Il modernismo e la sua repressione
Il modernismo religioso1 d’inizio Novecento e il suo inseparabile nemico giurato, l’antimodernismo, hanno alimentato un’estesa produzione bibliografica, non solo in Italia e in Europa, ma pure negli USA2, ancora oggi in piena effervescenza. Testimoni autorevoli della storia italiana del secolo XX non hanno esitato a ricorrere all’iperbole3 per sottolineare l’importanza cruciale del fenomeno modernista sul piano della cultura e della spiritualità. Come oggetto storico definito, la crisi religiosa4 che contrappose ortodossie ecclesiali e coscienze aperte a un senso del divino capace di sostenere la sfida lanciata alle credenze tradizionali dalle nuove conoscenze scientifiche e dal sapere storico agitò tutto il corso del secolo XIX, accompagnando la dissoluzione dell’assetto socio-politico dell’ancien régime e la progressiva diffusione in alcune zone dell’Europa e del Nord America del sistema di produzione industriale. Fu però solo dopo il 1870 che gli antichi assetti apparvero definitivamente compromessi in Francia e in Italia, due nazioni – soprattutto la seconda – particolarmente segnate dalla diffusione del cattolicesimo. Non è un caso, quindi, se per stigmatizzare i pericoli derivanti dal successo della scuola storica hegeliana e di Renan e dalla messa in discussione dell’autorità sociale dei principi cristiani, il termine «modernismo» fu per la prima volta coniato in chiave polemica nel 1871, dal calvinista ortodosso olandese Abraham Kuyper; mentre fu padre Matteo Liberatore che sdoganò il termine in Italia sulle colonne de «La civiltà cattolica» del 1883, riprendendolo da Charles Périn, professore all’Università cattolica di Lovanio, nel presentarne un saggio del 1881 che intendeva mettere in guardia contro la minaccia che le dottrine di Lamennais facevano pesare sull’ortodossia cattolica e sulla cristianità5. Come crisi interna al cattolicesimo – che in Italia aveva costituito il proprio centro direttivo –, la crisi modernista, pur col pieno coinvolgimento di rilevanti personalità della cultura cattolica anglofona e tedesca, risultò così una crisi eminentemente franco-italiana. Sul contesto che preparò in Francia il precipitare della crisi si è già espresso il grande specialista transalpino in materia, Émile Poulat, che ha individuato negli sviluppi dell’affaire Loisy un momento decisivo di brusca accelerazione, nel quadro di una più generale tendenza innescatasi nel secolo XIX, ancora oggi attiva e solo occultata, perché ormai diffusa6. La sua analisi è stata poi rilanciata da Pierre Colin, che ha rintracciato nel ventennio 1893-1914 il cuore di una crisi imperniata intorno alla questione biblica dominata dal caso Loisy, ma pure dai dibattiti provocati dalla recezione della filosofia blondeliana da parte di Laberthonnière e Le Roy, che a dispetto di chi l’aveva considerata un «raffredore da fieno» ormai superato dal corpo ecclesiale7 rimane tuttora «en suspens» e anzi produce sempre nuove «résurgeances»8.
Riguardo al contesto italiano, in cui ha a lungo pesato il giudizio negativo di Giovanni Gentile sul modernismo nostrano9, lo studioso che più ha contribuito a scandagliare la specificità nazionale del fenomeno è stato certamente Lorenzo Bedeschi. Cogliendo un carattere distintivo del modernismo italiano, che a differenza di quello francese (in cui risaltano le figure di alcuni studiosi di primo piano, ma solo di una cerchia limitata di laici ed ecclesiastici, che non fecero molta presa al di là dei circoli del Sillon di Marc Sangnier) non fu un modernismo «di cattedra», ma «d’altare», Bedeschi ha opportunamente insistito sui più ampi effetti d’ordine sociale e pastorale provocati dall’impatto delle novità biblico-filosofiche in Italia, tra le classi agiate che erano state sensibili al cattolicesimo liberale, fra i giovani universitari, ma pure fra i giovani curati d’estrazione popolare, animatori di un’articolata rete di opere sociali10.
A integrazione di quanto affermato sinora, va ancora precisato che è impossibile considerare il modernismo come un movimento internazionale culturalmente omogeneo11, perché i suoi protagonisti, pur mantenendo sovente nutrite relazioni epistolari private e pur trovando spazi d’associazione pubblici e semipubblci in riviste e salotti, furono altrettanto spesso in contrasto fra loro e non riuscirono mai a concertare un’azione coerente secondo finalità prefissate, per cui il modernismo appare come un fenomeno difficilmente e solo artificialmente schematizzabile entro il quadro di un sistema teorico coerente, come quello proposto nelle prime due sezioni dell’enciclica che lo fulminò nel 1907, la Pascendi di Pio X. L’insieme di fenomeni a cui si può riferire l’espressione «modernismo cattolico» e i termini derivati comprende infatti attitudini che vanno dal rifiuto della fede teista, al semplice tentativo di rinnovare le forme intellettuali e istituzionali del cattolicesimo a partire da una conoscenza della sua storia libera da condizionamenti apologetico-agiografici, ma senza mettere in discussione l’interpretazione tramandata del dogma; così come egualmente irriducibile a un complesso uniforme di idee e di comportamenti fu la galassia dell’antimodernismo, di cui si annoverano rappresentanti tanto fra chi condivise la cultura intransigente antirivoluzionaria (e, in Italia, antirisorgimentale) del secolo XIX, quanto fra coloro che arrivarono a trovare intese e a collaborare con i progressisti e i novatori.
Sono questi i motivi che inducono a proporre un’esposizione crono-logica dell’oggetto di studio; entro i limiti di spazio a disposizione, si richiameranno quindi di seguito i termini essenziali della crisi modernista, soffermandosi solo sugli attori principali e sui suoi caratteri precipui e, più in generale, su quelli del pontificato di Pio X, che recenti lavori hanno preso in considerazione apportando notevoli contributi di carattere critico e documentario, non tutti però concordi tra loro per le valutazioni finali ricavate.
Quando l’intransigenza antiliberale venne riorientata da Leone XIII nel quadro di un progetto di riconquista integrale della società, sostenuto dalla proposta del tomismo come dottrina filosofica di riferimento, le novità intervenute sul piano della dottrina sociale e l’impulso offerto agli studi storici e scientifici favorirono iniziative che sembrarono poter mettere in discussione alcuni principi, come quello relativo all’inconciliabilità fra la Chiesa e il progresso dell’età moderna, solennemente enunciato nel Sillabo (1854)12. Alcuni dei principi tradizionali vennero però ribaditi da papa Pecci verso la fine del pontificato. Sul piano degli studi storico-biblici, con l’enciclica Providentissimus (1893)13; con la lettera Testem (1899) Leone XIII intervenne per condannare l’«americanismo»14, irregimentando la libertà relativa alle disposizioni dottrinali e disciplinari del magistero e, fra l’altro, le modalità di confronto pubblico con i non-cattolici15; infine, sul piano della dottrina sociale, con l’enciclica Graves de communi (1901), per impedire la diffusione fra i cattolici dell’ideale democratico sul piano politico, limitandone la realizzazione a quello dell’azione sociale. È in questi anni che si andò così profilando il contrasto fra i cattolici che, con più o meno rigore, ancora identificavano il paradigma dell’intransigenza come proprio programma di riferimento e coloro che avevano creduto di poter tradurre le aperture manifestate da Leone XIII nel senso di una più ampia adesione ai risultati e ai metodi della ricerca conseguiti dalle scienze storico-critiche, d’essere autorizzati a interpretare la lezione tomista come semplice modello orientativo (esemplare per un positivo confronto con la cultura ambiente, più che come una riserva da cui trarre contenuti e argomenti vincolanti)16 e di poter elaborare un programma politico democratico, atto a risolvere i problemi conseguenti al consolidarsi del sistema economico industriale su base capitalista.
Verso la fine del 1893, proprio a seguito dei contrasti che avevano indotto alla pubblicazione della Providentissimus, il giovane professore di Sacre scritture dell’Institut catholique di Parigi, Alfred Loisy fu allontanato dall’insegnamento, senza dover però rinunciare allo studio e alla pubblicazione delle ricerche. L’esegeta francese già contava in Italia vari lettori e ammiratori, pure a Roma17, fra cui padre Giovanni Genocchi18.
