Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nel corso del Seicento la Chiesa cattolica conosce una fase di stabilizzazione che si esprime attraverso la forte attenzione politico-religiosa all’ortodossia, la riorganizzazione delle strutture territoriali, la reazione intollerante a tutte le forze centrifughe che, al di là delle posizioni riformate, mettono in discussione sia i principi della gerarchia ecclesiastica sia le posizioni teologiche e dottrinali. Si tratta di manifestazioni che assumono aspetti differenti nei diversi Paesi e nei diversi momenti e che si sviluppano congiuntamente con il processo di accentramento in atto negli Stati.
Riforma cattolica e Controriforma
A lungo si è dibattuto su come definire quel complesso di spinte riformatrici e di risposte, violente o meno, che la Chiesa cattolica ha elaborato dal tempo della Riforma e che è comunemente conosciuto con il nome di Controriforma. È tuttavia comune tendenza oggi, a seguito di un lungo dibattito storiografico, pensare a due movimenti separati, ma coesistenti e continuamente allacciati da una reciproca compenetrazione. Il primo si caratterizza per gli originali aspetti riformatori, vivi già prima di Lutero, che generano o rinnovano un certo numero di ordini religiosi: Cappuccini, Filippini, Ospedalieri, Barnabiti, Scolopi, Gesuiti. Il secondo, che si esprime attraverso la “reazione contro”, ha lo scopo di creare argini religiosi, politici e militari al tentativo di espansione protestante, di annientare la “peste dell’eresia” (come amava definirla Paolo IV Carafa) e ricorre pertanto a metodi repressivi (Inquisizione, roghi, provvedimenti censori).
Le conseguenze del Concilio di Trento
Nel 1564, anno successivo alla conclusione del concilio di Trento, Pio IV pubblica la Professio fidei tridentina, che raccoglie le decisioni prese nel corso delle lunghe e difficili sedute. La Chiesa cattolica ha individuato la strada da percorrere per rafforzare la sua roccaforte, la Chiesa di Roma, e le sue armate, i Gesuiti, per difendersi dagli attacchi dei protestanti e riconquistare le anime perdute. Oramai il muro tra le diverse confessioni, cattolica, luterana e calvinista, è stato alzato con la formulazione delle differenti ortodossie, che vengono difese strenuamente in nome di una Verità che ciascuno ritiene assoluta e unica, perché diretta emanazione divina, e con il consenso del potere laico. L’edificio gerarchico e dogmatico delle tre principali Chiese è sostanzialmente definito e la restaurazione dell’unità della fede diviene un ricordo.
Da parte cattolica vengono presi molti provvedimenti. Le istanze riformatrici si traducono in una consistente opera di consolidamento delle strutture e di sistematico radicamento sul territorio. Ripetuti provvedimenti papali sollecitano l’applicazione dei canoni tridentini che ribadiscono e approfondiscono i principi della fede cattolica contestati dai riformatori, e stabiliscono misure organizzative pratiche e disciplinari. Con rinnovata attenzione si guarda alla formazione culturale del clero regolare e secolare, all’obbligo di residenza dei vescovi, alle periodiche visite di vescovi e parroci nelle aree di competenza, ai doveri della predicazione e della cura animarum, alla frequenza dei sacramenti.
Tutto ciò produce effettivamente una crescita della religiosità popolare e delle opere pie: ad esempio, la comunione settimanale, come richiede Francesco di Sales, se non addirittura quotidiana, diffonde il culto per il sacramento, e la dedicazione mariana del mese di maggio inaugura pratiche devozionali. La partecipazione si esprime di frequente nell’appartenenza a confraternite, che raccolgono i fedeli attorno a un obiettivo concreto di natura assistenziale, a sostegno di poveri, carcerati, condannati a morte, fanciulle senza dote, o cultuale, come nel caso delle recite del rosario.
L’istruzione maschile e femminile è uno degli obiettivi centrali di alcuni ordini religiosi, degli scolopi, ad esempio, e dei gesuiti, i quali si fanno interpreti della diffusa consapevolezza che una corretta educazione è alla base della stabilità religiosa e politica. Il conformismo (l’altra faccia dell’ortodossia) e il controllo sui costumi e sulla morale sono esigenza pertanto sia della Chiesa sia dello Stato che, comunque, fin dalla pace di Augusta (1555) ha adeguato le urgenze ecclesiastiche alla ragion di stato.
Esemplare è la vicenda dell’editto di Nantes (1598) che pone fine alle guerre di religione francesi. L’editto, che vede contrapposti quanti lo salutano come segno di riconoscimento del diritto delle minoranze e quanti, invece, intravedono nella libertà religiosa una delle cause di disgregazione dell’unità statale, rappresenta per tutto il secolo la spina nel fianco della monarchia ed è oggetto di ripetuti attentati, anche fisicamente compiuti, come attesta la conquista della roccaforte ugonotta di La Rochelle (1628), a opera di Richelieu, fino alla revoca decisa da Luigi XIV nell’ottobre del 1685 con l’editto di Fontainebleau.
