particolare importanza sistematica è quella recata dal co. 3 dell’art. 3 il quale, declinando le previsioni di cui sopra in relazione alle peculiarità del “caso ILVA”, dispone che, per effetto del provvedimento di riesame dell’A.I.A. rilasciato nell’ottobre del 2012, tale impresa sia reimmessa ex lege nel possesso dei beni dell’impresa (beni sottrattile per effetto del provvedimento di sequestro conservativo disposto dal GIP di Taranto) e sia – allo stesso tempo – autorizzata alla prosecuzione dell’attività produttiva ivi esercitata, nonché alla commercializzazione dei prodotti.
2.1. Il “secondo decreto ILVA” e la riserva di giurisdizione ex art. 102, co. 1, Cost.
Il primo degli interrogativi sistematici sollevati del d.l. n. 207/2012 riguarda la controversa compatibilità delle sue disposizioni (con particolare riguardo a quella che consente di riprendere l’esercizio dell’attività di impresa nonostante l’adozione di provvedimenti penali di sequestro) con le prerogative dell’Ordine giudiziario penale e, più in generale, con il principio di riserva nell’esercizio della funzione giurisdizionale di cui all’art. 102, co. 1, Cost.
Ci si è domandati, in particolare, se l’adozione del provvedimento amministrativo di riesame della V.I.A. (ovvero, l’adozione di tale provvedimento in una con il successivo, puntuale rispetto delle rispettive prescrizioni) possa sortire un effetto di “disapplicazione sostanziale” nei confronti dei provvedimenti dell’A.G. (e, in particolare, se possa ritenersi che il richiamato provvedimento possa sortire – sia pure, sulla base delle previsioni di un atto di decretazione d’urgenza in seguito confermato in parte qua dal Parlamento – l’effetto di restituire all’imprenditore la piena disponibilità dei mezzi d’impresa, in sostanziale contrasto con un provvedimento dell’A.G. che tale disponibilità aveva sottratto)8.
È utile rammentare al riguardo che, nel caso di specie, il provvedimento di sequestro adottato dai Magistrati pugliesi aveva riguardato non solo il sito produttivo in quanto tale (rectius: sei aree dello stabilimento di Taranto), ma anche i beni già prodotti e stoccati nel medesimo stabilimento ai fini della vendita, in tal modo impedendo all’impresa stessa di procurarsi i beni materiali per l’ordinario esercizio dell’attività.
È altresì utile rammentare che il GIP di Taranto aveva respinto la richiesta di dissequestro dei beni presentata dall’impresa in seguito all’adozione del provvedimento di riesame dell’A.I.A., osservando che «l’adozione della nuova A.I.A. non vale affatto a dimostrare che sia venuta meno la situazione di grave e concreto pericolo a fronte del quale è stato disposto il sequestro»9.
Ebbene, nonostante sia evidente che, in sede di stesura del “secondo decreto ILVA”, il Governo abbia consapevolmente evitato ogni riferimento diretto al richiamato effetto di disapplicazione sostanziale (ed abbia, più in generale omesso qualunque riferimento “diretto” ai rapporti fra l’esercizio della decretazione d’urgenza e la permanente efficacia del dictum dei Giudici penali), non è sfuggito sin dall’inizio agli osservatori che l’intento di superare gli effetti dei provvedimenti di sequestro disposti dalla Magistratura tarantina abbia rappresentato una delle principali (se non, di fatto, l’unica) ragioni giustificatrici dell’intervento normativo nel suo complesso.
Parte della dottrina, anzi, ha condivisibilmente osservato che l’“effetto primo” dell’adozione del d.l. n. 207/2012 sia quello di escludere in radice – e per un periodo rilevante (sino a trentasei mesi) – che l’attività oggetto di autorizzazione integrata ambientale possa essere bloccata dall’adozione di provvedimenti di sequestro10.
