Il modello processuale dello straniero «irregolare»
La disciplina processuale relativa allo straniero «irregolare» è caratterizzata da due profili che delineano un modello differenziato: il primo si riferisce al rapporto tra procedimento penale ed espulsione amministrativa, mentre il secondo fa leva sulla previsione, per determinati reati propri dello straniero «irregolare», dell’arresto e del giudizio direttissimo in una configurazione ritenuta, in dottrina e in giurisprudenza, «obbligatoria». La novella del 2011 non ha modificato la fisionomia di fondo del modello processuale differenziato dello straniero «irregolare», ma ha ridefinito il rapporto tra le sue due diverse direttrici, esaltando la prima e ridimensionando la seconda.
Le novità che nel 2011 hanno investito i profili processualpenalistici della legislazione sullo straniero si ricollegano alla sentenza con la quale la Corte di giustizia dell’Unione europea ha sancito l’incompatibilità, rispetto alla cd. direttiva rimpatri (direttiva 2008/115/CE), della disciplina dei reati di ingiustificata inosservanza dell’ordine di allontanamento del questore1. La successiva evoluzione della giurisprudenza ha suggerito al legislatore un intervento in via d’urgenza volto al recepimento della direttiva rimpatri, intervento dispiegatosi con il d.l. 23.6.2011, n. 89, convertito, con modificazioni, con la l. 2.8.2011, n. 129. La novella del 2011 ha avuto significative ricadute sulla disciplina processual-penalistica, ma non ne ha modificato la fisionomia essenziale. Il rilievo di indiscussa centralità rivestito dall’allontanamento dello straniero «irregolare» si riflette anche su tale disciplina, delineando consistenti linee di frattura rispetto al modello processuale ordinario, linee di frattura che chiamano in causa, per un verso, il rapporto tra procedimento penale ed espulsione amministrativa e, per altro verso, la disciplina delle misure pre-cautelari e del giudizio direttissimo2. L’una e l’altra prospettiva, peraltro, si saldano in un duplice punto di convergenza: il profilo finalistico, che attribuisce alla ricerca dell’effettività dei provvedimenti di allontanamento la valenza di elemento unificante di molteplici tratti di specialità del processo penale dello straniero «irregolare»; il ruolo dell’autorità amministrativa, che, valutato sulla base dei canoni del «giusto processo», assume una dimensione di anomalo protagonismo. In questo quadro, le modifiche legislative introdotte nel 2011 hanno ridefinito il rapporto tra le due diverse direttrici del modello processuale differenziato dello straniero «irregolare», esaltando la prima e ridimensionando la seconda.
Il rapporto tra procedimento penale e allontanamento dello straniero «irregolare» è incentrato su tre istituti, disciplinati dagli artt. 13 e 17 del testo unico approvato con d. lgs. 25.7.1998, n. 286 (t.u. imm. cond. stran.): il nulla osta all’espulsione amministrativa, l’autorizzazione al reingresso dello straniero espulso per l’esercizio del diritto di difesa e la sentenza di non luogo a procedere per avvenuta espulsione. Le lineeguida dell’assetto del rapporto in esame escludono, in via di principio, che la condizione di indagato/imputato in un procedimento penale (ma anche quella di persona offesa) possa di per sé sola rappresentare un elemento ostativo all’esecuzione dell’allontanamento dello straniero «irregolare»; di conseguenza, si prevede un nulla osta all’espulsione concesso dall’autorità giudiziaria procedente che dovrebbe svolgere una funzione di coordinamento – nella fase che precede l’esecuzione dell’espulsione – tra procedimento penale e procedimenti amministrativi preordinati all’allontanamento; in questo quadro, il diritto di difesa dello straniero e la conformità del procedimento che lo vede coinvolto ai canoni del giusto processo sono tutelati ex post, ossia nella fase successiva all’esecuzione dell’allontanamento, in via pressoché esclusiva dall’autorizzazione al rientro nel territorio dello Stato dello straniero espulso.
