Il tessuto cattolico
A vent'anni dalle visioni apocalittiche con cui il conflitto civile spagnolo campeggiava nei suoi interventi pubblici(1), i tempi di guerra fredda non sembrano offrire un quadro più rassicurante al costituente, ex deputato ed ex presidente provinciale della D.C. (Democrazia Cristiana) Pietro Lizier, se al congresso nazionale del terz'ordine domenicano nel 1957 egli si esprime coi seguenti toni: "gli infiniti mali e i bisogni del nostro tempo [...] si riducono ai tre fomiti di corruzione indicati dalla Sacra Scrittura: superbiae vitae, concupiscentia carnis, concupiscentia oculorum. [...] I tre aspetti più rilevanti del mondo d'oggi [...]: il culturalismo, il sessualismo, l'economicismo"(2). Hegel, Marx e Freud proiettano la loro ombra disgregatrice sul mondo, "in balia degli istinti che hanno rotto il freno". Ad un uomo impegnato da oltre quarant'anni nel movimento cattolico come lui appare lampante la frattura instauratasi tra i valori solidaristici propugnati dal magistero ecclesiastico e il progressivo diffondersi di una prassi liberal-consumistica dal partito dominante, che consolida la sua presenza nei gangli vitali delle istituzioni, all'intera società italiana(3): "se si considera il tono di gran parte della produzione pubblicistica [...] si ha l'impressione di una vasta congiura organizzata contro la sanità del costume dalle centrali di una sfrenata speculazione finanziaria che fa il gioco del sovversivismo civile. I successi elettorali perdono gran parte del loro valore quando i mattoni dell'edificio comunitario sono corrosi". Trionfa Marx, l'"economicismo" che "affoga anime e corpi nella palude di una crassa materialità", tanto che la "concorrenza con gli estremisti induce non di rado la propaganda e l'attività delle forze sociali cristiane a trattare di problemi d'interesse economico con una mentalità e un linguaggio - in taluni esponenti - che le Gerarchie della Chiesa hanno denunziato come infetto di eresia sociale".
Come per l'arcivescovo di Milano mons. Giovanni Battista Montini, conosciuto negli anni Venti all'epoca della comune militanza nella F.U.C.I. (Federazione Universitaria Cattolica Italiana), da sempre in lotta contro "ateismo marxista" e "laicismo borghese", il "senso religioso" deve tornare ad animare tutte le espressioni della vita(4).
A dire il vero le tinte usate da Lizier nel tratteggiare la silhouette dell'Italia democristiana non appaiono granché diverse da quelle ch'egli e i suoi correligionari avevano impiegato durante il periodo di ricostruzione seguito al primo conflitto mondiale. E i Leitmotiven più diffusi in quegli anni di elevata tensione sociale nella pubblicistica cattolica possono esser definiti quali amplificazioni - adeguate alle contingenze notevoli - di parole di battaglia ricorrenti in età giolittiana, nei momenti in cui l'affermazione politica del socialismo non appariva profezia mendace(5).
Proprio per scongiurare l'avanzata di laicismo e socialismo, il patriarca e futuro pontefice Giuseppe Sarto, appena sbarcato sui lidi della 'serenissima' città nel 1894, aveva incitato i rappresentanti dei circoli cattolici - presieduti a livello nazionale dal veneziano Giovanni Battista Paganuzzi - a congiungere le proprie forze con quelle di esponenti dell'alta società conservatrice, per opporre alla progressista classe dirigente politica locale capitanata dal sindaco-scrittore Riccardo Selvatico una lista di candidati dotata di possibilità di vittoria. Per quasi 25 anni la giunta scaturita dalla competizione elettorale del 1895 e guidata dal patrizio Filippo Grimani veniva riconfermata ad ogni convocazione alle urne, contribuendo a segnare in maniera innegabile i destini economici e urbanistici della città lagunare(6).
Spira nella ricorrenza di Ognissanti 1919, come riporta la "Gazzetta di Venezia" nel giorno della commemorazione dei defunti, l'annosa giunta del "sindaco d'oro": evento sin troppo facilmente interpretabile quale segno della nuova epoca inaugurata dalla Grande guerra anche in laguna(7).
Le masse, coinvolte come mai era accaduto nei circuiti dello scontro armato tra Stati, reclamano a gran voce i propri diritti sulla scena della storia, confortate dalle notizie che giungono dalla Russia in rivoluzione. La "questione sociale", al centro dei dibattiti politici italiani da decenni, esplode nella sua pienezza e fra 1918 e 1919 in campo cattolico sorgono la Confederazione delle cooperative, la C.I.L. (Confederazione Italiana del Lavoro), che riunisce le leghe sindacali sviluppatesi dall'Ottocento in concorrenza con i socialisti, ed il P.P.I. (Partito Popolare Italiano), come espressione d'impegno politico diretto dei credenti che condividono teoria e pratica della democrazia(8).
Come in un domino queste circostanze concorrono a determinare sullo scenario veneziano la caduta della giunta Grimani: infatti, chi con veemente entusiasmo era stato alfiere del patto clerico-moderato nelle campagne elettorali di belle époque, come mons. Giovanni Bertanza (parroco a S. Pietro di Murano, poi canonico di S. Marco, segretario del P.P.I. cittadino dal marzo 1919 al luglio 1920 e assistente ecclesiastico degli universitari cattolici nel 1923)(9), nelle mutate condizioni non si perita di offrire un saggio di oratoria filosocialista sul settimanale del partito "Avanguardia" (uscito dal marzo al dicembre 1919), salvo cercare contemporaneamente l'accordo con le forze verso cui il cattolico ex sindaco e il deputato Girolamo Marcello dirottano i propri favori (si annoverano tra i fondatori dell'Associazione Liberale nel maggio 1919), in vista delle elezioni politiche che nel novembre 1919 assegnano comunque la palma all'"armata rossa" di Musatti e Serrati in città(10).
Il processo di rottura col fronte moderato, perseguito a livello nazionale e durato a Venezia sino alla confluenza di P.P.I., conservatori e fascisti nella lista Alleanza Nazionale per le elezioni amministrative dell'ottobre 1920(11), si configura come l'atto finale di un'elaborazione teorica dalle radici annose, diffusa tra i fedeli della laguna dal settimanale "Il Leone di San Marco", stampato per l'"educazione" dei ceti popolari a partire dal 1903 e spentosi nel corso della guerra come l'annoso confratello quotidiano "La Difesa".
Rivendicando al partito sturziano il ruolo sinora detenuto in monopolio dai socialisti, i cattolici-popolari insistono sul tema della colpa del liberalismo nell'aver originato il capitalismo, visto come sistema di sfruttamento dell'uomo sui propri simili che ha sgretolato le tutele garantite dalle corporazioni, e nell'uso del tòpos apologetico che ravvisa in esso un peccato della cultura moderna, figlio dell'illuminismo generato dall'eresia luterana, generatore a propria volta del socialismo, destinato a sconfiggerlo e a subentrargli, secondo l'invalso schema della "genealogia degli errori moderni", con cui si raffigura il secolare cammino trionfale di laicità e secolarizzazione(12). Per porre un efficace rimedio alla pressante questione sociale, per arginare gli scontri che dilagano nella regione fra 1919 e 1920 e sottrarre le masse all'influenza socialista, anche in laguna si ritiene necessario prendere le distanze dall'indirizzo conservatore degli ex alleati, dipinti come illusi residuati di una mentalità destinata a essere sconfitta, mentre si addita nel P.P.I. l'unico attore politico in grado di conciliare interessi di masse e ceti medi, perché sintonizzato sulle evoluzioni in corso nella storia, e di restaurare pertanto l'ordine sociale. Vari protagonisti del patto clerico-moderato ora confluiti nel P.P.I. non negano i benefici avuti da quell'alleanza, ma denunciano il senso di subalternità provato in quei frangenti specie da chi, sulle colonne de "Il Leone" ai tempi del patriarca Cavallari, dinanzi all'inasprirsi della conflittualità sociale, sulla scorta dell'enciclica leoniana Rerum Novarum e delle indicazioni provenienti da tribune nazionali più recettive e sensibili, esortava i correligionari a prestare ascolto alle richieste materiali dei ceti subalterni, per sottrarli alla presa del verbo marxista. Nel contempo, questi stessi uomini, generalmente ancorati a una lettura teologica della vita individuale e sociale per vari aspetti debitrice alla mentalità intransigente, ritengono che attraverso le istituzioni economiche e sindacali si debbano educare le classi subalterne a contenere le proprie rivendicazioni entro limiti "giusti", vigendo inalterata la difesa del diritto di proprietà(13).
Partecipe di tale forma mentis, il patriarca Pietro La Fontaine, dopo aver sollecitato nel novembre 1918 la suprema autorità della Chiesa a nome dei confratelli veneti per un pronunciamento favorevole alle idealità democratiche trionfanti, pur incastonando la richiesta in una visione di carattere medievaleggiante, apre il mondo cattolico cittadino alle nuove forme associative ammesse dal pontefice, nella speranza di intercettare i settori sociali orientati a sinistra. Ma il P.P.I. registra un insuccesso elettorale nel centro storico (poco più di 3.000 voti), poiché gli appelli insistenti apparsi su "Avanguardia" per dar vita a una struttura sindacale e cooperativa ramificata non possono sortire in poco tempo l'effetto di sottrarre i ceti operai alla decennale egemonia socialista. Nella linea pastorale di Cavallari era prevalso infatti il timore del suo alto protettore Pio X che l'eccessivo interesse per le problematiche economico-sociali andasse a scapito della formazione religiosa e che la difesa degli interessi economici di classe, attraverso le leghe, finisse fatalmente per alimentare il conflitto sociale: le unioni operaie e rurali, sorte a cavaliere dei due secoli su impulso del verbo democratico-cristiano penetrato a Venezia nella forma controllata di don Luigi Cerutti, si concentravano così sul versante del risparmio, del mutuo soccorso e dell'istruzione religiosa(14).
Proprio uno dei giovani che agli inizi del secolo avevano aderito alla Democrazia Cristiana così come formulata da Pio X e applicata da Cerutti, ossia l'avv. Giuseppe Cisco, diventa magna pars e despota della locale Unione del Lavoro, risorta nel 1919 e aderente alla C.I.L., nonché direttore del suo organo settimanale "Bandiera Bianca" dal 1920. Ossequiente ai 'padri' del movimento cattolico, ma intenzionato a battere i nuovi sentieri apertisi per l'aggregazione dei ceti subalterni, come si deduce dalle sue pubbliche esternazioni d'età giolittiana, egli era stato segretario della prima Unione del Lavoro locale nel 1904 e consigliere comunale di maggioranza dal 1910, entrando nel consiglio nazionale della C.I.L. in qualità di presidente della Confederazione regionale dei lavoratori del porto e dei trasporti. Mercé la sua opera e quella di più o meno giovani collaboratori di analoga esperienza, il movimento socioeconomico cattolico fra il 1919 e il 1921 cerca di estendere il suo raggio d'azione, anche attraverso una serie di confronti polemici serrati con la Camera del lavoro e la C.G.L. (Confederazione Generale del Lavoro)(15).
Meno di 30 le cooperative di lavoro presenti nella giurisdizione dell'Unione veneziana, comprendente l'estuario e Chioggia, che cercano di contendere gli appalti alle forti concorrenti socialiste: ma nei luoghi in cui maggiore è il radicamento socialista, porto e Arsenale, esse stentano a farsi strada. All'altezza del giugno 1921 fra i 4.490 aderenti all'Unione, travagliata da diatribe con gli altri analoghi organismi presenti nella provincia (Unioni di Mestre-Dolo-Mirano, di Portogruaro e di S. Donà di Piave), solo 200 sono i metallurgici (di Savinem, Elettromeccanica e acciaierie), in via di scioglimento la cooperativa di arsenalotti Bragadin, mentre ben 400 gli infermieri della città, quasi 600 gli orticoltori di Sottomarina ed estuario, 150 gli impiegati nel privato, 150 i muratori, un centinaio gli operai dello Stato, quasi 2.000 le donne, tra lavoratrici dell'ago ed impiraresse di Venezia, Murano e Burano. Numericamente in regresso le merlettaie iscritte al sindacato sorto già nel 1909 per opera di don Cerutti e dell'allora presidente dell'U.D.C.I. (Unione Donne Cattoliche Italiane) locale, impostato secondo un'ottica paternalistica, come la sezione dell'Associazione nazionale di patronato e mutuo soccorso per giovani operaie(16).
A dar manforte all'Unione del Lavoro, dopo la prematura dipartita di "Avanguardia", esce dal dicembre 1919 il quotidiano "Venezia" sotto la direzione di mons. Pietro Cisco, fratello dell'avvocato e parimenti emerso dall'anonimato negli anni di belle époque come presidente del circolo giovanile S. Marco, segretario dell'Accademia pio-letteraria dell'Immacolata - luoghi in cui si forgiano vecchie e nuove leve dell'élite cattolica lagunare - e caporedattore de "Il Leone", facendosi portavoce di un cattolicesimo aperto alle sfide poste dalla modernità nei campi speculativo-scientifico (attraverso il tomismo) e sociale (attraverso le organizzazioni economiche e sindacali), ma sempre rispettoso delle direttive pontificie, dal 1915 cancelliere patriarcale, direttore del "Bollettino Diocesano del Patriarcato Veneziano", assistente ecclesiastico di gioventù cattolica maschile e femminile nel dopoguerra(17).
Il "Venezia" nasce clericale (i responsabili previsti per le diverse rubriche sono tutti sacerdoti) e cattolico, in quanto voce del patriarca, che intende appoggiare il programma del P.P.I., interpretato come riflesso del magistero ecclesiastico, sino al momento in cui il partito si mantenga ad esso coerente. Il quotidiano osserva una via mediana, rimproverando gli eccessi delle proteste, come accade per l'imponente movimento di lotta dei contadini trevigiani culminato nell'incendio di villa Marcello a Badoere nel giugno 1920, ma giustificando la necessità dell'organizzazione sindacale cattolica sulla base della linea perseguita dall'intero episcopato veneto, che la ribadisce nella lettera collettiva inviata al pontefice subito dopo i fatti trevigiani, cui Benedetto XV replica pubblicamente(18). Nel "Venezia" traspaiono in maniera inequivocabile alcuni retaggi propri del bagaglio mentale confessionale ottocentesco - in taluni loro aspetti dalla radice assai più antica -, intersecati ad elaborazioni teoriche suscitate dall'attualità. Si riconosce il diritto delle masse a ottenere una vita migliore, facendo però salvo il principio organicistico per cui le classi sociali devono essere accettate come dati ineliminabili della convivenza umana e sono chiamate ad assolvere compiti specifici in reciproca armonia, nella certezza che la costruzione di una società realmente concorde e prospera può essere garantita solo dall'adesione del singolo alla fede cristiana. Meccanismi sociali imposti sulla base di mere finalità materiali e dell'interesse economico non possono reggere: premessa e garanzia di mutamento sociale è solo la metànoia interiore verso i contenuti della Buona Novella(19).
Si potrebbe tradurre questo concetto servendosi di un versetto del vangelo di Giovanni, nel quale Gesù afferma che per accedere al regno di Dio occorre nascere νωϑεν (ànothen), avverbio dal duplice significato di "dall'alto" e "di nuovo"(20): solo muovendo da Dio, dalla completa subordinazione del singolo al volere divino, di cui è interprete il magistero ecclesiastico, l'umano consorzio può sperare di trarre un ordinamento realmente innovativo rispetto a quelli che la storia successiva alla mitizzata età medievale, paradigmatica nell'inverarsi dell'organicismo, ha offerto. Basamento di tale certezza è un'antropologia pessimista secolare, che nega all'uomo la possibilità di edificare una vera civiltà al di fuori della Christianitas, incapace di gestire da solo il proprio destino e bisognoso perciò della rotta segnata dalla cattedra di Pietro(21).
Queste convinzioni sono presenti in forma più o meno accentuata in tutti i cattolici impegnati sino al secondo dopoguerra inoltrato, se in alcuni interventi al Senato il parlamentare e ministro veneziano Giovanni Ponti - commissario regionale degli scouts cattolici, dirigente della gioventù cattolica diocesana e segretario del P.P.I. cittadino negli anni Venti, esponente di spicco della Resistenza e sindaco di Venezia liberata, nonché presidente della Biennale d'arte - esalta come indispensabile la presenza della carità cristiana accanto all'egualitarismo socioeconomico instaurabile con lo strumento delle leggi(22). All'interno di questo humus comune, dai tempi della prima Democrazia Cristiana, si dipana una modalità distinta di approccio al "popolo". Essa sorge sulla base di un concetto compendiabile con un passo del discorso tenuto dal prof. Emilio Pesenti, presidente della giunta diocesana di A.C. (Azione Cattolica) e consigliere comunale, dirigente dell'Unione del Lavoro e del P.P.I., durante una manifestazione in patriarcato nel 1920, e che ha un noto antecedente nel pensiero esposto da Cerutti al congresso nazionale di Ferrara nel 1899: "è nell'azione economico sociale il segreto della vittoria ed è perciò che egli ricorda la frase di un valoroso amico: i nemici col pane hanno fatto deviare le masse verso il male, noi col pane le ritorneremo a Cristo"(23).
Dunque, se la Chiesa si porrà a difesa degli interessi materiali dei ceti subalterni, la fede in Dio si risveglierà in essi. Da questo assunto, che ha quale scopo primario la riconquista alla fede delle masse scristianizzate ("da mihi animas, coetera tolle") pur muovendo dal piano delle loro esigenze temporali, germoglia l'idea della lotta per l'affermazione di una giustizia economico-sociale sganciata da tale finalismo religioso, ma ritenuta perfettamente coerente al messaggio evangelico. Nel tormentato primo dopoguerra questa parola d'ordine ottiene largo seguito tra i cattolici, specialmente nella generazione più giovane, animata dalla foga di tutelare i diritti dei lavoratori attraverso le nuove opportunità associative. Questa è la premessa per l'opera dispiegata da Cisco, da Giovanni Venni, dall'avv. G.B. Allegri, dall'arsenalotto Giuseppe Lionello nell'Unione del Lavoro.
Nel periodo prebellico tale intuizione aveva dovuto fare i conti con il magistero di Pio X, completamente accolto dalla pastorale del card. Cavallari, che poneva l'accento sulla priorità della formazione spirituale, alimentatrice di uno sguardo distaccato rispetto ai propri interessi materiali e di una disponibilità nei confronti del prossimo sociale, spinta sino alla fatalistica rassegnazione al proprio stato terreno, sulla base della secolare attribuzione di precedenza all'anima sul corpo, allo spirito sulla materia, e della teologia della croce(24). Il rapporto dialettico fra i due orientamenti nella "diocesi all'ombra di Pio X" appare evidente sulle pagine de "Il Leone di San Marco" negli anni 1911-1914 e, attraversando il periodo bellico, esso si traghetta nel momento di sviluppo del P.P.I. e dell'organizzazione cooperativo-sindacale(25). I loro militanti appartengono infatti a fasce d'età eterogenee e accordano preferenza all'una o all'altra prospettiva in una grande varietà di sfumature. Si spiegano così, oltre che sulla base di appartenenza di classe, le divisioni verificatesi al loro interno dinanzi alle sollecitazioni dei tempi: da una parte vi è il gruppo di esponenti del mondo del lavoro e della piccola-piccolissima borghesia (Lionello, l'impiegato Lorenzo Citran, il tipografo Ambrogio Sorteni, il pubblicista Giovanni Venni), affiancato da alcune figure di sacerdoti (don Adolfo Arrigoni, don Alessandro Torcellan, don Giuseppe Spanio) e capitanato da Ponti - che accetta di malavoglia la candidatura nell'Alleanza Nazionale, diventando comunque assessore della giunta Giordano -, il quale preme per un rafforzamento "popolare" del partito, finalizzato a far trionfare le riforme auspicate dalle elaborazioni della sociologia cattolica in particolare di matrice toniolina, facendo propria l'accoglienza sturziana del sistema democratico; dall'altra troviamo, ben insediati ai posti di comando del partito, i dominatori di lunga data dell'A.C. sostenitori di Grimani, appartenenti alla borghesia delle professioni come Pesenti, Paganuzzi, il dott. Luigi Picchini, l'avv. Ettore Sorger (assessore di Grimani, tra i fautori dello sviluppo turistico del Lido), il cav. Giovanni Spadari, l'avv. Gastaldis, l'avv. Jacopo Bombardella, il direttore de "La Difesa" Francesco Saccardo, e alle élites terriere come Enrico M. Passi, dirigente di A.C. e degli agrari a Treviso, o Luigi Donà dalle Rose, fra i quali, con intensità sensibilmente difforme, pur di contrastare l'avanzata socialista, si privilegia l'ipotesi di far recitare al P.P.I. il ruolo di "gamba" cattolica nella riedizione del patto con i conservatori(26).
Tra i contendenti finisce per soccombere il "Venezia", che pure aveva appoggiato l'esperimento dell'Alleanza Nazionale, come svela una lettera del marzo 1921 inviata agli amministratori del cattolico Banco di S. Marco dal suo direttore, destinato a spegnersi di lì a un mese. I maggiorenti della banca - il presidente Carlo Candiani e Sorger in fattispecie -, decidendo di non sovvenzionare più il giornale, condannano la città a restare "feudo dei liberali, fra i quali vi sono, sì, tante persone oneste, ma i cui principii sono [...] ben diversi" da quelli cattolici, ed insieme "piazza aperta all'invasione dei giornali che hanno fatto l'apoteosi della rivoluzione dei bianchi a Treviso"(27).
Ma il fil rouge che attraversa gli schieramenti, fra chi ha imparato ad apprezzare democrazia e libertà come valori in sé e chi matura nostalgie di ancien régime, è dato dalla convinzione che il magistero ecclesiastico costituisca la guida migliore per l'umana convivenza, nella più o meno vaga aspirazione a un sistema politico di carattere ierocratico vagheggiato dal filone dominante di apologetica e magistero a partire dall'età illuminista sino al Concilio Vaticano II, ben esemplificata dai motti di Pio X e Pio XI ("Instaurare omnia in Christo" e "Pax Christi in Regno Christi") e riemergente nel governo di Giovanni Paolo II(28).
È nella generazione di Cisco e di Ponti che acquista un maggiore peso l'idea dell'impegno sociale e del conseguimento di una distribuzione diversa delle ricchezze non immediatamente finalizzata alla rievangelizzazione della società, ma come giusta manifestazione in opere della fede.
Come nel periodo prebellico i coltivatori veneziani del movimento socioeconomico avevano condiviso l'apertura a forme democratiche del sistema politico in termini strumentali, nel senso che, ritenendo ancora maggioritaria l'adesione del popolo italiano alla fede avita, credevano automatica la sua preferenza elettorale per i candidati cattolici rispetto alla troppo laica classe politica giolittiana, così alcuni protagonisti del P.P.I. locale palesano un'ambizione a servirsi del partito sturziano come grimaldello per introdurre nel paese, mercé la platea istituzionale a ciò delegata costituita dal Parlamento, riforme favorevoli alla Chiesa e alla sua egemonia. Perciò il principio di aconfessionalità, contestato dagli amici di Paganuzzi confluiti nell'"ala destra" del partito, che ambisce alla composizione della questione romana, non sembra totalmente compreso e sino in fondo condiviso nemmeno dai vari Bertanza e Cisco, nonostante la proclamata accettazione di esso(29).
La politica, il terreno sul quale si gioca l'organizzazione dei poteri statuali, rappresenta il secondo aspetto del nascere "dall'alto" che per il rinnovamento sociale è costituito dalla fede, poiché essa appare la base di partenza da cui indirizzare nel senso voluto le evoluzioni culturali e materiali della società: e tale considerazione risulta cruciale ai fini della comprensione dell'atteggiamento assunto anche dalla maggioranza dei cattolici veneziani dinanzi al fascismo. Ma "dall'alto" conserva un terzo significato, ampiamente divulgato da un propagandista della tempra di Pietro Lizier, redattore e per alcuni mesi caporedattore de "Il Popolo Veneto", organo regionale del P.P.I.(30), nel quale si mantengono in maniera percepibile alcuni portati della mentalità caratterizzante la generazione di Paganuzzi: poiché l'indifferentismo, l'incredulità e i relativi processi di secolarizzazione(31) si sono diffusi in primis nelle classi dirigenti e da queste trasmessi al basso della scala sociale, è indispensabile che la rievangelizzazione muova da esse. Lizier, presidente nazionale della F.U.C.I. tra il 1924 ed il 1925, alla pari di molti coetanei militanti nel movimento intellettuale cattolico, aspirante classe dirigente, con quest'ultima locuzione non intende il ceto dotato di patrimoni cospicui o di ascendenze nobiliari, ma quello che ha nel sapere la sua ricchezza, assimilabile all'ordo medievale degli oratores. Esso, appartenente per lo più alla piccola-media borghesia, ha il dovere di infondere nei ceti subalterni, come luce derivata dal sole del magistero ecclesiastico, l'amore alla Buona Novella, facendosi in prima persona testimone del Vangelo e in tal modo potendosi fregiare dell'appellativo "dirigente"(32). Essa può fungere da perno della ricostruzione sociale, dinanzi al disimpegno di patriziato e alta borghesia, seguaci di moda immorale, ossequenti solo formalisticamente alla religione, anche in famiglie considerate "nere", e avide consumatrici di ricchezze accumulate in maniera poco limpida(33).
Quest'idea di tutela delle classi subalterne caratterizzava l'opera dispiegata da zii e genitori (Candiani, Paganuzzi, Sorger) durante la seconda metà del XIX secolo nel circolo S. Francesco di Sales, nei patronati per i ragazzi del popolo, nell'Accademia pio-letteraria dell'Immacolata, fondati da mons. Giovanni Battista Piamonte, docente del seminario veneziano da cui scaturisce lo "zoccolo duro" dell'intransigentismo riversatosi nell'Opera dei Congressi(34). Ma a chi nell'ambiente cattolico lagunare è più sensibile alle urgenze dei ceti subalterni si aggiunge nel primo ventennio del nuovo secolo la voce di persone giunte a Venezia per svariati motivi da diocesi dove più avanzata è la riflessione e la pratica in tema di organizzazioni di classe, ma anche nell'impostazione dei rapporti fede-mondo moderno, altro settore in cui Cavallari, animato da spirito crociatesco antimodernista, aveva esercitato una vigilanza strettissima(35).
Dal 1912 anima il mondo giovanile patriarcale il parmense Ferdinando Vietta (presidente del circolo universitario dal 1915 al 1920), formatosi nel milieu dominato dalla figura di Giuseppe Micheli (con cui condividerà l'impegno nel P.P.I. e nel settore bancario del movimento cattolico), esponente con Filippo Meda di "quel 'centro' cattolico che, pur essendosi in origine alimentato all'esperienza della prima Democrazia Cristiana, non segue Murri dopo la condanna e si mantiene, dall'inizio alla fine, su posizioni 'moderate' nel senso più alto e nobile del termine"(36). Assai significativa appare la presenza del faentino e murriano Giuseppe Donati, chiamato nel 1919 dalla giunta moderata di Grimani a reggere l'Ufficio del lavoro comunale e distintosi anche come conferenziere, che diviene, dopo le fallimentari elezioni politiche del maggio 1921 in città, segretario provinciale del P.P.I., legandosi agli uomini dell'Unione del Lavoro cattolica e in special modo a Cisco(37).
Nel 1920 assurge alla presidenza diocesana della G.C. (Gioventù Cattolica) il bresciano Francesco Castagna, attivo socio del circolo universitario, futuro segretario del sindacato tessile bianco e della giunta diocesana di A.C. nella provincia d'origine(38), mentre si affacciano alla vita lagunare due futuri deputati della Repubblica italiana per il collegio Treviso-Venezia e Castelfranco-Oderzo: dal 1920 il sandonatese Celeste Bastianetto, membro del consiglio provinciale e del consiglio di amministrazione della Cassa di Risparmio di Venezia per il P.P.I., e dal 1922 il giovanissimo opitergino Gerolamo Lino Moro, corrispondente de "Il Popolo Veneto", entrambi soci di G.C.I. (Gioventù Cattolica Italiana) e F.U.C.I. e già militanti nelle organizzazioni della provincia e della diocesi di Treviso capitanate da Giuseppe Corazzin e da Italico Cappellotto(39).
Tutti costoro condividono non solo la passione per le problematiche sociali, ma anche altri ardori che sono espressione tipica dei tempi, grazie alla mediazione svolta dalla generazione cui a Venezia appartengono i Cisco, Bertanza, Pesenti. Essa ha appreso ad amalgamare i richiami al patrimonio tradizionale dei valori cattolici, "genealogia degli errori moderni" compresa, con l'accettazione di alcuni caratteri della modernità, depurati da una loro eventuale radice areligiosa o direttamente ricondotti nei loro pregi al cristianesimo(40), a coltivare un così intenso sentimento di appartenenza alla comunità nazionale da comprometterla nel 1911 e dopo il 24 maggio 1915 in un acceso sostegno allo spirito bellico e dopo l'armistizio in una costante difesa delle ragioni espansionistiche italiane oggettivate nell'ossessivo tema della "vittoria tradita".
L'assimilazione dell'amor patrio nel proprio bagaglio di valori è ancor più palese in uomini come Ponti, Lizier e Bastianetto, che hanno sperimentato la vita di trincea. Tale sentimento è comunque subordinato al concetto che il carattere qualificante della patria-Italia, causa delle sue glorie passate e pegno delle future, coincide con la sua tradizione religiosa, favorita dalla presenza del pontefice all'interno dei suoi confini, ma numerose manifestazioni di tale afflato denotano nel contempo la tendenza a farlo assurgere al ruolo di virtù degna delle ricompense celesti: una sorta di 'cedimento' ad una passione terrena i cui connotati religiosi stentano ad intravvedersi(41).