In definitiva, a seguito dell’entrata in vigore del decreto-legge in rassegna, non solo deve ritenersi che esso sortisca l’effetto di precludere nei fatti (e con prospettiva – per così dire – “ex post”) la produzione di ulteriori effetti da parte dei provvedimenti penali di sequestro conservativo, ma – per di più – deve ritenersi che esso precluda ex ante al Giudice penale la possibilità stessa di adottare provvedimenti inibitori incidenti sulla disponibilità dei mezzi d’impresa coinvolti dall’atto di riesame dell’A.I.A.
Il che, come è evidente, pone con evidente immediatezza la questione dell’effettiva salvaguardia della sfera di attribuzione (i.e.: dell’esercizio della giurisdizione in sede di applicazione del diritto obiettivo) che la Costituzione riserva ai soli appartenenti all’Ordine giudiziario ai sensi dell’art. 102, Cost.11.
Ebbene, a fronte del descritto assetto normativo, la Magistratura pugliese nelle sue varie articolazioni aveva investito della questione la Corte costituzionale attivando due strumenti concomitanti. Ed infatti: a) in primo luogo, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Taranto aveva sollevato conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato sia in relazione all’originario testo del d.l. n. 207/2012, cit., sia in relazione al contenuto della legge di conversione; b) in secondo luogo, il GIP presso il Tribunale di Taranto (e lo stesso Tribunale in via autonoma) avevano sollevato q.l.c. in ordine alle disposizioni del decreto-legge, assumendo a parametro le medesime disposizioni costituzionali asseritamente oggetto di violazione (articoli 3, 24, co. 1, 25, 102, 104, 112 e 113, Cost.).
Ebbene, nessuna delle iniziative in tal modo instaurate ha sortito l’esito sperato.
Quanto al ricorso per conflitto di attribuzione, la Corte costituzionale – con due ordinanze di analogo contenuto adottate il 13.2.201312 – ne ha sancito l’inammissibilità, richiamando il costante orientamento giurisprudenziale il quale esclude il ricorso allo strumento del conflitto di attribuzione quante volte – come nel caso di specie – sussista la possibilità di sollevare la questione di legittimità costituzionale in via incidentale nell’ambito di un giudizio ordinario.
Secondo il richiamato orientamento, infatti, laddove la ritenuta violazione delle prerogative di un potere dello Stato sia da ascrivere a un atto avente forza di legge, allo strumento del conflitto di attribuzione deve essere riconosciuto carattere residuale rispetto alla modalità – per così dire – “tipica” di reazione rappresentata dall’incidente di costituzionalità di cui all’articolo 134, co. 2, Cost.
In siffatte ipotesi, la possibilità di ricorrere comunque allo strumento del conflitto di attribuzione è stata riconosciuta in ipotesi sostanzialmente residuali, come nel caso in cui l’atto legislativo della cui legittimità si discute sortisca l’effetto di comprimere diritti fondamentali, di alterare l’assetto costituzionale delle competenze, ovvero di determinare modificazioni irreversibili o insanabili dei rapporti giuridici13.
Resta, invece, esclusa l’ammissibilità del ricorso per conflitto di attribuzione nelle ipotesi in cui – come nel caso in esame – esista un «giudizio nel quale tale norma debba trovare applicazione e quindi possa essere sollevata la questione incidentale sulla legge».14.
Ma anche nel merito della questione (definito a distanza di circa tre mesi con la sentenza n. 85/2013)15 la Corte ha respinto le tesi dei Giudici rimettenti.
In primo luogo, la Corte ha dichiarato inammissibile per genericità nella formulazione la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 3 del decreto sollevata dai Giudici pugliesi in relazione al principio della precostituzione per legge del Giudice naturale (art. 25, ci. 1, Cost.) e della personalità della responsabilità penale dell’imputato (art. 27, co. 1, Cost.).
Al riguardo, la Corte si è limitata ad osservare che non è dato evincere dalle ordinanze di rimessione per quale ragione una pretesa disposizione di esenzione da responsabilità penale (quale quella che sarebbe recata dagli artt. 1 e 3 del “secondo decreto ILVA” – il quale sortirebbe l’effetto di dequotare a mero illecito amministrativo una fattispecie aliunde rilevante ai fini penali –)16 sarebbe idonea a determinare ex se una violazione del principio del Giudice naturale di cui all’art. 25, co. 1, Cost.
