Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
I monumenti equestri bronzei del Quattrocento costituiscono uno dei più consapevoli tentativi del Rinascimento di ridare vita alle forme della scultura antica. Se il Gattamelata di Donatello si rifà esplicitamente al modello romano del Marco Aurelio, sia per la collocazione all’esterno sia per l’impiego del bronzo, il monumento Colleoni del Verrocchio costituisce una novità assoluta rispetto ai modelli trecenteschi, poiché celebra la virtù del condottiero al di fuori di un contesto funerario. I progetti di Leonardo per le statue equestri di Francesco Sforza e Gian Giacomo Trivulzio, sebbene mai realizzati, mostrano la piena affermazione della nuova tipologia e, insieme, il tentativo di superare il modello antico.
La nascita del monumento equestre rinascimentale
I monumenti equestri non sono un’invenzione del Rinascimento: essi sono piuttosto diffusi in Italia a partire almeno dal Trecento. Tra gli esempi più noti sono quelli delle arche scaligere, i monumenti funerari della famiglia della Scala, signori di Verona dal 1277 circa al 1387, collocati nello spazio aperto adiacente alla piazza dei Signori. L’ultima arca, quella di Cansignorio, del 1375, è opera di Bonino da Campione, autore anche del monumento equestre funebre di Bernabò Visconti in San Giovanni in Conca a Milano (1385; oggi la stata equestre è conservata al Castello Sforzesco di Milano). All’inizio del Quattrocento la tipologia del monumento equestre continua a essere adottata in contesti funerari, per principi o uomini d’armi: sempre a Verona, ad esempio, tra il 1424 e il 1429, il fiorentino Pietro di Niccolò Lamberti scolpisce in Sant’Anastasia il monumento di Cortesia I Serego, condottiero al servizio di Antonio della Scala. Anche in seguito, i maggiori monumenti equestri del Rinascimento saranno realizzati da artisti toscani su committenza degli Stati del Nord Italia, dalla Repubblica di Venezia alle corti di Ferrara e Milano.
Del 1436 è il cenotafio del condottiero John Ackwood, noto in Italia come Giovanni Acuto, dipinto sulla parete della navata sinistra di Santa Maria del Fiore a Firenze da Paolo Uccello. Se per la nobiltà dell’invenzione e per il plasticismo del modellato del cavallo il Giovanni Acuto costituisce già un’evoluzione rispetto ai precedenti trecenteschi, è solo il perduto Monumento equestre di Niccolò III d’Este a Ferrara che segna una svolta radicale nella storia di questa tipologia. Per la sua realizzazione, voluta dalla cittadinanza all’indomani della morte del duca nel 1441, viene indetto un concorso vinto dal fiorentino Antonio di Cristoforo. A questi si affianca poi l’altro fiorentino Niccolò Baroncelli, al quale Leon Battista Alberti, chiamato a Ferrara dal duca Lionello d’Este per esprimere il suo parere in merito al monumento, assegna un ruolo paritetico ad Antonio di Cristoforo. Il Niccolò III d’Este, terminato nel 1451 e distrutto nel 1796, è il primo monumento equestre del Rinascimento ad avere funzione esclusivamente celebrativa e commemorativa. Collocato su una base classicheggiante, forse disegnata dallo stesso Leon Battista Alberti, in cima a un arco collegato direttamente a Palazzo Ducale, il monumento equestre non costituisce il coronamento della tomba del duca, e non è in rapporto a un edificio sacro. E soprattutto non è scolpito in marmo, bensì fuso in bronzo, per richiamare i prototipi classici: il cosiddetto Regisole, anch’esso distrutto nel 1796, che Carlo Magno aveva fatto trasportare da Ravenna a Pavia, e il famoso Marco Aurelio, allora accanto alla basilica di San Giovanni in Laterano a Roma, che Michelangelo Buonarroti collocherà poi al centro della piazza del Campidoglio.
Il Gattamelata di Donatello
Al Marco Aurelio guarda anche Donatello quando, pochi anni dopo, esegue il Monumento a Erasmo da Narni, detto il Gattamelata, posto di fronte alla basilica del Santo a Padova. Dalle dimensioni della base del Niccolò III d’Este si deduce che il perduto monumento bronzeo ferrarese era circa la metà di quello realizzato da Donatello: a sostenere i notevoli costi dell’impresa è la Repubblica di Venezia, al servizio della quale aveva combattuto il valoroso condottiero.