All’inizio del 1902 intervennero in Italia le istruzioni della Congregazione per gli affari ecclesiastici straordinari finalizzate a ricompattare l’azione dei cattolici nel campo sociale, sottraendola alle tentazioni politiche del giovane leader don Romolo Murri19. In Francia le posizioni dei conservatori, tanto sul piano biblico e filosofico, che su quello della dottrina sociale, furono avallate dal vescovo di Nancy, Charles-François Turinaz; questi, sempre all’inizio del 1902, pubblicò un opuscolo sui Périls de la foi et le clergé de France, a cui assicurò un’ampia diffusione (ottenendo l’approvazione di circa un terzo dell’episcopato francese), pure oltre i confini nazionali e a Roma, dove fu apprezzato dal giovane sottosegretario della Congregazione del concilio,Gaetano de Lai20. L’iniziativa di Turinaz non ebbe successo sul piano politico, ma galvanizzò gli ambienti conservatori francesi sul piano dottrinale, fra cui il nunzio a Parigi,Benedetto Lorenzelli21. In Italia, il patriarca di Venezia, Giuseppe Sarto, si era intanto mostrato fra i più agguerriti oppositori del programma murriano22.
Nel 1902, in un’atmosfera carica di tensioni, in cui si andavano già delineando schieramenti contrapposti, due eventi segnarono un punto di svolta e l’avvio della fase acuta della crisi modernista. Ad agosto, a San Marino, Murri pronunciò un discorso passato alla storia, rivendicando l’autonomia politica per i cattolici e insieme la necessità di rinnovarne profondamente la cultura, subendo un pubblico richiamo da parte del cardinal vicario di Roma23. A novembre uscì a Parigi il primo ‘libretto rosso’ di Loisy, L’évangile et l’église – concepito come risposta polemica alle tesi del protestante Adolf Harnack –, a cui l’immediata condanna episcopale conferì una pubblicità che ne avrebbe progressivamente assicurato un vasto successo. Tra gli ammiratori italiani dell’esegeta francese ci fu chi non si limitò a esprimere la propria personale vicinanza. Il consultore della Pontificia commissione biblica, docente di sacre Scritture della Gregoriana nonché consultore dell’Indice, Enrico Gismondi, arrivò a sostenere ripetutamente Loisy nel corso del contrastato processo avviato a Roma24. Il barnabita Giovanni Semeria sarebbe invece intervenuto in difesa di Loisy con una serie di articoli apparsi anonimi sulle «Annales de philosophie chrétienne», appena dopo la messa all’Indice delle sue opere. Già allontanato da Roma per le sue opinioni, Semeria aveva fondato a Genova una scuola di studi religiosi a cui diede il proprio contributo il barone von Hügel; ma la sua influenza andò al di là delle cerchie intellettuali del capoluogo ligure, divenendo egli, insieme con Murri, un punto di riferimento per i gruppi della Fuci (Federazione universitaria cattolica italiana) in Toscana, a Torino e a Roma, oltre che per il presidente nazionale, Mario Augusto Martini25.
Molto probabilmente la procedura censoria a carico del Loisy si sarebbe egualmente conclusa con una condanna anche se papa Pecci fosse sopravvissuto oltre il luglio del 1903, ma certamente l’ascesa alla cattedra di Pietro del patriarca di Venezia impresse una svolta decisiva al processo censorio romano contro l’opera diLoisy, di cui cinque testi furono messi all’Indice già alla fine del dicembre 1903. Avallando poi la richiesta dei cardinali francesi, perché venissero solennemente condannati gli errori formulati da Loisy, Pio X aprì il lungo processo coronato soltanto nel 1907 dalla pubblicazione del decreto Lamentabili e dell’enciclica Pascendi, per effetto dei contrasti e delle resistenze intervenuti fra gli stessi membri delle congregazioni dottrinali romane26.
Le speranze che accompagnarono l’inizio del nuovo pontificato, autorizzate essenzialmente dalla differenza d’immagine pubblica e di stile di vita fra il nuovo papa ‘spirituale’, di umili origini e l’aristocratico papa ‘politico’ suo predecessore27, durarono, com’è stato osservato28, «lo spazio di un mattino». Sin dal 1904, infatti, Pio X predispose un ampio programma di ricognizione dell’azione pastorale in Italia e di riorganizzazione del sistema di formazione ecclesiastico (due capisaldi nell’impianto del cattolicesimo tridentino insieme alla preoccupazione catechetica, anch’essa molto viva nel pontefice), in cui si andò affermando il criterio selettivo della discriminante antimodernista. L’azione intrapresa culminò con la riforma dei seminari e della curia pontificia nel 1908, che estese le competenze inquisitorie della Congregazione dell’Indice e che consentì a Gaetano De Lai, quale segretario della Concistoriale, di occupare un ruolo influente e d’intervenire energicamente nell’azione di controllo e di disciplinamento dell’episcopato italiano e, in generale, degli studi religiosi29. La razionalizzazione funzionale delle istituzioni ecclesiali, assecondata pure dal progetto avviato nel 1904 di procedere alla codificazione del complesso delle norme canoniche30, è un altro aspetto significativo dell’impulso accentratore impresso da papa Sarto31 che, senza venir meno alla riaffermazione dei principi dell’intransigenza nei confronti del Regno d’Italia32, operò per un calcolato allentamento del non expedit, secondo criteri d’opportunità pratica, sostenendo l’alleanza clerico-moderata in senso antisocialista.
Prima che l’azione repressiva dell’errore dottrinale tornasse in primo piano, nel 1904 si affacciò al dibattito pubblico quello che sarebbe stato il più significativo rappresentante del modernismo in Italia, Ernesto Buonaiuti. Docente di storia ecclesiastica all’Apollinare, Buonaiuti si distinse per alcuni articoli sulla nuova apologetica di ispirazione blondeliana; presto credette di scorgere nelle tesi di Édouard Le Roy sul senso pratico dei dogmi uno sviluppo coerente delle posizioni di Blondel e si interessò alla filosofia pragmatista, individuandovi, con originale eclettismo, la base teorica utile a spiegare l’essenziale dimensione collettiva dello sviluppo storico delle credenze cristiane presentato da Loisy. Nel 1906 vennero le prime critiche de «La civiltà cattolica», a cui fecero seguito le dimissioni dall’insegnamento e un impiego all’archivio della Congregazione della visita apostolica33.
La pubblicazione nel gennaio del 1906 di un testo anonimo di George Tyrrell sul «Corriere della sera», in cui veniva negata la possibilità di pervenire a una formulazione teologica definitiva della rivelazione, privilegiando piuttosto il valore dell’esperienza storica immediata di quest’ultima maturata dal credente, provocò l’espulsione del gesuita irlandese dalla Compagnia. Ad aprile venne la messa all’Indice – per volontà diretta del pontefice34 – de Il Santo (1905), romanzo-programma di Antonio Fogazzaro e delle opere di Lucien Laberthonnière35, che con Tyrrell aveva costituito proprio il principale punto di riferimento intellettuale per il romanziere italiano e che, ispirandosi assai liberamente a L’Action (1893) di Maurice Blondel, aveva prospettato un profondo rinnovamento della teologia, alieno dal riferimento alla scolastica e incentrato piuttosto sul pensiero di Agostino e di Pascal, non senza recepire pure alcune recenti istanze del kantismo francese36. Anche nel caso del romanzo di Fogazzaro, la censura dottrinale accompagnò un grandissimo successo internazionale del libro. In quello che fu così il best seller del modernismo, ispirandosi a modelli di comportamento e figure reali, il senatore del Regno tracciò il ritratto di un santo laico, rispettoso del ruolo dell’autorità, ma personalmente impegnato a liberare l’istituzione dalle piaghe che sfiguravano il messaggio evangelico originario, da rivivere in un rapporto più schietto e immediato37. Nel maggio del 1906, il gruppo dei giovani universitari della Fuci di Roma, che aveva organizzato un pellegrinaggio nei luoghi evocati dal romanzo manifestando simpatia e solidarietà verso Fogazzaro, fu sciolto per imposizione delle supreme autorità ecclesiali38.
Intorno a Fogazzaro e al parroco di S. Alessandro, il barnabita Pietro Gazzola, si raccolse presto un gruppo di laici provenienti dall’alta borghesia e dal patriziato milanese per dare vita al principio del 1907 a «Il rinnovamento»39, che avrebbe ospitato contributi di Buonaiuti e di Tyrrell, favorevole a una trasformazione dell’autorità ecclesiale che consentisse al laicato una più piena assunzione di responsabilità. Il gruppo ne ricavò prima un ammonimento del prefetto dell’Indice e poi, alla fine del 1907, l’obbligazione a sospendere le pubblicazioni sotto pena di scomunica, ma alcuni irriducibili, come Giovanni Boine40, avrebbero continuato sulla loro strada sino al 1909.