«Se si fosse voluto sostenere - motiva sul punto la Corte – che ogni norma di esenzione da punibilità ‘distoglie’ l’interessato dal Giudice naturale e che tale sarebbe l’effetto di una ipotetica dequalificazione del reato in illecito amministrativo, sarebbe stata necessaria una ben più diffusa giustificazione dell’assunto».
La Corte, poi, ha dichiarato infondata la q.l.c. delle disposizioni censurate (e, in particolare, degli artt. 1 e 3 del d.l. n. 207/2012, cit.) in relazione agli artt. 3, 24, co. 1, 102, 104, 112 e 113, Cost., rilevando, in particolare, che le disposizioni oggetto di censura non incidano né in modo diretto, né in modo indiretto sull’accertamento delle responsabilità penali sottese ai gravi reati ambientali contestati (responsabilità che spetta comunque all’A.G. accertare e reprimere al’esito di un “giusto processo”, conformemente all’art. 111, Cost.).
Dall’esame della fattispecie devoluta, la Corte conclude nel senso che le disposizioni oggetto di censura non sortiscono direttamente o indirettamente l’effetto di cancellare alcuna delle fattispecie incriminatrici invocate, né recano disposizioni interpretative e/o di carattere retroattivo idonee ad influire in alcun modo sull’esito dei procedimenti penali in corso.
Allo stesso modo, stante l’espresso richiamo al severo apparato sanzionatorio delineato dal Legislatore delegato del 2006 a fronte dei più gravi reati in materia ambientale (ci si riferisce, in particolare, alle disposizioni penali di cui all’art. 29 quattuordecies del Codice dell’ambiente del 2006 per l’ipotesi di violazione delle prescrizioni contenute nel provvedimento di V.I.A.) induce la Corte ad escludere che l’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività quale effetto della V.I.A. determini quella «vera e propria ‘cappa’ di totale ‘immunità’ dalle norme penali e processuali» che era stata paventata dai Magistrati pugliesi in sede di ordinanza di rimessione.
A ben vedere, quindi, la Corte non ritiene che nel caso in esame si faccia luogo ad esaminare funditus la questione relativa ai limiti entro i quali è consentito al Legislatore (se del caso, autorizzando a tal fine l’esercizio di potestà amministrative) di incidere sull’esercizio dei poteri e sull’ambito di riservato dominio rimesso al Giudice penale.
La questione, pertanto (che la Corte ha ritenuto di non accogliere in parte perché non adeguatamente prospettata e in parte perché non ritenuta pertinente al casus decisus), resta sullo sfondo dell’intera vicenda e mantiene del tutto inalterato il suo rilevante carico di interesse sistematico.
2.2. Il “ragionevole bilanciamento” fra diritti fondamentali
Con la sentenza n. 85/2013, la Corte costituzionale ha altresì affrontato (e risolto nel senso dell’infondatezza) la q.l.c. relativa all’art. 1 del d.l. n. 207/2012 sollevata dal GIP presso il Tribunale di Taranto per ritenuta violazione degli artt. 2, 3, 9, co. 2, 24, co. 1, 32, 41, co. 2, 101, 102, 103, 104, 107, 111, 112 e 113, Cost. in relazione alla ritenuta – quanto ingiustificata, ad avviso dei Magistrati rimettenti – subvalenza riconosciuta dal “secondo decreto ILVA” a valori fondamentali di rango costituzionale (con particolare riguardo al diritto alla salute di cui all’art. 32, Cost.).
In particolare, in sede di ordinanza di rimessione, il GIP di Taranto aveva preso le mosse dalla tesi secondo cui, pur dovendosi ammettere che la vicenda comportasse un complesso bilanciamento fra concomitanti valori di rango costituzionale, nondimeno al diritto alla salute (art. 32, Cost.) fosse da riconoscere un carattere ontologicamente prevalente rispetto a tutti gli altri diritti della persona (come il diritto al lavoro e al libero esercizio dell’attività d’impresa) che, pure, nella specie, venivano in rilievo.