Nella città lagunare il patriottismo si combina senza soluzione di continuità con l'orgogliosa rivendicazione della propria specifica identità veneziana. La Venezia immaginata è quella moderna voluta dal gruppo d'affari facente capo a Piero Foscari e Giuseppe Volpi, sostenuta dalla giunta Grimani a partire dal 1917, con il polo industriale ai Bottenighi e il ponte stradale, ma in grado di coniugare lo sguardo sul futuro alla riscoperta delle sue radici di fede, che per i cattolici hanno contribuito a determinare i tratti tipici della 'venezianità'(42). Al di là delle minoritarie posizioni estremistiche, nelle personalità di spicco del mondo cattolico veneziano si intrecciano tensioni e pulsioni che possono apparire contraddittorie: il parasocialista Bertanza è legatissimo al discusso deputato Sandroni inviso a Sturzo e agli uomini dell'Unione del Lavoro; il sinistrorso Venni, già collaboratore di Francesco Saccardo e inviso a mons. Cisco, futuro dirigente locale dell'Ente nazionale fascista delle corporazioni, è attivo nella stessa Unione, la quale simpatizza per Cappellotto. Quest'ultimo poi, almeno fino alla scissione dal P.P.I. che lo conduce tra le file del movimento di Speranzini, sembra apprezzato dagli universitari cattolici, tra i quali si segnalano Lizier e figli e nipoti di Carlo Candiani(43).
Sia a livello nazionale sia a livello locale, il P.P.I. non abbassa la guardia su tematiche che stanno a cuore alla gerarchia ecclesiastica, come la questione della libertà d'insegnamento, la proposta di legge sul divorzio, il controverso problema della "pornografia" e dell'immoralità sui mezzi d'informazione, nel teatro, nel cinema e nella moda(44). A queste tenzoni dà forte impulso l'A.C., nella quale specularmente si presta attenzione alla formazione sociale degli aderenti, considerando sindacati e partito quali sbocchi naturali del loro impegno. Pur avendo sempre cura di serbare la distinzione fra tali organismi e A.C. - nei suoi rami di G.C.I., G.F.C.I. (Gioventù Femminile Cattolica Italiana), U.D.C.I. e F.U.C.I. -, la commistione fra ambiti è dato di fatto, visto che le persone più esposte nell'una e nell'altra realtà sono spesso le stesse(45).
Sintantoché la fisionomia dell'A.C. non viene a definirsi nel processo di riforma avviato dal pontefice regnante e messo a punto dal successore Pio XI, il patriarca, convinto sostenitore dello stretto legame fra autorità ecclesiastica e associazioni laicali, affida a sacerdoti la direzione delle sue attività: Bertanza, Cisco, don Giuseppe Spanio (cooperatore a S. Maria del Giglio e assistente ecclesiastico degli universitari, figura primaria del P.P.I. cittadino, futuro preside degli studi in seminario dalla fama di antifascista) e al redivivo mons. Luigi Cerutti fra 1921 e 1925(46).
Se si eccettua la difficoltà ad affermarsi dei gruppi parrocchiali dell'U.P. (Unione Popolare), divenuta poi A.C. con la riforma (nel novembre 1920 essa conta solo 18 gruppi sulle oltre 40 parrocchie diocesane), i primi anni Venti si possono dire densi di vitalità per il mondo cattolico patriarcale: la G.C. raccoglie un migliaio di tessere, fiorisce il movimento scoutistico, fortemente voluto nel 1918 e difeso sino alle leggi del marzo 1928 dal patriarca, con i suoi numerosi reparti(47); grazie alle cure di mons. Cisco nel 1919 viene trapiantata a Venezia la G.F.C.I., la quale, presieduta da Elena Médail, nel torno di un anno istituisce 23 circoli parrocchiali con circa 2.000 iscritte, orientandosi sulla formazione religiosa, sull'attività caritativa, sulle battaglie per il riposo festivo, la scuola cattolica, la "buona stampa" e contro il divorzio, in cooperazione con la parallela associazione maschile, e partecipando alla redazione del "Venezia"(48).
Il mondo femminile cattolico veneziano riprende nel dopoguerra il proprio cammino sulle strade battute dal secolo precedente, in un associazionismo multiforme, sotto le prevalenti insegne della beneficenza e della devozione. Nel corso del conflitto le sue dirigenti, tra le quali spicca Matilde De Mori Pellegrini, avevano collaborato ai comitati di sostegno alle famiglie di combattenti e a quello di assistenza civile, vivendo da protagoniste fasi delicate della storia nazionale e fornendo sul campo una prova alla tesi dell'indispensabile contributo cattolico alla macchina bellica(49).
Da alcuni segnali comparsi sulla stampa cittadina sembra di capire come anche in questi settori si diffonda l'interesse per i dibattiti politici: qualche voce invita le colleghe raccolte nell'U.D.C.I. a non limitarsi a riprodurre i ruoli tradizionali della donna nella Chiesa, ma a cimentarsi in iniziative diverse, richieste dai tempi. Quando si apre la prospettiva di accesso al voto per le donne, il mondo cattolico veneziano accoglie nei suoi organi di stampa il dibattito fra le varie opinioni, ma solo nel 1923 si assiste alla nascita di una sezione femminile del P.P.I., affidata a Maria Piermartini, presumibilmente consorte dell'ing. Piermartini e madre di alcuni giovani in prima linea nelle associazioni cattoliche: i maschi come soci del circolo universitario, attivissimi dirigenti di circoli giovanili e della congregazione mariana presso l'istituto dei padri Cavanis, la figlia Adele come fondatrice e presidente del circolo universitario femminile, avviato nel 1925 dopo alcuni tentativi andati a vuoto, esemplare negli anni Trenta per la meticolosa fedeltà all'impegno assunto, di qualità assai superiore rispetto al circolo maschile(50).
Molte le signore nobili che dirigono o si prestano alla beneficenza in vari comitati tradizionali (come quelli per gli "alberi di Natale" negli orfanotrofi): oltre a Matilde De Mori, Maria Walher de Bas, Cecilia Soranzo (tra le fondatrici del Fascio femminile veneziano di combattimento), Leopoldina Brandolin, Erminia Donà dalle Rose, Clotilde Elti di Rodeano i nomi più ricorrenti (le ultime due presiedono per anni la sezione della cattolicissima Associazione nazionale delle madri e vedove dei caduti)(51).
Le colonne di "Aurora", settimanale uscito dall'ottobre 1921 al dicembre 1922, le pagine del quotidiano "Corriere di Venezia" (dal gennaio 1924 "Corriere della Venezia"), pubblicato dal gennaio 1923 all'aprile 1924, e infine quelle del quindicinale "Lepanto", organo della G.C. diocesana comparso dal luglio 1924 al settembre 1925, registrano il proliferare di reparti scouts, il moltiplicarsi e l'accrescersi di circoli e giunte parrocchiali di A.C., di loro sezioni filodrammatiche che si sfidano in concorsi diocesani e nazionali, cercando di arginare il fenomeno del teatro immorale con l'appropriazione di questa espressione artistica sotto le specie di strumento educativo, secondo un itinerario percorso in numerose diocesi dell'Italia settentrionale già da parecchi anni(52).
Il tentativo di rendere totalizzante il messaggio di fede passa anche attraverso l'inaugurazione di società ginniche, il cui primo esperimento si attua a Venezia nel 1903 con la Juventus di mons. Bertanza, ma specialmente attraverso le numerose iniziative di raccolta dei fondi destinati all'erezione di monumenti o lapidi in memoria dei caduti, nonché mediante l'organizzazione materiale e scenografica delle loro inaugurazioni, al fine di soggiogare la memoria della guerra alle coordinate cattoliche(53).
Sulla base dell'equazione stabilita fra prosperità patria e spirito religioso, per la quale il buon cattolico si identifica nel miglior cittadino, e quindi nel miglior interprete del patriottismo, si batte l'accento sullo spiccato senso del dovere manifestato dai fedeli in ogni frangente del conflitto, mirando a ottenere il riconoscimento formale da parte delle autorità statali dell'indispensabile supporto fornito dalla religione nel cementare l'organismo nazionale, in quella che si è definita prospettiva ierocratica.
Un processo di concorrenza e integrazione si instaura fra Chiesa e potere, incarnato nei governi "liberali" e nei primi esecutivi fascisti, che dai parchi della rimembranza agli ossari ambiscono a incanalare in alvei appositi la memoria e l'interpretazione della Grande guerra. Anche in questa materia l'equivoco regna sovrano, nell'alternarsi ciclotimico di manifeste convergenze e di puntualizzate distinzioni, che segnano la storia del rapporto fra cattolici e fascismo. Il mondo cattolico non manca di esprimere anche una propria associazione combattentistica (l'Unione nazionale dei reduci di guerra), che nella provincia di Venezia raccoglie numerose adesioni e nella quale operano un giovane Candiani, Ponti, Lizier, Bastianetto(54).
Ma essere cattolico, anche per chi si cimenta in impegni sociopolitici, significa in prima istanza misurarsi col metro della fede, con la propria capacità di risposta evangelica alle sollecitazioni della quotidianità, sulla base di quell'humus mentale che abbiamo illustrato in precedenza e a cui fa da corollario l'assioma che assegna all'etica la precedenza cronologica e ontologica sulla politica. È per questo che le poche pagine di diario abbozzate nel 1922 da Celeste Bastianetto sono dedicate all'esplorazione di vizi e virtù interiori, più che all'elaborazione di teorie sociologiche(55). Per tale motivo non si spegne la fiamma della devozione e della spiritualità tradizionali, che trae alimento in congregazioni mariane, confraternite, pie unioni e terzi ordini. Anzi, uomini e donne che si distinguono in partito, sindacati e A.C., sono in larga maggioranza i più convinti frequentatori di questi luoghi della sociabilità confessionale(56).
Il dottor Picchini, vicepresidente del consiglio provinciale veneziano in età giolittiana e suo presidente dal 1921 al 1923, segretario del P.P.I. cittadino tra il 1920 e il 1921, membro del suo direttorio provinciale sino al 1925, è conosciuto per lo zelo profuso nella Lega dei padri di famiglia e come infaticabile presidente della Lega contro la bestemmia e il turpiloquio dagli inizi sino alla metà del secolo(57). Il farmacista Amedeo Gottardi, padre di giovani protagonisti della vita di F.U.C.I. e G.C.I., nonché del futuro arcivescovo di Trento mons. Alessandro Maria (assistente spirituale di universitari e laureati cattolici), non solo funge da cassiere del P.P.I. cittadino sino al 1925, ma si distingue nel consiglio particolare della Società di S. Vincenzo de' Paoli a fianco del conte Girolamo Marcello sino al 1955, guadagnandosi la nomina a presidente dell'E.C.A. (Ente Comunale di Assistenza) dal 1946 al 1951, e profonde le sue energie come prefetto e consultore nella congregazione mariana insediata presso il convento dei padri gesuiti, intitolata alla Natività della Vergine Assunta e sviluppatasi nella seconda metà del XIX secolo. Accanto a lui l'avversario politico Agostino Vian, fedele amico di Paganuzzi, vecchi nomi della cattolicità lagunare come G.B. Tessari e G.B. Valsecchi, ma anche i figli di Carlo Candiani. Negli anni Trenta questo nucleo, che promuove l'opera caritatevole Obolo per le monache povere, raccoglie dai 50 ai 70 uomini(58).
Nel maggio 1919 viene battezzata la sua sezione giovanile, raggruppante studenti dalle elementari all'università. Intitolata all'Assunta e posta sotto la protezione di s. Giovanni Berchmans, essa, che negli anni Venti dà vita a una filodrammatica, a una sezione liturgica, una missionaria, una di cultura e una di carità, nell'anno 1943-1944 vanta oltre 150 iscritti, figli per lo più di professionisti, impiegati, commercianti e possidenti di Cannaregio e Castello. Il totale dei suoi aderenti fra il 1919 e il 1955 assomma a 261. Costoro, una volta superati i limiti d'età, passano alla sezione dei "seniores". Per le file della congregazione transitano giovani distintisi nell'A.C. degli anni Trenta come Mario Sarpellon, Mario Da Ponte e Pierluigi Sartorelli, figlio del caporedattore de "Il Gazzettino" e nipote di Gianpietro Talamini, divenuto membro nel corpo diplomatico della Santa Sede fra gli anni Sessanta e Settanta dopo aver abbracciato la carriera ecclesiastica(59).
Troviamo ancora assieme, da protagonisti, nella Congregazione del terz'ordine francescano presso S. Francesco della Vigna, Picchini, Vian e Sorger. Le congregazioni del terz'ordine dipendente dai Frati minori assommano a 10 nel centro storico, radunando dai 600 ai 1.000 fedeli all'anno tra il 1920 e il 1950, in larga maggioranza donne(60). Proprio all'interno di queste cerchie permangono i richiami a privilegiare la formazione spirituale come unica arma di salvezza per la società. Assai esemplari alcuni articoli comparsi sul "Bollettino Francescano", organo del terz'ordine afferente ai padri cappuccini della provincia veneta, presente con le sue congregazioni presso il Ss. Redentore, l'Ospedale Civile e il manicomio di S. Clemente, fra quegli stessi infermieri che aderiscono numerosi all'Unione del Lavoro: si definiscono le "istituzioni, dette sociali, così strane e così straniere al cattolicismo che non servirono ad altro che a preparare il tutto al socialismo", poiché "in luogo di lavorare per le anime, si è fatto troppo per i corpi"(61).
Nel rivendicare un ruolo centrale per la fortificazione spirituale della persona, i terzi ordini, pur ottemperando alle disposizioni pontificie che tra gli anni Venti e Trenta assegnano all'A.C. il ruolo di associazione principe nella realizzazione integrale dei fini della Chiesa, non rinunciano a polemizzare su certi metodi in essa utilizzati: la coscienza cristiana, sostiene il bollettino dei terziari minori, non "si crea in un semplice circolo di sport [...]. E non si sviluppa né in certi convegni di sovraeccitazione nervosa, né in congressi troppo chiassosi, dove fra molta esteriorità, si trova ben poca sodezza e di pensieri e di intendimenti. Condanneremo questi nuovi atteggiamenti? No; ma vorremmo che alla forma, ci s'aggiungesse un po' di materia"(62).
Altra congregazione mariana che funge da catalizzatore per numerosi giovani distintisi nelle file dell'A.C. e che fra gli anni Venti e Trenta dà ugualmente vita a sezioni (una filodrammatica, un gruppo missionario, una corale, una sezione cultura, per giungere nel secondo dopoguerra alla sezione cinematografica) emulando i ritmi di vita dell'A.C., è quella fondata nel 1912 presso l'istituto dei padri Cavanis, al quale quasi tutte le famiglie di matrice cattolica affidano l'istruzione dei propri rampolli. I nomi dei prefetti succedutisi alla guida della congregazione illustrano in maniera autoevidente tali affermazioni: fra tutti citiamo Attilio Degan, prefetto dal 1923 al 1939, il cui matrimonio con una figlia di Amedeo Gottardi è da segnalare come esempio di un evento piuttosto comune attraverso il quale l'identità confessionale di gruppo si rafforza(63).
La congregazione, animatori della quale sono il fucino e professore di lettere Giovanni Coia, promotore del cinema cattolico all'Accademia, fra gli anni Venti e Trenta, e il futuro giurista Feliciano Benvenuti tra gli anni Trenta e Quaranta, attesta una discreta vitalità sino al secondo dopoguerra: a 251 assommano gli iscritti nel 1932, con la partecipazione effettiva alle attività dei due terzi di essi; nel 1945 una settantina di congregati ha la costanza di seguire le pie pratiche, mentre nel 1952 i congregati "cittadini" risultano 270 su 401. La grande maggioranza di questi è composta di laureati e diplomati(64).
Prospera risulta l'associazione degli ex allievi dell'istituto, con i suoi oltre 500 iscritti nel 1934, cui appartiene Bastianetto, e presieduta per anni dal prof. Andrea Benzoni, docente del liceo "Foscarini", segretario del P.P.I. veneziano nel 1925, genitore e nonno di altri uomini al centro delle vicende di A.C. veneziana e nazionale sino agli anni Settanta. L'organo della congregazione mariana "Il Nostro Foglietto" confluisce con l'organo dell'associazione ex allievi "Il Lievito" nel bimestrale "Charitas" nel 1934, mentre fra gli anni Quaranta e Cinquanta la congregazione tenterà altri esperimenti giornalistici di breve durata(65).
Al 1876 risale la nascita della congregazione mariana presso il patronato Pio IX nella popolare e operaia parrocchia di Madonna dell'Orto, poco prima dell'insediamento in esso dei padri giuseppini, i quali, grazie all'apporto indispensabile del parrocchiano Carlo Candiani, lo rendono un punto di riferimento per la gioventù locale, grazie alla società ginnica Laetitia, al cinematografo, alla scuola professionale gratuita, alla banda musicale, alla schola cantorum, al gruppo scoutistico, alla società di mutuo soccorso, sino ai giorni nostri. Anche qui dal 1913, grazie al parrocchiano Emilio Pesenti, si sviluppa un'associazione di ex allievi che nel 1938 conta 400 affiliati(66).
Dal 1908 in qualche modo riesce a farsi strada tra i veneziani anche la severa spiritualità del Carmelo, ottenendo in quell'anno il decreto pontificio di erezione canonica il terz'ordine che dipende dalla comunità degli Scalzi presso la chiesa di S. Maria di Nazareth, risorto nel 1855. Alcune delle più note famiglie cattoliche ne vengono coinvolte: i Bianchini, parenti dei Paganuzzi, con l'avv. Angelo, suo priore; i Candiani, che danno all'ordine l'ultimo loro figlio nel 1920, padre Giovanni della Croce; i Castagna - imparentati ai Candiani - con il quattro volte padre provinciale Giuseppe di S. Teresa fra XIX e XX secolo. Fra il 1908 e il 1958 140 risultano gli uomini e le donne - più queste di quelli - sedotti dall'ascesi teresiana, che con la creazione nel 1936 di un laboratorio per la confezione di paramenti e indumenti religiosi dimostrano di saper tenere i contatti con la realtà terrena. Proprio quell'anno viene ricordato in maniera speciale dalla cronistoria del terz'ordine veneziano, in quanto caratterizzato dall''uscita' all'esterno attraverso un riuscito corso di otto conferenze quaresimali sulla storia del Carmelo(67).
Dal mondo del terz'ordine domenicano raccolto intorno ai padri della basilica dei SS. Giovanni e Paolo e specialmente a padre Pio Lorgna proviene un'ulteriore attestazione del fermento che attraversa la vita cattolica veneziana: durante una cerimonia svoltasi in quella sede nell'ottobre 1922 il patriarca procede alla vestizione di 10 suore, donne assistite spiritualmente dal padre originario di Parma, che vanno a comporre il primo nucleo della Congregazione della Beata Imelda, destinata ad entrare ufficialmente nella famiglia domenicana nel corso degli anni Trenta. Già dal 1923 la congregazione dà vita a filiali nelle diocesi venete e nella diocesi ambrosiana, per espandersi in Emilia-Romagna e in zone di missione nel secondo dopoguerra(68).
Sempre nel 1922 e sempre dal gruppo di devote vicine a padre Lorgna sorge come pia unione la futura Congregazione delle Ancelle Missionarie del Ss. Sacramento, fondata da Caterina Zecchini, propagatrice dello spirito missionario nella diocesi patriarcale con gruppi d'impegno specifici nel corso della Grande guerra, prima cioè dello sviluppo di istituzioni ufficiali diocesane e delle Unioni missionarie francescane sorte in coincidenza con le celebrazioni per il III centenario di Propaganda Fide nel 1922 e sull'abbrivio dell'impulso impresso da Pio XI all'attività missionaria della Chiesa. La congregazione, eretta come istituto di diritto diocesano nel 1933, sovviene a tutte le missioni mediante suffragio spirituale e aiuto materiale(69).
Se è vero che "Bandiera Bianca", nell'imperversare degli attacchi socialisti contro le proprie leghe, come la gran parte del mondo cattolico accoglie la reazione delle squadre fasciste quale giusta nemesi e legittima difesa della società italiana, nel torno di poco tempo, quando l'avanzata delle camicie nere si fa temibile dirottando le sue violenze anche contro le organizzazioni bianche, il settimanale, pur sempre antisocialista, fa marcia indietro, aborrendo la natura reazionaria del fascismo(70). L'accoglienza riservata dai cattolici della laguna al movimento fascista - che in Venezia, con Piero Marsich e Giovanni Giuriati, ha un laboratorio di respiro nazionale - appare piuttosto fredda, soprattutto alla luce del fatto ch'esso si forgia in settori della borghesia di matrice democratico-radicale, laica e anticlericale. L'ostinato revanchismo con cui il Fascio lagunare aveva promosso la disobbedienza civile nei confronti dei governi Nitti e Giolitti in relazione alla questione fiumana aveva provocato l'insofferenza nei patriottici ma amanti dell'ordine cattolici locali(71).
Raggiunto un opportuno accordo elettorale per le amministrative dell'ottobre 1920 fra P.P.I., fascisti e liberali, finalizzato alla sconfitta delle sinistre e intensamente sollecitato dal patriarca, nel gennaio 1921 il direttorio diocesano della G.C. addita una chiara linea comportamentale nei confronti del fascismo che prende a manifestare in queste settimane il suo volto più duro, vietando ai propri aderenti l'iscrizione ai Fasci di combattimento. Seguono ordini del giorno votati contro articoli blasfemi de "Il Popolo d'Italia", organo di "quella deformazione del patriottismo che si chiama fascismo", da circoli che poco più tardi danno vita a sezioni di avanguardisti, formalmente ammesse dal consiglio regionale della G.C. nell'ottobre 1921, col precipuo scopo di svolgere servizio d'ordine in cortei e manifestazioni, di compiere propaganda nelle zone più pericolose, di difendere gli associati dalle aggressioni, essendo stata respinta dallo stesso presule l'ipotesi circolata fra i giovani di formare unioni armate antifasciste con repubblicani e socialisti(72).
Venezia però è precorritrice dei tempi nell'avvicinamento di gerarchia ecclesiastica e classe dirigente fascista: è proprio il cardinale La Fontaine, in buoni rapporti con Giuriati, a proporsi come tramite per un incontro - che non avrà luogo - fra Mussolini, Sturzo e il segretario di Stato vaticano Gasparri, nello stesso giorno (21 giugno 1921) in cui il leader fascista legge alla Camera il primo discorso prospettante una possibile convergenza di interessi tra fascismo e cattolicesimo(73).
Anche l'antimussoliniano gruppo dirigente del Fascio lagunare dibatte circa la possibilità di rapporti col mondo cattolico sul settimanale "Italia Nuova": tra i fautori dell'avvicinamento Giorgio Suppiej, futuro segretario della federazione provinciale, cattolico praticante, cognato dell'avv. Bombardella e di Pierluigi Sartorelli(74).
Se i proclami di Mussolini favorevoli alla Chiesa possono suscitare impressioni positive, nei cattolici maggiormente coinvolti nelle vicende di leghe, partito e A.C. tali sentimenti convivono con lo scetticismo derivante dalla meditazione sulle radici dell'ideologia fascista, dall'osservazione dei suoi effettivi portati morali e dalla vistosa contraddizione sussistente fra orientamenti apparentemente concilianti dei vertici e azioni eversive della base. Sino al 1924, tra i cattolici più attivi nelle file del variegato associazionismo patriarcale, il P.P.I. mantiene il primato della simpatia, sia per il tipo di progettualità sociale perseguito, sia per la sua immancabile difesa dei valori più propriamente religiosi: "Aurora" e "Corriere di Venezia" si pongono trasparentemente a suo favore sino al termine del 1923, ottemperando in ciò anche al desiderio del patriarca, il quale, sebbene in procinto di raffreddare le sue simpatie per il partito sturziano, non fa altro che recepire le direttive vaticane in merito(75).
Al di là delle differenti posizioni in materia sociale, la penetrazione del messaggio evangelico in tutti i settori della vita nazionale resta l'obiettivo prioritario di giovani e vecchi cattolici, cosicché non desta sorpresa trovare i popolari di sinistra Sorteni e Citran, consiglieri comunali, al centro di scaramucce verbali o scontri fisici imperniati su questioni di natura prepolitica: il primo, futuro propagandista della D.C., è arrestato in compagnia di Ulisse Sarpellon (dirigente e presidente della G.C. diocesana, membro del consiglio d'amministrazione dell'E.C.A. nel periodo di governo della giunta Ponti fra 1945 e 1946) come agitatore nella protesta inscenata al Teatro Malibran contro un'operetta ritenuta immorale e conclusasi in zuffa con un gruppo di fascisti nel giugno 1922; il secondo, che si autodefinisce "socialista cristiano", nel corso di una seduta del consiglio comunale nel 1921 chiarisce al comunista Li Causi i confini entro cui si deve restaurare nel popolo la moralità andata smarrita(76).
Per costoro sono da osteggiare tutti gli attori sociali e politici che favoriscono quella metamorfosi culturale coincidente con la scristianizzazione del gregge di Dio, piaga esemplarmente illustrata in varie risposte fornite dai parroci ad alcuni quesiti loro posti dal patriarca La Fontaine per la sua prima visita pastorale (1917-1920). Alla domanda relativa ai sentimenti più diffusi nei confronti della religione e allo stato generale della moralità, la maggioranza dei sacerdoti, pur ammettendo ancora la presenza di un generale senso di rispetto nei riguardi della propria figura, risponde additando nell'indifferentismo dilagante il principale morbo da esorcizzare, con il suo immediato risvolto rappresentato dalla rilassatezza dei costumi, più inclini alla bestemmia e alla lussuria. Un fenomeno che progredisce inesorabilmente, come attestano le conclusioni formulate dal patriarca Piazza al termine della sua prima visita pastorale nel 1939, dolente per il panorama di una società composta da "cristiani senza Cristianesimo"(77).
Contraddizione ravvisabile ad esempio nella scelta di chi rievoca gli anni Trenta come l'aurea aetas in cui "l'idea nostrana di bene e male posava ancora su ciò che continuava a parere investito d'eternità: [...] sulla legge e sul decalogo", in quanto "latina e cattolica", all'interno di un ritratto di vita delle élites veneziane che tutto attesta fuorché un paradigmatico ossequio alle direttive etiche del magistero(78).
In un periodo di latente guerra civile quale il "biennio rosso", il settimanale "Aurora", diretto dal popolare don Spanio e voluto da un manipolo di laici e chierici di orientamento tradizionalista come organo delle associazioni cattoliche, sorge in coincidenza del 450° anniversario della battaglia di Lepanto per condurre le sue crociate "contro i novelli albigesi, contro i novelli turchi, che vorrebbero distruggere la religione nelle coscienze", contro "la miscredenza, il vizio, la empietà" di ogni colore. E i giovani, che vediamo fermi nell'affrontare le violenze squadriste condotte contro circoli e singoli fra 1921 e 1924 e nell'esternare la propria simpatia per il P.P.I., sono anche redattori accaniti nel denunciare gli abusi dell'immoralità in ogni settore della vita moderna(79).
Però, nel difendere lo specifico raggio d'azione dell'A.C., l'apostolato, contro le accuse fasciste di faziosità politica, assecondando la direzione indicata da Pio XI, che escludendola dalle contese sociali l'abiliterà ad esistere nell'Italia delle organizzazioni di regime, si coopera al processo di separazione dei destini fra cattolicesimo e P.P.I., che condannerà quest'ultimo all'estinzione. E addirittura si apre uno spiraglio alla trattativa coi fascisti, quando, insistendo sul concetto per cui solo il Vangelo garantisce quel rinnovamento della società che essi sostengono di perseguire, si propone loro un atto di sottomissione alla gerarchia ecclesiastica, persuasi che il partito mussoliniano sia privo di un'ideologia solida ovvero facilmente rimpiazzabile(80).
Ma, perseguendo in prima istanza la conquista di una maggiore visibilità sociale e istituzionale per la religione cattolica, il settimanale può ospitare indifferentemente lo scritto in cui Gerolamo Lino Moro individua quale conseguenza della carente formazione religiosa nei coetanei l'adesione "a partiti politici che hanno un programma antitetico alla coscienza cattolica come per esempio il fascismo" e i due articoli nei quali un altro redattore (con buona probabilità il maestro Serafino Audisio, presidente della G.C. patriarcale e futuro presidente diocesano di A.C.) nel torno di pochi giorni può disquisire sulla questione romana e pronunciarsi sull'apertura di credito all'ipotesi di collaborazione fra P.P.I. e socialisti(81).
La scissione interna al P.S.I. (Partito Socialista Italiano) verificatasi poco prima della Marcia su Roma, presaga quasi di una sua imminente scomparsa, sembra dar ragione agli eterni critici della sua strategia, fatta di rinnegamento "di Patria, [...] di fede religiosa, [...] di morale individuale e sociale" e di "talune delle superiori esigenze dello spirito umano", difese dai cattolici, i quali attraverso l'azione nel P.P.I. vengono altresì incontro alle aspirazioni di giustizia sociale(82).
Normalizzatore dei conflitti e interlocutore più credibile finisce per apparire il governo Mussolini scaturito dal colpo di mano del 28 ottobre(83): i popolari del quotidiano di Padova, facenti capo al deputato rovigino Umberto Merlin, e i cattolici del "Corriere di Venezia" non fanno mistero dell'intento di servirsi del fascismo per le proprie finalità. Ma se alcuni provvedimenti allettano le coscienze (la riforma Gentile in primis), le ripetute violenze perpetrate dalle squadre fasciste e la sensazione di essere trattati essi stessi alla stregua di instrumentum regni da Mussolini rendono sempre più precario il favore accordatogli, cosicché l'uscita del P.P.I. dal governo viene giudicata positivamente anche dai redattori del "Corriere", che condividono la linea centrista sturziana e continuano insieme a mostrarsi fiduciosi nella possibile costituzionalizzazione del P.N.F. (Partito Nazionale Fascista), perpetuando l'equivoca idea di una dicotomia sussistente fra dirigenti moderati e gregari estremisti del tutto superabile.
Esauritisi nei primi mesi del 1923 gli esperimenti di governo provinciale e municipale per la materiale insostenibilità di un'alleanza con schieramenti politici che guardano benevolmente alla reazione agraria e boicottano iniziative politiche favorevoli alle masse, risultando impraticabile un'opzione alternativa con i socialisti, quando Santa Sede e patriarca ritirano il proprio appoggio al P.P.I., acquistano visibilità anche a Venezia le forze conservatrici del movimento cattolico nelle persone di Paganuzzi, Bombardella, Gastaldis, Cosulich, conti Bianchini, Donà dalle Rose, Passi e Pietro Parisi: molti di costoro si schierano per il "listone" mussoliniano alle elezioni del 1924, aderendo poi al Centro cattolico nazionale(84).