Murri, intanto, dalle colonne di «Cultura sociale» aveva anch’egli dato ampio risalto ai dibattiti culturali in corso e, ignorando le direttive dell’autorità, nel 1905 aveva fondato la Lega democratica nazionale, senza neppure escludere possibili convergenze con i socialisti41 sul piano dell’azione politica; nell’aprile del 1907 scattò quindi la suspensio a divinis42. Don Luigi Sturzo, che dallo scorcio del secolo XIX sino al 1905 aveva seguito a Roma e poi dalla Sicilia l’azione di Murri, condividendola e ispirandosene e subendo pure gli attacchi dell’organo intransigente «La Riscossa», si allontanò dal maestro, preferendo confinare la propria attività al piano sociale e a quello della politica locale, lasciando cadere l’interesse per il rinnovamento culturale del clero43.
Sempre nell’aprile del 1907, nell’allocuzione per l’elevazione dei nuovi cardinali, che attirò l’attenzione della stampa, utilizzando una formula che sarebbe stata ripresa quasi identica nell’enciclica Pascendi,Pio X mise in guardia contro ‘il crocevia di tutte le eresie’ e contro i ‘ribelli’ che svuotavano i dogmi del loro senso tradizionale e pretendevano comunque di continuare a far parte della Chiesa. L’onda della repressione antimodernista era ormai sul punto di infrangersi con tutta la sua potenza. Un altro tenore della stampa intransigente come «L’unità cattolica» non perse occasione per avviare una campagna contro il pericolo modernista individuato in un convegno femminista promosso a Milano, con l’avallo dell’arcivescovoAndrea Carlo Ferrari, da Adelaide Coari e Antonietta Giacomelli44. La Giacomelli, nipote di Rosmini, venne pure attaccata per i suoi scritti di pietà e per i testi letterari in cui faceva eco l’esperienza di ricerca di una spiritualità che superasse gli steccati confessionali nell’impegno sociale, maturata da protagonista a Roma, nell’Unione per il bene, durante l’ultimo decennio del secolo XIX, insieme a Fogazzaro, Semeria, a Giulio Salvadori, a Egilberto Martire e al tolstojano don Brizio Casciola.
A maggio del 1907, il superiore del seminario di Perugia, l’esegeta biblico Umberto Fracassini, fu rimosso dall’incarico per aver consentito la diffusione fra i giovani accoliti delle idee di Loisy, Semeria e Murri.
A metà luglio fu reso pubblico da «L’osservatore romano» il decreto Lamentabili del Sant’Uffizio. Non vi si faceva menzione esplicita di «modernismo» e anzi, il documento degli inquisitori, grazie all’impegno di diversi membri moderati della Congregazione45 – fra cui spicca la figura del teologo della corte pontificia, il domenicano Alberto Lepidi – oltre a riaffermare alcuni principi teologici ampiamente condivisi si limitò, come si è detto, a squalificare soprattutto le opinioni di Loisy, quelle di Le Roy sul valore pratico dei dogmi e l’idea ricavata forzando opinioni espresse da monsignor Mignot (arcivescovo di Albi e amico di Loisy)46 al seguito di Tyrrell, secondo cui l’ecclesia docens avrebbe dovuto conformarsi alle indicazioni provenienti dall’ecclesia discens (prop. n. 6). Solo la proposizione che condannava la tesi che la rivelazione era proseguita anche dopo la morte dell’ultimo apostolo (prop. n. 21) fu desunta da un testo pubblicato in Italia, in forma anonima, da Francesco Lanzoni47 sulla «Rivista delle riviste per il clero» di Macerata48, che non era sfuggito all’attenzione di padre Polidori de «La civiltà cattolica». Non solo filosofi sospetti come Maurice Blondel, ma pure alcuni biblisti cattolici di spicco dell’ala progressista, attaccati per le loro opinioni relative alla storicità e all’autenticità del Pentateuco, come Marie-Joseph Lagrange in Francia e Fracassini in Italia49, giudicarono l’atto del Sant’Uffizio alla stregua di un’arma spuntata, i cui effetti inibitori per la ricerca storico-esegetica furono però rafforzati dalla serie dei tredici responsi emessi tra il 1905 e il 1914 dalla Pontificia commissione biblica50, in cui la pur combattiva pattuglia dei consultori progressisti (Gismondi, Genocchi, Amelli, Prat, Hummelauer) fu neutralizzata dal conservatorismo dei cardinali51.
Il decreto del Sant’Uffizio non menzionava dunque il «modernismo», ma secondo i commentatori de «L’Osservatore romano», in conformità alle istruzioni che contemporaneamente il segretario di stato Rafaël Merry del Val dava ai gradi intermedi della gerarchia ecclesiastica52. Così, nel corso delle polemiche intraprese in difesa del documento, il direttore del quotidiano della Santa Sede, Giuseppe Angelini, in un articolo pubblicato il 14 luglio propose un’efficace lapidaria definizione dell’errore modernista:
«il modernismo non è una scuola né una dottrina; è una tendenza, una disposizione dell’animo, per la quale si vuole contrapporre il concetto individualista e il culto dell’io all’autorità gerarchica della Chiesa e al suo insegnamento dottrinale e disciplinare. E questa contrapposizione parte dallo stesso principio e tende allo stesso fine, sia che si tratti della interpretazione dei libri sacri, sia che riferiscasi semplicemente ad un’azione che deve svolgersi sul terreno pratico, nel campo economico-sociale [...] funesto principio di non voler riconoscere ed accettare l’autorità della Chiesa, se non in quanto sia compatibile colla supremazia e coll’inviolabilità del giudizio e della coscienza individuali»53.
Sempre nel medesimo contesto polemico e, in particolare, contro Alessandro Chiappelli54, lo stesso Angelini, spalleggiato dal vicedirettore Nazareno Ignazi, avrebbe due settimane più tardi presentato il modernismo come un incoerente «laicismo cattolico o cattolicesimo laico»55.
L’enciclica diPio X contro il modernismo apparve a settembre fissando definitivamente il significato dell’eresia condannata e l’impatto emotivo, mediatico e disciplinare crebbe in una spirale di dimensioni molto ampie56. Le speranze che si potevano ancora coltivare dopo la pubblicazione del decreto di luglio di poter continuare a perseguire almeno lo svecchiamento della cultura ecclesiale lasciarono il posto ai timori, alle censure e alle autocensure, alle esclusioni e ai congedi più o meno definitivi dall’istituzione ecclesiale. Nella sezione disciplinare dell’enciclica, ricavata dalle indicazioni venute dal cardinal Vives y Tutó, si legalizzò un regime del sospetto generalizzato con l’organizzazione dei comitati di vigilanza antimodernista in ogni diocesi e si impose la figura del censore d’ufficio per le riviste cattoliche.
L’irruente protesta pubblica di Tyrrell contro l’enciclica portò immediatamente alla sua esclusione dai sacramenti. A marzo del 1908 Loisy, non avendo voluto sottomettersi al decreto e all’enciclica, fu scomunicato vitando. Salvatore Minocchi, già allievo di Gismondi in Gregoriana, dopo aver letto l’enciclica decise di sospendere le pubblicazioni di «Studi religiosi», la prima rivista italiana di esegesi biblica, da lui fondata a Firenze nel 1901, ma – venuta pure meno la protezione del cardinale Svampa a Bologna –, al principio del 1908, Minocchi incorse nella suspensio per aver negato in una conferenza il carattere storico del paradiso terrestre e del peccato originale. Minocchi avrebbe quindi abbandonato l’abito talare nel 1911, sposandosi civilmente l’anno successivo57.
Murri, che non aveva mai nascosto le proprie simpatie per il realismo tomista, maturate ai corsi di teologia in Gregoriana di Louis Billot, provò a lasciar intendere che la condanna del modernismo non lo riguardava58, sollevando così la viva reazione di Buonaiuti. La scomunica vitando arrivò lo stesso per Murri, nella primavera del 1909, quando contro il candidato che godeva dei favori della gerarchia cattolica egli era ormai sul punto d’essere eletto alla camera dei deputati59. Passato al gruppo parlamentare dei radicali, Murri si impegnò allora a difendere un’idea della laicità dello stato che non significava rinnegamento del valore dell’esperienza religiosa, a condizione però che questa venisse affrancata dall’ipoteca del controllo clericale60. La decisione di ratificare la rottura della propria appartenenza ecclesiale alienò a Murri un’ampia frazione dei suoi sostenitori fra il clero e il laicato cattolico61. Nel 1913, quindi, egli non riuscì a superare l’ostilità di un elettorato fomentato dalla gerarchia locale e dal papa stesso62, rimanendo vittima del suffragio universale appena introdotto, di cui era stato propugnatore in Parlamento.
