Il modello Tunisia
La ‘primavera tunisina dei gelsomini’ non ha ceduto il passo al temuto ‘inverno’, anche grazie alla nuova Costituzione frutto della mediazione tra laici e islamici. Il futuro del paese è legato al sostegno internazionale: occorre dare risposta alle attese dei giovani, terreno di coltura del terrorismo.
A più di 4 anni dall’evento che ha condotto al rovesciamento del regime autoritario di Zine El-Abidine Ben Ali, il processo di costruzione della democrazia è apparso in Tunisia più efficace rispetto a quello imboccato da altri Stati dell’area, anch’essi protagonisti delle cosiddette primavere arabe.
Dopo aver affrontato una vasta gamma di sfide e di ostacoli per realizzare la transizione politica democratica, nel gennaio 2014 è entrata in vigore in Tunisia la nuova Costituzione che ha rappresentato una svolta fondamentale nel processo di democratizzazione. La sua approvazione, infatti, secondo il rapporto 2015 di Freedom House, ha consentito alla Tunisia di essere il primo paese arabo ad acquisire la qualifica di paese libero. Frutto di una mediazione nell’Assemblea nazionale costituente tra posizioni politiche distinte, la nuova Costituzione può essere classificata con l’appellativo di ‘dignitaria’, in quanto la dignità della persona è espressamente tutelata all’interno del testo. In tal senso possono essere letti alcuni articoli, come per esempio quello che ha stabilito l’uguaglianza tra uomo e donna, approvato dopo un duro confronto che ha visto fallire il tentativo dell’islam politico di stabilire la «complementarietà della donna rispetto all’uomo in seno alla famiglia». Sebbene le forti tensioni interne abbiano indotto molti analisti a sostenere la tesi di un ‘inverno tunisino’ subentrante alla tanto declamata ‘primavera dei gelsomini’, alla fine ha prevalso una posizione concordata di buon senso che riflette la matrice transculturale del paese. Una transculturalità che risale alla tradizione di riformismo avviata nel 19° secolo dal ministro Khair ad-din e alla storica presenza nel paese di persone di cultura, lingua e religione diverse.
Nonostante il traguardo raggiunto con la promulgazione della Costituzione, il partito islamico Ennahda, che aveva ottenuto la maggioranza dei voti nell’ottobre 2011, premiato come forza che si era opposta alla corruzione del passato regime, ha però perso progressivamente popolarità. Le elettorale per l’attuazione di politiche di welfare sono state infatti disattese. Ed è rimasta viva nella società civile tunisina la memoria degli omicidi politici di Chokri Belaid e Mohammed Brahmi, avvenuti nel corso del 2013 sotto il governo guidato da Ennahda, criticato da molti per l’accondiscendenza mostrata nei confronti dei movimenti salafiti. In questo contesto, la Tunisia è stata chiamata alle urne per le elezioni legislative (26 ottobre 2014) e presidenziali (doppio turno, 23 novembre e 21 dicembre 2014). Il
processo elettorale, che si è svolto nel pieno rispetto dei principi della Costituzione e del multipartitismo, ha visto la vittoria del partito laico Nidaa Tounes che ha ottenuto 85 seggi su 217 e di Beji Caid Essebsi come presidente della Repubblica tunisina. L’esito del voto non ha tuttavia prodotto una maggioranza parlamentare, tanto che nella formazione del governo capeggiato da Habib Essid sono stati coinvolti anche rappresentanti di Ennahda.
Nonostante l’impegno del nuovo governo ad affrontare la crisi economica in cui il paese è sprofondato da alcuni anni, le difficoltà continuano a essere enormi. La linea d’azione scelta dai passati governi non ha potuto impedire l’incremento della povertà e della disoccupazione che sfiora percentuali altissime.
Al malessere economico si aggiunge quello legato al problema della sicurezza, emerso drammaticamente dopo i sanguinosi attentati al Museo del Bardo nel marzo 2015 e l’attacco al resort di Port El Kantaoui a Sousse del giugno 2015 che hanno profondamente scosso il paese. In conseguenza degli attentati terroristici il comparto del turismo, già in perdita all’indomani della rivolta del 2011, ha subito una flessione considerevole (-25,7%), provocando un’ulteriore importante riduzione di posti di lavoro.
Emerge dunque un piano che, attraverso il meccanismo della paura, punta alla destabilizzazione della giovane democrazia tunisina, colpendo innanzitutto il comparto del turismo che sino a oggi era in grado di garantire 400.000 posti assorbendo il 15% della forza lavoro. Accanto al comparto turistico, l’allarme però riguarda anche le moltissime imprese straniere che operano da anni nel paese. A tal proposito ricordiamo che, tra queste, vi sono 750 aziende italiane che rappresentano all’incirca il 25% delle imprese straniere in Tunisia e per le quali, anche dopo il sanguinoso attentato del Bardo, la Tunisia ha continuato a restare un paese strategico. Una nuova crisi provocata dal terrorismo potrebbe però produrre effetti devastanti.I rischi sono concreti. Il malessere sociale ha innescato una sorta di corto circuito che ha convogliato circa 4000 giovani tunisini nella fila del jihadismo. Fra questi, molti sono quegli stessi giovani che erano scesi nel 2011 nelle piazze sia virtuali sia reali, trovando il coraggio di togliersi dalla bocca il bavaglio che troppo a lungo era stato loro imposto, di reclamare i propri diritti e lottare per la dignità. A 4 anni da quell’evento epocale, molti di essi non hanno retto alla complessità della transizione, rimanendo delusi per una condizione ai loro occhi immutata. Il sentimento di frustrazione che ne è derivato ha rinnovato così quel senso di depressione psicologica già vissuta negli anni immediatamente precedenti alla rivolta.