D'altronde l'imponente congresso eucaristico diocesano svoltosi assieme al convegno regionale dell'apostolato della preghiera nel giugno 1923, arricchiti dalla presenza di varie personalità e conclusi dalla processione di 50.000 fedeli scortati dalla M.V.S.N. (Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale), dove gli avversari politici (da Picchini a Gastaldis, da Donà dalle Rose a Benzoni) si trovano uniti nel reggere il baldacchino del Ss. Sacramento, conferma i cattolici locali nell'aspirazione a vedere "il nostro Dio" non solo re "delle coscienze individualmente prese", ma anche dei "destini" e della "felicità delle istituzioni": uno stato d'animo ben predisposto ad accogliere il magistero di Pio XI sulla regalità sociale di Cristo che di lì a due anni troverà forma compiuta nell'enciclica Quas primas(85). Il dissidio fra schieramenti si riverbera sul "Corriere di Venezia", che, mutando il titolo in "Corriere della Venezia", mira a diventare voce dell'intero mondo cattolico regionale in concorrenza con "Il Popolo Veneto", il quale, in preda a difficoltà economiche, rinuncia dal gennaio 1924 alla sua veste di organo ufficiale del P.P.I., anche se non a sostenerlo. Le voci più scopertamente favorevoli al P.P.I. nel giornale veneziano, ossia don Spanio, sostituito da Agostino Vian, e don Alfonso Bisacco, vengono estromesse suscitando le proteste di alcuni gruppi di giovani cattolici: nell'aprile 1924 il quotidiano chiude i battenti, ennesimo esperimento editoriale del mondo cattolico lagunare costretto a una fine ingloriosa, a causa delle faglie interne apertesi in materia sociopolitica che l'afflato evangelizzatore e ierocratico comune ai contendenti e la parola conciliatrice di La Fontaine non riescono a suturare(86).
È inevitabile che la violenza fascista si sfoghi proprio sui giovani, se il presidente dei loro circoli cittadini Giovanni De Piante, membro del consiglio direttivo del P.P.I. e futuro dirigente della D.C. lagunare, nel dicembre 1923, durante i lavori di un congresso diocesano in cui pure viene acclamata la figura dell'appena scomparso Paganuzzi, fieramente sostiene che la Chiesa ha connaturata in sé l'"Azione sociale" da secoli, che "c'è una soluzione cristiana dei problemi politici", discendente dalla solida formazione spirituale e dalla frequenza ai sacramenti appresa nelle file dell'A.C., e che "apoliticità non significa agnosticismo politico"(87).
È degno di nota il fatto che tali giovani si ritengano in tutto e per tutto eredi del movimento cattolico inaugurato proprio a Venezia nel 1874, e il cui cinquantesimo anniversario è festeggiato con dovizia in laguna: G.L. Moro sulle pagine de "Il Popolo Veneto" definisce l'aconfessionale P.P.I. l'erede più puro del "clericalismo" intransigente sfociato nell'Opera dei Congressi, devotissimo alla causa della Chiesa e del papa, caratterizzato da una stretta ortodossia, proiettato verso l'azione sociale, alternativo alla tradizione cattolica "moderata e conservatrice in politica" e talora eterodossa in materia dottrinale(88). Questi uomini sperano sino all'ultimo di vedere il movimento politico mussoliniano rivestire i panni del moderno partito conservatore, che consenta una riforma dello Stato finalizzata alla "massima valorizzazione della nostra Patria libera e grande", assegnando al P.P.I. il ruolo di portavoce delle più profonde esigenze cattoliche. Ma di fronte ai sussulti del fascismo intransigente, culminati nell'omicidio di Matteotti, insorgono a presidiare la "libera esplicazione delle civili prerogative", ammonendo i correligionari a non cullarsi nell'illusione che "il principio evangelico sbocchi in cento sistemi sociali e politici"(89).
In questo clima si compie l'apprendistato di coloro i quali, come Bastianetto, Ponti, Lizier, De Piante, Sorteni, Lionello, Sarpellon, andranno a colmare le fila della prima dirigenza democristiana: tra loro il futuro presidente della Provincia Giovanni Favaretto Fisca, figlio del notabile di Mira cui si deve l'organizzazione del P.P.I. in quella zona, il dottor Michele Grandesso, presidente della G.C. diocesana fra 1923 e 1924, l'avv. Luigi Piero Paganuzzi, nipote di Giovanni Battista, il commercialista Luigi Sabbadin, il notaio Antonio Candiani, figlio di Carlo, l'avv. Alessio Mozzetti Monterumici, attivo nella G.C., nella F.U.C.I. e nel movimento scoutistico negli anni Venti(90).
Ma, come s'è ripetuto, questa generazione ospita nel suo retroterra mentale messaggi contraddittori. Celeste Bastianetto è il mutilato di guerra che redige con l'iniziale maiuscola la parola patria ed esalta il sacrificio per essa, ma che dal 1924 propugna, attento ai dibattiti politici di circuiti internazionali, la causa della federazione degli Stati Uniti d'Europa. Esprime incondizionata fedeltà al pontefice e alle sue mire restauratrici di potestas indirecta, ma proclama nell'agosto 1924 la necessità di "arrivare tutti al cooperativismo [...]; e meglio ancora [...] al comunismo, non quello dei rossi, ma a un qualche cosa di idealmente più giusto e perfetto"(91).
Se anche questi uomini non fanno completamente proprio il tòpos apologetico ottocentesco secondo cui la libertà non è un valore se si traduce in libertà per l'errore(92), o risulta loro estranea l'avversione intransigente per il "pluralismo politico di massa" (principi condivisi invece dal pontefice), finiscono per adeguarsi gradatamente alla restrizione delle libertà, pensando, come i loro padri, che tutto meriti l'immolazione sull'altare di un vantaggio più alto per la Chiesa e che il vero bene del singolo e della collettività scaturisca solo da una totale e ignaziana obbedienza ai desiderata della gerarchia(93).
Dalla metà del 1924 si inizia a registrare in alcune delle persone più esposte in campo politico e sociale l'inizio di un fenomeno di 'riflusso', il desiderio di un ritorno alla vita privata e all'esclusivo impegno in A.C., come all'approdo entro cui coltivare le proprie più profonde aspettative. Mentre Giovanni Ponti resta alla guida del P.P.I. cittadino sino agli inizi del 1925, trasferitosi in altra città per lavoro e subentratogli il più anziano Andrea Benzoni, nel settembre 1924, già alla guida del circolo veneziano, Lizier accetta l'elezione alla massima carica dirigenziale della F.U.C.I. nazionale, dal cui rafforzamento egli asserisce sia necessario muovere per ambire al trionfo della regalità di Cristo nell'assetto sociale, più che dall'arengo delle contese politiche: proprio nel corso della prima udienza concessagli il pontefice esprime parere negativo sul progetto di collaborazione governativa fra P.P.I. e P.S.I. dopo l'affaire Matteotti. Diversi sono gli accenni compiuti negli anni seguenti dal veneziano a questo suo volontario ritiro nel "lavoro silenzioso" dell'A.C., come segnale di una resa alle volontà superiori. Ma sino al termine degli anni Venti gli approcci e gli ammiccamenti al mondo fascista troppo scoperti lo irritano, vivendoli come una deminutio capitis per il cattolicesimo(94).
Bastianetto, contento di essere lontano dall'Italia per il suo viaggio d'istruzione nel Nord Europa proprio nei mesi più controversi del 1924, agli inizi del 1925 accetta di sobbarcarsi la segreteria provinciale del partito, allacciando un rapporto con l'esule Sturzo che si rinvigorirà nel corso del secondo viaggio in Gran Bretagna durante il 1929, tanto da insinuare nelle autorità di polizia la certezza che il sandonatese funga da tramite fra i reduci popolari italiani e gli emigrati. Ma dal 1926 assieme alla consorte Eleonora redige un diario che, se pure contiene saltuarie, ma amare, annotazioni sulla temperie politica, si configura principalmente come la cronistoria della vita di coppia, alle cui "consolazioni" egli si abbandona, nel suo quotidiano dispiegarsi ed evolversi rispetto alle esigenze della dimensione spirituale(95).
L'A.C. ritorna alla pura formazione religioso-morale, mirando a contrastare la progressiva scristianizzazione dell'etica quotidiana, individuata come effetto dell'apostasia di classi dominanti e istituzioni dall'autorità della Chiesa. Ora si chiede al potere coattivo delle leggi, all'unico suo interprete dato dal partito fascista, di lasciare libero campo al proselitismo, ossia si chiede "all'alto" dell'autorità statale di facilitare il lavoro di conquista delle anime "all'alto" rappresentato da Dio, premessa indispensabile per la soluzione delle angustie sociali, nonché di indirizzare costumi e abitudini dei connazionali attraverso la concreta azione legislativa.
Perciò si respinge con forza qualsiasi tentativo volto a minimizzare la funzione dell'A.C., la cui struttura organizzativa, completata dalla costituzione della F.I.U.C. (Federazione Italiana Uomini Cattolici), anche a Venezia conosce un inquadramento più perfezionato in una scansione di appuntamenti associativi assai serrata. Il presidente diocesano della G.C. Alessandro Barbaro e Vincenzo Regini, presidente del comitato regionale della Lega antiblasfema, forniscono la linea editoriale del sospirato settimanale diocesano, che esce sotto la direzione di don G.B. Trevissoi dal settembre 1925 al 1928, orientandolo spiccatamente sulla crociata contro l'immoralità dei costumi(96).
Le relazioni del prefetto Coffari al Ministero dell'Interno, sia prima sia successivamente alle leggi "fascistissime", tendono a evidenziare il compenetrarsi fra A.C. e popolarismo, avallando l'accusa di una propaganda sobillatrice condotta dai "politicizzati" sotto le mentite spoglie dell'apostolato, che conduce nel novembre 1926 a un'ondata di gravi violenze contro le sedi dell'A.C. anche nel capoluogo lagunare. Al clero e alla gran massa dei fedeli viene invece attribuito un atteggiamento meno ostile al governo(97).
Alimenta la speranza di poter 'svuotare' dei suoi contenuti il regime fascista colmandolo via via con i propri principi l'avvio di alcune riforme auspicate da decenni. Le voci cattoliche ufficiali tengono fede alla linea seguita con tutti i governi postunitari, insistendo sul concetto del necessario legame tra prosperità nazionale e subordinazione al magistero ecclesiastico(98).
Nelle loro frequentissime manifestazioni pubbliche di pensiero Lizier, Ponti, Moro, Bastianetto, assumono questo atteggiamento di chi lavora ai fianchi l'avversario per condurlo all'obiettivo desiderato. Nonostante il loro passato popolare, sono considerati cattolici tra i più affidabili dalla gerarchia e voci attendibili del comune sentire tra i fedeli: costante è la loro presenza ai vertici delle varie associazioni, sulle pagine del settimanale diocesano e in pubblicazioni anche di respiro nazionale; intensa è la loro attività di conferenzieri per i circoli parrocchiali, per i rami femminili e maschili dell'A.C. diocesana, per la Lega antiblasfema e via dicendo(99), ma soprattutto spicca la decisione del pontefice di affidare al ventisettenne G.L. Moro, grazie all'amicizia di Righetti e Montini (presidente e assistente nazionale della F.U.C.I. in cui il veneziano acquisito milita con zelo), la carica di segretario generale dell'I.C.A.S. (Istituto Cattolico di Attività Sociali) nel 1930 e di suo direttore generale nel 1933, diventando infine segretario generale dell'A.C.I. (Azione Cattolica Italiana) nel 1936(100).
Già da prima Venezia cattolica manifesta ambizioni di protagonismo, quando il nucleo di ex popolari, capeggiato da Bastianetto e seguito passo passo da esponenti anziani dell'A.C. filogovernativi, dà avvio al primo esperimento di gruppo di laureati nel 1928, vedendo accolto a livello nazionale questo progetto solo quattro anni più tardi. Esso diventa luogo di raccoglimento e riflessione anche sociale, sempre sotto le specie della regalità di Cristo, per chi si sente abilitato ad assumere in prima persona le responsabilità di classe dirigente e coglierà l'occasione offerta in questo senso dal periodo resistenziale(101). Proficuo appare il legame che queste persone instaurano con i Paolini dell'Opera Card. Ferrari, insediatasi a palazzo Morosini dal 1927 al 1929 per esercitare un'azione "patriottica e sociale" fra la massa di operai dell'indotto di Porto Marghera, sotto la tutela di Santa Sede e governo, arrestata dal fallimento finanziario della stessa istituzione(102).
È ipotizzabile che alla sete di incidere sulla soluzione dei problemi sociali, ostruito il sentiero degli interventi politici (e l'ingerirsi in politica si tramuta per i fedeli quasi in un peccato), sia da imputarsi la crescita esponenziale delle Conferenze di S. Vincenzo de' Paoli, rette da Girolamo Marcello e da Amedeo Gottardi, anche se formalmente la loro finalità primaria resta la conquista alla fede delle anime beneficate: in ossequio alle direttive centrali e alle esortazioni papali, quasi ogni gruppo di donne, uomini e giovani di A.C. ne fa sorgere una nel suo seno.
Se da un lato il fiorire di queste attività contribuisce a evidenziare le crepe del sistema sociale ed economico coperte dalla propaganda fascista, dall'altro si verifica un'integrazione con il regime quando gli interventi delle Conferenze si risolvono nell'indirizzare le persone aiutate alle figure istituzionali locali. D'altronde delle commissioni fasciste di assistenza distribuite sul territorio per sestieri e parrocchie fanno parte anche i pievani(103).
Anche a Venezia, e grazie a uomini e donne del gruppo laureati, il milieu cattolico aderisce senza riserve al sistema tomistico come teologia raccordante le esigenze dell'intelletto con quelle della fede, in grado di rispondere ad ogni quesito posto dalla scienza e dalla vita moderna e divenuto pressoché espressione ufficiale della Chiesa di questi anni. Le iniziative avviate da tutti i rami dell'A.C. per diffondere questo verbo vedono sfilare, generalmente nelle sale dell'Ateneo Veneto (che aveva visto trionfare i corsi dell'università popolare), le figure più rappresentative della cattolicità nazionale dai trascorsi politici disparati, ma tutte accomunate dal grande sforzo di restituire l'Italia al papa: da padre Gemelli e padre Semeria a padre Cordovani, da Egilberto Martire a Luigi Stefanini(104). Non si può nemmeno sorvolare sul graduale accoglimento di alcune innovazioni liturgiche da parte dei cattolici attivi nell'A.C. veneziana, che anche in questo caso ha nelle cerchie ristrette degli universitari e laureati il suo preludio non privo di asperità, nell'immediato primo dopoguerra(105).
La vita cattolica pubblica a Venezia, dai convegni alle celebrazioni religiose, attesta dello sviluppo di un modus vivendi improntato a cordialità formale con le autorità costituite, in ottemperanza alle direttive romane e patriarcali, che esortano alla "collaborazione nella distinzione": così i supplenti del "Foscarini" Ponti e Lizier, come il docente di ruolo Benzoni, chinano il capo versando il loro obolo al raccomandatissimo prestito littorio del 1926.
Nemmeno Lizier che nel novembre di quell'anno, dopo le burrasche delle aggressioni fasciste, paventa tempi cupi per l'avvenire d'Italia in una corrispondenza privata, lesina l'elogio ai "buoni provvedimenti del Governo Nazionale" un mese più tardi nel corso di una giornata antiblasfema a S. Giuseppe di Castello: ma ugualmente poche appaiono tra i pubblicisti e i propagandisti le remore a denunciare la mancanza di decisione nel limitare i fenomeni d'immoralità che allo spirito fascista possono non apparire tali, così come le sollecitazioni ad accogliere le linee della sociologia cattolica(106). A tale scopo "La Settimana Religiosa", diretta dal 1928 al 1930 dal presidente diocesano di A.C. Audisio, si serve di un sacerdote come mons. Giuseppe Scarpa, prossimo parroco di S. Salvador già sostenitore di P.P.I. e leghe bianche, aggiornatissimo professore di scienze di innegabile ortodossia, assistente ecclesiastico di universitari e laureati cattolici fra 1924 e 1949, ricordato come maestro di antifascismo. Specie durante il periodo di governo del podestà Ettore Zorzi e del segretario federale Suppiej (dal 1928-1929 al 1933-1934), le autorità civili e fasciste in taluni frangenti accolgono di buon grado le proposte che il segretariato per la moralità diocesano, diretto sino al 1937 dall'ex popolare di destra Antonio Cosulich e tra i cui membri si conta Bastianetto, lancia di continuo, in special modo sull'annoso tema delle opere esposte alla Biennale d'arte, sul ballo, sulla balneazione al Lido, su vari prodotti editoriali(107).
Il concordato del 1929 è accolto con soddisfazione anche dai fedeli meno convinti dell'esperienza fascista, poiché è vissuto come il raggiunto superamento della questione romana e il riconosciuto diritto di cittadinanza per i cattolici, anzi, il loro indispensabile apporto alle sorti del paese. Se tra i discorsi tenuti per l'occasione dai vescovi della regione quello del patriarca si accosta in maniera più puntuale alla concezione mussoliniana dei Patti, tra le voci della base cattolica si riscontrano differenze relative al maggiore o minore merito concesso al primo ministro nella riuscita integrazione fra Stato e Chiesa rispetto alla provvidenza e al pontefice(108).
Sembra che siano superate le ritrosie di coloro nei quali "non fu così facile, malgrado le esortazioni nostre, il fare rinascere la fiducia" verso la realtà del regime, come riferirà il card. La Fontaine a Suppiej, durante le evenienze dei "fatti del '31": le schiette manifestazioni di sostegno all'opera governativa del presule vanno comunque lette nella prospettiva assolutamente religiosa di restaurazione della Christianitas(109).
Anche nei cattolici veneziani più impegnati spira l'illusione di poter ampliare la propria influenza, lusinghe e incitamenti all'indirizzo del governo continuano ad alternarsi, anche se, in perfetta obbedienza al papa - more veneto -, proprio mons. Scarpa invita a moderare i toni chi vorrebbe slanciarsi impetuosamente all'esterno dei circoli per guadagnare la società a Cristo: ciò che invece "è a tutti necessario è prepararsi interiormente"(110).
Ma il tentativo di addestrare un'élite limpidamente cattolica, la manifestata intenzione di dibattere sui problemi economico-sociali e il progressivo rinvigorimento dell'A.C. provocano a Venezia, nel maggio 1931, una fra le più violente reazioni delle organizzazioni fasciste, che Suppiej e Giuriati - segretario nazionale del P.N.F. - non riescono e non vogliono del tutto limitare. L'informatore di polizia infiltrato nel mondo cattolico veneziano avverte che le sue file "si vanno sempre più stringendo e [...] vanno sempre più orientandosi verso forme di organizzazioni pel momento apolitiche, ma tali che possono divenire politiche improvvisamente"(111).
Gli accordi di settembre stabiliscono l'esclusione dei dirigenti del P.P.I. dalle cariche direttive dell'A.C., ma a Venezia tutti costoro continuano ad esser pienamente partecipi delle sue sorti, mentre non viene messo in discussione il loro ruolo in altri organismi della sociabilità confessionale. Alcuni docenti cattolici del liceo "Foscarini" (Benzoni, Pavanini, Ponti ed Enrico Turolla) sono gli ultimi a prendere la tessera del P.N.F. nel novembre 1932, ma non in tutti questi ex popolari si spegne il sogno di assistere al trionfo della potestas indirecta papale grazie al governo mussoliniano(112). D'altronde è innegabile che la loro sensibilità sociale si traghetti in qualche forma nelle nuove generazioni attraverso la militanza nelle associazioni e che la meditazione sulle radici da cui scaturisce la Weltanschauung fascista e sulle sue espressioni considerate antitetiche al messaggio cristiano possa suscitare la disillusione sull'effettiva capacità di condizionare il partito al governo, e dunque far acquisire consapevolezza della sostanziale 'irriducibilità' di Chiesa e ideologia totalitaria, mantenendo in vita una vena di insofferenza antifascista di carattere religioso, tanto è vero che anche nei periodi di idillio fra i due poli non mancano in Veneto e a Venezia scontri fra giovani della base vertenti intorno a questioni di ordine morale: dal 1932 le stesse autorità cittadine iniziano a palesare una certa indifferenza nei riguardi degli assillanti richiami in merito di A.C. e patriarca(113). Ma proprio in virtù dell''ibridismo' cui soggiace la loro formazione culturale, la prospettiva del raggiungimento di una società integralmente cattolica rende oscillanti le esternazioni di molti ex popolari. Né hanno gran peso gli effetti giocati dalle cronache provenienti da Messico, Russia e Spagna e in genere da paesi devastati da guerre civili in cui la Chiesa conosce nuovi tempi di persecuzione: a loro confronto l'Italia appare prossima a una situazione ottimale. Questi poi sono gli anni in cui la crisi economica mondiale suscita fra i nomi più illustri dell'intellighenzia fascista un dibattito sul corporativismo inteso come possibile 'terza via' fra capitalismo e comunismo, che inevitabilmente coinvolge il mondo cattolico, con il peso della propria annosa elaborazione teorica soprattutto di matrice toniolina.
In tale materia la voce nazionale G.L. Moro si riversa in laguna fra 1933 e 1936, nell'intento di condizionare l'esperimento fascista in fieri. Alcuni suoi interventi si compiacciono palesemente per specifici provvedimenti governativi e d'altro canto le preoccupazioni demografiche del regime si sposano alle velleità di restaurazione morale cattolica. Ma non si perde occasione per sottolineare la distanza che separa dall'attuazione di taluni propositi. Se nella generazione dei trentenni si presta attenzione al dato 'tecnico' nella disamina dei problemi economici, non manca chi raccomanda ancora la ricetta della carità per la loro soluzione, più vicino nella sensibilità agli avi e, come attesta l'enciclica Charitate Christi compulsi, ai vertici della gerarchia ecclesiastica, quando proclamano che la finalità primaria del comunismo è sradicare dall'animo umano l'afflato religioso, più che l'instaurazione di un regime economico(114).
Nicodemismo, irresolutezza o concordia discordium connotano le performances dell'oratore Pietro Lizier, invitato a commemorare figure, eventi, concetti del patrimonio spirituale e storico della Chiesa dai più svariati committenti ecclesiastici (dall'A.C. alle Conferenze vincenziane, dai padri giuseppini al terz'ordine carmelitano), ma anche dal circolo di cultura fascista e dal Conservatorio "Benedetto Marcello". Compatisce chi si è illuso "sulla vera bontà del regime democratico", per invitare poco tempo dopo a non stupirsi che "l'ordine sociale sia cercato nella soggezione brutale a una forza esterna di coazione, che tutto irreggimenta nei suoi schemi", poiché il senso morale alimentato dalla fede è oramai minoritario nella società occidentale.
"L'aquila, il Littorio e la Croce contro la falce e il martello" sono alleati, se Mussolini afferma che "solo Dio può piegare la volontà fascista", ma non si tacciono le "aberrazioni della politica cesarista", fino a quando nel 1937 si teorizza privatamente che la democrazia è, "coi suoi sistemi, una falsa e stupida invenzione, che pretende che centomila o milioni di teste, tutte dislivellate tra loro, possano livellarsi", mentre "un genio anche dissoluto ha nelle sue creazioni scintille di verità".
Nicodemismo e vera evoluzione, se nel clima di euforia per la conquista etiopica Lizier si sfoga in alcune note biasimando la "bassezza ignobile della [...] coscienza civile" italiana, poiché l'"immonda poltiglia amorale" dei connazionali si è lasciata trascinare "per la via pazzesca dell'avventura", incapace di intravedere in Sturzo il capo di un governo che avrebbe riportato in auge il progetto neoguelfo di Gioberti e regalato all'Italia "una politica grandiosa", mentre un mese più tardi nell'ambito di una pubblicazione trova degno di plauso il fatto che il governo irreggimenti "le forze della giovinezza, per temprarle a fortezza e disciplina, nella prospettiva delle future esigenze di difesa e di espansione della Patria"(115).
Il vero salto di qualità nell'adesione al regime fascista per questi cattolici si constata all'altezza delle sanzioni decretate dalla Società delle Nazioni contro l'Italia. La decisione di affamare una terra che è "madre di ogni sapere e culla di ogni progresso", un popolo che ha diritto all'espansione in quanto civilizzatore, spinge a fare quadrato attorno al duce, nella convinzione che l'embargo possa sortire l'effetto di ricondurre la nazione a uno stile di vita più morigerato e dunque più cristiano. Dai frati cappuccini ai padri Cavanis, un po' tutto il mondo cattolico cittadino condivide questa lettura, estrinsecandosi in prose più o meno magniloquenti che battono l'accento ora sulla doverosità di un contegno patriottico per i fedeli ed ora sulla totale condivisione delle scelte governative. Gli insegnanti cattolici del "Foscarini", parchi in genere nei versamenti per le opere di regime, donano oro alla patria(116).
Si mantengono un po' fuori dal coro Ponti e Bastianetto, il quale ultimo solo nel 1940 si deciderà a prendere la tessera del P.N.F. per mero vantaggio pratico, vivendo la scelta con estrema vergogna. E d'altronde se in un passo del suo romanzo Ponte di sole, uscito nel 1936 e vincitore del premio Savoia-Brabante, indulge a un accenno positivo nei confronti del regime, come a un pedaggio da pagare, subito dopo pare condividere i fremiti di un suo personaggio all'ascolto del versetto del Magnificat, in cui si proclama che "i potenti sarebbero ruzzolati dai seggi ed i poveri sarebbero sorti a dignità"(117).
Se Lizier è l'oratore ufficiale nella cerimonia di festeggiamento per il primo anno dell'Impero al liceo scientifico; se lo stesso docente sostiene nel dicembre 1937 dinanzi ai suoi successori della F.U.C.I., capitanati dal futuro caduto partigiano Angelo Coatto, che l'indirizzo governativo degli ultimi anni può esser considerato un'effettiva concretizzazione di quella politica "forte e giusta" insegnata dal magistero ecclesiastico, poiché ormai nel fascismo permangono pochi "residui impuri" teorici di ceppo idealistico, di cui peraltro il fascismo può fare a meno; se nell'istituto Cavanis oltre 300 fanciulli vengono inquadrati prima in una centuria di balilla e poi in una coorte marinara addestrate da membri della congregazione mariana; se il già filopopolare don Alfonso Bisacco esprime una linea editoriale filofascista nel dirigere "La Settimana Religiosa" fra il 1930 e il 1943; se il patriarca Piazza dall'accesissimo patriottismo dei tempi di Grande guerra approda a un aperto sostegno al regime, mentre le fonti di polizia rilevano un atteggiamento lealista nel clero in genere: non v'è da stupirsi che giovani cattolici emergenti si lascino esaltare dalla retorica governativa e si integrino pienamente nei ranghi delle organizzazioni di regime.
E se Gigi Scarpa, presidente del circolo universitario cresciuto in una famiglia antifascista, vince i Littoriali per la cultura e per l'arte nel 1937 mirando a esaltarvi il patrimonio ideale cattolico, vi è chi tenta o vorrebbe tentare l'impresa declinando la propria identità sotto specie più consone al vago spiritualismo fascista(118).
A Venezia trova una platea disposta ad applaudire pure chi, come il prof. Attilio Scarpa, docente di materie letterarie in numerosi istituti superiori del Veneto, impegnato nelle file dell'A.C. patriarcale dal periodo prebellico, accoglie nelle sue ricerche estetiche e pedagogiche spunti e suggerimenti della filosofia gentiliana, avversatissima dalle centrali teologiche più accreditate in Italia (l'Università cattolica in primo luogo) in nome del neotomismo. La sua posizione mediatrice non è da sottovalutare, se la maggioranza delle sue pubblicazioni esce per i tipi della cattolicissima Libreria Emiliana Editrice, mentre egli brilla come conferenziere anche per associazioni non cattoliche e fasciste(119). D'altro canto l'estetica cattolica nel suo complesso apre le sue maglie interpretative, cosicché la nuova generazione di critici e lettori apprezza e inserisce nei suoi canoni autori e opere passibili di ostracismo e censura sino alla metà dell'Ottocento, sulla base del mancato ossequio ai contenuti etici o ai fondamenti della fede cattolica. Anche a Venezia si apre credito a nuove espressioni dell'arte o a teorie filosofiche - come quella del conosciuto trevigiano Luigi Stefanini - alla ricerca di un terreno di confronto con il moderno. In questi divulgatori e pubblicisti si mantiene comunque saldo l'aggancio ai tradizionali riferimenti, ossia la centralità assegnata alla funzione etica e alla moralità della e nella produzione artistica. L'equilibrio fra questa duplice istanza è ravvisabile nella gestione della Biennale d'arte operata per anni nel secondo dopoguerra da Giovanni Ponti(120).
In tema di famiglia e sessualità, di rapporti interpersonali, le concezioni fra giovani e anziani militanti dell'A.C. non distano di molto, ma nei primi - così come in ambito estetico - esse tendono in qualche modo ad assecondare alcune trasformazioni in corso nella società. Per gli universitari veneziani non suscita scandalo la contiguità frequente tra maschi e femmine in diversi impegni religiosi, ma anche profani come le gite, sino a quando le lamentele di Elena Médail, presidente dell'U.F.C.I. (Unione Femminile Cattolica Italiana) locale, non giungono alla presidenza centrale dell'organismo per rifrangersi su Pietro Lizier nell'estate 1925(121).
Dopo gli sconvolgimenti del 1931 l'avanzamento numerico del movimento cattolico a Venezia è progressivo e un contributo determinante ad esso - come si verifica in altre diocesi venete - proviene dai settori femminili. L'U.D.C.I., poi U.D.A.C.I. (Unione Donne di Azione Cattolica Italiana), presieduta per anni dalla consigliera nazionale Rosanna Marcello Del Majno, paga la "bufera" di quell'anno solo con "qualche dolorosa defezione". L'organizzazione istituisce il ramo dei fanciulli, accresce la biblioteca, mantiene una colonia al Lido, sviluppa l'apostolato per categorie specifiche di lavoratrici (dalle domestiche alle insegnanti) e fra gli ambulanti, il catechismo e l'istruzione religiosa alle donne del popolo, riuscendo in qualche occasione a far regolarizzare religiosamente unioni civili e convivenze. Dai 33 gruppi parrocchiali con 2.208 socie, l'associazione nel giugno 1933 arriva a radunare 2.841 tesserate in 53 gruppi. Nel 1939-1940 le iscritte delle parrocchie di città ammontano a 2.003, annoverandone altrettante le foranie di Mestre, Torcello, Murano, Gambarare e Caorle(122).
La G.F. (Gioventù Femminile), presieduta da donne di estrazione borghese come la Médail o Maria Rossi, dalle circa 2.300 iscritte del 1932 si accresce sino a contare oltre 3.500 socie cittadine nel 1941-1942, comprese "beniamine" e "piccolissime".