2.1 Il nulla osta all’espulsione e l’autorizzazione al reingresso dello straniero espulso per l’esercizio del diritto di difesa
Ai sensi dell’art. 13, co. 3, t.u. imm. cond. stran., quando lo straniero è sottoposto a procedimento penale e non si trova in stato di custodia cautelare in carcere, il questore, prima di eseguire l’espulsione, richiede il nulla osta all’autorità giudiziaria. Il nulla osta può essere negato solo in presenza di inderogabili esigenze processuali valutate in relazione all’accertamento della responsabilità di eventuali concorrenti nel reato o imputati in procedimenti per reati connessi, e all’interesse della persona offesa: restano dunque escluse dal novero delle situazioni che consentono il rigetto della richiesta di nulla osta quelle connesse sia all’esercizio del diritto di difesa dello straniero, sia alla garanzia del contraddittorio nella formazione della prova. A ciò si aggiunga che il nulla osta deve essere concesso anche qualora lo straniero destinatario di un provvedimento di espulsione versi in una di quelle situazioni processuali che, ove il provvedimento di allontanamento fosse già stato eseguito, imporrebbero, come si vedrà, il rilascio dell’autorizzazione al rientro di cui all’art. 17 t.u.: è dubbia la ragionevolezza intrinseca di un assetto normativo che preclude all’autorità giudiziaria il diniego dell’autorizzazione all’esecuzione dell’espulsione di uno straniero che immediatamente dopo tale esecuzione avrà maturato il diritto a rientrare nel territorio dello Stato. La rilevanza del ruolo dell’autorità di polizia e le relative ricadute sul processo penale sono ulteriormente enfatizzate da due profili della disciplina del nulla osta. Da una parte, la l. n. 189/2002 aveva ridefinito le condizioni ostative alla concessione del nulla osta, delineando, al co. 3 sexies, un catalogo di reati ostativi al perfezionamento della fattispecie autorizzatoria: la disposizione è stata abrogata dall’art. 3, co. 7 della l. n. 155/2005, così che oggi nessun titolo di reato è idoneo ad escludere la concessione del nulla osta. D’altra parte, con le modifiche introdotte dalla l. n. 189/2002, il perfezionamento del nulla osta è affidato a una forma di silenzio-assenso, in forza della quale la concessione si perfeziona qualora l’autorità giudiziaria non provveda entro sette giorni dal ricevimento della richiesta: è di tutta evidenza come il meccanismo di silenzio-assenso comporti il rischio di un drastico ridimensionamento dell’effettività dell’intervento dell’autorità giudiziaria, intervento già estremamente circoscritto, nella sua portata, dalla descritta disciplina dei presupposti del diniego. All’autorizzazione al reingresso dello straniero espulso per l’esercizio del diritto di difesa è dedicato l’art. 17 t.u. imm. cond. stran., che, a differenza della disciplina relativa al nulla osta, fa riferimento non solo allo straniero sottoposto a procedimento penale, ma anche allo straniero che sia persona offesa da un reato. Il tenore letterale della disposizione – in forza della quale lo straniero «è autorizzato …» – e la sua autonoma previsione rispetto alla «speciale autorizzazione del Ministro dell’interno» (disciplinata dall’art. 13, co. 13, t.u. imm. cond. stran.) mette in luce come l’autorizzazione in esame sia configurata quale atto dovuto per la competente autorità amministrativa (il questore), mentre la seconda sia ricollegata alla determinazione discrezionale del ministro. L’autorizzazione è concessa allo straniero, per il tempo strettamente necessario per l’esercizio del diritto di difesa, «al solo fine di partecipare al giudizio o al compimento di atti per i quali è necessaria la sua presenza». La norma, dunque, assicura allo straniero sottoposto a procedimento penale il pieno esercizio delle facoltà difensive collegate alla sua «presenza» nel territorio dello Stato e, quindi, alla sua piena partecipazione al procedimento stesso solo con riferimento alla fase del giudizio (e a quella dell’udienza preliminare, come si può ritenere valorizzando la ricostruzione di questa offerta dalla giurisprudenza costituzionale). Il diritto di difesa dello straniero subisce invece un drastico affievolimento con riferimento alla fase delle indagini preliminari, per la quale l’art. 17 limita il diritto a rientrare nel territorio dello Stato solo per il compimento degli atti per i quali è «necessaria» la presenza dell’indagato/ imputato: per tutti gli altri atti o segmenti nei quali si articola la vicenda procedimentale – dagli atti rispetto al cui compimento la presenza dell’indagato/imputato, pur non essendo processualmente necessaria, si ricollega ad un suo diritto a prendervi parte, a quelli che, comunque, potrebbero assumere rilievo ai fini della sua difesa – la partecipazione dello straniero resta affidata all’autorizzazione di cui all’art. 13, co. 13, t.u. imm. cond. stran., un’autorizzazione che, come detto, diversamente da quella disciplinata dall’art. 17, presenta connotati di ampia discrezionalità.