Alla fine del 1908 iniziò la serie dei divieti episcopali alla predicazione per Semeria, subito prima d’essere attaccato in una lettera pubblica dell’episcopato piemontese approvata dal papa e poi ripetutamente dalla stampa intransigente, finendo così con l’essere allontanato in Belgio, nel 1912, per effetto dell’influenza ormai acquisita dal cardinal De Lai nella curia pontificia63. I suoi libri venivano intanto tenuti sub judicio al Sant’Uffizio, biasimandosene evidenti influenze subite dal Laberthonnière64.
Indotto dallo stesso Semeria, Buonaiuti aveva preparato una risposta immediata all’enciclica, associando solo inizialmente anche Fracassini. Il testo, intitolato Il programma dei modernisti, fu subito tradotto in francese, inglese e tedesco e benché fosse apparso anonimo, provocò l’immediata censura delle autorità ecclesiastiche; in esso si contestava (pure con toni tutt’altro che rispettosi) la validità dell’operazione compiuta dal papa, affermando invece la correttezza delle conclusioni dell’esegesi storico-critica, l’incomprensione della vera natura delle proposte teoriche formulate dai modernisti, l’esigenza di operare un rinnovamento in filosofia, una democratizzazione all’interno stesso della compagine ecclesiale, la validità della separazione della Chiesa dallo Stato e la necessità di istaurare pacifiche relazioni con le altre religioni: tutte tesi esplicitamente condannate nell’enciclica65.
Buonaiuti raccolse pure un piccolo gruppo intorno alla rivista «Nova et vetera» che, insieme alle Lettere di un prete modernista (1908), in massima parte di Buonaiuti, espresse le posizioni teologiche più radicali del modernismo italiano, arrivando a proporre un’interpretazione dei dogmi confliggente con l’ortodossia e avallando l’idea che l’azione religiosa escatologicamente ispirata avrebbe potuto trovare compimento confluendo nel movimento socialista. Persino Tyrrell non poté seguire Buonaiuti su questo terreno, mentre Guglielmo Quadrotta, un laico del gruppo radicale di Buonaiuti, chiese pubblicamente di aderire come cattolico al Partito socialista, senza ottenerne l’autorizzazione dai responsabili politici della formazione66.
Le confessioni di uno dei membri del suo gruppo indussero però presto Buonaiuti ad assumere un profilo più misurato, confinato alla direzione della «Rivista storico-critica di scienze teologiche» e le autorità romane a indagare sul suo conto e a vigilare sulle sue pubblicazioni. L’apparizione dei Saggi di filologia e di storia del Nuovo Testamento (1910) attirò un attacco ad personam di padre Enrico Rosa de «La civiltà cattolica», che sarebbe stato il più implacabile nemico pubblico di Buonaiuti, accusato in quella circostanza d’essere l’autore del Programma e delle Lettere67. La «Rivista storico-critica», i Saggi di filologia e i testi di alcuni collaboratori di Buonaiuti vennero condannati all’Indice nel settembre del 1910, il periodico venne soppresso eBuonaiuti si sottomise. La guardia nei suoi confronti sarebbe rimasta alta e, nell’agosto del 1914, fu messo all’Indice, ancora allo stato manoscritto, il resoconto di un viaggio in Irlanda redatto con l’amico Nicola Turchi, in cui i consultori Giovanni Lottini e Francesco Borgoncini Duca avevano notato assenza di riferimenti al sovrannaturale nell’esposizione della storia religiosa irlandese68.
Proprio la preoccupazione suscitata dall’attività di Buonaiuti e dei suoi collaboratori indusse gli inquisitori a un progetto inedito nella storia della Chiesa: imporre un giuramento contro gli errori del modernismo al clero secolare, ai responsabili di cura d’anime e d’insegnamento. Anche in questa circostanza le posizioni dei curiali rigoristi, come Louis Billot e Willem van Rossum, che volevano proporre il giuramento come vera e propria regula fidei, furono sconfitte dalla maggioranza degli inquisitori; per cui al giuramento, introdotto nel settembre del 1910 col motu proprio pontificio Sacrorum antistitum, si conferì solo un valore disciplinare, cosa che spiega l’elasticità con cui esso sarebbe stato imposto per mezzo secolo, sino alla sua sostituzione69.
Dopo le condanne dottrinali e la scomunica diMurri, in Francia si attizzò lo scontro intorno al ‘modernismo sociale’. Nel 1910 il papa intervenne efficacemente affinché, nel dar seguito all’impegno politico-sociale che lo aveva portato a collaborare con i socialisti, Marc Sangnier recidesse i rapporti con la Chiesa70. Nel 1914, Pio X decise poi di sospendere la pubblicazione della condanna all’Indice – faticosamente decretata – di alcune opere dell’ateo antisemita Charles Maurras, che trovava ampio seguito fra i cattolici monarchici francesi, pure nella curia romana71 e contro cui si era levato Lucien Laberthonnière colpito, invece, nel 1913, dal divieto assoluto di pubblicazione.
In Italia, il papa incoraggiava ufficialmente la pattuglia della stampa intransigente, esigua per numero di lettori, contro quella cattolico-liberale, ben più influente, raccolta nel trust del conte Giovanni Grosoli, accusata dalla prima di «semi-modernismo» o di «modernizzantismo»72. Pio X si limitò a moderare gli istinti censori degli ultrapapisti, come il carmelitano Paolo de Töth – che godette pure della stima e dell’appoggio del gesuita Guido Mattiussi, imposto dal pontefice alla Compagnia per la successione nell’insegnamento in Gregoriana a Louis Billot, elevato al cardinalato nel 1911 –, o come Giovanni Boccardo de «La Liguria del popolo» e i fratelli Scotton de «La Riscossa» di Breganze, che attaccavano scompostamente rilevanti personalità dell’episcopato. Ne fece le spese nel 1911 l’arcivescovo Ferrari di Milano che, subita l’ennesima visita apostolica, dovette allontanare il superiore del proprio seminario73. D’altronde, non mancarono membri dell’episcopato che fecero ancor più duramente le spese del potere assunto a Roma dal cardinal De Lai: furono dimissionati Dario Matteo Gentili, arcivescovo di Perugia (1910) e Antonio Maria Contini, vescovo di Ampurias e Tempio (1914).
Nel settembre del 1911 venne la circolare di De Lai, che, aprendo la strada alla successiva messa all’Indice del gennaio del 1912, vietò la consultazione nei seminari74 de l’Histoire ancienne de l’église di Louis Duchesne75, maestro di Loisy, direttore dell’École française de Rome, a cui fu soprattutto rimproverato di aver trattato dell’origine apostolica della Chiesa di Roma senza riferimenti al sovrannaturale. Con lo stesso decreto vennero messi all’Indice i tre volumi del manuale di pietà di Antonietta Giacomelli, Adveniat regnum tuum76. L’opera condannata auspicava il rinnovamento delle pratiche liturgiche e, per esempio, l’adozione del vernacolo e la declamazione in forma collettiva del Pater per favorire una più diretta partecipazione dei fedeli. Già privata dei sacramenti dal vescovo di Treviso con l’approvazione del papa77, ritrovando la vena ecumenica dell’Unione per il bene, in Per la riscossa cristiana (1913) la Giacomelli augurò l’avvento di una «chiesa cattolica apostolica evangelica» e pure questo volume fu immediatamente posto all’Indice78.
Del resto, proprio grazie a due riviste d’ispirazione evangelica, «Coenobium» (1906-1919) e «Bilychnis» (1912-1931), finalizzate alla creazione di una nuova coscienza religiosa nazionale più che a propagare la fede riformata79, avrebbero potuto continuare a far sentire la propria voce nell’agone pubblico sia alcuni laici che simpatizzavano per le idee moderniste (Angelo Crespi, Gennaro Avolio80, Luigi Salvatorelli81), sia chi allo stato laicale era ritornato: Murri, Minocchi, Mario Rossi, Antonino De Stefano, Giovanni Pioli82. Buonaiuti, coperto da pseudonimo, pubblicò nel 1911 su «Rivista cristiana» un invito ai protestanti a superare il settarismo e a convergere contro gli abusi del Vaticano con i modernisti, definiti «protestanti cattolici», in coerenza col programma di originali personalità evangeliche come Ugo Janni. Così, il gusto e le passioni ecumeniche furono rilanciati per un effetto obliquo della reazione antimodernista.