Le studentesse del circolo universitario (mai più di 50) vantano costantemente la presenza di una loro collega nel consiglio nazionale della F.U.C.I., trovando ospitalità per alcuni scritti sulle sue riviste. La voce di Silvia De Biasi, laureata in Lettere, si schiera apertamente per l'ampliamento delle prerogative femminili nel mondo degli studi e delle professioni, affrontando un contesto mentale largamente influenzato dagli schemi di suddivisione tradizionale dei ruoli sessuali(123).
Anche se nell'U.F.C.I. tali schemi vengono formalmente e generalmente accettati, l'evoluzione in atto nella società, che assiste all'incremento dell'attività lavorativa extrafamiliare femminile pur ostacolato dalla politica maschilista e demografica fascista, non manca di avere ricadute sulle forme della catechesi. Facendosi forza di istruzioni papali e ispirandosi all'esempio di sante venerate, la figura della propagandista e della donna oratrice riesce a conquistare spazio e dignità. Anche nella città lagunare i numerosi corsi di preparazione a tale compito vengono regolarmente organizzati e affidati a sacerdoti e laici competenti (mons. Scarpa, il giovane don Giovanni Urbani, futuro cancelliere e patriarca di Venezia, il cancelliere patriarcale e futuro vescovo di Vicenza mons. Carlo Zinato fra gli altri).
Una palestra di notevole valore per quelle donne, nella quasi totalità socie del gruppo laureate, che nell'immediato secondo dopoguerra percorreranno quotidianamente centro e periferia veneziana per far attecchire sul terreno già lavorato il seme della D.C.: tra esse Angela Mariutto de Sanchez y Rivero, già attiva nel circolo universitario, coniugata a un diplomatico iberico, insegnante dell'Istituto italiano di cultura a Madrid negli anni precedenti la guerra civile e futura docente di Ca' Foscari(124).
Cariche direttive di carattere diocesano o parrocchiale sono appannaggio sia di nomi blasonati sia di donne di estrazione piccolo-medio borghese (madri di famiglia, studentesse, maestre e impiegate, nubili possidenti come la figlia di G.B. Paganuzzi, Maria Pia), in relazione ovviamente alla costanza dimostrata nelle attività di A.C. e di organismi collaterali, nelle loro funzioni e riunioni settimanali e mensili(125).
Fra le associazioni maschili stenta a decollare la F.I.U.C., divenuta poi U.U.A.C. (Unione Uomini di Azione Cattolica), ultima nata dalla riforma dell'A.C. e presieduta per anni dall'avv. Andrea Tessier, compagno di Giuseppe Cisco nella G.C. d'inizio secolo, dirigente diocesano dell'A.C. e anch'egli consigliere comunale di maggioranza ai tempi di Grimani. Mentre la G.C. oltrepassa stabilmente la soglia delle 1.000 unità, giungendo nel 1941-1942 ad attestarsi in città intorno ai 1.600 aderenti, gli uomini non riescono mai a raggiungere quel traguardo. Gli esili gruppi parrocchiali si segnalano per iniziative contro l'immoralità (tra esse la campagna di boicottaggio della Biennale d'arte), per cerimonie commemorative, specie in onore dei caduti, per gli aiuti ai circoli giovanili, per la fondazione di confraternite, per l'azione pro buona stampa e nel 1932 addirittura per l'organizzazione di turni "di impetrazione al Sacro Cuore di Gesù per la cessazione della crisi economica"(126).
Nella giunta diocesana, che dopo la scomparsa di Audisio nel 1930 vede per anni instaurarsi al suo massimo vertice il canonico arciprete di S. Marco mons. Rachello - confermato dal patriarca Piazza anche dopo la nuova riforma dell'A.C. nel 1939-1940 -, e fra i dirigenti dei diversi rami di A.C. prevale, come sottolineano le fonti fasciste, la "categoria dei professionisti, commercianti ed anche pensionati", quasi tutti già aderenti al P.P.I., ma senza che nessuno abbia "presentemente [...] manifestato sentimenti di ostilità al regime"(127).
Discorso diverso per alcune espressioni antiche della religiosità locale come le confraternite. Quella della Scuola grande di S. Rocco, ad esempio, è presieduta dal conte Passi, mentre l'Arciconfraternita di S. Cristoforo, dedita al suffragio e all'accompagnamento dei defunti, che segna una ripresa dagli inizi degli anni Trenta con l'avvio della pubblicazione di un bollettino per gli oltre 1.500 aderenti, è retta dal conte Mario Nani Mocenigo, affiancato dall'assistente diocesano della G.C. e futuro vescovo don Augusto Gianfranceschi a partire dal 1933(128).
Se agli inizi degli anni Trenta l'A.C. diocesana raccoglie dunque meno di 7.000 persone, nel 1941-1942 le statistiche registrano l'iscrizione di quasi 9.400 persone nella sola città e quasi 11.700 nelle altre foranie, oltre a 1.700 aderenti alle associazioni "interne" (i circoli creati all'interno di istituti e collegi). Ma se raffrontate ai dati statistici relativi all'intera popolazione di città e provincia, queste cifre segnalano che l'incidenza del movimento cattolico organizzato su di essa, ricomprendendo anche terziari, congregati mariani e membri di sodalizi vari non attivi nell'A.C., non supera la percentuale del 6-7%(129).
Le fonti a nostra disposizione (comprese quelle archivistiche solo parzialmente esplorate) consentirebbero di affermare che a Venezia l'impatto del movimento cattolico sugli strati ampi e bassi della scala sociale sia da considerarsi marginale, fatte salve alcune zone 'popolari' di Cannaregio, ossia Madonna dell'Orto, S. Alvise e S. Giobbe, dove l'aggregazione stimolata sin dall'Ottocento dai parroci, dai padri giuseppini e dai canossiani (congregazioni il cui carisma è dato dalla cura dei giovani "figli del popolo") riesce a calamitarne l'interesse, e la zona di Castello gravitante attorno ai Salesiani e al patronato "Leone XIII". Fanno in parte eccezione anche alcuni circoli della G.C., come quello presente nella parrocchia dei SS. Giovanni e Paolo, retta dai Domenicani.
Nelle eccezionali circostanze della seconda guerra mondiale, la presidente della G.F. sarà costretta a segnalare al patriarca che "i convegni delle adoloscenti lavoratrici continuano ad essere scarsamente frequentati", a differenza di quelli attuati per la formazione religioso-professionale di impiegate ed insegnanti(130).
Dunque, nonostante i segnali che lascerebbero definire la fase vitale di Venezia cattolica fra gli anni Trenta e Quaranta di rigogliosa maturità, per il carattere di ampio respiro assunto dalle sue iniziative e per l'ascesa di suoi esponenti a ruoli nazionali, non riesce l''aggancio' dei ceti subalterni che le classi medie largamente rappresentate nell'A.C. perseguono da decenni(131).
Sino alla metà degli anni Quaranta la Libreria Emiliana Editrice, fondata dal console pontificio Giuseppe Battaggia nel 1837, assurge a fama nazionale, grazie alla risurrezione operata dai Figli della Divina Provvidenza di don Luigi Orione, chiamati a Venezia dal patriarca e installatisi dal 1923 nella chiesa di S. Maria della Visitazione e negli immobili situati a ridosso di essa, raccogliendo l'eredità di un amato santo veneziano (s. Girolamo Emiliani) e della congregazione da lui fondata (i Somaschi), lì presente sino al 1881. L'Editrice si fonda sulla scuola tipografica dell'istituto professionale "Artigianelli", che con le officine scuola, la filodrammatica, la banda musicale, la congregazione mariana, l'associazione ex allievi, vede progredire le sue fortune nel torno di pochi anni.
All'Emiliana viene chiesta la disponibilità a stampare il testo unico per l'insegnamento della religione nelle scuole e solo il deciso parere negativo di don Orione impedisce al direttore don Carlo Sterpi di condurre a termine l'impresa milionaria. Sotto l'amministrazione di don Luigi Piccardo, divenuto poi direttore dell'istituto, l'Editrice decolla, permettendo la parziale condivisione degli utili con i dipendenti(132).
A cura degli Orioniti viene edita la "Rivista Mariana 'Mater Dei'-Organo del movimento per il XV centenario del Concilio di Efeso (431-1931)", uscita in preparazione della ricorrenza fra il 1929 ed il 1936, con direzione e redazione fuori Venezia, ma amministrazione presso l'Emiliana. Le sue pagine ricche di illustrazioni del culto mariano, specie fra i canali della Serenissima, ospitano scritti densi di erudizione e pietà di numerosi membri dell'intellettualità cattolica patriarcale (Ponti, Scarpa, don Spanio, Giovanni Coia) e in primo luogo del prof. Alessandro Vardanega, ex fucino docente all'Accademia di Belle Arti e artista menzionato nel Dizionario illustrato dei pittori, disegnatori e incisori italiani moderni e contemporanei di Comanducci(133).
Mercé don Alfonso Bisacco, Venezia si distingue su scala addirittura internazionale nel celebrare i fasti del giubileo proclamato da Pio XI per il XIX centenario della morte e resurrezione di Cristo nel 1933, attraverso la pubblicazione del quindicinale "Anno Santo. Rassegna illustrata del Giubileo della Redenzione". Stampato dalla tipografia del "Gazzettino Illustrato", esso non si propone di ospitare scritti di carattere morale, teologico, narrativo, ma di far conoscere col solo mezzo della fotografia l'Italia che festeggia e rende evento socialmente significativo la ricorrenza religiosa. Ed insieme, ospitando le immagini del culto secolare reso alle verità di fede - dalle tavole dei crocefissi duecenteschi alle colonne di cattedrali neoclassiche -, esalta la tradizione cattolica quale anima pura della nazione italiana aperta al mondo. Collaborano alla rivista, la cui direzione è sita in S. Polo e la cui redazione romana è curata da G.L. Moro, nomi noti del cattolicesimo italiano. La rubrica di posta rivela che lettori e ammiratori risiedono in tutte le contrade d'Italia e in svariati punti dell'orbe, grazie all'ottimo servizio reso dai rivenditori romani.
Il successo dell'esperienza è tale che da più parti si esorta il direttore a non cessare le pubblicazioni e così nel dicembre 1934, dopo otto mesi di pausa, il quindicinale esce col nuovo titolo di "Italia Sacra Illustrata" e la possibilità di abbonamento cumulativo con "L'Avvenire d'Italia"(134).
Nel 1933 vede la luce anche il cinema cattolico stabile presso la sala di proiezione all'Accademia, aderente all'O.N.D. (Opera Nazionale Dopolavoro), in un periodo in cui le resistenze del patriarca La Fontaine - restio a tale istituzione negli anni Venti, quando le discussioni sull'opportunità di contrapporre alla "corruzione" indotta dal cinema laico un cinema "sano" erano state vivaci - vengono meno(135).
Venezia cattolica è presente anche nei luoghi in cui il sapere 'alto' si produce e laddove si forma la classe dirigente. Giulio Pavanini, Eugenio Bacchion, Enrico Turolla, Riccardo Dusi, Giovanni Zulian, oltre a Lizier, Ponti e Benzoni, sono docenti di licei e istituti professionali della città lagunare, ma anche fra i soci dell'Ateneo Veneto e i collaboratori alla rivista omonima (Bacchion in primis), soprattutto dal 1940(136).
Oltre a Pierluigi Sartorelli, si formano e crescono nella diocesi marciana anche altre persone destinate a brillare in campo nazionale. I fratelli Aurelio e Mario Signora ad esempio: il primo assurge nel 1934 alla carica di segretario generale della Pontificia opera per il clero indigeno, branca di Propaganda Fide; il secondo, dirigente della G.C. e della F.U.C.I. diocesana nella prima metà degli anni Trenta, diviene direttore dei laboratori delle acciaierie Falck e direttore delle acciaierie Terni fra gli anni Quaranta e Sessanta, dopo aver vissuto a Roma le vicende della Resistenza e della formazione dei quadri democristiani nazionali a fianco di De Gasperi, Veronese, Gonella, Alessandrini, ecc.(137).
Mons. Giovanni Costantini, segretario di La Fontaine e vescovo dal 1929, nel 1943 è nominato presidente della Pontificia commissione per l'arte sacra; mons. Giovanni Urbani, cancelliere del card. Piazza, viene nominato assistente generale dell'A.C.I. fra il 1946 e il 1949, mentre allo stesso patriarca Piazza nel secondo dopoguerra il pontefice affida l'incarico di presiedere la commissione pontificia di vigilanza sull'A.C.I.
Venezia dà altri vescovi all'Italia, generalmente transitati per l'incarico di cancelliere patriarcale, assistente diocesano di A.C., rettore del seminario, segretario del patriarca, oltre a quelli già citati: mons. Pietro Tagliapietra, mons. Ugo Camozzo, mons. Mario Vianello e mons. Umberto Ravetta(138).
Ma anche sul versante degli ordini religiosi Venezia gioca un ruolo di prestigio. Significativa appare la presenza del mondo francescano, nei tre ordini di vita regolare e nel terz'ordine secolare.
Unificati nell'ordine dei Frati minori da bolla papale nel 1897 quattro antichi ordini francescani, la provincia veneta di S. Antonio (per distinguerla da quella dei Minori conventuali intitolata a S. Francesco) mantiene curia e studio teologico presso il convento di S. Francesco della Vigna, vedendo accrescere il suo patrimonio in termini di case e uomini negli anni compresi tra le due guerre. Estendendo la propria giurisdizione da Capodistria a Peschiera del Garda, da Trento a Chioggia, essa giunge nel 1946 ad amministrare 870 religiosi, prima in Italia e seconda nel mondo solo alla provincia olandese. Il riconoscimento di questa preponderanza avviene nel 1932 con l'elezione di padre Leonardo M. Bello, già ministro provinciale, alla carica di ministro generale dell'ordine sino al 1944(139).
In questi anni la presenza dei frati nel convento alla Vigna, dal quale gestiscono con dovizia di attività la popolosa parrocchia, appare cospicua (tra novizi, sacerdoti, chierici e oblati si oscilla tra le 30 e le 50 presenze), ma il contributo della diocesi patriarcale alle vocazioni minoritiche appare irrisorio: gli "Acta Provinciae Venetae S. Antonii Patavini Ordinis Fratrum Minorum" (pubblicati dal 1925) individuano solo 8 originari della diocesi veneziana per il periodo preso in esame(140).
Ai Frati minori il patriarca La Fontaine affida dal 1934 la parrocchia operaia di Marghera che ha il suo fulcro nella nuova chiesa di S. Antonio, nella persona del già ministro provinciale padre Tito Castagna, memorabile per l'infuocata oratoria che il 18 aprile 1948 assicurerà il successo elettorale democristiano anche in questo temibile distretto(141).
I Minori cappuccini instaurano uno stretto legame con la popolazione della Giudecca dal convento situato presso la chiesa del Ss. Redentore, anche attraverso opere economiche di carattere moderno, oltre che per la secolare distribuzione giornaliera della minestra ai poveri: un frate presiede l'Unione operaia cattolica, sorta nell'Ottocento con finalità di risparmio e mutuo soccorso, in concorrenza alla prospera e laica società di mutuo soccorso fra artieri e facchini dell'isola, e spentasi fra la fine degli anni Venti e gli anni Trenta. Anche la provincia veneta dei Cappuccini, che nella prima metà del secolo si estende sino a Fiume, reggendo dal 1919 una fiorente missione in Brasile e in Abissinia dal 1937, ha in Venezia la curia provinciale e lo studio teologico tuttora vivo, con una comunità composta da 60-80 religiosi tra gli anni Venti e Quaranta(142).
Come i confratelli della Vigna, nel 1925 i padri del Redentore avviano la pubblicazione dei loro atti e dal 1932 al 1938 donano all'ordine un ministro generale, padre Vigilio da Valstagna. La provincia vanta vescovi e arcivescovi (padre Longhin a Treviso è il più noto), un segretario della Sacra Congregazione dei Religiosi, padre Luca Pasetto, e la figura di un predicatore notissimo come padre Roberto da Nove. Ma Venezia offre il suo ultimo ministro provinciale nel 1865 e bassissima anche qui è la percentuale di vocazioni veneziane: dei 230 religiosi appartenenti alla provincia nel 1928 e degli oltre 600 nel 1947, solo 4 in quegli anni provengono dalla Serenissima(143).
Non hanno invece la curia provinciale presso la chiesa di S. Maria Gloriosa dei Frari i Minori conventuali, che dal 1922 reggono la parrocchia, anche in precedenza sede di circoli e di associazioni vivaci, ma vi risiede per qualche tempo il futuro provinciale padre Giorgio Montico, erudito musicologo che per alcuni anni funge da assistente ecclesiastico del circolo universitario femminile, nonché padre Raffaele Radossi, parroco dal 1936 al 1941 e vescovo dal 1942, rinomato predicatore e conferenziere tra uomini e donne di A.C.(144).
Gli ordini francescani a Venezia sono circondati dal massimo rispetto e affetto di fedeli e autorità ecclesiastica: numerose le ricorrenze, come il VII centenario della morte di s. Francesco, che culminano in manifestazioni diocesane sovrintese dal patriarca o dal suo ausiliare con gran concorso di folla. Spesso alcuni religiosi eminenti per dottrina, di fama nazionale o regionale, vengono contesi da circoli, pie unioni e terz'ordini come oratori, mentre i conventi - da quello del Redentore a S. Francesco del Deserto - ospitano ritiri spirituali.
A un rappresentante del mondo francescano viene sempre riservato un posto nei comitati istituiti per l'organizzazione di significativi eventi ecclesiastici e a membri delle comunità veneziane vengono affidati puntualmente predicazioni quaresimali, tridui e novene, per i più svariati appuntamenti liturgici(145).
Anche l'ordine dei Domenicani mostra una spiccata capacità di incidere nel tessuto ecclesiale veneziano in questi decenni. I predicatori infatti, grazie soprattutto alla personalità di padre Giocondo Lorgna, rendono la parrocchia dei SS. Giovanni e Paolo un centro esemplare di aggregazione cattolica e, come s'è rilevato, il terz'ordine da loro dipendente sta all'origine di due nuovi istituti di vita religiosa femminili. È opera di padre Lorgna l'acquisizione nel 1906 di palazzo Morosini, che ospiterà il patronato Divina Provvidenza retto dai Giuseppini sino al 1926 e la sede dell'A.C. diocesana. Assai attivo è il circolo giovanile fatto sorgere nel 1909 e fiorente il reparto scout formatosi nel dopoguerra, ma ben funzionante è l'intera macchina dell'A.C. parrocchiale, fonte di dirigenti diocesani (la Médail ad esempio). Sopravvivono in nutrito numero confraternite e pie unioni tradizionali(146).
Ha in Venezia il suo cuore anche la comunità dei Carmelitani scalzi, che presso il convento di S. Maria di Nazareth mantiene la sede della curia provinciale e dello studio teologico dal 1896, anno in cui la provincia viene restaurata dopo la soppressione napoleonica e le vicende connesse all'unità italiana, sino al 1968(147).
Proprio essa regala alla diocesi veneziana il suo pastore nel 1935, il cadorino padre Adeodato Piazza, già arcivescovo di Benevento. Anche il Carmelo veneto conosce negli anni Venti-Quaranta un incremento numerico e un accrescimento del proprio carisma, iniziato con l'elezione del padre Clemente dei SS. Faustino e Giovita a generale dell'ordine nel 1913 e giunto sino alla rifondazione della provincia siciliana e all'invio di missionari in Cina e Giappone nel secondo dopoguerra, anche se poche risultano le figure di padri emerse dal panorama della provincia per spessore teologico o culturale: gli 'astri' maggiori possono ritenersi proprio Piazza e il futuro vescovo di Lodi, padre Tarcisio Benedetti.
Anche in questo caso il maggior numero di vocazioni per l'ordine proviene dai centri rurali di una provincia che si estende da Brescia al Friuli all'Alto Adige. Venezia, dove pure la comunità degli Scalzi gode di alta considerazione nel mondo ecclesiale (basti scorrere le cronache di varie celebrazioni e ricorrenze, specie quella per la canonizzazione di s. Teresa di Lisieux nel 1925), contribuisce in maniera parca all'ingrossamento delle file carmelitane, la cui spiritualità, volta all'ascesi senza riflessi di attivismo sociale, e la cui severa regola di vita (diffidente nell'accogliere novità moderne quali acqua corrente, riscaldamento e giornali) attrae poco i giovani della laguna(148).
Non ha sede a Venezia un centro direttivo per i Gesuiti, ma il convento lungo Fondamenta Nuove ospita per alcuni anni un padre la cui fama nazionale raggiungerà quella del confratello padre Zocchi vissuto in laguna a fine Ottocento, ovvero padre Giuseppe Maria Petazzi, noto fra l'altro per l'elaborazione di un corso completo di teologia in una ponderosa collana di volumi e come fondatore del movimento delle Lampade Viventi, i cui manualetti verranno stampati a Venezia anche dopo il suo trasferimento alla curia provinciale di Milano. Negli anni di soggiorno veneziano al religioso viene spesso affidata la conduzione di corsi di formazione biblica e teologica per i laici dell'A.C. In genere ai suoi confratelli i patriarchi delegano altri incarichi connessi alla vita dell'A.C. come assistenti ecclesiastici. Si è visto poi come la loro ramificata congregazione mariana raccolga uomini e giovani tra i più volonterosi nelle file cattoliche(149).
Sempre in età fascista conosce una nuova fase di sviluppo la Congregazione dei Figli della carità-Canossiani (fondata dalla veronese Maddalena di Canossa e sviluppatasi solo nella città lagunare), il cui oratorio a S. Giobbe è assiduamente frequentato dai residenti. Rimasti solo due religiosi nel 1923, il progetto di La Fontaine di far assorbire l'istituto da quello di don Giovanni Calabria non va in porto per il rifiuto opposto da quest'ultimo, convinto di una possibile evoluzione positiva nell'immediato futuro per la congregazione. Infatti nell'arco di pochi anni le vocazioni si moltiplicano anche tra i veneziani, tanto che nel 1938 l'istituto ottiene il riconoscimento canonico diocesano e, raggiunto il numero di 59 religiosi, quello pontificio nel 1959, aprendo nuove case in tutta Italia e in terra di missione(150).
Conservano ancor oggi la loro casa generalizia a Venezia due istituti di vita religiosa femminile nati in laguna, che nel periodo di governo del patriarca Piazza conseguono il riconoscimento pontificio: l'Istituto delle suore francescane di Cristo Re, fondato nel 1459 e ripristinato definitivamente nel 1878; la Congregazione delle Ancelle di Gesù Bambino, fondata da Elena Silvestri nel 1884 con la finalità di fornire istruzione professionale alle ragazze del popolo. Entrambe le comunità religiose, impegnate nella catechesi parrocchiale e nella gestione di scuole di lavoro, conoscono una progressiva espansione numerica e geografica a partire dal primo dopoguerra(151).
Nell'immediato secondo dopoguerra sorge una terza congregazione femminile di diritto diocesano, l'Unione delle Figlie della Chiesa, fondata da Maria Oliva Bonaldo, maestra di Castelfranco Veneto consacratasi fra le Canossiane e ampiamente sostenuta dal patriarca Piazza nell'ottenimento del nullaosta pontificio. Negli anni dell'invasione tedesca le sue consorelle si fanno conoscere dalla cittadinanza nell'opera di adorazione eucaristica, di assistenza liturgica e apostolato della stampa. Nel 1949 l'istituto ottiene il riconoscimento pontificio, trasferendo la casa generalizia a Roma(152).
Mantiene a Venezia sino al 1979 la casa madre con la sede generalizia, del postulantato e del noviziato l'Istituto delle suore maestre di S. Dorotea, sorto durante la seconda dominazione austriaca per la diffusione della Pia opera di S. Dorotea, che si radica a Castello, a Murano e a Carpenedo, aprendo scuole materne ed elementari, nonché un laboratorio di confezioni dal 1913 al 1969(153).
Congregazioni note e apprezzate in laguna sono quella delle suore della beata Capitanio, con i suoi asili distribuiti capillarmente sul territorio della diocesi e la sede provincializia situata a S. Simeon Piccolo, e quella delle Figlie della carità-Serve dei poveri, conosciute con il nome di Canossiane, presenti dal 1863 a S. Trovaso con asilo infantile, scuola magistrale, oratorio, catechesi, dal 1923 al 1936 con l'istituto magistrale "Principessa Mafalda" e la scuola di metodo, ospitando nelle loro sale le riunioni di Madri cristiane, Figlie di Maria e circoli di A.C. Con scuole elementari e medie, scuole di ricamo, laboratori di taglio e cucito, educandato, avviamento in casa, vengono accolte dagli ultimi anni del XIX secolo anche a S. Alvise, a S. Maria del Rosario, a Malamocco, a Pellestrina, a Mestre, ecc.(154).
Pur se numericamente ridotte, sussistono nella città lagunare anche alcune comunità di clausura: una quindicina sono le Clarisse sacramentine presenti a S. Chiara; tra 25 e 34 le Clarisse di Ss. Trinità alla Giudecca fra il 1932 e il 1953, solo nel 1922 riconosciute dal patriarca come comunità osservante la I regola. Sempre nel 1953 risultano una trentina le Cappuccine del convento situato presso la chiesa dell'Angelo Raffaele e aperto nel 1911. Le suore del Ss. Nome di Gesù, presenti dal 1806, sono una ventina(155).
Che le leggi razziali del settembre 1938 abbiano instillato nella coscienza di molti cattolici veneziani qualche perplessità è possibile supporlo, se "La Settimana Religiosa" stende su di esse una spessa coltre di silenzio, nonostante il patriarca Piazza espliciti in forma inequivocabile il suo antisemitismo nella lettera pastorale Il Sangue di Cristo, che con il suo indugiare sulla teologia della croce prelude ai prossimi tempi tragici. Di sicuro il periodico diocesano non aveva mancato negli anni precedenti di rilevare, sulla scia degli organi vaticani, le aberrazioni anticristiane contenute nella dottrina nazista, pur giustificando il concordato fra Germania e Santa Sede quale strumento per la salvaguardia di spazi al proselitismo. Tra i più convinti dispensatori di condanne il conferenziere Lizier, che, come i coetanei impegnati sul fronte della pubblicistica nazionale, ravvisa nell'ideologia nordica un prodotto scaturito dallo stesso seme del comunismo (il materialismo idolatra ora della classe operaia e ora della razza), parimenti pericoloso.
D'altro canto il Führer può apparire una pedina utilizzata dalla provvidenza per condurre senza tregua la lotta contro l'ateismo socialista, mentre talora emerge la speranza in un'evoluzione del regime hitleriano in governo conservatore influenzabile dai cattolici. Altro dato certo è l'aiuto che molti ebrei riceveranno in periodo di guerra da sacerdoti e laici cattolici tra calli e rii della città lagunare(156).
Errore imperdonabile per Lizier, che parla ai colleghi laureati nel dicembre 1938, il fatto che il fascismo non abbia assecondato sino in fondo il lavorio di penetrazione del messaggio evangelico nella società e non abbia voluto diventare "neanche di proposito un partito cattolico": di conseguenza, anche se il professore del liceo scientifico magnifica dinanzi a studenti, colleghi e gerarchi la bontà della Carta della scuola fra 1939 e 1940; anche se dopo il 10 giugno 1940 si prega per la riuscita delle armi italiane, aderendo nei pronunciamenti ufficiali a quel "cattolicesimo nazionale" preoccupato dal "problema politico della presenza cattolica" nel paese, mosso da sincero impulso patriottico e dalle aduse considerazioni sulla doverosità dell'obbedienza all'autorità; anche se Bastianetto intravede nell'avanzata dell'Asse in U.R.S.S. al termine del 1941 l'avvio della nuova fase di vita spirituale per l'Occidente decretata dalla provvidenza - riflessioni, ampiamente svolte sulla stampa locale e nazionale, che inducono il sacerdote diocesano don Felice Stroppiana a seguire i soldati dell'Arm.I.R. (l'Armata Italiana in Russia) e a cadere con loro in U.R.S.S. -; ebbene, quando a ridosso del primo radiomessaggio natalizio di Pio XII si inizia a ridiscutere in termini chiari di sociologia cristiana e di un nuovo ordine cristiano postbellico, così come attestano i programmi svolti dal gruppo laureati veneziano (presieduto sino al 1941 dall'avv. Roberto Tognazzi, futuro sindaco di Venezia, e poi da Lizier, con i soci Sabbadin, Turolla, Pavanini, Benzoni, Sarpellon, Scarpa, Candiani, Paganuzzi, Grandesso, Velatta, l'avv. Gastone Ascoli, ebreo convertitosi anche grazie a Bastianetto), la disaffezione nei confronti del partito al potere si viene a delineare sempre meglio e le premesse per la ricostituzione di una forza cattolica che abbia capacità di incidere autonomamente nella futura vita politica italiana ci sono tutte anche a Venezia(157).
A detta delle fonti di polizia, anche nel periodo più felice per le armi nazionali il desiderio di pace espresso dal nuovo pontefice e fatto proprio dal mondo cattolico alla vigilia della guerra sembra comunque prevalere a Venezia per volontà del clero. Accelerata dalle sconfitte dell'Asse e dal protrarsi imprevisto del conflitto, mentre prende piede un'interpretazione di esso, già diffusa fra il 1914 e il 1918, come conseguenza dell'apostasia dalle leggi divine, come una punizione e insieme uno strumento di riparazione e di riscatto offerto dalla provvidenza, la distanza dalle ragioni dell'intervento aumenta vertiginosamente nella base cattolica, come si deduce ad esempio dal diario del medico Angelo Coatto, venuto progressivamente meno anche l'acceso sostegno al regime del patriarca Piazza. Specie dopo l'8 settembre si verifica una sorta di collasso dei sentimenti di favore nei confronti del governo manifestati anche dagli animatori delle associazioni cattoliche legati all'esperienza popolare(158).
Nell'oppressivo clima della Venezia occupata, chi aveva rimosso l'idea di una società democratica riscopre il desiderio di libertà da un potere - quello di fascisti repubblicani e tedeschi - ormai interpretato come ostacolo più che come volano nell'edificazione della società cristiana. Anche se esso, replicando alla Notificazione con cui l'episcopato triveneto condanna nel 1944 la guerra, le violenze e le rappresaglie sistematiche, viene strumentalmente incontro alle esigenze integraliste sulle pagine del settimanale "Crociata Italica", quando invita a "una resistenza interiore delle coscienze agli errori di quel mondo moderno che la civiltà anglo-americana rappresenta", parimenti ritratta da Lizier nelle sue conferenze come un pericolo per la concretizzazione dell'agognato progetto(159).