Ma la stabilizzazione avviene anche attraverso la delimitazione del lecito e la repressione della trasgressione vera o presunta. Nel 1571 Pio V istituisce la Congregazione dell’Indice, organismo incaricato di definire le letture permesse. L’Inquisizione prende sempre più vigore accendendo l’Europa di roghi, solo in parte oscurati da quelli dei luterani tedeschi o dei calvinisti svizzeri. Con la creazione della Congregazione de Propaganda Fide (1622) il papato si erge a difensore e diffusore della parola di Dio. La Chiesa romana accentua la sua natura egemonica e, sull’onda di quanto sta avvenendo negli altri Paesi, assume le caratteristiche di una monarchia assoluta.
Le nuove spinte religiose e l’ortodossia cattolica
La prima parte del Seicento costituisce un momento di grande importanza nell’evoluzione del pensiero religioso.
Grandi questioni tornano al centro del dibattito teologico: libero arbitrio, predestinazione, giustificazione per fede, individualismo religioso travagliano le coscienze cattoliche, mentre si insinua un tipo di scetticismo che sottopone l’uomo al dominio assoluto della natura. Il giansenismo costituisce uno degli esempi più significativi di riflessione su questi temi, prima di inaridirsi in estenuanti dispute con i gesuiti e con chiunque lo contesti. Il genuino risveglio religioso che a esso si accompagna è caratterizzato dalla sobrietà di ogni manifestazione cultuale, dall’idea che ciascuno debba poter avere libero accesso alla lettura della Bibbia, dal rifiuto della superstizione, dall’opposizione al centralismo papale e da sentimenti presbiteriani.
La Chiesa cattolica si schiera in modo assai vario di fronte a queste nuove forme di pietà (interpretate da Pierre de Bérulle, Francesco di Sales, Vincenzo de’Paoli), cogliendone tutta la ricchezza e la potenzialità eversiva. La diffusa esigenza religiosa popolare viene piuttosto assecondata attraverso l’incremento di rituali di grande effetto (pellegrinaggi, fastose cerimonie, splendide liturgie, spettacoli). Riacquista importanza il miracolo, e le canonizzazioni di questo periodo – tra gli altri Ignazio di Loyola, Francesco Saverio, Filippo Neri, Teresa d’Avila, tutti canonizzati il 12 marzo 1622 – sono espressione e veicolo ideologico del messaggio ortodosso.
Chi è “l’altro”? Che cos’è la tolleranza?
Quanti sfuggono all’omogeneizzazione sociale e religiosa, quanti cioè appaiono al di fuori di quelle categorie che la Chiesa, lo Stato, la società stessa del Seicento considerano “normali”, vengono riconosciuti come “diversi”, come appartenenti a una alterità ostile e minacciosa che deve essere o ricondotta nell’alveo o stroncata.
La caccia alle streghe che percorre l’Europa è un osservatorio privilegiato delle tensioni e dei conflitti che conosce il cristianesimo a livello tanto popolare, quanto colto.
Anche gli ebrei, “altri” per eccellenza del mondo cristiano, in questo torno di tempo sono oggetto dell’impulso riorganizzatore della Chiesa. Dal 1555 l’istituzionalizzazione dei ghetti (Venezia 1516), che sino ad allora era stata un’eccezione, diviene una costante della politica pontificia. Nell’arco di un secolo Roma, Ancona, Avignone, Ferrara, Cento, Lugo, Urbino, Pesaro e Senigallia hanno ciascuna il proprio ghetto che accoglie la popolazione ebraica che non si è potuto o voluto espellere. Il “diverso” è “addomesticato” attraverso la segregazione e l’obbligo di portare sempre un segno di riconoscimento: solo così la società civile può tollerarne la presenza. Contemporaneamente gli ebrei, che pure suscitano una grande curiosità intellettuale (vi sono molti uomini di cultura cattolici che studiano l’ebraico), sono spinti a riconoscere i propri errori teologici attraverso iniziative conversionistiche, ad esempio le prediche coatte romane, che assurgono a ulteriore simbolo della grandezza della Chiesa, la Roma triumphans.
Ma “altri” sono anche gli eretici, chi comunque si pone in antitesi o in disaccordo con l’ortodossia. Tra questi movimenti minoritari emerge presto l’esigenza di un riconoscimento della propria diversità, di un diritto all’esistenza e a una convivenza non omologanti; ma ciò presuppone un’idea di tolleranza che resta ancora a lungo senza accoglienza nella maggior parte dei Paesi europei e nelle coscienze della stessa popolazione, come mostra esemplarmente la vicenda dell’editto di Nantes.
Eccezioni sicuramente significative, ma limitate nello spazio e nel tempo, sono la Polonia e la Transilvania prima del ritorno al cattolicesimo, l’Inghilterra rivoluzionaria, che pure non sfugge a chiusure, e alcune Province dei Paesi Bassi. In queste aree, alla fine del XVII secolo, il principio di tolleranza conosce le sue teorizzazioni più organiche a opera di pensatori quali Spinoza, Bayle e Locke.