È noto che uno dei punti che richiesero un esame supplementare per arrivare a concludere nel 1954 il processo di canonizzazione di papa Sarto riguardò le relazioni da lui intrattenute con monsignor Umberto Benigni. Maestro e predecessore di Buonaiuti sulla cattedra di storia ecclesiastica dell’Apollinare, dal 1906 questi organizzò da Roma un’efficace rete informativa estesa in vari paesi europei, trovando finalmente nel cardinal De Lai il più sicuro riferimento all’interno della curia piana. Benigni ebbe successivamente pure la possibilità di dar vita a un (esiguo) gruppo internazionale di informatori e propagandisti segreti, il sodalizio di San Pio V, per contrastare il modernismo (prendendo, fra l’altro, di mira i Mariaviti polacchi e l’arcivescovo di Parigi, monsignor Amette, accusato di transigere con gli erranti, come Laberthonnière)83. Incarnazione esemplare del modernista antimodernista, Umberto Benigni, pur non arrivando a ottenere pieno e definitivo riconoscimento canonico per il sodalizio, ricevette incoraggiamento e sostegno materiale dal papa, che non esitò a ricorrere ai suoi servizi e che se lo trovò al fianco nel corso dell’ultima campagna antimodernista, intrapresa contro il parere dei Gesuiti de «La civiltà cattolica», schierati per l’‘ipotesi’ della legittimità dei sindacati aconfessionali, maggioritari in Germania fra i cattolici e che furono infine autorizzati84.
Uno degli ultimi documenti firmati da Pio X fu quindi il motu proprio del 29 giugno del 1914, in cui, richiamando le disposizioni già formulate nel Sacrorum antistitum del 1910, affinché fossero evitati gli errori del materialismo, del monismo, del panteismo e del modernismo, il papa raccomandò l’insegnamento nelle scuole cattoliche e nei seminari della filosofia tomista, che padre Mattiussi avrebbe ridotto in ventiquattro tesi, emanate il mese successivo dalla Congregazione degli studi85.
Se dunque il titolo di «martello dei modernisti»86 fu ben meritato dal pontefice, proprio come nello studio del modernismo, anche nel valutare il pontificato diPio X non bisogna cedere a eccessive generalizzazioni, riproducendo opposizioni schematiche; perché se è vero che, intimamente convinto della sovrumanità del proprio mandato, il papa ebbe importanti responsabilità nell’azione di repressione del modernismo, neppure bisogna pensare, come ha ampiamente mostrato la preziosa pubblicazione dei documenti più significativi della sua ‘segreteriola’ privata, che egli non si sia reso conto dell’urgenza di adattamenti e di riforme anche profonde. Del resto, proprio nell’enciclica Pascendi, in cui si difendeva il culto delle reliquie e delle pie tradizioni, il papa non mancò di raccomandare ai vescovi di vigilare sulle credenze popolari in merito e di scartare i falsi. In essa papa Sarto prospettò pure l’istituzione di un nuovo organismo finalizzato a promuovere gli studi religiosi87; il proposito si rivelò solo un’aspirazione velleitaria, perché il tentativo di realizzarlo fu portato avanti coinvolgendo personalità troppo disomogenee88. Pio X sostenne poi il progetto dei Gesuiti di creare un’istituzione che conferisse una formazione biblica adeguata alla élite intellettuale del clero, il Pontificio istituto biblico; questo, fondato nel 1909 e diretto da un biblista conservatore, Leopold Fonck, comunque annoverò nei primi anni d’esistenza, sia pure in un ruolo certamente di secondo piano, una personalità dello spessore di Enrico Gismondi89; lo stesso padre Fonck dovette poi difendere energicamente il valore degli studi esegetici messo in discussione dal suo confratello Billot90. Già nel 1907 era stato conferito il compito di preparare una versione critica della Vulgata all’Ordine benedettino (preferito alla congregazione dei Barnabiti, troppo compromessa col modernismo) e del resto, in una lettera del 14 ottobre 1911 aGeremia Bonomelli, che gli aveva chiesto moderazione nelle disposizioni contro il modernismo, lo stesso papa dichiarò di saper distinguere «benissimo il moderno, frutto di studi seri e di ricerche diligenti, dal modernismo, [...] l’errore [...] ben più micidiale di quello dei tempi di Lutero, perché mira direttamente alla distruzione non della Chiesa soltanto, ma del cristianesimo»91. Un esempio rivelatore del senso del ‘moderno’ fatto proprio da papa Sarto è quindi da cogliere nel tentativo da lui perseguito, ma fallito per l’opposizione finale dei vertici della Congregazione dell’Indice, di procedere a una semplificazione funzionale, in senso chiaramente antigarantista, delle pratiche di procedura censoria92.
Le riforme modernizzatrici di Pio X – in tutto refrattario alle istanze di rinnovamento culturale sotto il profilo filosofico-teologico –, strutturando la Chiesa che avrebbe affrontato la statualità totalitaria, risultarono interamente ispirate a quello che in buona sostanza fu un tridentinismo aggiornato secondo criteri omologanti e accentratori. La repressione del modernismo guidata da papa Sarto e dai suoi più stretti collaboratori fu così determinante, da un lato, per raggiungere la disarticolazione del variegato campo modernista – con l’approdo al campo anticlericale di alcuni fra coloro che avevano vestito l’abito talare (come il leader democratico cristiano Romolo Murri o come gli amici di Buonaiuti: De Stefano, Rossi e Pioli), mentre altri ripiegarono sulla cura d’anime (Semeria, Mari e Luigi Piastrelli) – e dall’altro, per federare il campo antimodernista, andato soggetto a forti frizioni al suo interno fra i nostalgici dell’intransigentismo d’ancien régime (come il teologo, cardinale curiale Billot), i fautori del più assoluto integralismo romano (De Lai, Benigni) e i pur numerosi partigiani di un controllato adattamento del paradigma intransigente alle emergenze storiche incombenti (capeggiati da Gasparri)93.
1 Si adotta il sintagma ‘modernismo religioso’, preferendo quest’ultimo aggettivo ad altri, perché, da un lato, possiede il vantaggio di permettere una distinzione col modernismo artistico-letterario, che copre un’ampia fenomenologia di forme culturali sbocciate dalla fine dell’Ottocento sino agli anni Trenta del secolo XX, soprattutto nel mondo anglosassone e in quello iberoamericano, dall’altro, perché il sintagma adottato consente di non obliterare il carattere ecumenico e interreligioso che presentò il fenomeno modernista; il modernismo cattolico, di cui si traccerà qui un breve profilo relativo alla realtà italiana, suscitò infatti interesse, simpatia e partecipazione anche presso diverse personalità del cristianesimo riformato e di cultura ebraica (su quest’ultimo punto cfr. A. Cavaglion, Il modernismo ebraico, in Il modernismo tra cristianità e secolarizzazione, a cura di A. Botti, R. Cerrato, Urbino 2002, pp. 185-198).
2 Negli Stati Uniti si segnalano le attività del Roman Catholic Modernism Group presso l’American Academy of Religion, che organizza incontri annuali di cui vengono pubblicati gli atti; in Francia è attiva dal 2002 una Société Internationale d’Études sur Alfred Loisy (dotata di un sito web: http://alfred.loisy.free.fr/); in Italia, presso l’Università degli Studi di Urbino, è attiva la Fondazione Romolo Murri, fondata nel 1989 da Carlo Bo e da Lorenzo Bedeschi, già promotore presso la stessa Università del Centro studi per la storia del modernismo (http://www.uniurb.it/ fmurri/piano_sito.htm).
3 Cfr. G. Levi Della Vida, Fantasmi ritrovati, a cura di M.G. Amadasi Guzzo, F. Tessitore, Napoli 2004, p. 111: «il fenomeno del modernismo [...] è stato un episodio d’importanza immensa nella storia della Chiesa».