Nella tesi dei Magistrati rimettenti, l’aggettivo “fondamentale” contenuto nell’art. 32, Cost. sarebbe ex se rivelatore (sotto il profilo testuale e quindi sostanziale) di tale preminenza ontologica, con la conseguenza di palesare l’illegittimità costituzionale dell’orientamento di politica legislativa tradottosi nella scelta di consentire (per il tramite del decreto di autorizzazione della V.I.A. e della relativa forza abilitante) di superare i limiti e vincoli – assistiti da sanzioni penali – alla possibile compressione di tale fondamentale diritto della persona.
In base all’ordinanza di rimessione, l’assetto normativo delineato dal d.l. n. 207/2012 sarebbe idoneo ad «annient[are] completamente il diritto alla salute e ad un ambiente salubre a favore di quello economico e produttivo».
La Corte dichiara infondata la questione prospettata impostando i termini concettuali della res controversa non già sulla base di una sorta di ideale “gerarchia di valori” costituzionalmente tutelati, bensì in base a un complessivo bilanciamento di carattere “dinamico” fra i diversi diritti fondamentali della persona. Nell’impostazione della Corte, infatti, il reciproco atteggiarsi di tali valori e diritti è idoneo a configurarsi secondo modalità diversificate in relazione ai diversi ambiti sostanziali in cui la reciproca interrelazione è destinata a declinarsi.
Secondo la Corte, in particolare, «la ratio della disciplina censurata consiste nella realizzazione di un ragionevole bilanciamento tra diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione, in particolare alla salute (art. 32 Cost.), da cui deriva il diritto all’ambiente salubre, e al lavoro (art. 4, Cost.), da cui deriva l’interesse costituzionalmente rilevante al mantenimento dei livelli occupazionali ed il dovere delle istituzioni pubbliche di spiegare ogni sforzo in tal senso».
Nel richiamare alcuni suoi precedenti, la Corte afferma che “tutti i diritti fondamentali” tutelati dalla Costituzione «si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve essere sempre ‘sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro’ (sentenza n. 264 del 2012). Se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe ‘tiranno’ nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona».
Al riguardo, la Consulta sottolinea che «la Costituzione italiana, come le altre Costituzioni democratiche e pluraliste contemporanee, richiede un continuo e vicendevole bilanciamento tra princìpi e diritti fondamentali, senza pretese di assolutezza per nessuno di essi. La qualificazione come ‘primari’ dei valori dell’ambiente e della salute significa pertanto che gli stessi non possono essere sacrificati ad altri interessi, ancorché costituzionalmente tutelati, non già che gli stessi siano posti alla sommità di un ordine gerarchico assoluto. Il punto di equilibrio, proprio perché dinamico e non prefissato in anticipo, deve essere valutato – dal legislatore nella statuizione delle norme e dal giudice delle leggi in sede di controllo – secondo criteri di proporzionalità e di ragionevolezza, tali da non consentire un sacrificio del loro nucleo essenziale».
Ad avviso di chi scrive, il giudizio formulato dalla Corte è condivisibile sia in relazione al concreto atteggiarsi del caso devoluto, sia – e più in generale – in relazione alla questione del reciproco atteggiarsi di valori e diritti fondamentali della persona posti fra loro in rapporto di potenziale conflitto.
Quanto al primo aspetto, ci si limita ad osservare che le disposizioni del “secondo decreto ILVA” non sembrano – contrariamente a quanto ritenuto dai Magistrati rimettenti – comportare una sorta di immanente disapplicazione dei presìdi posti a tutela dei valori ambientali e di tutela della salute rappresentati dal diritto penale dell’ambiente.
Si ritiene, in particolare, che la disposizione del d.l. n. 207/2012 (art. 1, co. 3) la quale fa espressamente salvo l’apparato penale posto a presidio dei precetti a tutela dell’ambiente, non costituisca una sorta di vuota affermazione di principio (invero strumentale a negare nei fatti il principio appena ribadito facendo leva sul prevalente effetto dell’autorizzazione integrata ambientale).