Terminato nel 1453, il monumento equestre si trova in terra consacrata, sul sagrato della basilica di Sant’Antonio, e nei documenti è indicato come la “sepoltura di Gattamelata”. Si tratta, quindi, di un monumento funebre, non solo celebrativo, come sottolineano i due putti piangenti modellati sul retro della sella. Il Gattamelata di Donatello si differenzia dal Marco Aurelio per l’armatura moderna, e per la presenza delle staffe: la perfetta fusione di cavallo e cavaliere, che invano si cercherebbe nel precedente antico, è assicurata proprio da questo elemento, che comunica allo spettatore il sicuro controllo della cavalcatura da parte del condottiero. Come nel prototipo classico, anche nel Gattamelata, cavallo e cavaliere sono volti a sinistra, ed è infatti osservando il monumento da sinistra che si coglie con chiarezza l’invenzione donatelliana. Il bastone del comando che il condottiero alza con la mano destra disegna, insieme alla lunga spada che pende lungo il suo fianco sinistro, un’ininterrotta diagonale inclinata a 45° rispetto all’ideale linea di base suggerita dallo sperone della calzatura. Sui nitidi volumi del collo e del ventre del cavallo, vene e muscoli sono appena rilevati, senza che il plasticismo della figura ne risenta, mentre è davvero stupefacente il naturalismo con cui è indagata la testa del cavallo, più convincente di quella del Marco Aurelio.
Il Colleoni di Verrocchio
Il risultato conseguito da Donatello si impone come modello di riferimento obbligato. Nel 1480 Andrea del Verrocchio riceve l’incarico, ancora una volta da parte della Repubblica di Venezia, di realizzare un monumento equestre alla memoria di Bartolomeo Colleoni, un nobile originario di Bergamo che aveva comandato le forze di terra della Serenissima e che, alla sua morte, nel 1475, aveva lasciato una cospicua somma di denaro allo Stato esprimendo il desiderio che un suo monumento equestre fosse eretto in piazza San Marco. Lo scultore muore nel 1488 prima di aver concluso il lavoro; il Senato di Venezia incarica quindi il fonditore locale Alessandro Leopardi di terminare l’opera. Nel 1495 il monumento risulta collocato in campo Santi Giovanni e Paolo, di fronte all’omonima chiesa domenicana: in un luogo di grande prestigio, quindi, ma non nella centrale piazza San Marco come avrebbe voluto Colleoni. Ad Alessandro Leopardi si devono la fusione del monumento equestre, il disegno e la realizzazione della sua base, che, a differenza di quella del Gattamelata, non allude in alcun modo alla sepoltura del condottiero. Sebbene infatti il monumento del Verrocchio sorga di fronte al pantheon delle glorie veneziane, ed entro il suo recinto sacro, non si tratta di una tomba. Rispetto al Gattamelata, il rapporto dimensionale tra cavallo e cavaliere è qui completamente mutato: quest’ultimo è più grande del suo precedente, e domina la composizione. Lo studio dell’anatomia del cavallo, con l’esaltazione dei muscoli tesi, insieme all’espressione corrucciata del cavaliere, e allo scatto della sua spalla sinistra portata in avanti, conferiscono al monumento un carattere più bellicoso rispetto alla pacata immagine di comando suggerita dal Gattamelata di Donatello. Anche l’eliminazione della piccola sfera sotto lo zoccolo anteriore sinistro del cavallo, che nel monumento di Padova serviva a mantenere un perfetto equilibrio compositivo, è funzionale al potente proiettarsi in avanti dell’azione di tutto il gruppo.
Già con il Colleoni, quindi, può dirsi compiuto il superamento del modello antico rappresentato dal Marco Aurelio, più composto e statico rispetto al capolavoro del Verrocchio. Lo scarto tra il Colleoni e il Gattamelata è in qualche modo analogo a quello tra il Giovanni Acuto di Paolo Uccello e il monumento a Niccolò da Tolentino (il protagonista della Battaglia di San Romano raffigurata dallo stesso Paolo Uccello in tre celebri tavole del 1438 circa) affrescato nel 1456 da Andrea del Castagno sulla parete sinistra di Santa Maria del Fiore a Firenze. Alla raffigurazione idealizzata, quasi fuori dal tempo, di un cavallo e del suo cavaliere, che Paolo Uccello aveva messo in scena 20 anni prima, Andrea del Castagno contrappone un’immagine più enfatica, in movimento, con la testa del cavallo girata verso lo spettatore e il vento che agita le pieghe del mantello del condottiero, i cui occhi incutono soggezione.