2.2 La sentenza di non luogo a procedere per avvenuta espulsione
Ai sensi dell’art. 13, co. 3 quater, t.u. imm. cond. stran., nei casi previsti dalla disciplina del nulla osta all’espulsione, il giudice, acquisita la prova dell’avvenuta espulsione, se non è ancora stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio, pronuncia sentenza di non luogo a procedere; in forza del successivo co. 3 quinquies, se lo straniero espulso rientra illegalmente nel territorio dello Stato trova applicazione l’art. 345 c.p.p. La riproponibilità dell’azione penale in caso di reingresso illegale dello straniero espulso, prevista dalla legge attraverso il richiamo alla disposizione codicistica ora indicata, depone nel senso del riconoscimento che la pronuncia ha natura di sentenza processuale o di rito; d’altra parte, il medesimo richiamo consente di ricondurre la relativa fattispecie nel genus delle condizioni di improcedibilità atipiche, così come ritenuto anche dalla Corte costituzionale nell’ordinanza 3.4.2006 n. 142. Con tale decisione, la Corte ha ricostruito la ratio dell’istituto in esame, facendo riferimento non solo al «diminuito interesse dello Stato alla punizione di soggetti ormai estromessi dal proprio territorio», ma anche a «esigenze deflattive del carico penale», esigenze che, in particolare, sono alla base del requisito di fase caratterizzante, come subito si vedrà, la disciplina di cui all’art. 13, co. 3 quater, t.u. Nell’argomentare dell’ordinanza n. 142/2006, il richiamo al «diminuito interesse dello Stato alla punizione di soggetti oramai estromessi dal proprio territorio» è svolto evocando, «in un’ottica similare», la presenza del reo nel territorio dello Stato ex artt. 9 e 10 c.p.: senz’altro corretto sul piano della natura giuridica dei due istituti, l’accostamento non può tuttavia lasciare in ombra il ben diverso atteggiarsi dell’interesse punitivo dello Stato rispetto alla generalità dei reati commessi dallo straniero (nel caso della sentenza ex art. 13, co. 3 quater, cit.) e ai soli reati commessi all’estero (nei casi disciplinati dalle citate disposizioni codicistiche): di qui la necessità, avvertita dal giudice delle leggi, di associare, nella ricostruzione della ratio della sentenza di non luogo a procedere per avvenuta espulsione, alla diminuzione dell’interesse punitivo dello Stato (una diminuzione di minore consistenza rispetto a quella propria dei reati comuni commessi all’estero), la prospettiva deflattiva del carico penale. Presupposti per la pronuncia della sentenza di non luogo a procedere sono l’acquisizione della prova dell’avvenuta espulsione dello straniero sottoposto a procedimento penale. Il previo perfezionamento del nulla osta ai sensi dei co. 3, 3 bis e 3 ter dell’art. 13 t.u. imm. cond. stran. e la mancata emissione del provvedimento che dispone il giudizio. La giurisprudenza propende per un’ampia interpretazione di quest’ultimo presupposto, riconoscendone la sussistenza in tutti i casi in cui l’espulsione sia avvenuta e provata prima che si pervenga a giudizio. L’istituto della sentenza di non luogo a procedere per avvenuta espulsione ha suscitato molteplici dubbi di legittimità costituzionale, dubbi relativi, per un verso, alla sua conformità, sotto molteplici profili, al principio d’eguaglianza e, per altro verso, al diritto dell’imputato a veder riconosciuta giurisdizionalmente la propria innocenza. La Corte costituzionale (con le ordinanze 3.4.2006 n. 142 e n. 143) ha escluso sia lesioni del principio di eguaglianza, qualificando quelle prospettate dal giudice a quo come «disparità di mero fatto», sia lesioni del diritto di difesa, rimarcando come la declaratoria di improcedibilità per avvenuta espulsione sia configurata dal legislatore come un «beneficio » per l’imputato, stante la rinuncia all’esercizio della potestà punitiva dello Stato.