Si ritiene (per dirla con Dworkin)17 che, laddove le disposizioni a tutela dei diritti siano effettivamente “prese sul serio”, una disposizione (quale il richiamato art. 1, co. 3) che in modo espresso fa salvo l’apparato sanzionatorio penale posto a presidio di fondamentali valori (ambientali e di tutela della salute) debba essere intesa per ciò che effettivamente afferma, e non per ciò che si ritiene o si paventa avrebbe potuto affermare.
Ancora, ad avviso di chi scrive, non appare condivisibile l’opinione di chi (pur se con argomenti pregnanti) ritiene che la sentenza in esame abbia sortito l’effetto di superare la consolidata giurisprudenza della Corte di cassazione18 la quale nega che sia costituzionalmente legittimo ammettere forme di compressione del diritto fondamentale alla salute attraverso un atto amministrativo19.
Ed infatti, si ritiene che il focus in ordine al bilanciamento fra i diversi princìpi e valori nella specie coinvolti non debba essere riguardato in relazione all’atto amministrativo (nel caso di specie: il provvedimento di riesame della V.I.A.), quanto – piuttosto – in relazione alla norma di legge abilitante la quale (sulla base di un “ragionevole bilanciamento”, secondo la terminologia della stessa Corte) declina in concreto il rapporto di integrazione reciproca fra diritti e valori comunque di pari rango costituzionale.
Si ritiene che la sentenza della Corte del maggio 2013 abbia segnato una sorta di “punto di non ritorno” per ciò che riguarda l’impostazione concettuale dei rapporti fra decretazione d’urgenza, esercizio dell’ordinaria attività amministrativa e riconoscimento delle prerogative dell’Ordine giudiziario quante volte venga in rilievo l’esigenza di tutelare valori e diritti di rango costituzionale (in primis: il diritto alla salute e all’ambiente salubre in relazione al diritto al lavoro e alla libertà economica di impresa).
Resta, invece, ancora aperta la questione relativa al se le pregnanti affermazioni rese dalla Corte con la sentenza n. 85/2013 risultino in qualche misura confinate entro il ristretto ambito concettuale proprio di un intervento emergenziale, ovvero se esse assumano una valenza – per così dire - “di sistema”.
Laddove si propendesse per la seconda delle opzioni in parola, la conseguenza sarebbe quella (se non di travolgere, almeno) di sottoporre a revisione critica i caratteri di fondo del tipico modello di tutela dei diritti fondamentali affermatosi nel nostro ordinamento nell’arco dell’ultimo trentennio circa (un modello che ha sinora riconosciuto quali propri caratteri fondanti l’intangibilità dei diritti fondamentali ad opera degli atti della pubblica Autorità e la tendenziale – pur se non esclusiva – attribuzione della relativa cognitio al Giudice ordinario)20.
1Sul punto, cfr.: Fabio, C., Il decreto ‘salva-ILVA’, in Giorn. dir. amm., 2013, 4, 369; Selvaggi, N., Il decreto ‘salva-ILVA, in in Giorn. dir. amm., 2013, 4, 369.
2 Sul punto, v. Cavanna, V., Caso ILVA e conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato (nota a C. cost., ord. 13.2.2013, nn. 16 e 17), in Ambiente e sviluppo, 2013, 4, 326,
3 Sul punto Salanitro, U., Il decreto ILVA tra tutela della salute e salvaguardia dell’occupazione: riflessioni a margine della sentenza della Corte costituzionale, in Giorn. dir. amm., 8-9/2013, 1041 ss.
4 Ed infatti, dalle premesse del decreto in questione emerge che esso è stato adottato (inter alia) in considerazione «[delle] risultanze [e delle] verifiche di carattere amministrativo sullo stabilimento dell’ILVA s.p.a., che hanno evidenziato la permanente, grave sussistenza di pericoli ambientali e per la salute derivanti anche dalla mancata attuazione dell’autorizzazione integrata ambientale, adeguatamente contestata».