4 L’uso del sintagma «crisi modernista», ricorrente già nella voce Modernismo redatta da Mario Niccoli nel 1934 per l’Enciclopedia italiana, si è affermato dopo i lavori pioneristici di P. Scoppola (Crisi modernista e rinnovamento cattolico in Italia, Bologna 1961) e soprattutto dopo quello di É. Poulat (Histoire, dogme et critique dans la crise moderniste, Castermann, Paris 1962), in riferimento alle dispute dottrinali ed ecclesiologico-politiche tra la fine del pontificato di Leone XIII e quello di papa Sarto, in modo da poter allargare l’orizzonte dell’indagine storica oltre il campo definito dell’eresia identificata da Pio X come «modernismo», a tutto l’articolato contesto storico-culturale e religioso coevo, la cui complessità sfuggirebbe alle prese di una troppo semplicistica classificazione binaria modernismo/antimodernismo.
5 Cfr. D. Menozzi, Antimodernismo, secolarizzazione e cristianità, in Il modernismo tra cristianità e secolarizzazione, a cura di A. Botti, R. Cerrato, Urbino 2000, in partic. pp. 60-63.
6 Cfr. É. Poulat, Avant-propos à la 3e édition, in Id., Histoire dogme et critique dans la crise moderniste, Paris 1996, in partic. pp. XV-XVI e LXVII.
7 Cfr. J. Maritain Le payasan de la Garonne, Paris 1966, p. 16.
8 Cfr. P. Colin, L’audace et le soupçon. La crise du modernisme dans le catholicisme français (1893-1914), Paris 1997, pp. 495-512.
9 Cfr. M. Ranuzzi de’ Bianchi, Giovanni Gentile di fronte al modernismo cattolico, «Divus Thomas», 2, 2007, pp. 96-118. È altrettanto ben noto il giudizio espresso da don Giuseppe de Luca nella sua premessa allo studio di Angelo Roncalli su Il cardinale Cesare Baronio (Roma 1961, p. 10): «il modernismo italiano, quello romano in particolare, viveva molto di rigovernature [...]. Il nostro modernismo annoverò più preti spretati che non idee travolgenti, studi originali»; la perentorietà della formula, effetto di un’ancora poco mediata ricezione critica del fenomeno, nonostante il reale primato storico e il maggior spessore teorico dei contributi venuti dai modernisti francesi, da Tyrrell e da von Hügel, è però certamente ingenerosa e sostanzialmente ingiusta nei confronti dei contributi offerti dagli italiani.
10 Cfr. L. Bedeschi, Il movimento modernista a un secolo dalla condanna, in Il modernismo tra cristianità e secolarizzazione, a cura di A. Botti, R. Cerrato, Urbino 2002, pp. 29-30. La presa del modernismo sulla società italiana e il volume dei rapporti con cui il modernismo la attraversò sono state documentate dall’opera monumentale intrapresa dallo storico ravennate presso il Centro studi per la storia del modernismo, da lui fondato all’Università di Urbino, con la pubblicazione, avviata nel 1972 e proseguita per un trentennio, dei volumi «Fonti e documenti», che hanno scandagliato le realtà di Roma, della Lombardia, della Liguria, del Piemonte, della Toscana, dell’Umbria, delle Marche, della Sicilia.
11 Cfr. M. Guasco, Dal modernismo al Vaticano II. Percorsi di una cultura religiosa, Milano 1991, pp. 52-53. Una conferma storica del carattere tutt’altro che omogeneo del modernismo si può trovare nel fallimento del famoso convegno di Molveno dell’agosto del 1907, appena prima, cioè, della pubblicazione della vigorosa enciclica Pascendi, quando venne alla luce la spaccatura fra Buonaiuti e gli altri convenuti (cfr. M. Guasco, Modernismo. I fatti, le idee, i personaggi, Cinisello Balsamo 1995, pp. 150-156).
12 Cfr. F. Malgeri, s.v. Leone XIII, in Enciclopedia dei papi, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, III, 2000, pp. 575-593.
13 Cfr. F. Beretta, Mgr. D’Hulst et la science chrétienne. Portrait d’un intellectuel, Paris 1996.
14 Cfr. O. Confessore, L’americanismo cattolico in Italia, Roma 1984; D. Saresella, Cattolicesimo italiano e sfida americana, Brescia 2001, pp. 21-118.
15 Cfr. ASS, XXXI, 1898-99, pp. 470-479.
16 Tale prospettiva fu in particolare preconizzata dal filosofo Léon Ollé-Laprune, in L. Ollé-Laprune, Ce qu’on va chercher à Rome, Paris s.d. (1895). Sull’importanza di Léon Ollé-Laprune per la filosofia francese e in particolare per la formazione di Maurice Blondel, cfr. S. D’Agostino, Dall’atto all’azione. Blondel e Aristotele nel progetto de L’Action (1893), Roma 1999, pp. 93-121.
17 Cfr. a riguardo M. Guasco, Alfred Loisy in Italia, Torino 1975.
18 Su Genocchi cfr. F. Turvasi, Giovanni Genocchi e la controversia modernista, Roma 1974; Jo. Ickx, Giovanni Genocchi e la censura romana sotto Benedetto XV, in “In wilder zügelloser Jagd nach Neum”. 100 Jahre Modernismus und Antimodernismus in der katholischen Kirche, hrsg. von H. Wolf, J. Schepers, Paderborn 2009, pp. 117-130.
19 P. Giovannini, Santa Sede, vescovi e Opera dei congressi di fronte alla prima democrazia cristiana (fino all’Istruzione, 1902), «Storia e problemi contemporanei», 28, 2001, pp. 111-142.
20 Su De Lai cfr. G. Vian, Gaetano De Lai, zelante collaboratore di Pio X nella repressione antimodernista, in “In wilder zügelloser Jagd nach Neum’’, hrsg. von H. Wolf, J. Schepers, cit., pp. 451-472.
21 Cfr. G. Losito, L’«affaire» Loisy entre la France et Rome: mentalités et pratiques des antimodernistes français, in La Censure d’Alfred Loisy (1903). Les documents des Congrégations de l’index et du Saint Office, a cura di C. Arnold, G. Losito, Roma 2009, pp. 74-82.
22 Cfr. Romolo Murri nella storia politica e religiosa del suo tempo, a cura di G. Rossini, Roma 1972, pp. 157, 318-319.
23 Cfr. M. Guasco, Modernismo, cit., p. 68.
24 Cfr. C. Arnold, Le cas Loisy devant les Congrégations romaines de l’Index et de l’Inquisition (1893-1903), in La Censure d’Alfred Loisy, a cura di C. Arnold, G. Losito, cit., pp. 18-52.
25 Cfr. Lettres romaines, «Annales de philosophie chrétienne», CXLVII, gennaio, febbraio e marzo 1904, pp. 349-359, 473-488, 601-620. Per l’attribuzione del testo al Semeria, cfr. L. Bedeschi, F. Aronica, Lettere Romane. Un testo pirata del modernismo italiano (1906), Urbino 2000. Sulla Federazione universitaria cattolica italiana e il suo presidente nazionale, Mario Augusto Martini, costretto nell’aprile del 1907 a dimettersi dall’incarico per quelle che furono individuate come simpatie moderniste e per aver cercato di difendere l’autonomia dell’associazione rispetto alle mire di controllo della gerarchia ecclesiale, cfr. M.C. Giuntella, La FUCI tra modernismo, Partito popolare e fascismo, Roma 2000, pp. 30-31, 40-42.
26 Cfr. C. Arnold, Antimodernismo e magistero romano: la redazione della Pascendi, «Rivista di storia del cristianesimo», 2, 2008, pp. 345-364.
27 Cfr., per esempio, la rubrica intitolata Lettres d’Italie, pubblicata nel numero del 2 novembre 1903 del più autorevole quotidiano francese dell’epoca: «Le Temps».
28 L. Bedeschi, Il modernismo italiano. Voci, cit. p. 33, n. 28.
29 Su tutto questo cfr. G. Vian, La riforma della Chiesa per la restaurazione cristiana della società. Le visite apostoliche delle diocesi e dei seminari d’Italia promosse durante il pontificato di Pio X (1903-1914), 2 voll., Roma 2001.