2.3 Le misure pre-cautelari e il giudizio direttissimo
Mentre la formulazione originaria del d.lgs. n. 286/1998 prevedeva una sola figura di reato collegato all’espulsione, ossia la contravvenzione di illecito reingresso dello straniero espulso, la l. n. 189/2002 aveva introdotto, da un lato, il nuovo reato di ingiustificata inosservanza dell’ordine di allontanamento del questore (punito anch’esso a titolo contravvenzionale) e, dall’altro, nuove figure di illecito reingresso variamente sanzionate. A fianco del nuovo e articolato catalogo di reati collegati all’espulsione, il legislatore del 2002 aveva previsto l’arresto facoltativo per la contravvenzione e per il delitto di violazione del divieto di reingresso dello straniero espulso ex art. 13, co. 13 e 13 bis e l’arresto obbligatorio per la contravvenzione e per il delitto previsti rispettivamente dai co. 5 ter e 5 quater dell’art. 14 t.u. imm. cond. stran.; in tutti questi casi, inoltre, era previsto il giudizio direttissimo, svincolato – rispetto al modello del cd. giudizio direttissimo «atipico»3 − dalla condizione della «non necessità di speciali indagini». La previsione dell’arresto in relazione alla contravvenzione di cui all’art. 14, co. 5 ter, t.u. fu oggetto di numerose eccezioni di illegittimità costituzionale; con la sentenza 15.7.2004, n. 223, la Corte costituzionale dichiarò l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, co. 5 quinquies, t.u. imm. cond. stran. «nella parte in cui stabilisce che per il reato previsto dal co. 5 ter del medesimo art. 14 è obbligatorio l’arresto dell’autore del fatto». Secondo la Corte, l’arresto disciplinato dalla norma censurata era «privo di qualsiasi sbocco sul terreno processuale, è una misura fine a se stessa, che non potrà mai trasformarsi nella custodia cautelare in carcere, né in qualsiasi altra misura coercitiva, e non trova alcuna copertura costituzionale». D’altra parte, rilevò ancora il giudice delle leggi, la misura pre-cautelare «non trova valida giustificazione neppure ove la si voglia ritenere finalizzata, sia pure impropriamente, ad assicurare l’espulsione amministrativa dello straniero che non abbia ottemperato all’ordine di allontanarsi dal territorio dello Stato», posto che il relativo procedimento amministrativo potrebbe comunque seguire il suo corso a prescindere dall’arresto dello straniero: la funzionalizzazione dell’arresto all’espulsione dell’immigrato irregolare era dunque considerata dalla Consulta non solo impropria sul piano dei princìpi, ma anche inutile su quello della effettività dei provvedimenti di allontanamento. Nonostante le nette affermazioni della Corte, il legislatore ha nuovamente introdotto, con la l. n. 271/2004 la generalizzata previsione dell’arresto dello straniero, trasformando, a questo scopo, la maggior parte delle figure di reato collegate all’espulsioni da contravvenzioni in delitti: è stato così ripristinato il meccanismo penal-amministrativo imperniato sul passaggio dall’espulsione amministrativa all’ordine di allontanamento emesso dal questore, dall’incriminazione dell’inosservanza di questo ordine all’arresto dello straniero inottemperante, dal giudizio direttissimo fino, nuovamente (almeno sulla carta), all’espulsione. Come si è detto, un tassello di tale meccanismo è rappresentato dal giudizio direttissimo, che, nella disciplina di cui all’art. 13, co. 13ter e al previgente art. 14, co. 5 quinquies, t.u. imm. cond. stran. è (era) caratterizzato dalla mancata previsione della condizione della «non necessità di speciali indagini». Secondo le ricostruzioni prevalenti in dottrina e in giurisprudenza, questo profilo segna la distanza, rispetto al paradigma del giudizio direttissimo «atipico», delle configurazioni del giudizio direttissimo per i reati collegati all’espulsione, attribuendo ad esse il carattere della «obbligatorietà»: il pubblico ministero è obbligato ad esercitare sempre l’azione penale nelle forme previste per il giudizio direttissimo, risultando infatti del tutto svincolata l’adozione di tale rito non solo dalla condizione della «non necessità di speciali indagini », ma anche dalle situazioni di «evidenza probatoria qualificata» che connotano il modello «ordinario».