5 Sul punto, cfr. Carluccio, P., Caso ILVA: tutela dell’ambiente, bilanciamento fra diritti fondamentali e riserva di giurisdizione, in Giorn. dir. amm., 2013, 7, 750.
6 In realtà, il provvedimento adottato in data 26.10.2012 dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare costituisce il riesame della precedente A.I.A. del 4.8.2011 e, sulla base delle osservazioni relative ai fenomeni di inquinamento verificatisi negli stabilimenti ILVA di Taranto e di Statte, prescrive l’anticipata applicazione delle prescrizioni di cui alla decisione di esecuzione della Commissione europea 2012/135/UE in tema di migliori tecniche disponibili (BAT) per la produzione di ferro e acciaio ai sensi della direttiva 2010/75/UE.
7 In ordine ai presupposti sistematici del bilanciamento in parola, v. Carluccio, P., Caso ILVA: tutela dell’ambiente, bilanciamento tra diritti fondamentali e riserva di giurisdizione, in Giorn. dir. amm., 2013, 7, 750 e passim.
8 Sul punto, v. Salnitro, U., Il decreto ILVA tra tutela della salute e salvaguardia dell’occupazione, cit., 1042.
9 Ibidem.
10 In tal senso: Pulitanò, D., Fra giustizia penale e gestione amministrativa: riflessioni a margine del caso ILVA, in Diritto penale contemporaneo, 2013, 47.
11 Salerno, G.M., Per le ordinanze di sequestro resta il nodo del valore, Guida dir., 2013, 10, 17.
12 C. cost., ord. 13.2.2013, n. 16 e n. 17.
13 In tal senso, C. cost., ord. 13.11.2003, n. 343.
14 Al riguardo vengono richiamate C. cost., 22.5.2002, n. 221 e C. cost., 7.7.2005, n. 284, nonché C. cost., ord. 20.2.2008, n. 38 , C. cost., ord. 5.7.2006, n. 296 e n. 69.
15 Sul punto: Cuniberti, M., La Consulta rigetta le questioni di costituzionalità sul c.d. ‘decreto ILVA’, in Ambiente e sviluppo, 2013, 6, 505 ss.; Cavanna, V., ILVA, criterio di ragionevolezza e bilanciamento dei diritti (nota a Corte cost., n. 85/2013), in Ambiente e sviluppo, 2013, 7, 631 ss.
16 La quaestio iuris demandata alla Corte riguardava, in particolare, la disposizione del d.l. n. 207/2012 (art. 1, co. 3) secondo cui «Fermo restando quanto previsto dagli articoli 29-decies e 29-quattuordecies del decreto legislativo n. 152 del 2006 e dalle altre disposizioni di carattere sanzionatorio penali ed amministrative contenute nelle normative di settore, la mancata osservanza delle prescrizioni contenute nel provvedimento [di riesame della V.I.A.] è punita con sanzione amministrativa pecuniaria, escluso il pagamento in misura ridotta, da euro 50.000 fino al 10 per cento del fatturato della società risultante dall’ultimo bilancio approvato (…)». Al riguardo, i Giudici rimettenti avevano osservato che (nonostante la clausola di stile relativa alla salvaguardia delle eventuali violazioni di carattere penale), la disposizione appena richiamata sortisse a ben vedere l’effetto di dequotare a mero illecito amministrativo le medesime condotte (violazione delle norme in materia di tutela dell’ambiente che avevano dato luogo al provvedimento di sequestro) che il d.l. n. 207/2012 aveva ricondotto all’ambito – meramente amministrativo – di applicazione della V.I.A.
17 Il riferimento va, naturalmente, a Dworkin, R., I diritti presi sul serio (nella traduzione italiana, Bologna, 2010).
18 La definitiva affermazione sistematica di tale principio è in: Cass., S.U., 28.12.2007, n. 27187, in Giust. civ., 2007, 1447 ss.
19 Salanitro, U., Il decreto ILVA, cit., 1047.
20 Sul punto, si vedano le pregnanti osservazioni svolte da Salnitro, U., Il decreto ILVA, cit., 1046 ss., in relazione alla giurisprudenza ivi richiamata.