30 C. Fantappié, Chiesa romana e modernità giuridica, 2 voll., Milano 2008.
31 Altri significativi esempi delle attitudini modernizzatrici di papa Sarto, di cui andrebbe approfondito lo studio, sono attestati dal suo impegno a sviluppare un efficace sistema di comunicazione delle decisioni curiali attraverso l’istituzione degli Acta apostolicae sedis, con l’abbandono progressivo del vecchio metodo di affissione dei manifesti di condanna delle congregazioni dottrinali alle porte delle basiliche nella città di Roma, che incontrava la stessa opposizione dei parroci (su questo cfr. C. Arnold, Le cas Loisy devant les Congrégations, cit., p. 15 n. 27) e, soprattutto, l’avallo offerto dal pontefice e dal suo entourage più conservatore (Merry del Val, Vives y Tutó) allo sviluppo e alla diffusione del cinema di soggetto religioso, che avrebbe costituito una potente macchina di propaganda omologante di una ingenua mentalità antimodernista, nel tradizionale quadro – anche qui – tridentino della catechesi per immagini, che nel 1912 il cardinal De Lai sarebbe intervenuto a disciplinare vigorosamente, ma solo nella pratica d’uso (cfr. AAS, IV, 1912, p. 724).
32 A.M. Dieguez, S. Pagano, Le carte del sacro tavolo, cit., pp. 685-852.
33 Cfr. A. Zambarbieri, Il cattolicesimo tra crisi e rinnovamento. Ernesto Buonaiuti ed Enrico Rosa nella prima fase della polemica modernista, Roma-Brescia 1979, pp. 167-296.
34 Cfr. C. Arnold, Kleine Geschichte des Modernismus, Freiburg-Basel-Wien 2007, p. 32.
35 Sull’oratoriano francese, cfr. L. Pazzaglia, Educazione religiosa e libertà umana in Laberthonnière. 1880-1903, Bologna 1973; Id., Rinnovamento religioso ed esigenze educative in Laberthonnière, Milano 2005; G. Losito, Cristianesimo e modernità. Saggio sulla formazione del personalismo di Laberthonnière, Napoli 1999; Id., Il confronto Blondel-Laberthonnière alla luce della recente riflessione filosofica e teologica sull’azione, in Il nichilismo alla sfida della sostenibilità nel mondo civile, a cura di G. Limone, Milano 2008, pp. 397-413; Id., Lucien Laberthonnière, le “Annales de philosophie chrétienne” e l’enciclica Pascendi, in La condanna del modernismo, cit., pp. 137-174.
36 Cfr. G. Losito, Lucien Laberthonnière. Doctor caritatis o “augustinien fourvoyé”?, in Interiorità e persona. Agostino nella filosofia del Novecento, 2, Roma 2001, pp. 43-64.
37 Cfr. P. Marangon, Il modernismo di Antonio Fogazzaro, Napoli 1998.
38 Cfr. M.C. Giuntella, La FUCI tra modernismo, Partito popolare, cit., pp. 45-47.
39 Cfr. in proposito F. Chiappetti, «Il rinnovamento»: “una rivista di coscienza dedicata ai fratelli della nostra anima”, in La riforma della Chiesa nelle riviste religiose di inizio Novecento, a cura di M. Benedetti, D. Saresella, Milano 2010, pp. 177-198.
40 Cfr. in proposito il contributo di G. Tuccini, Voce del silenzio, luce sul sentiero. Giovanni Boine negli anni de «Il rinnovamento», nel volume in preparazione da parte dell’ Istituto della Enciclopedia Italiana, che raccoglierà gli Atti del Convegno su La crisi modernista nella cultura europea, Roma, 21-22 aprile 2005.
41 Sui rapporti fra R. Murri e i socialisti, si veda D. Saresella, Romolo Murri e il movimento socialista 1891-1907), Urbino 1994.
42 Cfr. M. Guasco, Il caso Murri. Dalla sospensione alla scomunica, Urbino 1978.
43 Cfr. L. Bedeschi, La corrispondenza inedita fra Sturzo e Murri (1898-1906), Bologna 1972. Sturzo fu in relazione pure con Semeria, cfr. M. Pennisi, Fede e impegno politico in Luigi Sturzo. L’influsso della concezione religiosa nella prima attività politico-sociale del prete di Caltagirone, Roma 1982. Anche il giovane Alcide De Gasperi conobbe personalmente Murri, mantenendo i contatti dal Trentino irredento però solo sino al 1902, cfr. P. Pombeni, Il primo De Gasperi, Bologna 2007, pp. 58-69.
44 Cfr. P. Gaiotti De Biase, Le origini del movimento cattolico femminile, Brescia 1963, 20022 (nell’introduzione alla seconda edizione dell’opera, l’autrice ha tenuto a ricordare la propria provenienza da una laurea su Blondel all’Università di Roma, dove ebbe pure occasione di vivere il disappunto per le difficoltà incontrate da Buonaiuti nell’immediato dopoguerra).
45 Cfr. C. Arnold, Lamentabili sane exitu (1907). Il magistero romano e l’esegesi di Alfred Loisy, in La Condanna del modernismo, cit., pp. 45-81; G. Losito, La preparazione del decreto, cit.
46 Su monsignor Eudoxe-Irénée-Edouard Mignot cfr. L.-P. Sardella, Mgr Eudoxe Irénée Mignot (1842-1918). Un évêque français au temps du modernisme, Paris 2004.
47 Su di lui cfr. M. Ferrini, Cultura, verità e storia. Francesco Lanzoni (1862-1929), Bologna 2009. Com’è noto, per il Lanzoni, che pure nutrì simpatie per la democrazia cristiana murriana, si trattò di un incidente abbastanza circoscritto nella carriera di un erudito specialista della storia dell’antichità cristiana d’Italia e dell’agiografia, che coniugò il rispetto delle indicazioni offerte dalle autorità ecclesiastiche a quello del metodo scientifico e che per questo dovette subire anche verso la fine della vita le reazioni dei nostalgici di tradizioni poco attendibili.
48 Cfr. S. Nicoli, Alla ricerca di un paradigma: la «Rivista delle riviste per il Clero», in La riforma della Chiesa nelle riviste, cit., pp. 93-119.
49 Cfr. L. Bedeschi, Il modernismo. Voci, cit., p. 39 e n. 46.
50 Cfr. H. Denzinger, P. Hünermann, Enchiridion symbolorum definitionum et declarationum de rebus fidei et morum (1996), nn. 3372, 3373-3374, 3394-3397, 3398-3400, 3505-3509, 3561-3567, 3568-3576, 3577-3578, 3581-3586, 3587-3590, 3591-3593.
51 Cfr. F. Turvasi, Giovanni Genocchi e la controversia, cit.
52 Cfr. G. Losito, La preparazione del decreto, cit., p. 802.
53 Che quella del primato della coscienza fosse questione dirimente, è confermato dal fatto che essa fu sollevata pure da una personalità accusata di modernismo, che per ascendenze familiari proveniva piuttosto dagli ambienti del cattolicesimo liberale e che, dopo la sottomissione all’ingiunzione ad allontanarsi da «Il rinnovamento», di cui era stato fondatore, individuò nelle proposte della Lega democratica nazionale il miglior programma politico per l’Italia: il conte Tommaso Gallarati Scotti; su di lui cfr. Rinnovamento religioso e impegno civile in Tommaso Gallarati Scotti, a cura di F. De Giorgi, N. Raponi, Milano 1994 (in partic. L. Pazzaglia, Cultura religiosa e libertà d’insegnamento nella riflessione di Tommaso Gallarati Scotti, pp. 91-136). L’affermazione del principio del primato della coscienza formulata dal patrizio lombardo davanti ai membri della Lega democratica nazionale ha attirato fortemente l’attenzione di Scoppola, cfr. P. Scoppola, Un cattolico a modo suo, cit., p. 49.
54 Chiappelli, che fu in corrispondenza con Harnack, era docente alla Facoltà di filosofia all’Università di Napoli, l’istituto a cui apparteneva pure Igino Petrone, anch’egli interessato alla questione religiosa, che ebbe simpatie murriane, fu in contatto con Rudolf Eucken e seguì con interesse il dibattito sul modernismo religioso, partecipandovi.
55 I[Gnazi], Il laicismo arcaico e moderno, intorno al Sillabo, «L’osservatore romano», 30 luglio 1907; A[Ngelini], Il laicismo cattolico, «L’Osservatore romano», 31 luglio 1907.
56 Cfr., per esempio, G. Vian, La Pascendi «equivale all’opera paziente e laboriosa di un Sinodo Ecumenico». La prima ricezione da parte dei vescovi di Francia e Italia, in La condanna del modernismo, cit., pp. 83-136.
57 Su Salvatore Minocchi cfr. A. Agnoletto, Salvatore Minocchi, vita e opere (1869-1943), Brescia 1964.
58 Cfr. R. Murri, L’enciclica “Pascendi” e la filosofia moderna, «Il rinnovamento», I, settembre-ottobre 1907, pp. 345-366.