2.4 Procedimento penale e allontanamento amministrativo nella disciplina relativa alla contravvenzione di ingresso e soggiorno illegale
Nel l’introdurre, con l’art. 10 bis t.u. imm. cond. stran., la fattispecie incriminatrice dell’ingresso e del soggiorno illegale dello straniero, la l. n. 94/2009 ha previsto alcune deroghe alla disciplina del nulla osta all’espulsione e della sentenza di non luogo a procedere ex art. 13 t.u. imm. cond. stran.: nell’una e nell’altra direzione, la disciplina delineata dal legislatore del 2009 rivela l’univoco favor riservato, rispetto alla sanzione penale, all’allontanamento disposto dall’autorità amministrativa. Quanto alla prima, la deroga è radicale, nel senso che il co. 4 dell’art. 10 bis stabilisce che ai fini dell’esecuzione dell’espulsione amministrativa dello straniero denunciato per il reato di ingresso e soggiorno illegale non è richiesto il nulla osta dell’autorità giudiziaria competente all’accertamento del reato; in tale ipotesi il questore comunica alla stessa autorità giudiziaria l’avvenuta esecuzione dell’espulsione ovvero del respingimento differito ex art. 10, co. 2. Il co. 5 dell’art. 10 bis stabilisce poi che il giudice, acquisita la notizia dell’esecuzione dell’espulsione o del respingimento differito, pronuncia sentenza di non luogo a procedere. Così configurata la disciplina della sentenza di non luogo a procedere presenta rilevanti differenze rispetto all’istituto delineato, in via generale, dall’art. 13, co. 3 quater, t.u. imm. cond. stran. Per un verso, infatti, l’ambito applicativo della sentenza di non luogo a procedere speciale di cui all’art. 10 bis, co. 5, t.u. imm. cond. stran. non è più limitato all’espulsione amministrativa «nei casi previsti dai co. 3, 3 bis e 3 ter»: la relativa fattispecie, in particolare, oltre a prescindere dal previo nulla osta, può essere integrata anche dall’espulsione a titolo di sanzione sostitutiva di cui all’art. 16, co. 1, nonché dal respingimento differito. Per altro verso nessun limite di fase circoscrive l’applicabilità dell’istituto: mentre, come si è visto, in forza della disciplina di cui all’art. 13, co. 3 quater t.u. imm. cond. stran. la prova dell’avvenuta espulsione deve intervenire quando «non è ancora stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio» − il che, come si è visto, attribuisce all’istituto una funzione deflattiva prevalente sul diritto dell’imputato al processo − l’art. 10 bis, co. 5, t.u. imm. cond. stran. non richiede alcun presupposto di fase ed è dunque svincolato da qualsiasi prospettiva deflattiva. La legge n. 94/2009 ha incluso la contravvenzione di ingresso e soggiorno illegale dello straniero nel novero dei reati attribuiti alla cognizione del giudice di pace. In forza del terzo comma dell’art. 10 bis t.u. imm. cond. stran., al procedimento penale per la contravvenzione si applicano gli artt. 20 bis, 20 ter e 32 bis, del d. lgs. n. 274/2000 (anch’essi introdotte dalla legge n. 94/2009). La prima disposizione disciplina la presentazione immediata a giudizio dell’imputato in casi particolari: per i reati procedibili d’ufficio, in caso di flagranza del reato ovvero di evidenza della relativa prova, la polizia giudiziaria chiede al pubblico ministero l’autorizzazione alla presentazione immediata dell’imputato a giudizio dinanzi al giudice di pace. Di fronte a tale richiesta, il pubblico ministero può chiedere subito l’archiviazione del procedimento, può ritenere insussistenti i presupposti per la presentazione immediata e, quindi, procedere in via ordinaria, oppure può autorizzare la presentazione nei quindici giorni successivi. L’art. 20 ter disciplina, nell’ambito dei casi previsti dall’art. 20 bis, le ipotesi di citazione contestuale in udienza, ipotesi correlate a gravi e comprovate ragioni di urgenza ovvero allo status detentionis dell’imputato. Lo svolgimento del giudizio a presentazione immediata è infine disciplinato dall’art. 32 bis del d.lgs. n. 274/2000.