"Il rapido diffondersi di una coscienza antifascista tra i giovani" che ancora frequentano le parrocchie veneziane all'altezza dell'armistizio muove da qui. I reduci dei vari fronti rendono edotti i civili sul reale stato della situazione bellica e, come avviene con Guido Bellemo ai Carmini o con Coatto, che poco dopo partiranno al seguito dei partigiani, si fanno propagandisti della volontà espressa dalla massima gerarchia vaticana di favorire nel dopoguerra l'edificazione di una società democratica alla luce del magistero ecclesiastico(160).
Il progressivo distacco rispetto ai destini della realtà fascista viene alimentato nei cattolici dall'innegabile piega negativa assunta ai loro occhi dal clima morale della città lagunare, divenuta sede di uffici ministeriali della R.S.I. (Repubblica Sociale Italiana) e degli stabilimenti cinematografici, tanto che il capo della Provincia nel marzo 1944 deve disporre il sequestro di un numero del settimanale diocesano, diretto ora da mons. Urbani, poiché il suo articolo di fondo, redatto da Lizier nel corso di un dibattito col "Rinnovamento" milanese, "conferma implicitamente notizie inesatte sulla pretesa vita licenziosa che si svolge a Venezia": ma numerosi altri interventi dell'insegnante, dal fondo alla critica cinematografica, seguono questa falsariga(161).
Coscienti dell'inconsistenza morale dei fascisti e dell'assurdità tragica della guerra, rieducati all'apprezzamento della democrazia e della libertà, oppure, come i figli degli ex popolari antifascisti Giuseppe Lionello e Piero Favretti (ferroviere vittima della rappresaglia consumatasi nella famigerata sera del 7 luglio 1944), cresciuti nell'ossequio a questi ideali, sospinti da un sentimento di amor patrio che fa giudicare i fascisti colpevoli di avere svenduto ai tedeschi dignità e identità nazionale, imbracciano il fucile e cadono giustiziati dai nazisti, come il giovanissimo nipote cattolico del nazionalista Andrea Busetto, Alessandro, o preferiscono patire gli stenti in campo di concentramento, come il sottufficiale fucino Ugo Bellotto, pur di non lavorare per il nuovo nemico.
Stimolati forse dall'emulazione dei coetanei socialisti e azionisti, dal medesimo spirito di avventura, apprendono, all'interno di formazioni partigiane garibaldine e dall'esempio dei più anziani dirigenti cittadini della Resistenza cattolica, a fare i conti con l'uso della violenza, mentre il mondo ecclesiastico della laguna, fra conventi e parrocchie, collabora quasi unanimemente alla riuscita delle attività cospirative. Ma lo stesso sentimento patriottico conduce ad esiti opposti, se il migliore amico di Bellemo, Gino Pizzolotto, optando per la militanza nelle file della R.S.I., si reputa nel giusto, poiché considera la Repubblica come la legittima erede del governo fascista e della vera Italia, che a fianco dei tedeschi si era impegnata a combattere(162).
L'ex popolare lombardo Pietro Mentasti, stabilitosi a Venezia per motivi di lavoro, riannoda i fili tra i 'politici' Bastianetto, Ponti, Duse, congiungendoli a quelli di uomini nuovi alla politica come l'avvocato di origini trevigiane Eugenio Gatto, legato a un ambiente di lavoro antifascista non cattolico, facendosi tramite per la costituzione in laguna della nuova entità partitica di ispirazione confessionale ideata da De Gasperi. Mentre Mentasti, "prototipo dello spirito faccendiere" democristiano, getta le basi per la futura visibilità politica della D.C., scambiando l'impunità per i poteri forti incarnati da Volpi, Cini e Gaggia, finanziatori del C.L.N.R.V. (Comitato di Liberazione Nazionale Regionale Veneto), con la cessione de "Il Gazzettino" al partito, si aggregano al movimento resistenziale giovani uomini e donne di A.C. che avranno poi rilevanza nella storia della D.C. veneziana postbellica quali esponenti della corrente di sinistra Studi Sociali, promossa da Gatto e affine ai dossettiani, destinata a conquistare la segreteria cittadina del partito nel 1946 con Orcalli, il predominio nelle A.C.L.I. (Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani) e segreteria e presidenza provinciale con Dorigo e Gagliardi nel 1954, preparando il terreno all'esperimento del primo governo municipale di centro-sinistra negli anni Sessanta: famosa tra loro è la staffetta partigiana Ida D'Este, 'allieva' di Ponti eletta al consiglio comunale nel 1946 e al Parlamento nella prima e seconda legislatura(163).
Predilige per il momento il lavoro nell'A.C. Pietro Lizier, portavoce di chi è convinto della priorità di una formazione evangelica e spirituale ai fini della trasformazione sociale, nella lettura teologica della guerra ribadita più volte dal pontefice. Tale assunto viene ritradotto in forma capillare da tutte le tribune abilitate e recepito appieno dai dirigenti delle organizzazioni cattoliche, come attesta la relazione sull'anno 1943-1944 presentata al patriarca dal presidente e assistente ecclesiastico (don Alessandro Gottardi) della G.F. veneziana: si sono realizzati corsi di sociologia cristiana per le responsabili, ma soprattutto si è puntato sull'intensificazione delle pratiche di pietà e dell'istruzione morale per tutte le socie, poiché "in quest'ora tragica dell'umanità si vuol preparare, guadagnato col Sangue, un nuovo ordine Sociale in cui la Chiesa deve avere la funzione più importante e dare lo spirito riformatore"(164).
Relativamente al settore della Resistenza cattolica veneziana maggiormente ralliée a tali posizioni potrebbe condividersi in parte l'ipotesi che, considerando la formazione 'culturale' dei cattolici nell'arco del Ventennio (ma in realtà assai più longeva), intravede nella loro compartecipazione alla lotta partigiana uno strumento di affermazione nella sfera temporale delle mai sopite ambizioni ierocratiche ecclesiali(165).
A Lizier, per il tramite di Antonio Meccoli, Mentasti affida nel 1945 la stesura del profilo del partito ispirato ai valori cattolici, inserito in un volume pubblicato dalle Edizioni Serenissima accanto ai contributi di tutti gli altri attori politici. L'excursus sull'origine della D.C. ripropone il classico schema di lettura della storia occidentale rifacentesi alla "genealogia degli errori moderni" e fornisce prova di tale aspirazione ierocratica: la D.C. si presenta come l'"erede d'un patrimonio di idee e di princìpi che trascende la stessa sapienza ed esperienza umana", vessillifera di un'idea di democrazia "che naturalmente deriva" dall'insegnamento divino di Gesù, ponendosi rispetto agli altri orientamenti ideologici democratici (nel loro appellarsi ai valori di libertà, fratellanza e giustizia) "come il tronco ai rami". La D.C., contraria alla collettivizzazione, ritiene che l'equità sociale possa essere conseguita attraverso la "permanente ridistribuzione della ricchezza", vantando il pregio di ispirarsi a una dottrina nella quale soltanto "uomo e società si definiscono e valorizzano compiutamente"(166).
Analoghi spunti attraversano "Il Popolo del Veneto" - settimanale della D.C. regionale che rivendica nel titolo l'eredità del P.P.I. - dalle cui pagine il direttore Lizier e i collaboratori incitano, sulla scia di direttive papali e pastorale quaresimale elaborata da Piazza nel 1946, a porre rimedio alla grave situazione economica che attanaglia le fasce sociali più deboli, facendo appello ai sentimenti di giustizia e carità, nonché alla preveggenza, delle classi medio-alte, all'interno di una prospettiva anticomunista già evidenziatasi sotto forma di attenta apprensione durante il conflitto - senza peraltro andare a incidere sull'unitarietà dell'operato del C.L.N. locale - palesatasi nei pronunciamenti dell'episcopato veneto successivi alla liberazione, fattasi via via più esplicita sino all'espulsione dei comunisti dal governo(167). Ma prima di tale epilogo, la martellante propaganda condotta dagli attivisti democristiani (Lizier, Lionello, Sorteni, Gatto, Wanda Mariutti, Jolanda Gherli) anche presso le maestranze di vari opifici prevalentemente inquadrate nei partiti di sinistra, intende mettere in rilievo la volontà riformatrice presente nello schieramento cattolico(168).
Voce ascoltata su "Il Popolo del Veneto" e le sue edizioni provinciali è quella di Igino Giordani - conferenziere alla XX settimana sociale dei cattolici italiani, svoltasi a Venezia nell'ottobre 1946 su "I problemi del lavoro" -, il quale non solo propugna l'azione concreta dei fedeli per la giustizia sociale, ma soprattutto la causa di una fede che integralisticamente pervada ogni aspetto della vita quotidiana, nell'incrollabile certezza che solo la Christianitas possa definirsi civiltà perfetta. Questa tensione evangelizzatrice corroborata dall'attivismo sociale annovera fra i suoi esponenti in laguna Pio Pietragnoli, già presidente diocesano della G.C., zelante fondatore e presidente delle A.C.L.I., entrato nel consiglio comunale nel marzo 1946. Dopo il successo ottenuto alle elezioni per la Costituente dalla D.C. (che invia all'Assemblea 10 dei 16 candidati concessi al collegio veneziano), egli, sul nuovo settimanale diocesano "La Voce di San Marco", dichiara di annettere alle vittorie elettorali un'importanza relativa, riservando all'opera di apostolato quotidiano la centralità: "formare le anime [...], e tutto il resto verrà, anche la buona repubblica", all'insegna del decennale motto della G.C. "Preghiera Azione Sacrificio"(169).
Mentre conduce le sue battaglie politiche, Lizier non manca di comparire accanto a Meccoli, Pietro Parisi, Alessandro Marcello Del Majno, Gaetano Duse, come promotore del gruppo degli Amici di S. Francesco d'Assisi, inaugurato nel dicembre 1945 con una serie di conferenze e dall'opera del quale scaturirà la cattedra di Cultura francescana attiva a Padova a partire dal 1946. Sua è la paternità dell'idea esposta in sede di primo congresso catechistico diocesano nel 1940 di dar vita a un centro di irraggiamento della cultura cattolica che si concretizza nel 1947 con la nascita dello "Studium cattolico veneziano"(170).
Pervaso da una viscerale carica anticomunista, il direttore de "Il Popolo del Veneto", come Favaretto Fisca e Grandesso, si schiera accanto a Mentasti nelle vicende interne della D.C. veneziana contro Studi Sociali, accusata appunto di indulgere a metodi e concezioni materialiste: ma gli uomini che come lui privilegiano la formazione religiosa e il carattere confessionale del partito si mostrano contemporaneamente ostici alla prospettiva di vederlo recitare il ruolo di "partito conservatore di massa" o di partito "della borghesia" in quanto al servizio della reazione sociale, anche nei dintorni del 18 aprile 1948(171).
Vittoria di Pirro potrà apparire col senno di poi il trionfo democristiano in quell'attesissimo appuntamento elettorale a cattolici che come costoro navigano a vista tra il sobbollire di richiami antichi e il vissuto contemporaneo, vagheggiando la ricostruzione della società cristiana. Esso ha il valore di una decisa frenata alla marcia del detestato bolscevismo, ma la "resistenza interiore" a un modello di civiltà cui si riferivano i fascisti di "Crociata Italica" per contestare l'opzione democratica dei cattolici resistenti, secondo studiosi attuali "fu troppo debole e venne sconfitta", se è vero che "non solo - e proprio nei cinquant'anni in cui i cattolici [...] furono al governo dello Stato italiano - scomparvero strutture e segni della cosiddetta 'società cristiana' [...] ma si verificarono i due inediti fenomeni dell'allontanamento massiccio dalla fede cristiana e della caduta verticale nella pratica religiosa".
Secondo il citato discorso di Lizier del 1957, la realizzazione del sospirato obiettivo è minata alla base dai due vittoriosi pericoli opposti: il materialismo marxista emulato dalla sinistra cattolica e il liberalismo consumista dai contenuti etici "lassisti" agganciato alla prassi politica instaurata da uomini della stoffa di Mentasti. Appare così inevitabile che a distanza di tempo si pervenga ad idealizzare il periodo resistenziale, in quanto contrassegnato dalla condivisione di un substrato di alti valori morali tra i vari partiti ("'giustizia e libertà' 'progresso e pace' 'riscatto da una spaventosa miseria, dalla tirannia, dall'iniquità'") che Lizier nel 1955 riconosce inseriti nella "logica divina della storia", anche se in realtà sembra operazione complessa per molti di quelli che attingono al suo bagaglio culturale accettare sino in fondo le conseguenze introdotte nella storia europea dal pensiero illuminista e liberale(172).
Ma d'altronde, irretito nella frenesia anticomunista, l'organo regionale della D.C. si era supinamente allineato alla politica filoamericana di De Gasperi, benedetta dal Vaticano sin dal 1942, tanto che il progetto di una società cristiana, emergente a tratti come determinazione di una terza via fra capitalismo e socialismo, si mescolava confusamente all'individuazione nella civiltà occidentale guidata dagli Stati Uniti d'Amercia della civiltà da salvare senza tentennamenti dinanzi all'aggressione sovietica(173).
E d'altro lato la conferenza episcopale veneta, nella primavera del 1948, poco prima che il card. Piazza parta alla volta di Roma per insediarsi in quella Sacra Congregazione Concistoriale che decreterà la scomunica per i social-comunisti, promuovendo un'accurata inchiesta sulla condizione dei braccianti nelle zone che avevano registrato un massiccio voto per P.C.I. (Partito Comunista Italiano) e P.S.I. alle pur vittoriose elezioni del 18 aprile, riconosce che il "recupero dei frontisti", delle anime "erranti", alla religione deve passare per una risposta alle loro esigenze vitali primarie fornita sì dalle opere pontificie, ma in prima istanza da provvedimenti legislativi adeguati(174).
Così, se A.C.L.I., C.I.S.L. (Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori) e Coldiretti si attivano per soddisfare questo genere di finalità, finendo per relegare in secondo piano la formazione spirituale, l'A.C. e il suo progetto evangelizzatore a largo raggio devono ammettere a Venezia la propria sconfitta, a dispetto del successo elettorale democristiano registrato successivamente al 1948, se è vero che i suoi aderenti sul territorio diocesano non riescono, negli anni di più intenso fervore, a superare la soglia del 4,5% sul totale della popolazione, rimanendo sbocco associativo per la piccola-media borghesia in città e per le fasce rurali piccolo-medio proprietarie nelle campagne(175).
1. Mi permetto di rimandare alla mia tesi di laurea: Loredana Nardo, 'Nova et vetera': universitari e laureati cattolici fra Venezia e l'Italia (1897-1937), Università degli Studi di Venezia, a.a. 1996-1997, cap. IV, par. 3.25.
2. Venezia, Biblioteca del Seminario Patriarcale Veneziano, Fondo Lizier, b. 1253, fasc. 1 "Attualità del Terz'Ordine Domenicano", Milano, S. Maria delle Grazie, 19 maggio 1957, p. 8. Bruno Bertoli, Lizier Pietro, in Dizionario storico del movimento cattolico in Italia, a cura di Francesco Traniello-Giorgio Campanini, III/2, Casale Monferrato 1984, p. 472.
3. Paul Ginsborg, Storia d'Italia dal dopoguerra a oggi. Società e politica 1943-1988, Torino 1989, pp. 204-205, 226-237.
4. Venezia, Biblioteca del Seminario Patriarcale Veneziano, Fondo Lizier, b. 1253, fasc. 1, pp. 10-11.
5. Questo vale specialmente dopo la legge che nel 1912 concede il suffragio universale maschile: le elezioni politiche del 1913 a Venezia vedono infatti trionfare nel I collegio il candidato socialista Elia Musatti (cf. e., Postume, "Il Leone di San Marco", 2 novembre 1913).
6. Sull'esperimento di alleanza politica tra cattolici intransigenti ed élites conservatrici che assegna a Venezia il ruolo di battistrada in Italia v. Emilio Franzina, L'eredità dell'Ottocento e le origini della politica di massa, in Venezia, a cura di Id., Roma-Bari 1986, pp. 120-145 (pp. 117-151); Gianpaolo Romanato, Pio X. La vita di papa Sarto, Milano 1992, pp. 196-200; Mario Isnenghi, Fine della Storia?, in Venezia. Itinerari per la storia della città, a cura di Stefano Gasparri-Giovanni Levi-Pierandrea Moro, Bologna 1997, pp. 416-418 (pp. 405-436).
7. Le dimissioni della Giunta, "Gazzetta di Venezia", 2 novembre 1919.
8. Gabriele De Rosa, Il movimento cattolico in Italia. Dalla Restaurazione all'età giolittiana, Roma-Bari 1988, pp. 69 ss.; Id., Il Partito popolare italiano, Roma-Bari 1988, pp. 1-11. Nell'orizzonte mentale cattolico fra Ottocento e Novecento "ce n'est pas national, mais social qui représente le maître mot et le lieu symbolique des conflits fondamentaux de notre monde" (Émile Poulat, Catholicisme, démocratie et socialisme. Le mouvement catholique et Mgr Benigni de la naissance du socialisme à la victoire du fascisme, Tournai 1977, p. 22).
9. Durante un comizio elettorale dell'estate 1902 assimila "la splendida vita dogale di Venezia Repubblica, così intimamente attraversata dal sentimento cristiano" ai "benefizi sotto ogni riguardo avutisi dalla amministrazione Grimani", il cui motto "per Iddio, per la patria e pel Re" viene "tutto intiero svolto dall'alleanza clerico-moderat[a]" (Conferenza Bertanza, "La Difesa", 25-26 luglio 1902). Giuseppe Spanio, In memoriam. Nel trigesimo dalla morte di Mons. Giovanni Bertanza, Venezia 1923; Il Partito Popolare Italiano a Venezia, "Venezia", 30 luglio 1920.
10. Dopo aver assistito a un comizio di Serrati, Bertanza si appella ai socialisti nei seguenti termini: "ma a qual pro prendere d'assalto la Bastiglia quando i nostri ed i vostri eserciti lealmente intesi in contatti, sia pure transitori di manovra e nell'ambito della legge, possono stringersi per ottenere una tranquilla intesa? Ma perché sprecare coscienza e fatiche per abbattere casse forti mentre ancora i carabinieri sparerebbero le ultime fucilate borghesi? Legalizziamo la lotta, intendiamoci al potere, emergeranno le leggi" (Sacerdote Bertanza, La Croce e la rossa bandiera nel discorso di M. Serrati, "Avanguardia", 6 aprile 1919). Ammiccamenti all'indirizzo socialista in una lettera di Bertanza ospitata ne "Il Gazzettino" dell'11 marzo 1919, per cui v. Silvio Tramontin, Cattolici, popolari e fascisti nel Veneto, Roma 1975, pp. 6-7. I popolari comunque, dopo accesi dibattiti ed estenuanti quanto inani trattative con i liberali, finiscono per concorrere da soli (La costituzione dell'Associazione Liberale a Venezia, "Gazzetta di Venezia", 6 maggio 1919; Nei comuni del collegio, ibid., 18 novembre 1919; Giovanni Vian, Pietro La Fontaine, patriarca di Venezia (1915-1935), tesi di laurea, Università degli Studi di Venezia, a.a. 1987-1988, pp. 430-433). Il prefetto di Venezia, in un prospetto informativo inviato alla direzione generale di pubblica sicurezza il 21 maggio 1919, definisce il settimanale popolare, stampato in 5.000 copie: "giornale costituzionale, democratico, [...] che ha dei punti di contatto col partito socialista senza condividerne gli eccessi e che intende svolgere la sua azione nei limiti acconsentiti dai principii fondamentali della religione cattolica" (Roma, Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell'Interno, Direzione Generale Pubblica Sicurezza, Divisione Affari Generali e Riservati, Cat. F1, b. 47, fasc. 72.3).
11. Tale accordo, raccomandato dal patriarca La Fontaine, viene raggiunto dopo aspri confronti interni al P.P.I. cittadino e in mera funzione antisocialista (S. Tramontin, Cattolici, popolari, pp. 19-22; G. Vian, Pietro La Fontaine, pp. 525-532).
12. V. ad esempio Organizzazione, "Avanguardia", 3 maggio 1919; Liberalismo, socialismo, bolscevismo, ibid., 13 luglio 1919. Giovanni Miccoli, Fra mito della cristianità e secolarizzazione. Studi sul rapporto chiesa-società nell'età contemporanea, Casale Monferrato 1985, pp. 26-28; Francesco Traniello, Città dell'uomo. Cattolici, partito e stato nella storia d'Italia, Bologna 1990, pp. 27-28 (per un folto filone di cultura cattolica "la storia della laicità in senso moderno corre parallela e in larga misura s'identifica con una storia di progressive ribellioni alla Chiesa, che dal piano religioso, intellettuale e morale [eresie medievali, filosofie immanentiste rinascimentali, Riforma protestante, illuminismo] si sono trasmesse e hanno investito la realtà politica e sociale [liberalismo, socialismo]. La laicità sarebbe in certo modo la somma e la sintesi degli 'errori' moderni").
13. L'internazionale bianca, "Avanguardia", 30 marzo 1919 ("non si abbandoni a soverchie lusinghe, il capitalismo; [...] non creda trovare nei sindacati cristiani l'esercito della sua salvezza a qualunque costo. Essi non vorranno sacrificarsi per la integrità di un capitalismo esoso, sfruttatore, chiuso nelle sue rancide idee di liberalismo, sordo alle voci che salgono continuamente dalle officine e dai campi"); Partito Liberale e Partito Popolare Italiano, ibid., 18 maggio 1919; La nostra tattica intransigente, ibid., 7 settembre 1919, ecc. V. il dattiloscritto datato 30 gennaio 1919 in Venezia, Archivio Storico del Patriarcato, Azione Cattolica Italiana, Presidenza-giunta diocesana, b. 1, fasc. 4, sottofasc. "Alleanza coi Liberali 1919", nel quale si rammenta la "parte secondaria" sempre serbata ai cattolici nel patto clerico-moderato e la mancata fede agli impegni assunti da parte dei deputati eletti coi loro voti, sottolineando la necessità di "tutta una legislazione sociale e provvedimenti di carattere sociale reclamati da giustizia ed equità" e ben focalizzati dal programma del P.P.I., che "abbraccia tutti i complessi problemi che affaticano la presente generazione, e li illumina e li risolve alla luce immortale e divina del Cristianesimo, dal quale scaturisce l'indice di ogni bene". Cf. La Redazione, Il "Leone di S. Marco", "Il Leone di San Marco", 31 dicembre 1911; Nemica del popolo, ibid., 5 maggio 1912; [Pietro Cisco], I proprietari e le organizzazioni operaie, ibid., 16 giugno 1912, ecc. Francesco Piva, Lotte contadine e origini del fascismo. Padova-Venezia: 1919-1922, Venezia 1977, pp. 108-121; Paolo Gaspari, Grande guerra e ribellione contadina, I, Chiesa e Stato, possidenti e contadini in Veneto e Friuli (1866-1921), Udine 1995, pp. 170 ss.; Id., Grande guerra e ribellione contadina, II, Le lotte agrarie in Veneto, Friuli e Pianura Padana dopo la grande guerra, Udine 1996; L. Nardo, 'Nova et vetera', cap. I, par. 3.
14. [P.G.], Le necessità dell'ora presente, "Avanguardia", 27 aprile 1919; A raccolta, ibid., 13 luglio 1919. G. Vian, Pietro La Fontaine, pp. 388-394; Alberto Zanconato, Il patriarca Aristide Cavallari e il movimento cattolico veneziano nell'età giolittiana (1904-1914), tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, a.a. 1987-1988, pp. 1-3, 261-284; Bruno Bertoli, Una diocesi all'ombra di Pio X, in La Chiesa di Venezia nel primo Novecento, a cura di Silvio Tramontin, Venezia 1995, pp. 12-15 (pp. 11-61); F. Piva, Lotte contadine, pp. 97, 101-105, 114-115; Cent'anni a Venezia. La Camera del lavoro 1892-1992, a cura di Daniele Resini, Venezia 1992; Silvio Tramontin, La figura e l'opera sociale di Luigi Cerutti. Aspetti e momenti del movimento cattolico nel Veneto, Brescia 1968, pp. 44-46, 83. Il P.P.I. consegue successi nelle campagne perché esse fanno per lo più parte delle 'avanzate' diocesi di Padova e Treviso: la diocesi patriarcale è concentrata in laguna e nel centro storico e solo col 1927 passano sotto la sua giurisdizione alcuni comuni di terraferma (Antonio Niero, L'ampliamento del Patriarcato (1919-1927), in La Chiesa di Venezia nel primo Novecento, a cura di Silvio Tramontin, Venezia 1995, pp. 154-168 [pp. 141-181]).
15. L. Nardo, 'Nova et vetera', cap. I, par. 3.2; Silvio Tramontin, Il sindacalismo cristiano a Venezia dal dopoguerra al fascismo, in Associazioni cattoliche e sindacalismo bianco nelle Venezie tra la 'Rerum Novarum' e il fascismo, s.l. [ma Udine] 1984, p. 154 (pp. 149-170). Venezia, Archivio Storico del Patriarcato, Azione Cattolica Italiana, Presidenza-giunta diocesana, b. 1, fasc. 3, sottofasc. "Unione del Lavoro", relazione circa lo stato dell'Organizzazione nella circoscrizione dell'Unione di Lavoro di Venezia del segretario G.B. Allegri, 6 giugno 1921. Le aspre tenzoni fra organizzazioni cattoliche e socialiste emergono continuamente sugli organi di stampa cittadini.
16. S. Tramontin, Il sindacalismo cristiano, pp. 154, 158, 163-166; Id., Panoramica e problemi delle cooperative di lavoro cattoliche nel Veneto del dopoguerra (1919-1922), "Bollettino dell'Archivio per la Storia del Movimento Sociale Cattolico in Italia", 28, 1993, pp. 306-307 (pp. 300-320); A. Zanconato, Il patriarca Aristide Cavallari, pp. 288-297; Società Nazionale di Patronato e Mutuo Soccorso per le Giovani Operaie, Relazione morale e rendiconto finanziario-Anno 1910-Sede di Venezia, Venezia 1911. Venezia, Archivio Storico del Patriarcato, Azione Cattolica Italiana, Presidenza-giunta diocesana, b. 1, fasc. 3, sottofasc. "Unione del Lavoro", relazione circa lo stato dell'Organizzazione.
17. Patriarcato di Venezia, Ricordo dei sacerdoti dell'ultimo cinquantennio, Venezia 1961, pp. 46-47; G. Vian, Pietro La Fontaine, pp. 286-288; L. Nardo, 'Nova et vetera', cap. I, par. 3.3 e cap. III, par. 3.7.
18. Venezia, Archivio Storico del Patriarcato, Sezione moderna, Movimento cattolico, b. 6, fasc. "Giornale Venezia", relazione di Cisco "agli Ill.mi Signori Consiglieri", s.d. [ma dicembre 1919]. [Pietro Cisco], Fra i due estremi, "Venezia", 25 febbraio 1920; [Id.], I fatti della provincia di Treviso, ibid., 10 giugno 1920; F. Piva, Lotte contadine, pp. 162-174; P. Gaspari, Grande guerra, I, pp. 183-287; II, pp. 216-240; Silvio Tramontin, I vescovi veneti e l'azione sindacale dal dopoguerra al fascismo, in Il sindacalismo bianco tra guerra, dopoguerra e fascismo (1914-1926), a cura di Sergio Zaninelli, Milano 1982, pp. 500-504 (pp. 497-510); G. Vian, Pietro La Fontaine, pp. 472-488, 502-512, 523-524. Sull'avanzato concetto di giustizia sociale espresso dal patriarca in questi frangenti v. Id., Tra democrazia e fascismo. L'atteggiamento del card. La Fontaine, patriarca di Venezia, nel primo dopoguerra, "Rivista di Storia e Letteratura Religiosa", 26, 1990, pp. 93-105 (pp. 75-116).
19. [Pietro Cisco], Anno nuovo, "Venezia", 1° gennaio 1920 (nessuna classe deve pretendere di "migliorare - al di là del giusto e del possibile - le sue condizioni a prezzo della rovina delle altre"); Dott. G.G., Socialismo e azione cristiano sociale, ibid., 27 gennaio 1920 (si vuol vedere l'operaio "onesto, amante dei propri doveri, della famiglia, della virtù e non della bettola e del torpiloquio"); Delio, Note sociali. Il principio d'autorità, ibid., 30 gennaio 1920.
20. Vangelo secondo Giovanni, a cura di Piero Rossano, Milano 1984, cap. III.3.
21. Cf. G. Miccoli, Fra mito della cristianità, pp. 22, 31, 47-49, 70; Daniele Menozzi, La Chiesa cattolica e la secolarizzazione, Torino 1993, p. 10; Gustavo Guizzardi, Potere ideologico, organizzazioni e classi sociali, in La Democrazia Cristiana dal fascismo al 18 aprile. Movimento cattolico e Democrazia Cristiana nel Veneto. 1945-1948, a cura di Mario Isnenghi-Silvio Lanaro, Venezia 1978, p. 361 (pp. 345-405) ("messaggio, apparentemente ingenuo e radicalmente evangelico e spiritualista, secondo cui bisogna perseguire il regno della grazia, dopodiché il resto non mancherà, anche per quanto riguarda il fattore materiale [...]. Il risollevamento delle condizioni materiali, la giustizia sociale, sono frutto necessario e spontaneo, ancorché misterioso, dell'adesione alla Chiesa, del riconoscimento della sua supremazia, della sua necessaria intermediazione sociale e politica"). I cattolici intendono contrapporsi in tal modo alla lettura della storia umana introdotta dalla filosofia marxista, che assegna alla base materiale della vita una preminenza ontologica rispetto alle sue manifestazioni "immateriali": per loro è lo spirito (e le idee) a dirigere e condizionare i processi storici.
22. Silvio Tramontin, Giovanni Ponti (1896-1961). Una vita per la democrazia e per Venezia, Venezia 1983, pp. 26-28.
23. Venezia. Gli omaggi dei Cattolici Veneziani a S.Em. il Card. Patriarca, "Venezia", 1° gennaio 1920; S. Tramontin, La figura e l'opera sociale, pp. 222-223.