I monumenti equestri progettati da Leonardo a Milano
Nel 1473 Galeazzo Maria Sforza matura il progetto di realizzare una statua equestre di bronzo alla memoria del padre Francesco, che aveva instaurato la signoria degli Sforza a Milano. Il monumento sarebbe dovuto sorgere di fronte al Castello Sforzesco, ma nessuno nel ducato era allora in grado di fondere in bronzo una statua equestre a grandezza naturale. Intorno al 1482-1483 Leonardo da Vinci scrive a Ludovico Sforza detto il Moro, succeduto a Galeazzo Maria, una famosa lettera in cui si presenta al suo potenziale committente in vesti di ingegnere militare, architetto, pittore e scultore, dichiarando altresì di essere in grado di portare a termine quell’impresa che fino ad allora nessuno era stato capace di realizzare.
Leonardo probabilmente non si riferisce solo agli artisti lombardi, ma anche ad Antonio del Pollaiolo, che a una data imprecisata aveva avanzato la sua candidatura per la prestigiosa commissione. Dell’artista fiorentino rimangono due progetti grafici (a New York e a Monaco) in cui lo Sforza è raffigurato su un cavallo impennato che atterra una figura sdraiata in terra. In un disegno di Windsor databile 1488-1489 circa, Leonardo riprende questa innovazione, raffigurando un cavaliere teso nello sforzo di governare il suo destriero: ma lo schizzo, se da una parte si lega ai precedenti studi del Pollaiolo, dall’altro è ricollegabile alle riflessioni che Leonardo aveva condotto sul tema del cavallo impennato a partire già dagli anni dell’incompiuta Adorazione dei Magi (1481, Firenze, Uffizi), dove in secondo piano si vede un cavaliere in una posizione simile. Nel luglio del 1489 Ludovico il Moro scrive a Lorenzo de’ Medici, a Firenze, per chiedergli di mandare a Milano maestranze in grado di fondere il modello che Leonardo stava approntando, senza però ottenere nulla. Ancora alla fine del secolo, quindi, non era facile trovare chi fosse in grado di realizzare un’opera in bronzo di quelle dimensioni, e lo stesso Pollaiolo, che pure aveva presentato la sua candidatura, forse non aveva le competenze necessarie per portare a termine l’impresa. Intorno al 1490 Leonardo riprogetta il monumento, abbandonando l’idea di un cavallo impennato in favore di quella più tradizionale di uno al passo, ma di dimensioni gigantesche, tre volte il naturale.
In seguito, nel suo De Sculptura (1504), Pomponio Gaurico avrebbe definito “colossi” le sculture grandi tre volte il naturale, precisando che opere di siffatte dimensioni dovessero raffigurare solo divinità quali Giove e Marte e re romani o barbarici: evidente, quindi la megalomania del progetto di Ludovico, che non arrivò mai a realizzarsi. Il grande modello approntato dall’artista, oggi perduto, non viene fuso. Nel 1501, dopo la caduta di Ludovico il Moro, la “forma del cavallo” è richiesta da Ercole I d’Este (1471-1505), che avrebbe voluto trarne un monumento per sé. Il duca è infatti raffigurato a cavallo, secondo l’invenzione leonardesca, nel verso di una moneta coniata a Ferrara intorno al 1502-1503.
Nel suo testamento del 1504 il maresciallo Gian Giacomo Trivulzio aveva destinato una somma ingente per la costruzione della propria tomba nella chiesa di San Nazaro a Milano: nel 1506-1508 Leonardo stende un preventivo per l’erezione di un grandioso mausoleo a cui è possibile ricollegare una serie di disegni oggi conservati a Windsor. In questi schizzi Leonardo ritorna sul tema del cavallo rampante che atterra la figura di un fante, da collocarsi in cima a una struttura architettonica, di forma quadrata o circolare, decorata agli angoli da “prigioni”. Ma ancora una volta Leonardo abbandona il progetto: nell’ultimo disegno di Windsor per il monumento Trivulzio, ritorna all’idea di un cavallo al passo. E, come il monumento a Francesco Sforza, anche quello a Trivulzio non sarebbe mai stato realizzato.