59 Cfr. M. Guasco, Il caso Murri. Dalla sospensione, cit.
60 Cfr. A.C. Jemolo, Chiesa e Stato in Italia dalla unificazione a Giovanni XXIII, Torino 1974, pp. 121-122.
61 Cfr. M. Guasco, Politica e religione nel Novecento italiano. Momenti e figure, Torino 1988, pp. 120-127, 155-160. Del resto, per volontà personale del papa, nel 1909 fu sospeso a divinis il sacerdote murriano Olinto Marella che aveva osato incontrare il leader marchigiano dopo la scomunica: cfr. A.M. Dieguez, S. Pagano, Le carte del sacro tavolo, cit., 213-224.
62 Cfr. A.M. Dieguez, S. Pagano, Le carte del sacro tavolo, cit., pp. 706-710.
63 Cfr. M. Tagliaferri, «L’unità cattolica». Studio di una mentalità, Roma 1993, pp. 150-160.
64 Cfr. G. Verucci, L’eresia del Novecento, cit., pp. 86-88.
65 Cfr. G. Losito, Ernesto Buonaiuti and Il programma dei modernisti, «U.S. catholic historian», 25, 2007, pp. 71-96.
66 Le vicende e il profilo del gruppo modernista radicale romano sono presentate nel primo volume della serie «Fonti e documenti» (1972).
67 Cfr. F. Parente s.v. Buonaiuti Ernesto in Dizionario Biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia italiana, XV, Roma 1972, pp.112-122.
68 Cfr. G. Verrucci, L’eresia del Novecento, cit., pp. 61-63.
69 Cfr. J. Schepers, Tra fede e obbedienza. Osservazioni sull’interpretazione curiale del giuramento antimodernista, in La condanna del modernismo, cit., pp. 175-206.
70 Cfr. Su Marc Sangnier e la sua azione socio-politica, cfr. Le Sillon de Marc Sangnier et la démocratie sociale, a cura di J.-M. Mayeur, Besançon 2004.
71 Cfr. J. Prévotat, Les catholiques et l’Action française. Histoire d’une condamnation (1899-1939), Paris 2001.
72 Cfr. P. Giovannini, «Giornali modernizzanti, giornali papali». Il trust della stampa cattolica dalla fondazione all’Avvertenza (1907-1912), «Storia e problemi contemporanei», 26, 2000, pp. 49-76.
73 Sulla galassia antimodernista e le sue imprese, cfr. L. Bedeschi, L’antimodernismo in Italia. Accusatori, polemisti, fanatici, Cinisello Balsamo 2000.
74 AAS, III, 1911, pp. 568-569. È noto che proprio l’uso del volume del Duchesne fu contestato al docente del seminario di Bergamo, Angelo Roncalli, come concessione allo spirito del modernismo, cfr. S. Trinchese, Roncalli e i sospetti del modernismo, in Il modernismo tra cristianità e secolarizzazione, cit., pp. 727-756. Va segnalato anche nella corrispondenza indirizzata dal conte Stanislao Medolago Albani alla segreteria particolare di Pio X, un rapporto sulla curia di Bergamo che segnala l’influsso esercitato sul vescovo Tardini Tedeschi dal suo segretario, «sulla cui vita sacerdotale nulla vi ha da che ridire, prete giovane, colto, agraziato [sic], ammiratore di Semeria, stato a Roma discepolo di Buonajuti [sic]», in A.M. Dieguez, L’Archivio particolare di Pio X. Cenni storici e inventario, Roma 2003, p. 194. La testimonianza della propria giovanile frequentazione di Buonaiuti in una lettera di Roncalli alla Coari del dicembre del 1929 in S. Zampa, A.G. Roncalli e Adelaide Coari, un’amicizia spirituale, in Giovanni XXIII transizione del Papato e della Chiesa, a cura di G. Alberigo, Torino 1988, p. 35n.
75 Su Duchesne cfr. B. Waché, Mgr Louis Duchesne (1843-1922). Historien de l’Église, Directeur de l’École française de Rome, Roma 1992.
76 Cfr. AAS, IV, 1912, p. 56. Lo stesso decreto colpiva la raccolta narrativa di Tommaso Gallarati Scotti, Storie dell’amore sacro e dell’amor profano (1911). A giugno, con decreto della Concistoriale fu vietato l’uso dei manuali d’esegesi vetero e neo-testamentaria dei tedeschi Holzhey e Tillmann. (ibidem, pp. 530-531).
77 Cfr. A.M. Dieguez, S. Pagano, Le carte del sacro tavolo, cit., pp. 189-192.
78 Cfr. M. Guasco, Modernismo, cit., pp. 132-133.
79 Cfr. L. Demofonti, La Riforma nell’Italia del primo novecento. Gruppi e riviste di ispirazione evangelica, Roma 2003. Sulla spinta ecumencia propria al modernismo, cfr. A. Zambarbieri, Modernismo ed ecumenismo. Un inquadramento storico, in Il modernismo in Italia e in Germania, cit., pp. 23-60.
80 Su questo murriano di Napoli, cfr. U. Parente, Riformismo religioso e sociale a Napoli tra Otto e Novecento. La figura e l’opera di Gennaro Avolio, Urbino 1996.
81 Cfr. Luigi Salvatorelli. Storico, giornalista, testimone (1886-1974), a cura di A. D’Orsi, Torino 2008.
82 Il pontefice, invece, ribadiva le condanne dell’eresia riformata, in particolare con l’enciclica Edita saepe (1910), in cui vennero assimilati gli errori dei riformatori e quelli dei modernisti, provocando pure una vertenza diplomatica con il Reich: cfr. A. Zambarbieri, Modernismo ed ecumenismo, cit., pp. 42-44.
83 Cfr. É. Poulat, Intégrisme et catholicisme intégral, Tournai 1969.
84 Cfr. É. Poulat, La dernière bataille du pontificat de Pie X, «Rivista di storia della Chiesa in Italia», XXV, 1971, pp. 83-107; G. Sale, «La civiltà cattolica» nella crisi modernista (1900-1907), Milano-Roma 2001, pp. 223-232. Su un piano meno rilevante, ma attestante le stesse inibizioni nei confronti di iniziative associative in cui potesse risultare compromesso lo spirito schiettamente cattolico, va segnalata l’opposizione alla diffusione del movimento scout, con un disegnarsi di schieramenti opposti all’interno dello stesso fronte antimodernista, in un confronto che presenta omologie, pure per l’esito, con quello sui sindacati misti, con Benigni e De Lai intransigenti da un lato e Merry del Val e i Gesuiti dall’altro: cfr. L. Bedeschi, L’Antimodernismo in Italia, cit., pp. 209-236.
85 Cfr. AAS, VI, 1914, pp. 336-342, 383-385.
86 Cfr. É. Poulat, “Modernisme” et “intégrisme”. Du concept polémique à l’irénisme critique, «Archives de sociologie des religions», 27, 1969, p. 21; A. Zambarbieri, Patriarca a Venezia (1894-1903), in Pio X. Un papa e il suo tempo, Cinisello Balsamo 1987, p. 143.
87 Cfr. ASS, XL, 1907, p. 650.
88 Cfr. R. Aubert, Un projet avorté, d’une association scientifique internationale catholique au temps du modernisme, «Archivum historiae pontificiae», 16, 1978, pp. 223-276.
89 Sulla fondazione del Pontificio istituto biblico e più in generale su tutta la sua storia, cfr. M. Gilbert, Il Pontificio Istituto Biblico. Un secolo di storia (1909-2009), Roma 2009.
90 Cfr. A.M. Dieguez, S. Pagano, Le carte del sacro tavolo, cit., pp. 506-520.
91 Ibidem, p. 313.
92 Cfr. G. Verucci, L’eresia del Novecento, cit., pp. 59-60.
93 Nel 1908, come segretario della Congregazione per gli affari ecclesiastici straordinari, Pietro Gasparri si distinse per il tentativo di imporre a monsignor Baudrillart una rigida applicazione della direttiva della Pascendi relativa alle restrizioni del diritto degli ecclesiastici a seguire i corsi delle università statali. In una lettera del 1 gennaio 1908, Gasparri, professore di diritto canonico dell’Institut catholique sino al 1898, precisò al suo ex collega Baudrillart che le prescrizioni disciplinari contenute nella Pascendi «ne sont pas de droit positif seulement, mais de droit naturel», Parigi, Archives Historiques de l’Institut catholique de Paris, P20.