Il ladro di bambini
(Italia/Francia 1992, colore, 112m); regia: Gianni Amelio; produzione: Angelo Rizzoli per ERRE Produzioni/ Arena/Alia; sceneggiatura: Gianni Amelio, Sandro Petraglia, Stefano Rulli; fotografia: Tonino Nardi, Renato Tafuri; montaggio: Simona Paggi; scenografia: Andrea Crisanti; costumi: Gianna Gissi, Luciana Morosetti; musica: Franco Piersanti.
Antonio, un giovane carabiniere, deve condurre due fratelli, Rosetta e Luciano, in un istituto per minori. Rosetta è stata costretta a prostituirsi dalla madre (che per questo ora è agli arresti), Luciano è un bambino taciturno che non mangia quasi mai. Quando i fratellini vengono rifiutati con un espediente dall'istituto al quale dovrebbero essere affidati, Antonio li porta prima in Calabria dai suoi parenti e poi di nuovo in Sicilia da dove provengono. In un commissariato, dove si devono recare per la denuncia di uno scippo che Antonio ha sventato, un superiore gli fa capire che per tutto questo potrebbe essere accusato di sequestro di persona. La notte stessa, mentre Antonio dorme in macchina, i due bambini si allontanano, prima di fuggire via.
Vincitore nel 1992 del Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes e del Felix per il miglior film europeo, Il ladro di bambini è tra i pochissimi film italiani dagli anni Settanta in poi il cui impegno di realismo incondizionato, moralità e libertà di sguardo siano alla stessa altezza del nostro cinema del secondo dopoguerra, che tali valori aveva iscritti nel proprio codice genetico. Con lo stesso titolo di una sceneggiatura scritta insieme a Enzo Ungari vent'anni prima e mai girata ‒ a dimostrazione di quanto a lungo questa idea abbia lavorato nella sua immaginazione ‒ Gianni Amelio racconta ancora una volta (come ha fatto da La fine del gioco, 1970, a Colpire al cuore, 1982) la storia di un'infanzia negata e di una paternità impossibile, di adulti e adolescenti smascherati da una irriducibilità reciproca: un territorio in cui per la prima volta compaiono la comprensione e l'empatia, incarnati in un personaggio, il giovane carabiniere, che tenta eroicamente una sortita nel mondo dei bambini per conquistarvi, anche se fugacemente, una dignitosa identità.
Ispirato da un fatto di cronaca, il film è un 'viaggio in Italia' alla scoperta di un paesaggio disadorno, degradato, scarno e rumoroso, fatto di stazioni e piccoli abusi edilizi, di caserme e commissariati, di periferie assordanti e dello splendore luminoso del Sud. L'autore alterna l'eccellente capacità di trasformare persone in attori tipica del neorealismo (i due bambini) a una tecnica dell'inquadratura intessuta di vuoti e di silenzi e a un uso del sonoro che carica ogni scena degli infiniti rilievi dell'ambiente, i quali ricordano invece lo stile di Antonioni. Di fronte a una macchina in "paziente attesa" (L. Pellizzari), il giovane carabiniere si porta appresso per l'Italia due bambini come oggetti smarriti, tanto che Amelio li ritrae costantemente in luoghi d'attesa e abbandono: le sale d'aspetto, gli sgabuzzini dell'istituto che si rifiuta di ospitarli, le panche dei commissariati. Il risultato è la composizione di una sterminata oggettività perlustrata da un occhio che, celando il proprio sconcerto, sembra aggirarvisi per la prima volta e di una spoglia tenerezza che irradia unicamente dai momenti di contatto degli interpreti in scena. Entrambe conferiscono a tutto il film un tono inimitabile. La remota allusione fiabesca (Hansel e Grethel) è gradualmente riempita dalla concretezza di gesti e relazioni, dalla lenta formazione di una inedita famiglia che, come scrive Ida Magli, testimonia della "sopravvalutazione del ruolo della madre nella società italiana".
È un film in cui si è tentati di imputare alla direzione degli attori buona parte dei meriti, ma ciò che invece ne determina la struttura profonda è proprio il dominio del dosaggio della narrazione (qualità caratteristica degli sceneggiatori Stefano Rulli e Sandro Petraglia), dell'impercettibilità della regia (la scelta degli ambienti, la gradualità sorvegliatissima delle notazioni psicologiche, l'arrivo dei piani ravvicinati quando, e solo quando, il film ha realizzato le ragioni di un rapporto e di un sentimento). Certamente, è anche un film scritto e vissuto fino alla fine della sua realizzazione: come ha affermato Amelio, insieme al finale attuale ne era stato girato un altro (il finale originale della sceneggiatura), non montato, in cui Luciano, il bambino, uccideva il carabiniere con la sua pistola d'ordinanza. E invece non c'è finale che più somigli al suo cinema di quello che è adesso nel film, con due ragazzini che ritornano al loro punto di partenza senza più poter credere all'aiuto di un adulto, malinconici, disillusi e insieme forti: convinti di dovercela fare, ancora una volta, da soli.
Interpreti e personaggi: Enrico Lo Verso (Antonio), Valentina Scalici (Rosetta), Giuseppe Ieracitano (Luciano), Renato Carpentieri (maresciallo dei carabinieri), Vitalba Andrea (sorella di Antonio), Florence Darel (Martine), Marina Golovine (Nathalie), Fabio Alessandrini (Grignani), Vincenzo Peluso (carabiniere napoletano), Agostino Zumbo (sacerdote), Massimo De Lorenzo (Papaleo).
M. Sesti, Regia di Gianni Amelio, Napoli 1992.
L. Pellizzari, Il ladro di bambini, in "Cineforum", n. 315, giugno 1992.
J. Magny, Il ladro di bambini, in "Cahiers du cinéma", n. 457, juin 1992.
J.A. Gili, Une utopie pour notre temps, in "Positif", n. 380, octobre 1992.
I. Magli, Riflessioni sui film di Amelio riguardanti i bambini, in La fine del gioco. La rappresentazione dell'infanzia nel cinema di Gianni Amelio, a cura di F. Brugiamolini, L. Campulli, S. Grambelli, Ancona 1993.
G. Cheshire, The Compassionate Gaze of Gianni Amelio, in "Film comment", n. 4, July-August 1993.
M. Grande, L'innocenza dello sguardo non-innocente, in Gianni Amelio, a cura di R. Gaetano, Catanzaro 1997.
A. Faeti, Bambini estranei, bambini rubati. Bambini, in Gianni Amelio: la regola e il gioco, a cura di E. Martini, Bergamo 1999.
Sceneggiatura: Il ladro di bambini, Milano 1992.