Il papato prima della pace di Westfalia
Il papato, nella prima metà del secolo, registra un momento di forte affermazione di sé. I papi Clemente VIII, Paolo V, Gregorio XV e Urbano VIII agiscono, ciascuno secondo il proprio temperamento e vocazione, in più di una direzione, con l’obiettivo di consolidare e accrescere il potere e l’influenza della cattolicità.
Innanzitutto vi è la definizione di alcuni principi dogmatici della fede e contemporaneamente la persecuzione del dissenso intellettuale, sia esso generato da elaborazioni filosofico-teologiche, come nel caso di Molina o di Giordano Bruno, o scientifiche (è il caso di Galilei). A partire dalla metà del secolo il giansenismo riceve numerose condanne papali che tuttavia non pongono un limite alla diffusione del movimento, ma, anzi, sollecitando indirettamente l’intervento di importanti uomini di cultura (come ad esempio Pascal), esasperano piuttosto l’ardore delle polemiche, a causa anche dei diffusi sentimenti antigesuiti francesi.
A tutto ciò si accompagna un considerevole sforzo organizzativo e di disciplinamento delle strutture istituzionali, sancito ad esempio dalla pubblicazione del Rituale romanum (1614), il volume che raccoglie il rituale liturgico ufficiale della Chiesa cattolica, o da provvedimenti quali l’obbligo di residenza nella diocesi per i vescovi, la riforma del clero e dei seminari. Grande attenzione è dedicata all’attività missionaria, che conosce infatti un notevole sviluppo e solleva particolari problemi teologici: si accende, ad esempio, un fervente dibattito, suscitato specie da domenicani e francescani, in relazione ai riti cinesi, cioè a quegli adattamenti introdotti nel rituale romano sulla base di usanze e credenze locali per facilitare l’opera missionaria cattolica.
L’opera di realizzazione di una cattolicità forte e potente acquista poi concreta e grandiosa visibilità nell’ammodernamento della città di Roma, il più importante centro propulsore dell’arte europea, le cui architetture e decorazioni esprimono e imprimono i principi dell’ortodossia, proclamando l’idea di una Roma Triumphans, manifestazione chiara della volontà di grandezza e delle aspirazioni alla potenza del papato. Il suo principale ideatore, Urbano VIII, fattosi mecenate del Bernini e del Borromini, non esita a ricorrere a nuove pressioni fiscali e a spogliare antichi monumenti. Tale è l’impegno e il dispiego di risorse in questo progetto, che Urbano VIII strappa ai romani il detto “Quod non fecerunt barbari fecerunt Barberini” (Quel che non han fatto i barbari, hanno fatto i Barberini).
Il perseguimento del predominio trova un limite nella presenza di altri Stati che mal sopportano la doppia natura, laica e religiosa, dell’autorità papale e le forme di ingerenza che essa comporta. Il più significativo conflitto giurisdizionale che la Chiesa conosca in questo periodo è quello con Venezia, culminato nella proclamazione pontificia dell’interdetto contro la repubblica (1606).
Ma in questo periodo la Chiesa persegue anche una intensa politica estera, attestata da alcune guerre – come la guerra di Castro – e dalla crescita dei suoi territori con l’acquisto di Ferrara (1598) e di Urbino (1625) che, a causa dell’estinzione della linea maschile rispettivamente dei D’Este e dei Della Rovere, entrano con alterne vicende a far parte dello Stato pontificio.
La pace di Westfalia segna uno spartiacque: qui per la prima volta si misura la discrepanza tra la politica di potenza e di accentramento papale e la reale influenza nel campo internazionale. Le reazioni negative di Innocenzo X alla decisione di ripristinare in Europa la situazione precedente il 1618 non sortiscono alcun effetto. D’altra parte questo pontefice, pur nell’esasperazione di alcuni aspetti, tra cui il nepotismo, prosegue la linea adottata dai suoi predecessori, sviluppando nuove missioni in Africa e in Oriente, promulgando contro il teologo olandese Giansenio la bolla Cum occasione e continuando l’opera di abbellimento di Roma.
È Alessandro VII ad avviare un processo di riconsiderazione e ridimensionamento della politica di grandezza della Chiesa, a causa anche di alcuni pesanti insuccessi in politica estera, in special modo con la Francia, e a iniziare un intervento di riforma delle strutture di governo che, se segna il passo sotto il pontificato di Clemente IX e Clemente X, trova decisi interpreti in Innocenzo XI e Innocenzo XII.
Sono proprio questi due ultimi pontefici del Seicento, attraverso misure quali l’abolizione della venalità degli uffici e del nepotismo (1692), la riforma dei regolari, la riformazione della Congregazione per la disciplina, a imprimere una nuova spinta verso il cambiamento e la modernità. Nella seconda metà del secolo la Chiesa attraversa, comunque, un periodo di lenta, ma inesorabile perdita di prestigio nell’ambito della politica europea; il sistema degli Stati nazionali, da una parte molto attento alle questioni religiose (elemento fondamentale per il controllo della popolazione), si indirizza verso un rapporto sempre più laico con la Chiesa e sempre più funzionale ai propri interessi.