24. G. De Rosa, Il movimento cattolico, pp. 255-267; Mario G. Rossi, Le origini del partito cattolico. Movimento cattolico e lotta di classe nell'Italia liberale, Roma 1977, pp. 36-187; Luigi Trezzi, Confessionalità, neutralità ed organizzazione sindacale negli orientamenti della Unione economico-sociale pei cattolici italiani (1906-1911), "Bollettino dell'Archivio per la Storia del Movimento Sociale Cattolico in Italia", 14, 1979, pp. 353-391; D. Menozzi, La Chiesa cattolica, pp. 72 ss.
25. V. ad esempio Carità e giustizia, "Il Leone di San Marco", 22 ottobre 1911; [Pietro Cisco], D'onde incominciare?, ibid., 4 febbraio 1912; Pino, L'organizzazione di classe, ibid., 25 maggio 1913. Cf. Noi e Voi, "Avanguardia", 25 maggio 1919: "Noi [...] propugniamo l'assestamento sopra una base che assicuri, sul principio cristiano dell'amore, l''unicuique suum tribuere' dell'antica sapienza giuridica romana [...]. Solleviamo il loro spirito a regioni superiori, a visioni che trascendono il basso materialismo, pur non perdendo di vista la soluzione degli imperiosi e ineluttabili bisogni della vita".
26. Ernesto Brunetta, Figure e momenti del Novecento politico, in Venezia, a cura di Emilio Franzina, Roma-Bari 1986, p. 154 (pp. 152-225) (il P.P.I. veneziano ha "due anime: da un lato [...] gli uomini del Patriarca, gli interpreti, guidati dal vecchio Paganuzzi, del nuovo partito come prosecuzione della vecchia Opera dei Congressi, i fautori palesi od occulti delle vecchie alleanze moderate in funzione antisocialista; dall'altro, i fautori della specificità della dottrina sociale cattolica, gli organizzatori delle leghe bianche e delle casse rurali [...], certo ossequienti alla gerarchia e sostanzialmente permeati di una persistente avversione ad ogni forma di socialismo, ma comunque aperti alle esigenze del popolo e consapevoli della non revocabile adesione del partito al metodo democratico-parlamentare". Giovanni Ponti rappresenta la "linea di mediazione", che mira "al recupero dei consensi della borghesia cittadina" ed insieme "al mantenimento, in stretta connessione con la gerarchia ecclesiastica, del rapporto con i contadini cattolici"); S. Tramontin, Giovanni Ponti, pp. 15-18; Id., Cattolici, popolari, pp. 19-27; P. Gaspari, Grande guerra, II, p. 294 (su Passi v. il vol. I, ad indicem); Bruno Bertoli, Sorger Ettore, in Dizionario storico del movimento cattolico in Italia, a cura di Francesco Traniello-Giorgio Campanini, III/2, Casale Monferrato 1984, pp. 814-815; Sezione del Partito popolare Italiano in Venezia, "Gazzetta di Venezia", 4 febbraio 1919; L'imponente assemblea generale, "Avanguardia", 3 agosto 1919; Assemblea del Partito Popolare Italiano, "Venezia", 15 marzo 1920.
27. Venezia, Archivio Storico del Patriarcato, Sezione moderna, Movimento cattolico, b. 6, fasc. "Giornale Venezia", lettera di Cisco ad amministratori ed azionisti del Banco di San Marco, 30 marzo 1921. S. Tramontin, Cattolici, popolari, pp. 29-33. Il nucleo di fondatori del giornale è composto da Sorger, De Biasi, Picchini, Candiani, Ponti, mons. Chiodin, Paganuzzi, Agostino Vian, Olivotti, Tagliapietra, Pesenti (ibid., p. 14). Su Candiani, protagonista in assoluto del milieu cattolico lagunare v. la voce curata da Silvio Tramontin in Dizionario storico del movimento cattolico in Italia, a cura di Francesco Traniello-Giorgio Campanini, III/1, Casale Monferrato 1984, pp. 163-164.
28. D. Menozzi, La Chiesa cattolica, passim; G. Miccoli, Fra mito della cristianità, pp. 21-92. V. ad esempio Il nostro Programma, "Venezia", 24 dicembre 1919 ("la dottrina morale e sociale cattolica è sufficientemente determinata, nei suoi principi e nelle sue conclusioni, per poter guidare sicuramente le coscienze, non solo nei problemi morali, ma anche in quelli di ordine sociale ed economico. [...] La dottrina di Cristo [...] risolve ogni questione che può angustiare il genere umano").
29. V. il discorso di Paganuzzi in sede di congresso nazionale del P.P.I., svoltosi a Venezia nell'ottobre 1921, in La libertà del Sommo Pontefice rivendicata nel discorso del Co. Gio Batta Paganuzzi, "Aurora", 6 novembre 1921. Esso suscita il plauso di un esponente del giovane clero filopopolare, don Alfonso Bisacco, direttore del settimanale diocesano "La Settimana Religiosa" negli anni Trenta, che lo commenta sullo stesso numero nell'articolo Parole franche. Sull'"ala destra" v. S. Tramontin, Cattolici, popolari, pp. 111-145. L'idea di utilizzare per il trionfo della causa cattolica l'estensione del diritto di voto alle masse, nel 1912, rappresenta un'evoluzione della strategia intransigente inaugurata nel 1874 durante il primo congresso cattolico, che raccomanda l'uso a proprio favore delle avversate "libertà liberali" (G. De Rosa, Il movimento cattolico, p. 68; L. Nardo, 'Nova et vetera', cap. II, par. 3.1).
30. Come testimonia il suo archivio personale conservato presso il seminario patriarcale veneziano e la lettura di periodici d'epoca, Lizier è oratore apprezzatissimo in ogni manifestazione di vita cattolica dalla guerra di Libia agli anni Sessanta. Impegnato nella G.C.I., nel movimento universitario, nel Movimento laureati di A.C., nell'Unione Uomini di A.C., pubblica opuscoli ed esplica attività giornalistica, oltre che ne "Il Popolo Veneto", ispirando la linea editoriale de "La Settimana Religiosa" (rivista diocesana) durante la seconda guerra mondiale e diventando direttore del settimanale democristiano "Il Popolo del Veneto" nel secondo dopoguerra (I nostri candidati della Provincia di Venezia, "Il Popolo del Veneto", 18 maggio 1946). Promuovono la nascita e fanno parte del consiglio di amministrazione del quotidiano popolare Roberto Zileri Dal Verme, Umberto Merlin, i fratelli Corazzin, Francesco Saccardo, Pietro Mentasti, Giovanni Battista Biavaschi.
31. Nel senso leggibile in D. Menozzi, La Chiesa cattolica, p. 11, come "insieme di mutamenti sociali derivanti da una trasformazione [...]: il passaggio da un'ottica di tipo divino-istituzionale a una di tipo mondano-contrattuale nella definizione del fondamento e della legittimazione delle regole della convivenza umana".
32. V. a titolo d'esempio Pietro Lizier, Dopo il congresso fucino di Verona, "Il Popolo Veneto", 27 aprile 1924. Cf. G. Miccoli, Fra mito della cristianità, p. 23; Agostino Giovagnoli, La cultura democristiana. Tra chiesa cattolica e identità italiana 1918-1948, Roma-Bari 1991, p. 28 (la Chiesa, nella visione di G.B. Montini, futuro Paolo VI, "rivestiva una funzione essenziale di unità nazionale e di sviluppo sociale, di cardine della tradizione italiana e soprattutto di tramite verso una 'modernità' borghese ed europea. Per realizzare questo disegno non serviva tanto un partito ma una nuova classe dirigente cattolica, legata alla Chiesa e capace di guidare saggiamente la nazione. Una classe dirigente inserita nel mondo della borghesia e delle professioni, collegata alla classe dirigente liberale"); F. Traniello, Città dell'uomo, p. 28.
33. V. ciò che annota sul modo di osservare Quaresima e precetto pasquale negli anni Trenta da parte dei blasoni veneziani Maria Damerini, Gli ultimi anni del Leone. Venezia 1929-1940, Padova 1988, pp. 121-122, configurandosi l'intero volume come una minuziosa registrazione del loro stile di vita. Cf. Delio, La borghesia, "Venezia", 19 febbraio 1920, e ciò che ancora alla fine degli anni Trenta scrive su un foglio del terz'ordine francescano un notissimo predicatore, P. Roberto Da Nove, L'ideale del Terziario (La povertà), "Bollettino Francescano", 35, 1937, p. 27 (pp. 25-27): "la povertà di spirito ha anche i suoi meriti, tanto cristiani quanto sociali. [...] È la sete dell'oro che creando gli accapatori [sic] e gli ammassatori della pubblica ricchezza, che si arricchiscono sulla altrui fame, provoca le ribellioni sociali e divide la società".
34. Bruno Bertoli, Le origini del movimento cattolico a Venezia, Brescia 1965, pp. 27-35, 141-147, 163-168; Id., Giovani cattolici del secondo Ottocento a Venezia. Il circolo 'S. Francesco di Sales', in La Gioventù Cattolica dopo l'Unità, a cura di Luciano Osbat-Francesco Piva, Vicenza 1972, pp. 381-463; Silvio Tramontin, Gli oratori di Don Bosco e i Patronati veneziani, in Don Bosco nella Chiesa a servizio dell'umanità, Roma 1987, pp. 122 ss. (pp. 118-132). In effetti Lizier è materialmente imparentato con la famiglia Candiani.
35. A. Zanconato, Il patriarca Aristide Cavallari, pp. 40-42.
36. Lucia Turiello, Fernando Vietta, in Il Partito Popolare in Emilia Romagna (1919-1926), a cura di Alessandro Albertazzi-Giorgio Campanini, II, Roma 1987, pp. 308-311; Ead., Giuseppe Micheli, ibid., pp. 197-211. La citazione è tratta da Giorgio Campanini, Meda, Micheli e "La politica nazionale", in Filippo Meda tra economia, società e politica, a cura di Guido Formigoni, Milano 1991, p. 170 (pp. 168-188).
37. S. Tramontin, Cattolici, popolari, pp. 38-39; Id., Gli anni veneziani, in Giuseppe Donati tra impegno politico e problema religioso. Atti del convegno, a cura di Roberto Ruffilli-Pietro Scoppola, Milano 1983, pp. 77-90.
38. Società della Gioventù Cattolica Italiana, "Venezia", 13 luglio 1920; Violenze contro il Segretario della Giunta Diocesana di Brescia, "Corriere di Venezia", 19 ottobre 1923; Antonio Fappani, L'ambiente culturale e religioso a Brescia negli anni della formazione di G.B. Montini, in G.B. Montini e la società italiana 1919-1939. Atti del seminario, Brescia s.a. [ma 1984], pp. 43-56.
39. Silvio Tramontin, Celeste Bastianetto (1899-1953). Un partigiano per l'Europa, Venezia 1986, pp. 7-8; Id., Sindacalismo e politica: il caso Cappellotto, "Bollettino dell'Archivio per la Storia del Movimento Sociale Cattolico in Italia", 14, 1979, pp. 338-352; Id., Dalla ribellione all'organizzazione: le leghe bianche e l'opera di G. Corazzin a Treviso (1910-1925), Treviso 1982; sulla compresenza in Corazzin di atteggiamenti da "destra politica" e "sinistra sindacale" v. Ernesto Brunetta, Dalla grande guerra alla Repubblica, in Storia d'Italia. Le regioni dall'Unità a oggi. Il Veneto, a cura di Silvio Lanaro, Torino 1984, pp. 923-925 (pp. 911-1035); La prima seduta del consiglio provinciale, "Venezia", 25 novembre 1920. Le notizie su Gerolamo Lino Moro sono ricavate da alcune note autobiografiche redatte dallo stesso parlamentare nel gennaio 1969 e conservate dalla vedova presso la sua abitazione ad Oderzo (Treviso).
40. V. ad esempio la serie di articoli del Dott. Francesco Castagna, Per una nostra coscienza sociale, pubblicata su "Il Popolo Veneto" del 22 e 29 novembre, 5 e 19 dicembre 1923. È un nodo centrale delle analisi condotte da alcuni studiosi sul particolare modello di sviluppo del capitalismo nella nostra regione (cf. i saggi contenuti in Movimento cattolico e sviluppo capitalistico. Atti del convegno, Venezia-Padova 1974, ma anche Silvio Lanaro, Nazione e lavoro. Saggio sulla cultura borghese in Italia 1870-1925, Venezia 1979, pp. 132-141 e Id., Genealogia di un modello, in Storia d'Italia. Le regioni dall'Unità a oggi. Il Veneto, a cura di Id., Torino 1984, pp. 5-96).
41. Luigi Ganapini, Il nazionalismo cattolico. I cattolici e la politica estera in Italia dal 1871 al 1914, Bari 1970; L. Nardo, 'Nova et vetera', cap. II, parr. 3.3 e 5, cap. III, par. 1. V., ad esempio, Indomita Italia, "Avanguardia", 27 aprile 1919; [Pietro Cisco], La nostra debolezza, "Venezia", 27 dicembre 1919; X., La revisione del Patto di Londra, ibid., 6 gennaio 1920; Gerolamo Lino Moro, La disoccupazione e le nostre colonie, "Il Popolo Veneto", 15 aprile 1922.
42. L'Arsenale di Venezia ai Veneziani, "Avanguardia", 27 aprile 1919; Il ponte, ibid., 3 maggio 1919. Cf. Cesco Chinello, Porto Marghera 1902-1926. Alle origini del 'problema di Venezia', Venezia 1979, pp. 114-224. Ancora in età fascista questo stereotipo di lunga data si ripresenta, quasi la storia della Serenissima Repubblica - censurati i suoi momenti di forte conflitto con lo Stato pontificio - serva meglio ad illustrare i propositi cattolici rispetto al modello della Roma papale utilizzato come motivo propagandistico alternativo a quello della Roma imperiale e pagana abusato dal regime (v. ad esempio Pietro Lizier, Venezia Repubblica Cristiana, "La Settimana Religiosa", 22 aprile 1928). Per tutto v. Emilio Gentile, Il culto del littorio. La sacralizzazione della politica nell'Italia fascista, Roma-Bari 1993, pp. 146-154; S. Lanaro, Genealogia di un modello, pp. 7-11.
43. S. Tramontin, Cattolici, popolari, pp. 33-39; Inaugurazione del Pensionato Universitario A. Paganuzzi, "Venezia", 27 aprile 1920.
44. V. ad esempio Per la libertà d'insegnamento, "Avanguardia", 1° giugno 1919; [Pietro Cisco], La grande ironia, "Venezia", 10 gennaio 1920. In sede di congresso del P.P.I. a tutti i livelli vengono sempre presentati ordini del giorno riguardanti tali questioni e sugli organi di stampa si registrano continuamente professioni di impegno dei deputati per l'affermazione di determinati principi a livello legislativo.
45. È un dato comune all'intero movimento cattolico nazionale. Venezia e provincia. Adunanza generale della Gioventù Cattolica, "Avanguardia", 10 agosto 1919; Il coraggio cristiano e la Gioventù, "Venezia", 3 agosto 1920; S. Tramontin, Cattolici, popolari, pp. 4-8; G. Vian, Pietro La Fontaine, pp. 424-430; Danilo Veneruso, La Gioventù Cattolica e i problemi della società civile e politica italiana dall'unità al fascismo, in La 'Gioventù Cattolica' dopo l'Unità 1868-1968, a cura di Luciano Osbat-Francesco Piva, Roma 1972, pp. 1-137.
46. G. Vian, Pietro La Fontaine, pp. 286-288; Mario Casella, L'Azione cattolica nell'Italia contemporanea (1919-1969), Roma 1992, pp. 67-70; Patriarcato di Venezia, Ricordo dei sacerdoti, p. 85; S. Tramontin, La figura e l'opera, pp. 101-103; È morto mons. Spanio, "Il Gazzettino", 23 novembre 1952.
47. Venezia, Archivio Storico del Patriarcato, Azione Cattolica Italiana, Presidenza-giunta diocesana, b. 4, fasc. 1, verbale del convegno delle presidenze diocesane venete dell'U.P., Venezia, 25 novembre 1920; Azione giovanile. Relazione del lavoro svolto dalla Presidenza, "Venezia", 8 gennaio 1921; G. Vian, Pietro La Fontaine, pp. 302-307.
48. Il Primo Convegno Diocesano della Gioventù Femminile Cattolica, "Venezia", 20 dicembre 1920.
49. Silvio Tramontin, Il movimento cattolico a Venezia sul finire dell'Ottocento, "Convegni culturali del clero", allegato nr. 2 alla "Rivista Diocesana del Patriarcato", 52, 1961, nr. 6, pp. 26-41; Cecilia Dau Novelli, Società, Chiesa e associazionismo femminile. L'Unione fra le donne cattoliche d'Italia (1902-1919), Roma 1988, pp. 244-249. In Venezia, Archivio Storico del Patriarcato, Azione Cattolica Italiana, Presidenza-giunta diocesana, b. 2, fasc. 2, sono conservati diversi documenti relativi ad associazioni e opere sostenute dalle donne tra il 1919 e il 1921. Si contano: la Società delle donne veneziane per gli interessi cattolici (200 socie), la Conferenza di S. Vincenzo de' Paoli (194 socie), l'Opera del lavoro per poveri (50 aderenti), la casa-scuola Nostra Signora di Lourdes, la sezione dell'Opera per la protezione della giovane, la casa-famiglia alla Giudecca, l'Opera dei SS. Tabernacoli (mista). La composizione dei vari comitati d'assistenza in tempo di guerra è reperibile sulle pagine dei quotidiani locali.
50. Don Giulio De Rossi, Il voto alla donna, "Venezia", 21 gennaio 1920; M.Z., Per non essere fraintese, "Aurora", 8 gennaio 1922; Circoli "L. Olivi"-"Matilde De Mori", Annuario 1925-1926, Venezia 1926, pp. 13-14. Il materiale documentario del circolo femminile è in Venezia, Archivio Storico del Patriarcato, Azione Cattolica Italiana, F.U.C.I.
51. Associazione Nazionale delle mamme e vedove dei caduti, "Avanguardia", 3 maggio 1919. Su Elti di Rodeano e Soranzo v. M. Damerini, Gli ultimi anni del Leone, pp. 71-72; Raffaele A. Vicentini, Il movimento fascista veneto attraverso il diario di uno squadrista, Venezia s.a. [ma 1935], p. 65.
52. Stefano Pivato, Clericalismo e laicismo nella cultura popolare italiana, Milano 1990, pp. 35-37, 121-124, 141-143.
53. Juventus, "La Difesa", 5-6 febbraio 1903; La lapide ai Caduti di S. Silvestro, "Aurora", 12 novembre 1922; La lapide ai Caduti di S. Martino, ibid., 3 dicembre 1922; Inaugurazione della lapide a S. Simeone, "Corriere di Venezia", 22 gennaio 1923; L'inaugurazione della lapide per i Caduti a Santo Stefano, ibid., 30 aprile 1930; Da Gambarare. La inaugurazione del Monumento ai Caduti, ibid., 21 giugno 1923. Cf. S. Pivato, Clericalismo e laicismo, pp. 207-221.
54. Venezia. Il nuovo Consiglio Direttivo dei Reduci, "Il Popolo Veneto", 5 marzo 1922; Livio Vanzetto, Monte Grappa, in I luoghi della memoria. Simboli e miti dell'Italia unita, a cura di Mario Isnenghi, Roma-Bari 1996, pp. 367 ss. (pp. 361-374); Mario Isnenghi, L'Italia in piazza. I luoghi della vita pubblica dal 1848 ai giorni nostri, Milano 1994, pp. 251-259, 301-310; Id., Alle origini del 18 aprile. Miti, riti e mass media, in La Democrazia Cristiana dal fascismo al 18 aprile. Movimento cattolico e Democrazia Cristiana nel Veneto 1945-1948, a cura di Id.-Silvio Lanaro, Venezia 1978, pp. 280-296 (pp. 277-344); Renato Monteleone-Pino Sarasini, I monumenti italiani ai caduti della grande guerra, in La grande guerra. Esperienza, memoria, immagini, a cura di Diego Leoni-Camillo Zadra, Bologna 1986, pp. 331-362. L'iniziativa dei cattolici per l'erezione del monumento ai caduti a Gambarare di Mira conduce all'aggressione fisica del giovane cattolico Michele Grandesso, tra i futuri dirigenti della D.C. lagunare, da parte del colonnello squadrista Barbieri (Da Mira. Le furie del Signor Barbieri, "Aurora", 19 febbraio 1922).
55. Originale e copie di questo diario sono conservati dai figli del defunto senatore.
56. Le risposte fornite dai parroci alla prima visita pastorale di La Fontaine tra 1917 e 1920 (in Venezia, Archivio Storico del Patriarcato, Archivio segreto) registrano una nutrita presenza delle più svariate pie unioni e confraternite, conducenti una vita limitata allo scopo di celebrare determinate ricorrenze o momenti liturgici con particolare devozione o solennità.
57. Il Partito Popolare Italiano a Venezia, "Venezia", 30 luglio 1920. L'azione della Lega antiblasfema è controllabile sulle pagine de "La Settimana Religiosa" per tutto il periodo fascista.
58. Venezia, Convento dei Padri Gesuiti, Carte della Congregazione Mariana, quaderno manoscritto, contenente breve storia della congregazione dei negozianti e suoi verbali dal 1854 al 1859; ibid., registro della "Congregazione dei Negozianti sotto il titolo della Immacolata Concezione della B.V.M. e del Patrocinio di S. Giuseppe"; ibid., raccoglitore intitolato "Prospetto delle cariche"; ibid., registro degli iscritti dal 1937. Resoconti dell'attività caritativa esplicata da questa congregazione si trovano nelle cronache cittadine de "La Settimana Religiosa". Silvio Tramontin, Gottardi Amedeo, in Dizionario storico del movimento cattolico in Italia, a cura di Francesco Traniello-Giorgio Campanini, III/1, Casale Monferrato 1984, p. 425; Ricordo di Amedeo Gottardi, Venezia 1956.
59. Venezia, Convento dei Padri Gesuiti, Carte della Congregazione Mariana, registro "Elenco dei Congregati"; ibid., "Congregazione Mariana Studenti Libro degli iscritti Anno Sociale 1943-44"; ibid., raccoglitore contenente i verbali delle riunioni fra il 1921 e il 1928. Pierluigi Sartorelli, Eugenio IV nel vortice di eventi drammatici, Città del Vaticano 1990, p. 4; Id., Dai ricordi familiari un ritratto di nonno Piero, in Gianpietro Talamini. Un giornalista - un cadorino, a cura di Giuseppe Vecellio, Feltre 1984, pp. 33-37.
60. P. Gabriele Pedretti Direttore, Nella nostra Famiglia Federale. Venezia-Congregazione Centrale, "L'Araldo. Periodico mensile-Organo uff. della Federazione dei Terziari Veneti della Prov. Francescana di S. Antonio" (d'ora in poi "L'Araldo"), 11, 1923, p. 91; Id., Il Terz'Ordine Francescano a Venezia, ibid., pp. 134-135, 144, 171. Essere terziari francescani comporta l'ottemperanza ad alcune regole che investono la quotidianità, anche se la costituzione Misericors Dei Filius, emanata da Leone XIII il 30 maggio 1883, snellisce la regola stabilita da papa Niccolò IV nel 1289. I terziari hanno l'obbligo di accostarsi a confessione e comunione almeno una volta al mese; devono recitare quotidianamente, se possibile, l'ufficio divino o il rosario e in mancanza di questi 12 Pater, Ave Maria e Gloria Patri, e assistere quotidianamente alla celebrazione eucaristica. Parimenti obbligatorio è indossare il piccolo scapolare e il cingolo (P. Gabriele Andreozzi T.O.R., Storia delle regole e delle costituzioni dell'ordine francescano secolare. Manuale ad uso dei dirigenti e degli assistenti, Perugia 1988, pp. 80-85, 230, 236-241). Il terz'ordine, con la sola congregazione femminile o entrambe, è presente a S. Francesco della Vigna, S. Giovanni Evangelista (passato nel 1922 sotto la direzione dei Minori conventuali), S. Silvestro, S. Giobbe, S. Maria del Giglio, Tolentini, Ognissanti, SS. Apostoli e S. Alvise.
61. S. Francesco d'Assisi. L'Angelo della Concordia, "Bollettino Francescano", 18, 1920, p. 6 (pp. 5-7). Di Leone XIII, il papa della Rerum Novarum, si preferisce rammentare l'esclamazione: "la mia riforma sociale per me è il Terz'Ordine". Altro intervento estremamente chiarificatore di un'opinione diffusa fra i cattolici e in certi settori del clero è quello di Raid Brenno, Torniamo allo spirito della povertà Francescana, "Bollettino Francescano", 18, 1920, p. 52 (pp. 52-54). Esso dà la misura di quella priorità ascritta all'interiore rispetto all'esteriore, che ho tradotto con il versetto giovanneo, e che serve come categoria interpretativa dell'atteggiamento assunto dai cattolici "impegnati" nel periodo fascista: "il presente disagio economico fa pensare seriamente, perché non si sa dove andrà a finire la cupidigia del popolo, che reclama continuamente esorbitanti miglioramenti finanziari, perché vuole vivere, vuole divertirsi e scialacquare. [...] L'autorità è incapace di frenare la corsa precipitosa verso il dissolvimento sociale, e lo sarà sempre fino a che non muterà radicalmente sistema di governare uomini nati, oltre alla vita presente, alla eterna. Si comprende finalmente che il disagio sociale ha la sua radice nel disagio morale, nell'inversione dei valori della vita, perché la vita civile è talmente dipendente dalla vita morale, che non è possibile riformare quella, se prima non si è riformata questa". Sul bollettino del terz'ordine dipendente dai Minori della Vigna troviamo posizioni consimili: il terz'ordine mira a formare il "Partito delle anime", chi con le pratiche della pietà si rende "forte contro le seduzioni, tetragono nei pericoli, agguerrito nelle lotte degli avversari. [...] Amore per il povero, per il derelitto, per il delinquente, come per il ricco e il mondano. [...] Il vincolo d'amore fraterno, ridonerà alle nostre contrade quella pace che da tanto tempo ansiosamente aspettiamo. Ecco la nostra lotta. Lotta d'amore nella pace fraterna, per il benessere morale e materiale del nostro paese"; il programma di tale partito è "il trionfo di Cristo nelle anime" (Jota, Il nostro partito, "L'Araldo", 8, 1919, pp. 78-79).
62. Jota, I nemici del Terz'Ordine, "L'Araldo", 9, 1920, pp. 161-163.
63. V. nell'archivio dell'istituto i registri degli iscritti alle classi ginnasiali dal 1908 al 1925. Fra costoro Giovanni Ponti, che al Parlamento esalterà la funzione delle scuole confessionali (S. Tramontin, Giovanni Ponti, pp. 9-10). Congregazione mariana-Istituto Cavanis, Quarantesimo 1912-1952, Venezia 1952, pp. 7-10, 23-32. La notizia del matrimonio mi è stata gentilmente fornita da p. Franco Degan, figlio di Attilio e religioso del Cavanis.
64. Congregazione mariana-Istituto Cavanis, Quarantesimo, pp. 33, 46, 55.
65. "Charitas. Bollettino Bimestrale degli Istituti delle Scuole di Carità Cavanis", 1, 1934, p. 1; Congregazione mariana-Istituto Cavanis, Quarantesimo, pp. 35-36, 41-43. Le attività dell'associazione riscuotono attenzione sul settimanale diocesano.
66. S. Tramontin, Gli oratori di Don Bosco, p. 123; Cent'anni di Giuseppini a Venezia, Torino 1983.
67. Cronistoria dei Carmelitani Scalzi della Provincia Veneta e biografie dei Religiosi defunti nella medesima, Venezia 1935, pp. 76, 129-133; Graziano G. Pesenti O.C.D., Padre Giovanni Candiani O.C.D., Venezia 1994. Alcune informazioni sono state fornite alla scrivente dal signor Renzo Benacchio, attuale priore del sodalizio veneziano.
68. Silvio Tramontin, La congregazione delle suore domenicane della Beata Imelda, in La Chiesa di Venezia nel primo Novecento, a cura di Id., Venezia 1995, pp. 213-220.
69. Giusy Sozza, Caterina Zecchini e le Ancelle Missionarie del Santissimo Sacramento, ibid., pp. 193-212.
70. S. Tramontin, Il sindacalismo cristiano, pp. 165-170; F. Piva, Lotte contadine, pp. 229-233.
71. Fiume e l'Italia, "Avanguardia", 28 settembre 1919; In campo aperto, ibid., 5 ottobre 1919; F. Piva, Lotte contadine, pp. 206-219; Luca Pes, Il fascismo urbano a Venezia. Origine e primi sviluppi. 1895-1922, "Italia Contemporanea", 38, 1987, nr. 169, pp. 63-84.
72. Venezia, Archivio Storico del Patriarcato, Azione Cattolica Italiana, G.I.A.C., Federazione diocesana, b. 11, fasc. 1, lettera di segretario, presidente, assistente ecclesiastico del "Leonardo Murialdo" alla "Federazione Diocesana", 3 giugno 1921. Società della Gioventù Cattolica Italiana, "Venezia", 11 gennaio 1921; Programma di azione del Consiglio Regionale Veneto, "Aurora", 30 ottobre 1921. D. Veneruso, La Gioventù Cattolica, pp. 129-130; S. Tramontin, Cattolici, popolari, p. 86. Cf. Avanguardie o Terziari?, "Bollettino Francescano", 20, 1922, pp. 161-164.
73. S. Tramontin, Cattolici, popolari, pp. 65-70; G. Vian, Pietro La Fontaine, pp. 542-544.
74. S. Tramontin, Cattolici, popolari, pp. 101-109.
75. am, Care speranze, "Aurora", 30 ottobre 1921; Se., Aconfessionalità di partito, ibid., 2 aprile 1922; S. Tramontin, Cattolici, popolari, pp. 43-44; G. De Rosa, Il Partito popolare, pp. 97-102. Nell'assemblea del P.P.I. veneziano convocata al termine del marzo 1924 spiccano le persone di Bastianetto, G.L. Moro, dell'ex presidente fucino prof. Guido Fabris, ma anche di Francesco Candiani (Luigi Valsecchi, Un discorso dell'on. Merlin all'assemblea dei popolari, "Il Popolo Veneto", 29 marzo 1924). R.A. Vicentini, Il movimento fascista, p. 191, definisce il settimanale cattolico "antifascista". V'è da notare come in tutta la cronaca di Vicentini il ruolo dei popolari appaia trascurabile nell'ambito dei conflitti sociali che caratterizzano gli anni di ascesa dello squadrismo, se non con le doverose eccezioni delle zone agricole, in cui il movimento bianco consegue una netta prevalenza numerica rispetto all'organizzazione rossa.