Abbandonati nelle periferie e sospesi sul proprio futuro, alcuni tra questi giovani rivolgono lo sguardo a organizzazioni sovversive come Daesh pensando, attraverso il jihadismo, di combattere un Occidente ritenuto complice, se non responsabile, della loro situazione di malessere. Il loro reclutamento si compie in maniera diffusa attraverso la rete costituita dai social network, dalle moschee, da alcune associazioni culturali o dalle carceri.
Per far fronte alla situazione d’instabilità sia sociale sia economica, il governo in carica sta varando misure eccezionali, come l’adozione della legge antiterrorismo promulgata il 25 luglio 2015, e ha avviato una serie di accordi economici con il FMI. A tal proposito, nel settembre del 2014 era già stato disposto un versamento del FMI pari a 217,5 milioni di dollari come nuova tranche del credito. La Tunisia si è impegnata a tagliare progressivamente la spesa pubblica del 5% del PIL per quanto riguarda i sussidi all’acquisto di carburanti, a ridurre le imposte alle società non esportatrici per rilanciare il mercato interno e ad aumentare le tasse alle società esportatrici. Il 26 agosto 2015 un comunicato stampa della missione FMI, che si è recata nel paese, ha annunciato che «negli ultimi anni, l’economia tunisina ha mostrato capacità di recupero nonostante la difficile congiuntura economica internazionale, l’impatto dei conflitti regionali, un aumento dell’insicurezza e un alto livello di tensione sociale». Prosegue affermando «di aver accolto con favore l’immutato impegno delle autorità ad attuare il loro programma economico nazionale, dopo aver completato con successo la transizione politica». Nel comunicato inoltre si «auspica di proseguire una stretta cooperazione con le autorità per il raggiungimento degli obiettivi del programma, vale a dire la stabilità macroeconomica e il raggiungimento di una crescita più forte e più inclusiva». Il FMI assicura che alla «conclusione del riesame, prevista per fine settembre 2015, saranno messi a disposizione della Tunisia 214.870.000 DT (circa 303,08 milioni di dollari)».
Nel quadro che abbiamo delineato, il fondamentale aiuto economico dovrà tuttavia essere accompagnato da un impegno politico, sociale e culturale nei confronti di quei giovani delusi che all’indomani della ‘primavera dei gelsomini’ sono diventati terreno fertile di reclutamento per il terrorismo.
Ed è necessario che l’Europa e i suoi paesi membri aiutino il paese in termini economici e supportino attraverso programmi internazionali di educazione alla cittadinanza attiva la generazione del cambiamento.
La lunga transizione dopo Ben Ali
- Dicembre 2010: Mohamed Bouazizi, venditore ambulante di prodotti ortofrutticoli, si dà fuoco a Sidi Bouzid dopo che la polizia ha confiscato la sua merce. Il suo gesto è la miccia che fa esplodere la protesta in tutto il paese contro le difficili condizioni economiche e il regime repressivo di Ben Ali. Bouazizi morirà il 4 gennaio del 2011.
- Gennaio 2011: la piazza vince. Ben Ali, presidente dal 1987, lascia il paese e si reca in Arabia Saudita. Nel mese di febbraio si dimette anche il primo ministro Mohamed Ghannouchi.
- Ottobre 2011: viene eletta l’Assemblea costituente, incaricata di redigere la nuova Carta fondamentale. Il partito islamico Ennahda conquista la maggioranza relativa dei seggi (89 su 217), seguito dal Congresso per la repubblica (29 seggi), da Petizione popolare (26 seggi) ed Ettakatol (20 seggi).
- Dicembre 2011: l’Assemblea costituente elegge Moncef Marzouki come presidente della Repubblica. Hamadi Jebali, di Ennahda, assume l’incarico di primo ministro; partecipano al governo anche il Congresso per la repubblica ed Ettakatol.
- Agosto 2012: scoppiano le proteste per una possibile compressione dei diritti delle donne nel paese. Nella bozza del nuovo testo costituzionale, le donne vengono definite «complementari» agli uomini.
- Febbraio 2013: Chokri Belaid, membro dell’Assemblea costituente e leader del Movimento dei patrioti democratici, viene assassinato. Ennahda è sotto accusa perché considerata troppo accondiscendente verso i movimenti radicali salafiti. Dopo aver cercato di formare un nuovo governo di coalizione, Jebali rassegna le sue dimissioni e viene sostituito da Ali Laarayedh.