La recente riforma del 2011, come si è anticipato, si ricollega alla sentenza El Dridi, con la quale la Corte di giustizia ha affermato che «gli Stati membri non possono introdurre, al fine di ovviare all’insuccesso delle misure coercitive adottate per procedere all’allontanamento coattivo […] una pena detentiva, come quella prevista all’art. 14, comma 5-ter, del decreto legislativo n. 286/1998, solo perché un cittadino di un paese terzo, dopo che gli è stato notificato un ordine di lasciare il territorio di uno Stato membro e che il termine impartito con tale ordine è scaduto, permane in maniera irregolare nel territorio nazionale. […] Una tale pena, infatti, segnatamente in ragione delle sue condizioni e modalità di applicazione, rischia di compromettere la realizzazione dell’obiettivo perseguito da detta direttiva, ossia l’instaurazione di una politica efficace di allontanamento e di rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno sia irregolare. In particolare, […] una normativa nazionale quale quella oggetto del procedimento principale può ostacolare l’applicazione delle misure di cui all’art. 8, n. 1, della direttiva 2008/115 e ritardare l’esecuzione della decisione di rimpatrio». Sulla base di queste premesse, la Corte di giustizia è giunta alla netta conclusione secondo cui «al giudice del rinvio, incaricato di applicare, nell’ambito della propria competenza, le disposizioni del diritto dell’Unione e di assicurarne la piena efficacia, spetterà disapplicare ogni disposizione del decreto legislativo n. 286/1998 contraria al risultato della direttiva 2008/115, segnatamente l’art. 14, comma 5ter, di tale decreto legislativo ». L’immediato recepimento da parte della giurisprudenza della decisione della Corte di giustizia4 ha indotto il legislatore ad un intervento in via d’urgenza: con il d.l. 23.6.2011, n. 89, convertito con la l. 2.8.2011, n. 1295, le fattispecie incriminatrici dell’ingiustificata inosservanza dell’ordine di allontanamento del questore (co. 5 ter e 5 quater dell’art. 14 t.u.) hanno conservato natura delittuosa, ma in relazione ad esse è stata ora prevista la sola pena della multa, l’unica ritenuta – alla luce della pronuncia della Corte europea – idonea a non compromettere l’effetto utile prescritto dalla direttiva rimpatri. Il legislatore del 2011 ha poi introdotto due nuove fattispecie incriminatrici della violazione delle misure adottate in caso di concessione del termine per la partenza volontaria (art. 13, co. 5.2., t.u. imm. cond. stran.) e delle misure adottate in alternativa al trattenimento amministrativo nei centri di identificazione ed espulsione (art. 14, co 1 bis, t.u. imm. cond. stran.). Sul piano processuale, i reati previsti dall’art. 13, co. 5.2. e dall’art. 14, co. 1 bis, 5 ter e 5 quater t.u. sono stati attribuiti alla cognizione del Giudice di pace. Per le fattispecie di ingiustificata inosservanza dell’ordine di allontanamento del questore è poi dettata una normativa particolare, che allinea la relativa disciplina processuale a quella stabilita per la contravvenzione di ingresso e soggiorno illegale. Da una parte, infatti, il co. 5 quinquies dell’art. 14 t.u. imm. cond. stran., come modificato dalla novella del 2011, stabilisce che al procedimento per i reati di cui ai co. 5ter e 5 quater si applicano le disposizioni di cui agli artt. 20 bis, 20 ter e 32 bis, del d. lgs. n. 274/ 2000. D’altra parte, ai sensi del nuovo co. 5 sexies dell’art. 14 t.u. imm. cond. stran., ai fini dell’esecuzione dell’espulsione dello straniero denunciato ai sensi dei co. 5 ter e 5 quater, non è richiesto il rilascio del nulla osta di cui all’articolo 13, co. 3, da parte dell’autorità