76. Tumulti e pugilati al Malibran, "Il Gazzettino", 14 giugno 1922; Giorgio Santarello, La giunta popolare Ponti, in Venezia nel secondo dopoguerra, a cura di Maurizio Reberschak, Padova 1993, p. 133 n. 49 (pp. 125-155); Atti del Consiglio comunale Anno 1921, Venezia 1921, pp. 170-171; S. Tramontin, Cattolici, popolari, pp. 90-91.
77. V. a titolo d'esempio le relazioni sulle parrocchie di S. Marco, S. Pietro di Castello e SS. Gervasio e Protasio in Venezia, Archivio Storico del Patriarcato, Archivio segreto, Visita pastorale del patriarca La Fontaine, 1917-1919 [ma 1917-1920], vol. I. Bruno Bertoli, Indirizzi pastorali del patriarca Piazza, in La chiesa di Venezia dalla seconda guerra mondiale al Concilio, a cura di Id., Venezia 1997, pp. 21-22 (pp. 15-68).
78. M. Damerini, Gli ultimi anni del Leone, p. 178. La contraddittorietà fra generica professione di fede cattolica e indirizzo etico quotidiano slegato o antitetico a quello del magistero è circostanza frequentissima anche ai nostri giorni (Arnaldo Nesti, Il cattolicesimo degli italiani. Religione e culture dopo la 'secolarizzazione', Milano 1997, pp. 21-40).
79. Come nasce il nostro periodico, "Aurora", 16 ottobre 1921; I giovani cattolici veneziani alle feste giubilari di Bologna, ibid., 19 marzo 1922; Guido Gigoli, San Luigi Gonzaga ed i giovani, ibid., 26 marzo 1922; 1° elenco di sottoscrizione, "Il Popolo Veneto", 12 maggio 1923; La sottoscrizione pro "Popolo Veneto", ibid., 29 luglio 1923; I giovani del Circolo S. Gerolamo Emiliani aggrediti nella loro sede, "Corriere di Venezia", 10 novembre 1923; La sede del Circolo Cattolico S. Antonio da Pad. invasa e danneggiata, ibid., 12 novembre 1923; Un giovane cattolico aggredito, "Corriere della Venezia", 11 marzo 1924; Le solite violenze, ibid., 5 aprile 1924. Cf. S. Tramontin, Cattolici, popolari, pp. 42-44.
80. V. Parole da meditare, "Aurora", 23 ottobre 1921; Cattolicismo Fascismo e Nazionalismo, ibid., 18 giugno 1922 e le parole rivolte dal pontefice ai giovani cattolici convenuti a Roma per il congresso nazionale ne Il discorso del S. Padre, ibid., 17 settembre 1922 ("non politica, non economia sociale, dico perfino non coltura, ma prima di tutto la formazione cristiana della vita individuale"). M. Casella, L'Azione cattolica, pp. 159-174; G. De Rosa, Il Partito popolare, pp. 194 ss.
81. Se., Le basi di una vecchia questione, "Aurora", 8 gennaio 1922; Gerolamo Lino Moro, Cultura, cultura, cultura!, ibid., 22 gennaio 1922; Se., Pregiudiziali di collaborazionismo, ibid. Cf. G. De Rosa, Il Partito popolare, pp. 103-135.
82. Pietro Lizier, Alle radici di una crisi, "Il Popolo Veneto", 8 ottobre 1922.
83. La sensazione aleggiante nel mondo cattolico rispetto alla nuova situazione politica viene espressa dal bollettino del terz'ordine afferente ai Cappuccini nei seguenti termini: "l'ora fosca che abbiamo vissuto fino a questi ultimi giorni, e che speriamo definitivamente superata, ci richiama alla mente i periodi più torbidi della storia. [...] Ora sembra tornata la legalità e con essa la calma" (Alla radice, "Bollettino Francescano", 21, 1923, pp. 1-3).
84. L. Nardo, 'Nova et vetera', cap. IV, par. 1; S. Tramontin, Cattolici, popolari, p. 47; G. De Rosa, Il Partito popolare, pp. 155-202, 250-252. Aperti al collaborazionismo col P.N.F. si dichiarano in due ordini del giorno presentati all'assemblea cittadina del P.P.I. l'avv. Cisco e il consigliere comunale Lionello, mentre il segretario della sezione Ponti lamenta la dicotomia sussistente fra centro e periferia fascista, facendo voti affinché "per il pareggio del bilancio e per tutti gli altri risanamenti [...] il P.P.I. presti una collaborazione cordiale al fascismo" (L'assemblea del PPI, "Corriere di Venezia", 3 febbraio 1923).
85. Se., Dopo il Congresso, "Corriere di Venezia", 11 giugno 1923.
86. S. Tramontin, Cattolici, popolari, pp. 52-54.
87. Il Congresso Diocesano, "Corriere di Venezia", 31 dicembre 1923. Funzionario della Camera di commercio, De Piante diventa direttore dell'Ente provinciale per il turismo e poi del Consorzio alberghi e pensioni del Lido. Collaboratore della "Nuova Rivista Storica" di Gino Luzzatto e Angiolo Tursi, già da prima della guerra, regge per breve tempo la segreteria provinciale della D.C., viene eletto al consiglio comunale nel 1946 e nel 1951, poco prima di morire, è assessore alle Finanze. Lizier definisce l'orientamento politico di De Piante con il termine di "sinistrismo" (Venezia, Biblioteca del Seminario Patriarcale Veneziano, Fondo Lizier, b. 1254, fasc. 1 "Ricordo di Giovanni De Piante", patronato dell'Angelo Raffaele, 7 settembre 1952; T.A., Una pagina sulla "Nuova rivista storica", in 1943-1945. Venezia nella Resistenza. Testimonianze, a cura di Giuseppe Turcato-Agostino Zanon Dal Bo, Venezia 1976, pp. 429-431).
88. Gerolamo Lino Moro, Un libro su Mussolini e il fascismo, "Il Popolo Veneto", 18 ottobre 1923. La tesi della filiazione del cattolicesimo sociale, del movimento democratico cristiano da cui discende il P.P.I., dal cattolicesimo intransigente in Émile Poulat, Chiesa contro borghesia. Introduzione al divenire del cattolicesimo contemporaneo, Casale Monferrato 1984.
89. Pietro Lizier, Mentalità superata?, "Il Popolo Veneto", 8 gennaio 1924; Id., Per l'idea, ibid., 13 giugno 1924; Gerolamo Lino Moro, Gli ulteriori sviluppi, ibid., 12 agosto 1924; Id., E poi? Creare lo Stato, ibid., 11 settembre 1924.
90. Tra i democristiani eletti al consiglio comunale nel 1946 si contano Ponti, Lizier, Antonio Candiani, Grandesso, De Piante, Sabbadin (Paola Sartori, La prima amministrazione comunale e la giunta Gianquinto, in Venezia nel secondo dopoguerra, a cura di Maurizio Reberschak, Padova 1993, p. 174 [pp. 157-181]). Accanto a Gottardi e a Sarpellon nell'E.C.A. troviamo Giuseppe Lionello; Mozzetti Monterumici e Sabbadin sono membri della commissione incaricata dalla giunta municipale popolare nel 1945 di compiere l'inchiesta sull'operato dei podestà fascisti dal 1925 in poi; Paganuzzi e Grandesso fanno parte della giunta municipale popolare (G. Santarello, La giunta popolare Ponti, pp. 126 n. 9, 132 n. 40, 133 n. 49, 149-150). Grandesso viene poi eletto al consiglio provinciale nel 1951, presieduto da Favaretto Fisca (I risultati delle provinciali, "Il Gazzettino", 30 maggio 1951; L'ing. Favaretto Fisca presidente della nuova Amministrazione Provinciale, ibid., 15 giugno 1951), mentre De Piante e Candiani entrano in consiglio comunale (I candidati eletti al Consiglio Comunale, ibid., 1° giugno 1951). Cf. Bruno Bertoli, La fede cristiana nel dramma della guerra e delle tre Resistenze, in La Resistenza e i cattolici veneziani, a cura di Id., Venezia 1996, pp. 27, 31-32 (pp. 13-55).
91. "Album di viaggio" conservato dal figlio Eugenio presso la sua abitazione privata in Venezia, lettera di Celeste ai famigliari, 25 agosto 1924 da Gand. Cf. S. Tramontin, Celeste Bastianetto, pp. 29-30.
92. Cf. G. Miccoli, Fra mito della cristianità, pp. 34-36. Lizier nel maggio 1924 vede approvato al consiglio nazionale della F.U.C.I. un suo ordine del giorno di deplorazione per Ernesto Buonajuti, che nonostante la scomunica continua a insegnare, facendo intuire in tal modo quanto sia condiviso anche dal pur "aperto" movimento intellettuale cattolico lo spirito caratterizzante l'art. 5 del concordato del 1929 (Atti Ufficiali, "Studium", 20, 1924, pp. 359-367).
93. Anche in Montini "la democrazia non poteva considerarsi un sistema irrinunciabile" (cf. per tutto A. Giovagnoli, La cultura democristiana, pp. 26-35). "La vera, la sana politica", afferma il docente di filosofia del "Foscarini" Giacomo Franceschini, ex insegnante di Lizier, preparandosi al congresso nazionale per l'educazione e la cultura religiosa svoltosi a Venezia nell'aprile 1924, "altro non è né deve essere che un assetto razionale ed organico di tutti i valori civili ispirati ad un fine, ad un unico fine, a quel supremo fine [...] ch'è Iddio" (Giacomo Franceschini, Il prossimo congresso di Cultura religiosa, "Corriere della Venezia", 16 aprile 1924). V. ad esempio Roma, Archivio dell'Istituto "Paolo VI", Fondo FUCI, b. "Venezia", lettera di Lizier a G.B. Montini, 20 febbraio 1926; Don Giuseppe Scarpa, La contraddizione nella ribellione, "La Settimana Religiosa", 3 febbraio 1929. Caratteristiche della pietà veneta ottocentesca, secondo Gabriele De Rosa, Giuseppe Sacchetti e la pietà veneta, Bari 1968, p. 8, erano: "poco intelletto e molto cuore, molta umiltà e niente ribellione, autorità e fede religiosa, mai sola autorità".
94. Venezia, Biblioteca del Seminario Patriarcale Veneziano, Fondo Lizier, b. 1269, fasc. 4, circolare nr. 1 della presidenza generale della F.U.C.I., 28 settembre 1924. Pietro Lizier, Prologo al Congresso, "Studium", 21, 1925, pp. 423-429. V. ciò che scrive a Righetti dopo l'ondata di violenze fasciste scatenatasi nel novembre 1926 contro il movimento cattolico in Veneto e ciò che afferma al congresso fucino del maggio 1927 svoltosi a Venezia, stabilendo un'analogia fra il presente dell'A.C. e la vita di Gesù, i cui tre anni di attività pubblica furono preceduti da trent'anni di "nascondimento" (Roma, Archivio dell'Istituto "Paolo VI", Fondo FUCI, b. "Venezia", lettera di Lizier a Righetti, 29 novembre 1926 e appunti datati 14 maggio 1927). Cf. G. De Rosa, Il Partito popolare, pp. 245-250.
95. "Album di viaggio", lettera ai famigliari, 25 luglio 1924 da Strasburgo. Una riproduzione del diario è conservata in Venezia, Archivio Storico del Patriarcato, Fondo "Memorie della Resistenza". V. alla data 15 novembre 1926. Roma, Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell'Interno, Direzione Generale Pubblica Sicurezza, Divisione Polizia Politica, Fascicoli per materia, b. 100, fasc. 2; P.P.I. Venezia, "Il Popolo Veneto", 6 gennaio 1925.
96. La necessità dell'Azione Cattolica, "La Settimana Religiosa", 13 febbraio 1927; Il Congresso Diocesano degli Uomini Cattolici, ibid., 27 marzo 1927. Cf. M. Casella, L'Azione cattolica, pp. 203 ss. Anche lo studioso che ravvisa "povertà culturale" nella vita delle associazioni cattoliche del periodo ritiene "un problema pur fondamentale" quello della scristianizzazione dei costumi (B. Bertoli, Indirizzi pastorali, p. 29). V'è da rilevare come le prime due annate de "La Settimana Religiosa" siano irreperibili presso biblioteche accessibili al pubblico.
97. Roma, Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell'Interno, Direzione Generale Pubblica Sicurezza, Divisione Affari Generali e Riservati, Cat. G1, b. 220, fasc. 460, sottofasc. 67, Relazione semestrale sulla situazione politica della provincia di Venezia, 11 settembre 1925 (i "numerosi iscritti" del P.P.I. "promuovono conferenze e feste in apparenza di carattere religioso e con carattere di beneficenza, ma in verità a scopo di propaganda. [...] Ed appunto per questo i circoli cattolici, che qui sono abbastanza numerosi, furono tempo fa invasi e danneggiati dai fascisti che vedevano nei dirigenti di essi degli avversari al fascismo, ma avendo i popolari cambiato tattica, ed essendosi in seguito mostrati molto riservati nella loro azione tanto da apparire neutrali, i fascisti ora li tollerano. [...] Ma se in apparenza si nota una certa tolleranza dei fascisti verso i popolari, in realtà vi è dell'avversione"); ibid., fasc. 461, Relazione semestrale sulla situazione politica della provincia di Venezia, 19 febbraio 1927. S. Tramontin, Cattolici, popolari, pp. 206 ss.
98. Tale opera di 'svuotamento' attraverso la collaborazione col fascismo v. in M. Casella, L'Azione cattolica, pp. 203 ss.
99. Bastianetto, membro del segretariato diocesano di attività sociale, deve dimettersi da presidente della G.C. nel 1931 in ottemperanza agli accordi del settembre seguiti agli scontri fra A.C. e organizzazioni fasciste, con rincrescimento del patriarca che lo aveva designato nel novembre 1930 e che lo nominerà presidente del gruppo laureati nel 1934 (Venezia, Archivio Storico del Patriarcato, Azione Cattolica Italiana, G.I.A.C., Federazione diocesana, b. 4, fasc. 2; L'attività dei gruppi, "Bollettino Laureati", supplemento a "Studium", 31, 1935, p. 19). La presenza di Lizier nel consiglio di giunta diocesana di A.C. è verificabile sui documenti conservati nell'Archivio Storico del Patriarcato veneziano e su "La Settimana Religiosa". Ponti è tra i reggenti del gruppo laureati negli anni Trenta, gruppo di cui fan parte tutti gli ex dirigenti popolari come l'avv. Gaetano Duse e Antonio Benzoni, ma anche Bombardella e il dirigente della F.I.U.C. avv. Tessier. Programmi e brevi resoconti di lezioni e conferenze si possono leggere sulle cronache cittadine de "Il Gazzettino".
100. Una scelta che comprova se non altro parzialmente la condivisione da parte di questa frangia di ex popolari degli annosi progetti pontifici miranti a egemonizzare società e cultura italiana e dimostrerebbe che il pontefice ha individuato anche in loro elementi consoni alla realizzazione di tali piani. Tali informazioni sono contenute nelle note autobiografiche di Moro citate in precedenza. La lettera dell'ottobre 1930 con cui Righetti informa il patriarca La Fontaine dell'intenzione espressa da Pio XI in merito al veneziano è in Venezia, Archivio Storico del Patriarcato, Sezione moderna, Movimento cattolico, b. 29, fasc. "Azione cattolica Riordinamento 1922-23".
101. Il primitivo progetto intende ispirarsi alla struttura e agli scopi degli antichi ordini equestri. "Punto cardine" di questo nuovo organismo dev'essere "l'obbedienza e la sommessione alle gerarchie ecclesiastiche" e finalità implicita occuparsi di problemi sociali (Archivio di C. Bastianetto presso l'abitazione del sig. Eugenio Bastianetto, b. 61101, fasc. "Laureati, FUCI, GCI", sottofasc. "Accademia di pensiero", dattiloscritto Accademia di pensiero e vita cristiana, pp. 1-5). Silvio Tramontin, Agli albori del Movimento Laureati, "Studium", 80, 1984, pp. 337-348; Renato Moro, La formazione della classe dirigente cattolica (1927-1939), Bologna 1979, pp. 230 ss.
102. L'Opera Cardinal Ferrari a Venezia, "Il Gazzettino", 15 settembre 1926. L'attività dei religiosi di don Alberione a Venezia non passa inosservata: fra le altre cose essi istituiscono un'associazione per il reinserimento sociale degli ex carcerati e organizzano numerosi corsi di sociologia cristiana. I rapporti fra patriarca e Opera si incrinano quando la condizione posta dal presule ai Paolini per la concessione di palazzo Morosini di mantenere in vita il patronato sin lì gestito dai Giuseppini viene da loro disattesa, giungendo a dirimersi in tribunale, poiché la causa di fallimento dell'Opera finisce per innescare un'intricata questione sulla proprietà del palazzo, che continua ad ospitare l'A.C. (tutta la corrispondenza è in Venezia, Archivio Storico del Patriarcato, Sezione moderna, Movimento cattolico, b. 28, fasc. "Opera Card. Ferrari" e b. 29). Gli avvocati di cui si avvale la curia sono Umberto Merlin, col suo procuratore Bastianetto, Andrea Tessier e Jacopo Bombardella.
103. Sulle critiche condizioni economiche in cui versano i ceti popolari veneziani durante l'arco del Ventennio e i tentativi assistenziali messi in campo dal fascio femminile, dall'O.N.M.I. (Opera Nazionale per la protezione della Maternità e dell'Infanzia) e dall'E.O.A. (Ente Opere Assistenziali) v. il saggio di Alessandro Casellato, I sestieri popolari, contenuto in questo volume. Cf. i verbali di seduta della "Conferenza" degli universitari in Venezia, Archivio Storico del Patriarcato, Azione Cattolica Italiana, F.U.C.I., b. 13.
104. V. ad esempio Scienza e fede in un discorso del S. Padre, "La Settimana Religiosa", 16 gennaio 1927. Cf. R. Moro, La formazione, pp. 45-55, 94-101.
105. Nel 1920 il bresciano Francesco Castagna, di cui si è parlato, propone ai colleghi universitari di utilizzare durante le proprie liturgie eucaristiche dei libretti con la traduzione in italiano delle preghiere recitate dal sacerdote, suscitando in alcuni di loro - assistente spirituale compreso - vivacissime opposizioni (cf. L. Nardo, 'Nova et vetera', cap. III, par. 3.1).
106. La contribuzione del Marco Foscarini, "Il Gazzettino", 26 novembre 1926; Manifestazione antiblasfema, ibid., 23 dicembre 1926; All'ombra dell'Angelo d'oro. Il Clero ed il Prestito del Littorio, "La Settimana Religiosa", 16 gennaio 1927; Alessandro Barbaro, Spirito vivificatore, ibid., 5 giugno 1927; Celeste Bastianetto, Leone XIII e 'Rerum Novarum', ibid., 1° luglio 1928. V. la citata lettera di Lizier a Righetti del 29 novembre 1926 in Roma, Archivio dell'Istituto "Paolo VI", Fondo FUCI, b. "Venezia".
107. Anche per mons. Scarpa, che dirige il segretariato per la scuola diocesano, sono da ringraziare le "savie provvidenze" che conducono a "restrizioni" sulla stampa, ma ancora troppo poche (Don Giuseppe Scarpa, In tema di grossi calibri, "La Settimana Religiosa", 15 aprile 1928; Id., Morale, scienza, promiscuità, quattrini, ibid., 20 maggio 1928; Id., Grido di dolore, ibid., 20 gennaio 1929), e da elogiare le affermazioni di Mussolini favorevoli alla religione (Id., Visioni sintetiche, ibid., 28 ottobre 1928). Antonio Niero, Fascismo e moralità pubblica nel patriarcato di Venezia, in Chiesa, azione cattolica e fascismo nell'Italia settentrionale durante il pontificato di Pio XI (1922-1939), a cura di Paolo Pecorari, Milano 1979, pp. 766-775 (pp. 765-782); Silvio Tramontin, La chiesa veneziana dal 1938 al 1948, in La Resistenza nel Veneziano, I, La società veneziana tra fascismo, resistenza, repubblica, a cura di Giannantonio Paladini-Maurizio Reberschak, Venezia 1984, p. 467 (pp. 451-501); Il Patriarcato di Venezia. La situazione al 15 ottobre 1974, a cura di Gino Bortolan, Venezia 1974, p. 135. D'altro canto la polizia pone in evidenza nel giugno 1928 le distinzioni sussistenti nel clero della diocesi redigendo una lista di sacerdoti da ritenersi di "sentimenti fascisti", fra cui si contano l'orionita don Luigi Piccardo, il rettore del seminario mons. Ravetta, il futuro vescovo mons. Mario Vianello, mons. Evelio Jandelli e mons. Vittorio Piva (A.S.V., Gabinetto di Prefettura, Versamento 1971, b. 7, fasc. "Clero veneto", sottofasc. "Sacerdoti di sentimenti fascisti", lettera del capo di gabinetto del Ministero al prefetto di Venezia, 26 giugno 1928).
108. Silvio Tramontin, La Chiesa veneta e la Conciliazione, in Chiesa, azione cattolica e fascismo nell'Italia settentrionale durante il pontificato di Pio XI (1922-1939), a cura di Paolo Pecorari, Milano 1979, pp. 643-644 (pp. 629-680). Ma il tenace antifascista di Zelarino don Federico Tosatto resta scettico (ibid., pp. 657-660). Mons. Scarpa redige il commento sul Te Deum di ringraziamento officiato dal patriarca la settimana successiva al Concordato, identificando lo Stato nel re e rallegrandosi per la possibilità dischiusa ai cattolici di render grande la patria (Don Giuseppe Scarpa, Esultanza di anime, "La Settimana Religiosa", 24 febbraio 1929). Il bollettino del terz'ordine dipendente dai Cappuccini ospita un lungo articolo con le foto di papa, re, Gasparri e Mussolini, ma in cui sovrano e capo del governo non vengono nominati (Filippo Conconi, Gaudeamus, "Bollettino Francescano", 27, 1929, pp. 73-77). L'organo degli altri terziari, asserendo che "è compiuta la vera unità nazionale" e che il papa "non è più l'Augusto Prigioniero", nomina una sola volta il "Duce d'Italia" ma in un contesto secondario (A., Gaudeamus...!, "L'Araldo", 18, 1929, pp. 41-42). Il mensile della congregazione mariana dell'istituto Cavanis fornisce una visione del tutto religiosa dell'evento. Accompagnato dalle sole foto di papa e re, l'articolo si esprime in termini entusiastici senza accennare al dato concreto dei Patti: esso eleva un inno al "trionfo del Papato" sulla massoneria e sul liberalismo, la cui guerra è illustrata con la simbologia apocalittica della lotta fra la "Bestia" e Maria (Maria e il Papa, "Il Nostro Foglietto", 10, 1929, pp. 13-14). La Cronistoria carmelitana pubblicata nel 1935 a Venezia non accenna per nulla né al regime né al concordato. Celeste Bastianetto, l'unico ex popolare veneziano ad avere un fascicolo aperto al casellario politico centrale dal 1931 (Roma, Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell'Interno, Direzione Generale Pubblica Sicurezza, Casellario Politico Centrale, b. 399), in pubblica conferenza proclama il Concordato "monumento così perfetto e mirabile giuridicamente" (Archivio di C. Bastianetto, b. 61101, fasc. "Laureati, FUCI, GCI", sottofasc. "Laureati, FUCI", traccia dattiloscritta del discorso tenuto nel marzo 1930).
109. Venezia, Archivio Storico del Patriarcato, Sezione moderna, Patriarcato e Governo, Patriarcato e Governo Fascista, b. 4, fasc. "Precedente allo scioglimento", lettera di La Fontaine a Suppiej, 20 maggio 1931; G. Vian, Pietro La Fontaine, pp. 538-539.
110. Don Giuseppe Scarpa, Aria! Aria! Aria!, "La Settimana Religiosa", 31 marzo 1929 ("questa gente che non si sente bene in un ambiente, e vuol portare delle innovazioni tanto radicali in una forma che ha del rivoluzionario dà l'immediata sensazione di gente che non vuol lasciarsi guidare").
111. Gerolamo Lino Moro, Istituto Cattolico di Attività Sociali, "Studium", 27, 1931, pp. 307-311. Roma, Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell'Interno, Direzione Generale Pubblica Sicurezza, Divisione Polizia Politica, Fascicoli per materia, b. 150, fasc. 2, rapporto da Venezia, 1° giugno 1931. Per i "fatti del '31" a Venezia, con una dettagliata panoramica delle violenze perpetrate ai danni di circoli e patronati, v. S. Tramontin, Cattolici, popolari, pp. 259 ss., e il materiale conservato in Venezia, Archivio Storico del Patriarcato, Sezione moderna, Patriarcato e Governo, Patriarcato e Governo Fascista, b. 4. Nel fasc. "Precedente allo scioglimento" si trova la minuta di una lettera di Suppiej a Giuriati, del 22 maggio 1931, dove si afferma che "le organizzazioni giovanili cattoliche vanno assumendo [...] tale vastità e tale attività da rendere inevitabili l'allarme e la reazione della gioventù fascista".
112. Venezia, Archivio del liceo "M. Foscarini", contenitore "Insegnanti. Stato militare e rapporti col fascismo". Turolla, facondo autore di saggi su filosofia rosminiana, letteratura e filosofia greca e latina, diventerà docente di Letteratura greca all'Università di Genova.
113. Il Carnevale triveneto degli universitari cattolici svoltosi a Rovigo nel febbraio 1935 è caratterizzato da incidenti. Si tenga presente che manifestazioni simili vengono organizzate dai cattolici in chiara concorrenza alle iniziative 'ufficiali' proprio per inquadrarle dal proprio punto di vista morale. Nel 1938, nell'ambito della nuova 'crisi' scoppiata fra governo e Chiesa, altri incidenti si verificano nella città lagunare probabilmente sul nevralgico tema del ballo. Un accenno a screzi si coglie nel volume di cronistoria della provincia carmelitana pubblicato nel 1935: le celebrazioni per il III centenario della provincia veneta nel 1933 si sono svolte "senza speciali avvisi né programmi di sorta resi al pubblico (così volle prudenza per attuali circostanze)", e pur partecipandovi il patriarca, "circostanze, non del tutto previste e di una certa gravità, hanno consigliato di lasciare il progetto" del festeggiamento in pompa magna (Cronistoria dei Carmelitani, 1935, pp. 68-71). Per tutto v. Venezia, Archivio Storico del Patriarcato, Azione Cattolica Italiana, F.U.C.I., b. 5, fasc. "1934-35", sottofasc. "Roma", circolare di Billanovich, 23 febbraio 1935; Ernesto Brunetta, La società veneta e la Resistenza, in I cattolici e la Resistenza nelle Venezie, a cura di Gabriele De Rosa, Bologna 1997, pp. 184-185 (pp. 179-190); B. Bertoli, Indirizzi pastorali, pp. 30-31; A. Niero, Fascismo e moralità, pp. 770-771, 778 ss. Sulle contrastanti valutazioni del totalitarismo e del fascismo in ambito cattolico v. F. Traniello, Città dell'uomo, pp. 29-45. In questo periodo Lizier e Ponti fanno parte della commissione generale laureati incaricata dall'A.C.I. di studiare le modalità di strutturazione del Movimento laureati (R. Moro, La formazione, pp. 487-503).
114. [Gerolamo Lino Moro], Problemi sociali. La durata del lavoro, "La Settimana Religiosa", 19 febbraio 1933; Id., Crisi demografica, ibid., 29 luglio 1934; Id., Azione Cattolica e Azione Sociale, ibid., 5 agosto 1934; Id., Armonia corporativa, ibid., 9 dicembre 1934; Id., La tutela giuridica della 'festività', ibid., 10 marzo 1935; Id., Legislazione sociale, ibid., 11 agosto 1935. Venezia, Biblioteca del Seminario Patriarcale Veneziano, Fondo Lizier, b. 1264, fasc. 6, conferenza su F. Ozanam pronunciata alla sede dell'A.C. di Treviso, 9 marzo 1933; ibid., b. 1258, fasc. 6, vari testi di conferenze tenute nel 1934.
115. Venezia, Biblioteca del Seminario Patriarcale Veneziano, Fondo Lizier, b. 1264, fasc. 6, conferenza su Ozanam, p. 3; ibid., b. 1263, fasc. 26, Dio nella civiltà contemporanea, Verona, 17 aprile 1933, p. 9; ibid., b. 1258, fasc. 6, conferenze tenute nel 1934 su Aspetti dell'azione sovietica nel mondo; ibid., b. 1254, Parole su Puccini, 21 marzo 1935; ibid., b. 1259, fasc. 27, Prolusione al corso di Cultura Cattolica degli Uomini Cattolici, 7 marzo 1935, p. 14b; ibid., b. 1266, fasc. 10, Note politiche, 12 agosto 1935; ibid., b. 1254, fasc. 15, scritto senza titolo, Venezia, 19 settembre 1937-XV. Lo stesso Lizier, in una scheda autobiografica stilata nel secondo dopoguerra per la campagna elettorale del 1946 (I nostri candidati della Provincia di Venezia, "Il Popolo del Veneto", 18 maggio 1946) si dipingerà nei seguenti termini: "decisamente antifascista esercitò nella scuola e fuori, con la parola e con la penna, una costante ed intensa opera disgregatrice della mentalità e dei metodi del partito al potere" (Venezia, Biblioteca del Seminario Patriarcale Veneziano, Fondo Lizier, b. 1260, fasc. 40). L'evoluzione del conflitto etiopico, "La Settimana Religiosa", 11 agosto 1935; La giovinezza cristiana e lo sport, ibid., 15 settembre 1935.