- Luglio 2013: viene assassinato un altro membro dell’Assemblea costituente, Mohamed Brahmi, leader della forza di opposizione del Movimento popolare. Circa 60 membri
della Costituente abbandonano l’assemblea in segno di protesta. Il movimento salafita – con forti tendenze jihadiste – di Ansar al-Sharia è considerato responsabile degli omicidi di Belaid e Brahmi, e nel mese di agosto sarà dichiarato dal governo organizzazione terroristica; i lavori della Costituente saranno sospesi in attesa dell’avvio di un dialogo politico nel paese.
- Dicembre 2013: le forze impegnate nel dialogo raggiungono un accordo per la formazione di un nuovo esecutivo guidato dall’indipendente Mehdi Jomaa.
- Gennaio 2014: viene approvata la nuova Costituzione.
- Marzo 2014: il presidente Marzouki decreta la fine dello stato di emergenza, in vigore dalle proteste che nel 2011 portarono alla caduta di Ben Ali.
- Ottobre 2014: il partito secolare Nidaa Tounes si aggiudica la vittoria nelle elezioni parlamentari.
- Dicembre 2014: Beji Caid Essebsi, leader di Nidaa Tounes, sconfigge al secondo turno delle presidenziali Marzouki e diventa capo dello Stato.
- Febbraio 2015: nasce un governo di coalizione, presieduto da Habib Essid. Partecipa all’esecutivo anche il partito islamico Ennahda.
- Marzo 2015: un attentato al Museo del Bardo di Tunisi causa 24 vittime.
- Giugno 2015: un altro attentato scuote il paese: sulla spiaggia di Sousse, un uomo armato uccide 38 persone. A luglio, il presidente Essebsi dichiarerà lo stato di emergenza e il Parlamento varerà la nuova legge antiterrorismo.
- Ottobre 2015: cessa lo stato di emergenza. Il Quartetto tunisino per il dialogo nazionale viene insignito del premio Nobel per la pace.
Premio Nobel: i gelsomini per la pace
Un premio per il «decisivo contributo allo sviluppo di una democrazia pluralistica in Tunisia dopo la Rivoluzione dei gelsomini»: è quanto scrive il Comitato norvegese per il Nobel in merito all’assegnazione del prestigioso riconoscimento per la pace del 2015 al Quartetto tunisino per il dialogo nazionale. Nell’estate del 2013, la Tunisia attraversava una delle fasi più critiche del percorso di transizione successivo alla caduta del regime di Ben Ali: l’acceso dibattito sulla redazione del testo costituzionale da parte dell’Assemblea costituente – i cui lavori furono sospesi nell’agosto di quell’anno –, l’incapacità del governo guidato dal partito islamico Ennahda di dare risposta alle rivendicazioni economico-sociali che erano state alla base della rivoluzione anti-autoritaria, i concreti rischi di radicalizzazione connessi alla predicazione dei movimenti salafiti come Ansar al-Sharia – dichiarata organizzazione terroristica nel mese di agosto –, gli omicidi politici di Chokri Belaid e Mohammed Brahmi stavano segnando profondamente il paese ed evidenziavano le difficoltà del processo in corso, sempre esposto al pericolo di arrestarsi. È in questo quadro che si colloca la nascita del Quartetto, costituito da 4 organizzazioni rappresentative della società civile: l’Unione generale tunisina del lavoro (Union générale tunisienne du travail), l’Unione tunisina dell’industria, del commercio e dell’artigianato (Union tunisienne de l’industrie, du commerce et de l’artisanat), la Lega tunisina per la difesa dei diritti dell’uomo (Ligue tunisienne pour la défense des droits de l’homme) e l’Ordine nazionale degli avvocati tunisini (Ordre national des avocats de Tunisie). Costituito nell’estate del 2013, in un clima politico estremamente teso, il Quartetto è stato protagonista dell’instaurazione di un dialogo nazionale che ha garantito il raggiungimento di importanti risultati quali la formazione di una nuova Commissione elettorale, l’approvazione della Costituzione e la nascita – nel gennaio 2014 – di un esecutivo ad interim presieduto dall’indipendente Mehdi Jomaa, che ha guidato il paese alle elezioni di ottobre dello stesso anno. Il comitato norvegese ha evidenziato le peculiarità della transizione tunisina, un modello che ha dimostrato come la collaborazione tra partiti islamici e forze secolari sia possibile nel superiore interesse del paese e che gli organismi della società civile possono avere un ruolo cruciale nei processi di democratizzazione. Inoltre, è stato riconosciuto che la Tunisia sta affrontando complesse sfide a livello politico, economico e di sicurezza, come gli attentati del Museo del Bardo di Tunisi e a Sousse hanno drammaticamente ricordato: per questo, l’auspicio del Comitato è che il premio possa contribuire alla salvaguardia della giovane democrazia tunisina ed essere fonte di ispirazione per tutti coloro che promuovono la pace e la democrazia in Nordafrica, Medio Oriente e in tutto il mondo.