giudiziaria competente all’accertamento del medesimo reato; in relazione a tali reati, il questore si limita a comunicare l’avvenuta esecuzione dell’espulsione all’autorità giudiziaria competente all’accertamento del reato. In forza del successivo co. 5 septies, il giudice, acquisita la notizia dell’esecuzione dell’espulsione, pronuncia sentenza di non luogo a procedere; in caso di reingresso illegale dello straniero nel territorio dello Stato prima del termine previsto dall’articolo 13, co. 14, trova applicazione l’art. 345 c.p.p. Il d.l. 23.6.2011, n. 89, convertito con la l. 2.8.2011, n. 129 non ha invece inciso sulla disciplina processuale prevista per le varie figure di illecito reingresso dello straniero espulso: ai sensi dell’art. 13, co. 13 ter, t.u. imm. cond. stran. per i reati previsti dai co. 13 e 13 bis resta obbligatorio l’arresto dell’autore del fatto anche fuori dei casi di flagranza e si procede con rito direttissimo. Nel complesso, dunque, la direttrice del modello processuale differenziato dello straniero «irregolare» relativa al rapporto tra procedimento penale ed espulsione amministrativa ha conosciuto, con la novella del 2011, una netta valorizzazione: nella versione ancora più marcatamente «differenziata» già prevista per la contravvenzione di ingresso e soggiorno, la disciplina speciale del nulla osta all’espulsione e della sentenza di non luogo a procedere per avventa espulsione trova oggi applicazione anche sul terreno dei reati di ingiustificata inosservanza dell’ordine di allontanamento del questore. La direttrice che fa leva sulla misura pre-cautelare e sul giudizio direttissimo «obbligatorio» ha invece conosciuto un ridimensionamento, risultando tuttora riferibile ai soli reati di illecito reingresso. Tuttavia, alla contrazione dell’area dei reati collegati all’espulsione puniti con la pena detentiva e passibili di arresto ha corrisposto – quasi a voler rimarcare il continuum tra «penale» e «amministrativo» che caratterizza la disciplina dell’immigrazione – la dilatazione fino a diciotto mesi della durata massima del trattenimento amministrativo dell’espellendo nei centri di identificazione ed espulsione.
1 C. giust. UE, 28.4.2001, C-61/11, in Guida dir., 2011, n. 20, 17.
2 Sul tema, cfr., Caputo, Immigrazione e procedimento penale, in Tratt. proc. pen. Spangher, vol. 7, t. I, Modelli differenziati di accertamento, a cura di Garuti, Torino, 2011, 529 ss.
3 Cfr. Gaeta, Giudizio direttissimo, in Enc. dir., Agg., IV, Milano, 2000, 660, ss.; Allegrezza, Le forme atipiche del giudizio direttissimo, Torino, 2006, 233.
4 La Corte di cassazione ha affermato che per effetto del principio di diritto stabilito dalla sentenza El Dridi si è prodotta, rispetto al delitto di cui all’art. art. 14, comma 5 ter, t.u. imm. cond. stran.,una sorta di abolitio criminis, che impone di «estendere a siffatte situazioni di sopravvenuta inapplicabilità della norma incriminatrice nazionale la previsione del’art. 673 c.p.p.» (Cass., sez. I, 28.4.2011, n. 24009, in www.penalecontemporaneo.it). Alle stesse conclusioni la Corte di cassazione è giunta con riferimento alla fattispecie incriminatrice di cui all’art. 14, co. 5 quater, t.u. imm. cond. stran. (Cass., sez. I, 28.4.2011, n. 22105, in CEDCass. 249732).
5 La novella del 2011 ha introdotto una serie di modifiche alla disciplina di cui al d. lgs. n. 30/2007 (Attuazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri), nonché la nuova formulazione dell’art. 183 disp. att. c.p.p., che ha precisato la portata della disciplina dell’esecuzione della misura di sicurezza dell’allontanamento del cittadino di uno Stato membro dell’Unione europea e di un suo familiare.