116. Gerolamo Lino Moro, Aggressione sanzionista, "La Settimana Religiosa", 10 novembre 1935; Id., Difesa antisanzionista, ibid., 17 novembre 1935; Id., Giustizia sanzionista, ibid., 1° dicembre 1935; Id., Colonizzazione cristiana, ibid., 29 marzo 1936. Venezia, Biblioteca del Seminario Patriarcale Veneziano, Fondo Lizier, b. 1262, fasc. 2, note intitolate Da Natale a Natale, s.d. [ma dicembre 1935]; ibid., b. 1260, fasc. 3, scritto intitolato Nota, 21 gennaio 1936 ("oggi è l'ora d'Italia, fascista e cattolica, contro il mondo anglosassone che nella sua civiltà meccanica ha tradito lo spirito"). Per il periodico dei terziari cappuccini la vittoria, che "non è straniera al nostro spirito Francescano" e dovuta ad "armi generose e liberatrici", porta una "legislazione civile, dove vivevano l'arbitrio, la violenza, e l'angheria" (La guerra è terminata. La pace è ristabilita, "Bollettino Francescano", 24, 1936, p. 123; Vittoria e Impero, ibid., pp. 125-126). Per il bimestrale dei Cavanis "i soldati d'Italia a prezzo del loro sangue aprono le porte dell'Etiopia alla fede cattolica e alla civiltà di Roma". Dovere degli italiani è "rafforzare l'unità spirituale, stringersi attorno al Duce con fiducia incrollabile, con ferma disciplina e cristiano spirito di sacrificio", pregare affinché si "affretti l'avvento di una pace che segni il trionfo della giustizia" (Il dovere dell'ora, "Charitas", 2, 1935, nrr. 5-6, p. 129). Venezia, Archivio del liceo "M. Foscarini", contenitore "Attività politica-Sanzioni e controsanzioni", elenco delle offerte di preside e professori, 31 dicembre 1935-XIV: Ponti offre 9,20 grammi d'oro, Benzoni 8,80.
117. Celeste Bastianetto, Sundeck. Ponte di sole, Venezia 1936, pp. 55, 251; Diario 1926-1954, 19 marzo 1940.
118. Venezia, Biblioteca del Seminario Patriarcale Veneziano, Fondo Lizier, b. 1262, fasc. 13 e fasc. 11, testi delle conferenze tenute il 7 maggio e il 24 maggio 1937; ibid., fasc. 5, La società dei popoli cristiani nel pensiero di Luigi Olivi, Ateneo Veneto, 27 novembre [ma dicembre] 1937-XV e le Note su B. Muss. che accompagnano il testo ("guardate quest'uomo. [...] So che viene dall'opposta sponda del materialismo e della violenza. Ebbene quest'uomo ha sentito la forza dello spirito, ne è rimasto soggiogato. Non voglio, non posso giudicare i singoli atti della sua politica, ma egli è un servitore, un credente nello spirito. È perciò uno che lavora nel grande campo di quelle affermazioni, che [...] preparano la luce della Rivelazione. [...] Credere, obbedire, combattere, non è motto di materialista. E Mussolini, malgrado le incertezze dottrinali del testo della dottrina fascista, in sostanza ha superato l'equivoco della interpretazione idealistica di spirito ed è vicino a quella cristiana"). Lizier è designato quale oratore ufficiale della solenne celebrazione tenuta al Conservatorio "Benedetto Marcello" nell'aprile 1937 per il IV centenario della morte di s. Girolamo Emiliani alla presenza del patriarca e delle autorità civili e militari (Pietro Lizier, S. Girolamo Emiliani nel IV centenario dalla morte (1537-1937), Venezia 1937). "Charitas", 1, 1934, pp. 59, 85, 171, 179; "Il Ventuno", 6, 1937, nr. 5, p. 15; Gigi Scarpa, L'arte dal principio del secolo XX, ibid., nr. 6, pp. 19-20. Un altro universitario cattolico veneziano, Daniele Romani, vince i Prelittoriali in città nella sezione dedicata alla dottrina del fascismo sul tema "La possibilità di sviluppo offerta dalla società fascista alla personalità individuale nell'organizzazione collettiva" (ibid., nrr. 3-4, p. 33). Il giovane universitario, redattore de "La Settimana Religiosa", Dino Rosellini, seminarista, invierà nel gennaio 1939 un'appassionata dichiarazione di fede fascista a Starace, segretario del P.N.F., per impetrare la grazia di partecipare ai Littoriali, impedita dal fatto che gli anni precedenti, vestendo l'abito religioso, non si era potuto iscrivere alle organizzazioni di partito (Roma, Archivio Centrale dello Stato, Partito Nazionale Fascista, Segreteria Amministrativa, Servizi vari, ser. I, b. 399, fasc. "Venezia"). I prefetti delle Congregazioni mariane di Cavanis e Gesuiti, Mario Da Ponte e Ruggero Correr, nel 1934 diventano capisquadra dei Fasci giovanili di combattimento (Corso capisquadra Fasci giovanili, "Il Gazzettino", 31 gennaio 1934). Silvio Tramontin, Angelo Coatto: vita spirituale e vita partigiana, in La Resistenza e i cattolici veneziani, a cura di Bruno Bertoli, Venezia 1996, pp. 113-128; Id., La Chiesa veneziana dal 1938, p. 454 (dove cita i giudizi espressi dal questore di Venezia nei rapporti inviati al capo della polizia nell'aprile 1937 e nel settembre 1938); B. Bertoli, Indirizzi pastorali, pp. 38-39; Id., La fede cristiana, pp. 14, 22-23. Su don Bisacco, già collaboratore de "La Difesa" e de "Il Leone di San Marco", fondatore e assistente del circolo giovanile "G. Borsi" ai Frari - uno dei più attivi nel panorama diocesano -, v. Lutto del clero veneziano, "La Settimana Religiosa", 14 novembre 1943. All'atto di chiedere l'autorizzazione per poter dirigere il nuovo quindicinale "Anno Santo" nel 1933, la nota informativa inviata dalla questura alla prefettura definisce "ottima" la condotta morale e politica del sacerdote, che ha sempre dimostrato "attaccamento al Regime" (A.S.V., Gabinetto di Prefettura, Versamento 1971, b. 35, fasc. "Anno Santo", fonogramma del questore al prefetto, 28 aprile 1933).
119. Attilio Scarpa, Pagine di poesia e di critica, a cura di Aristide Dani, I-III, Vicenza 1970; Id., L'educazione estetica. Conferenze ai maestri con una prolusione del Comm. G. Gasperoni R. Provveditore agli studi del Veneto, Venezia 1926. Le cronache cittadine di "Gazzetta di Venezia" e "Gazzettino" forniscono attestato dell'attività oratoria di Scarpa. Sulla sua ortodossia dottrinale non si può gettare alcuna ombra di sospetto.
120. Pietro Lizier, Il valore religioso dei 'Sepolcri', "La Settimana Religiosa", 19 e 26 febbraio 1928; GI., Fra libri e riviste, ibid., 2 giugno 1929; S. Tramontin, Giovanni Ponti, pp. 49-59. Si pensi all'evoluzione del giudizio su Alessandro Manzoni, cattolico liberale: a cavaliere dei secc. XIX-XX la sua opera, prima ripudiata per l'orientamento politico, finisce per diventare testo d'insegnamento nei seminari della regione (v. Silvio Tramontin, Cattolici veneti e Alessandro Manzoni, in Manzoni, Venezia e il Veneto, a cura di Vittore Branca-Ettore Caccia-Cesare Galimberti, Firenze 1976, pp. 335-346). L'indifferenza alla questione della moralità nell'arte fra i membri delle élites frequentate dai coniugi Damerini è bene evidenziata da un episodio descritto in M. Damerini, Gli ultimi anni del Leone, pp. 159-160.
121. Venezia, Biblioteca del Seminario Patriarcale Veneziano, Fondo Lizier, b. 1268, fasc. 3, lettere di mons. Piastrelli del giugno-luglio 1925; Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Fondo Piastrelli, lettere di Lizier, 3 e 5 luglio 1925.
122. Cf. per Verona Silvio Lanaro, Società civile 'mondo' cattolico e Democrazia Cristiana nel Veneto tra fascismo e postfascismo, in La Democrazia Cristiana dal fascismo al 18 aprile. Movimento cattolico e Democrazia Cristiana nel Veneto 1945-1948, a cura di Mario Isnenghi-Silvio Lanaro, Venezia 1978, pp. 13-16 (pp. 3-71). Venezia, Archivio Storico del Patriarcato, Azione Cattolica Italiana, Presidenza-giunta diocesana, b. 2, fasc. 4, relazione sul triennio 1926-1928 del 30 giugno 1928; b. 9, fasc. 21, relazione sul triennio 1931-1933, maggio 1934; b. 16, fasc. 9, sottofasc. "1939-1940".
123. Venezia, Archivio Storico del Patriarcato, Azione Cattolica Italiana, Presidenza-giunta diocesana, b. 16, fasc. 9, sottofasc. "1941-42"; Roma, Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell'Interno, Direzione Generale Pubblica Sicurezza, Divisione Affari Generali e Riservati, Cat. G1, b. 212, fasc. 454, sottofasc. 14, rapporto del prefetto di Venezia, 29 settembre 1932. Il Censore, Sapienza e zavorra, "La Settimana Religiosa", 21 ottobre 1928 (contesta il fatto che sempre più ragazze vengano avviate alle aule scolastiche alla ricerca di un "pezzo di carta" che poi non sfrutteranno, poiché per la normale condizione di massaia l'istruzione serve poco. Questa voce manifesta la comune opinione che esiste un campo di "attività che per ovvie ragioni non può essere riserbato che all'uomo" e che "alla coltura della donna occorre dare un indirizzo che risponda a' suoi bisogni che non crei illusioni, che la metta in condizione di compiere oggi, domani, sempre ciò che ad essa veramente si addice, professioni adeguate ovvero alla sua natura"); Silvia De Biasi, 'Colta sì, universitaria no!', "Azione Fucina", 2, 1929, nr. 9 (il titolo sintetizza l'opinione di molti sulla ragazza che si iscrive all'università, sebbene "ammettono nella donna la capacità di formarsi una cultura, e arrivano anche a concedere che la vera cultura [...] è un pregio e una dote" per essa. Si concede che "forse la colpa è stata un pochino anche nostra", se gli uomini hanno iniziato a impaurirsi per l'"invadenza" femminile in ambiti di studio sinora ritenuti prerogativa maschile. La conseguenza è che in tali studi la donna "non sempre sa imprimere il suggello, l'impronta della propria personalità" e finisce per godere "fama di essere emancipata, mascolizzata". Eppure le intellettuali odierne, come emerge da studi stranieri, non fanno che riprendere una tradizione sei-settecentesca, quella dei salotti aristocratici, con l'unica differenza che le progenitrici stavano fra casa e chiesa, dove godevano di loro diritti e dove apprendevano "quella sapienza che non si trova sui libri". Le intellettuali conservano l'"amore della casa" anche se "nuove esigenze hanno imposto questa lontananza". L'unico modo per riuscire a superare le contraddizioni, restando nel solco delle antenate e inserendosi nelle nuove evoluzioni è "affermare oggi, nell'ambiente universitario, la nostra femminilità, irradiata di luce cristiana").
124. Consenso, "La Settimana Religiosa", 25 settembre 1938; Michela De Giorgio, Le italiane dall'Unità a oggi. Modelli culturali e comportamenti sociali, Roma-Bari 1992, pp. 28-33, 305-310, 455-484.
125. V. ad esempio la scheda della parrocchia di S. Maria Formosa risalente al 1928 per la seconda visita pastorale in Venezia, Archivio Storico del Patriarcato, Archivio segreto, b. "S. Visita pastorale Patr. La Fontaine", fasc. "Visite pastorali del Card. La Fontaine-1928".
126. Ivi, Azione Cattolica Italiana, Unione uomini, b. 9, fasc. senza numero e titolo contenente le relazioni dei gruppi parrocchiali dal 1927 al 1932.
127. Roma, Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell'Interno, Direzione Generale Pubblica Sicurezza, Divisione Affari Generali e Riservati, Cat. G1, b. 212, fasc. 454, sottofasc. 12 "Situazione generale della provincia di Venezia", 20 gennaio 1932. Su mons. Rachello (1878-1944), professore della facoltà giuridica al seminario, v. Patriarcato di Venezia, Ricordo dei sacerdoti, pp. 21-22. I dati sinora esposti supportano le constatazioni formulate dagli stessi protagonisti della vita cattolica del periodo e i risultati delle più recenti indagini sociologiche sullo stato della religione cattolica nel nostro paese: la disaffezione alla pratica cultuale e all'impegno nell'associazionismo confessionale ha maggior presa nei maschi adulti di qualsiasi condizione professionale, mentre, almeno sino agli anni Settanta, le donne in genere restano legate alla propria fede in una percentuale nettamente superiore. Il profilo del laico praticante, attivo nel volontariato e nelle organizzazioni ecclesiastiche, emerso dalle ultime esplorazioni statistiche conserva il prevalente aspetto di donna adulta, casalinga, e pensionato, insegnante e studente d'ambo i sessi (Fanny Stefania Cappello, 'Piume nel soffio del Signore': donne e religione di chiesa, in Immagini della religiosità in Italia, a cura di Silvano Burgalassi-Carlo Prandi-Stefano Martelli, Milano 1993, pp. 126-134; Franco Garelli, La religione in Italia, ibid., pp. 185-198, e Id., Religione e chiesa in Italia, Bologna 1991, pp. 38-94).
128. Cronache della Scuola grande di S. Rocco compaiono su "La Settimana Religiosa", mentre il mensile dell'Arciconfraternita di S. Cristoforo (sorta nel 1824 dopo lo spostamento napoleonico del cimitero fuori città), "Il Suffragio", è reperibile presso la Biblioteca Nazionale Marciana. Per i dati relativi al numero degli aderenti e allo stato patrimoniale della stessa (ammontante al 1932 a oltre 206.000 lire) v. ne "Il Suffragio", 1, 1932, nr. 6, pp. 25-27, e 2, 1933, nr. 2, p. 7.
129. Venezia, Archivio Storico del Patriarcato, Azione Cattolica Italiana, Presidenza-giunta diocesana, b. 16, fasc. 9, sottofasc. "1941-42".
130. Ibid., fasc. 3, relazione dell'attività svolta dal settembre 1942 all'agosto 1943. La composizione sociale dei circoli giovanili è verificabile dagli elenchi degli iscritti inviati alla direzione diocesana della G.C. e conservati ibid., G.I.A.C., Federazione diocesana, b. 2 e b. 3.
131. Come accenna nel suo saggio Casellato parlando dell'oratorio canossiano a S. Giobbe e secondo testimonianze provenienti anche da altre città, i luoghi di sociabilità confessionale nel Ventennio fascista, restando l'unica alternativa alle organizzazioni di regime, finiscono per attrarre anche persone di estrazione laica e socialista, che dunque vi convergono con l'idea di trovarvi spazi meno asfissianti dal punto di vista politico e talora - per la comune pregressa esperienza antifascista dei nostalgici popolari - anche la possibilità di esprimere con minori cautele la propria opinione, più che per causa di una ritrovata vena spirituale.
132. 1923-1973 Cinquantenario. Istituto Artigianelli 'S. Gerolamo Emiliani' Opera Don Orione. Venezia, Venezia 1973. Varie notizie sono tratte da un opuscoletto redatto da don Piccardo - oggi irreperibile - e parzialmente riprodotte in alcuni fogli che l'attuale direttore conserva in una cartellina presso il suo ufficio. V. anche il dattiloscritto inserito nella stessa cartellina e intitolato Note sulla 'Tipografia Emiliana' del 22 gennaio 1992. Nella cartellina anche una raccolta di fogli relativi alla commemorazione di don Orione tenuta alla parrocchia S. Pio X di Marghera il 22 novembre 1980, con discorso del redattore dell'"Avvenire", il veneziano Titta Bianchini, parente dei Paganuzzi.
133. V. ad esempio [Alessandro] Vardanega, Paolo Veronese e la Vergine, "Mater Dei", 1, 1929, nr. 1, pp. 39-46 e le reazioni da esso scatenate su "La Settimana Religiosa".
134. Le raccolte della rivista sono reperibili presso la Biblioteca Nazionale Marciana. Tra i collaboratori segnaliamo: mons. Guido Anichini, Federico Alessandrini, mons. Gaetano Carollo, Federico Cecchi, Giuseppe De Mori, Mario Cingolani e un "Alfa" che coincide con uno degli pseudonimi di Filippo Meda.
135. L'apertura del Cinema 'Accademia', "La Settimana Religiosa", 5 febbraio 1933. G. Vian, Pietro La Fontaine, pp. 248-249. Si leggano alcuni articoli comparsi in "Aurora" nel corso del 1922. Tra i precursori nell'uso del cinematografo 'alternativo' a Venezia erano stati i padri giuseppini di Madonna dell'Orto: le prime proiezioni risalgono infatti al primo decennio del secolo (Cent'anni di Giuseppini, p. 39).
136. Giannantonio Paladini, Le istituzioni culturali veneziane negli anni del cambiamento (1938-1946), in La Resistenza nel Veneziano, I, La società veneziana tra fascismo, resistenza, repubblica, a cura di Id.-Maurizio Reberschak, Venezia 1984, pp. 335-344 (pp. 333-364); S. Tramontin, Giovanni Ponti, pp. 29-31; Elenco dei soci effettivi, "Ateneo Veneto", 131, 1940, nrr. 7-8, pp. 254-256; Elenco dei soci e date delle nomine, ibid., 141, 1950, nr. 1, pp. 45-48. L'ingresso contemporaneo tra i soci dell'Ateneo di Lizier, Bastianetto, Sabbadin e Massimo Velatta, ex fucino, socio del Movimento laureati e docente incaricato di Idraulica agraria alla facoltà di Ingegneria di Padova dal 1938 (Annuario della R. Università degli studi di Padova-Anno accademico 1942-1943, Padova 1942, p. 93), nel novembre 1941, sembra quasi un indizio della volontà cattolica di mettere radici in questa antica istituzione e condizionarla nel senso voluto. Mons. Giuseppe Scarpa compare nella lista dagli anni Venti. Eugenio Bacchion (1899-1976), di origini trevigiane, si stabilisce definitivamente a Venezia dal 1931, dopo aver tenuto supplenza al "Foscarini" e al liceo di Fiume, occupando una cattedra al "Marco Polo". Studioso di storia locale e veneziana di simpatie fasciste negli anni centrali del regime, ricoprirà la carica di presidente diocesano dell'A.C. dal 1946 al 1968 (Eugenio Bacchion, Salzano. Cenni storici MCCCCXXVII-MCMXXVII, Venezia 1928, rist. anast. del 1986 con scheda bio-bibliografica di Quirino Bortolato). Il trevigiano Giovanni Zulian, già impegnato nell'A.C. della diocesi d'origine dai primi anni del secolo e giunto a Venezia alla fine degli anni Venti, sarà assessore della giunta municipale democristiana guidata dall'avv. Roberto Tognazzi (Giovanni Zulian, Il mio quinquennio 1914-1919, Venezia 1970). Riccardo Dusi è autore di saggi sulla letteratura italiana dalla metà degli anni Venti.
137. Monsignor Aurelio Signora. Una vita per la predicazione per le missioni per la devozione alla Madonna, a cura della redazione de "L'Artugna", Pordenone s.a. [ma 1990]. Le notizie su Mario Signora sono state desunte, oltre che dalla consultazione delle fonti archivistiche e giornalistiche tradizionali, dalla lettura dei diari, conservati presso la sua abitazione di Budoia (Pordenone).
138. Ricordo dei sacerdoti del Patriarcato di Venezia 1918-1968, Venezia 1968, pp. 15-16, 33-34, 45.
139. P. Teodorico Caracristi O.F.M., La Provincia Veneta di S. Antonio dal 1834 al 1934, "Le Venezie Francescane. Rivista Storico-Artistica Letteraria Illustrata" (d'ora in poi "Le Venezie Francescane"), 4, 1935, p. 170 (pp. 153-175); Statistica, ibid., 13, 1946, p. 4.
140. Elencus Religiosorum almae S. Antonii Venetae Provinciae XXV Decembris MCMXXIV. Pro Manuscripto, Leonici 1924; Index Religiosorum Provinciae Venetae S. Antonii Venetiarum ad diem XV Maji MCMXXXIX, "Acta Provinciae Venetae S. Antonii Patavini Ordinis Fratrum Minorum" (d'ora in poi "Acta Provinciae Venetae"), 13, 1939, nr. 2, pp. 8-27; Index Religiosorum Provinciae Venetae S. Antonii Venetiarum ad diem XV Maji MCMXLIII, ibid., 19, 1943, fasc. speciale, pp. 10-34.
141. Nel 50° di Sacerdozio del M.R.P. Tito Castagna O.F.M., Venezia 1955; S. Lanaro, Società civile, pp. 48-49; M. Isnenghi, Alle origini del 18 aprile, pp. 316-317.
142. P. Bernardino da Cittadella, Quattro secoli di vita francescana dei Frati Minori Cappuccini della Provincia Veneta (1535-1935), Padova 1936, pp. 51-60, 161-165; Lettera circolare del M.R.P. Vigilio da Valstagna dei Minori Cappuccini della Provincia veneta sulla missione del Paranà, "Bollettino Provinciale dei Frati Minori Cappuccini della Provincia Veneta di S. Antonio" (d'ora in poi "Bollettino Provinciale"), 3, 1927, pp. 3-15; Cronaca, "Atti della Provincia dei Frati Minori Cappuccini Veneti" (d'ora in poi "Atti della Provincia"), 1937, pp. 35-39. Il "Bollettino Provinciale" muta nome nel 1928. Cf. Francesco Basaldella, Giudecca. Storia e testimonianze, Venezia 1986, pp. 378-384.
143. P.B. da Cittadella, Quattro secoli, pp. 75-77, 87-92, 175, 184-185. Per tutto v. "Bollettino Provinciale", 2, 1926, pp. 106-107; Prospetto delle famiglie religiose costituite nel capitolo provinciale maggio 1928, "Atti della Provincia", 1928, nr. 3, pp. 17-30; Stato attuale della Provincia, ibid., 1933, nr. 1, p. 22; Stato attuale della Provincia, ibid., 1937-1938, p. 141; S.E. Mons. Giacinto Gio. Ambrosi, "Bollettino Francescano", 36, 1938, pp. 25-30; Stato attuale della Provincia, "Atti della Provincia", 18, 1943, p. 111; Annunzio della nomina a Vescovo del Rev.mo P. Girolamo da Fellette, Min. Prov., ibid., 19, 1944, p. 61. Stato personale dei Frati Minori Cappuccini della Provincia Veneta 15 agosto 1947 (Con brevi memorie storiche), Verona s.a.
144. Isidoro Gatti, S. Maria Gloriosa dei Frari. Storia di una presenza francescana a Venezia, Venezia 1992, pp. 120-123.
145. V. ad esempio, Pel Centenario Francescano, "Acta Provinciae Venetae", 2, 1926, pp. 50-53.
146. P. Domenico Marcalini O.P., Il Servo di Dio P. Giocondo Lorgna domenicano parroco. Fondatore delle Suore Domenicane della B. Imelda, Venezia 1966, pp. 40-70. Venezia, Archivio Storico del Patriarcato, Archivio segreto, b. "S. Visita pastorale Patr. La Fontaine", fasc. "Visite pastorali del Card. La Fontaine-1929", relazione su SS. Giovanni e Paolo.
147. Rodolfo Girardello O.C.D., Centenario della restaurazione della Provincia Veneta (1896-1996), "Quaderni Carmelitani", 14, 1997, pp. 169-172 (pp. 165-219); Cronistoria dei Carmelitani Scalzi della Provincia Veneta e biografie dei Religiosi defunti nella medesima, Venezia 1915, pp. 85-160.
148. R. Girardello O.C.D., Centenario, pp. 176-181, 187-190, 195-205; Cronistoria dei Carmelitani, 1935, pp. 9-10, 19, 25-26, 29-30, 36-37; IV centenario della riforma teresiana. La provincia veneta dei Carmelitani Scalzi, Venezia 1962; I Carmelitani Scalzi della Provincia veneta nel cinquantesimo della restaurazione della Provincia, Venezia 1946. Il numero dei padri della provincia assomma a 230 nel 1946 e a 288 nel 1962.
149. Nel 1921 padre Mari diventa assistente diocesano della G.C., nel 1924, per pochi mesi, padre Biffi è assistente del circolo universitario e in seguito della F.I.U.C., succedendo allo stesso padre Petazzi, mentre è predicatore richiesto negli anni Trenta padre Celestino Testore (Società della Gioventù Cattolica Italiana, "Venezia", 21 marzo 1921; Conferenze di coltura religiosa, "Aurora", 4 dicembre 1921; La partenza del P. Biffi, "La Settimana Religiosa", 7 ottobre 1928).
150. Notizie tratte dal volume edito nel 150° anniversario della fondazione intitolato I Figli della carità-Canossiani, Verona 1981.
151. Le Francescane di Cristo Re, conosciute con il nome di terziarie di S. Maria Assunta e S. Giuseppe, ad esempio, da 18 nel 1917 passano a 331 nel 1948. Nel 1931 la loro casa veneziana ospita 19 professe e 22 novizie (Istituti e Congregazioni religiose nel Veneto, a cura di Gianpaolo Romanato-Gianni A. Cisotto, Padova 1993, pp. 261-269, 364-369; P. Candido M. Romeri O.F.M., Le Clarisse nel territorio della minoritica provincia veneta. Collana di notizie, "Le Venezie Francescane", 20, 1953, p. 141 [pp. 7-143]; Venezia, Archivio Storico del Patriarcato, Archivio segreto, b. "S. Visita pastorale Patr. La Fontaine", fasc. "Visita pastorale delle case religiose-1931").
152. Antonio Niero, Congregazioni religiose, Istituti secolari e Oblati, in La Chiesa di Venezia dalla seconda guerra mondiale al Concilio, a cura di Bruno Bertoli, Venezia 1997, pp. 171-190 (pp. 171-212).
153. La casa primaria delle Canossiane nel 1931 ospita 34 professe. Istituti e Congregazioni religiose, pp. 227-248. Venezia, Archivio Storico del Patriarcato, Archivio segreto, b. "S. Visita pastorale Patr. La Fontaine", fasc. "Visita pastorale delle case religiose-1931".
154. Istituti e Congregazioni religiose, pp. 1-74.
155. I Francescani nelle Venezie (Statistiche), "Le Venezie Francescane", 1, 1932, pp. 33-37; P. C.M. Romeri O.F.M., Le Clarisse nel territorio, pp. 128-131.
156. Il Concordato colla Germania. Un atto politico?, "La Settimana Religiosa", 23 luglio 1933; Paganesimo razzista, ibid., 8 settembre 1935; Apostolato Missionario, ibid., 17 settembre 1939. Venezia, Biblioteca del Seminario Patriarcale Veneziano, Fondo Lizier, b. 1263, fasc. 52, Per la giornata universitaria del S. Cuore, Mestre e Venezia, 5 febbraio e 17 marzo 1936; b. 1262, fasc. 9, Senza Iddio, per Iddio, Lido, 31 gennaio 1937; b. 1254, fasc. 15, scritto senza titolo, 19 settembre 1937-XV. Cf. Danilo Veneruso, Il seme della pace. La cultura cattolica e il nazionalimperialismo fra le due guerre, Roma 1987, pp. 166-176. La relazione del questore al Ministero dell'Interno sull'anno 1938 afferma invece che i provvedimenti legislativi razziali "hanno suscitato in genere favorevoli commenti", mentre il clero e il patriarca tengono "contegno deferente" verso le autorità (in La Resistenza nel Veneziano, II, Documenti, a cura di Giannantonio Paladini-Maurizio Reberschak, Venezia 1985, pp. 28-35).
157. Venezia, Biblioteca del Seminario Patriarcale Veneziano, Fondo Lizier, b. 1259, fasc. 12, Cultura religiosa, 8 dicembre 1938; fasc. 16, Cultura religiosa degl'intellettuali, relazione tenuta al congresso catechistico diocesano, 11-12 aprile 1940; b. 1267, fasc. 1, La carta della Scuola, 19 novembre 1939 e Traccia della conversazione tenuta [...] al circolo fascista di Castello, 10 febbraio 1940-XVIII. È sintomatico che Lizier, in un appunto non datato ma precedente la guerra e successivo alle sanzioni, quindi poco distante dalle espressioni esaltatrici di Mussolini riferite sopra, pervenga alla conclusione che "la ragione fondamentale dei mali" italiani sia da "ricercare nella mancanza dell'interiorità cristiana", "nella coscienza falsa e immatura" dei connazionali, poiché le "correnti cattoliche, vinte nella formazione dello Stato unitario, vinte un'altra volta con la rotta del Partito Popolare, vivono nel Fascismo in sordina": esso infatti ha "assimilato vari elementi del cristianesimo specie sociale" per "cavarsela [...] negli impicci più grossi", conservando quelli "affatto eterogenei e contrastanti" allo spirito cristiano ed ondeggiando "tra la sua frazione ancora massonica e anticlericale, quella giuseppinista, i cattolici vecchio stampo che lo considerano protettore della proprietà, quelli nuovo stampo che ne vedono con simpatia la politica sociale etc." (ibid., b. 1260, fasc. 3, Per l'avvenire dell'anima italiana, s.d., pp. 1-3). BI., L'ora del dovere, "La Settimana Religiosa", 16 giugno 1940; Dalla vecchia alla nuova Europa, ibid., 1° settembre 1940 (dalla guerra un ordine nuovo che si oppone all'ordine rivoluzionario instaurato dal 1789, perché "è di là che provengono tutti i mali che resero decrepita questa vecchia Europa"); Renato Moro, I cattolici italiani di fronte alla guerra fascista, in La cultura della pace dalla Resistenza al Patto Atlantico, a cura di Massimo Pacetti-Massimo Papini-Marisa Sarcinelli, Bologna 1988, pp. 78-86 (pp. 75-126); Francesco Malgeri, La Chiesa italiana e la guerra (1940-1945), Roma 1980, p. 8.
158. S. Tramontin, Angelo Coatto, p. 121; Id., La Chiesa veneziana dal 1938, pp. 455-466; F. Malgeri, La Chiesa italiana, pp. 26-28 (Venezia è tra le province caratterizzate da un atteggiamento "tiepido, cauto, agnostico, di indifferenza e di scarsa simpatia" e critico dal giugno 1940 al dicembre 1942), pp. 105-124, 156 (il clero si mantiene "del tutto riservato, dissimulando comunque sotto la veste di elaborazione di canoni evangelici, principi pacifisti", all'altezza del marzo 1941); La Resistenza nel Veneziano, II, Documenti, a cura di Giannantonio Paladini-Maurizio Reberschak, Venezia 1985, pp. 38, 56. Cf.: Il Direttore, Signore, donaci la pace, "Bollettino Francescano", 37, 1939, p. 209; Oggi più che mai urge l'infallibile certezza del Divino Comando: pregate ed otterrete, "La Settimana Religiosa", 10 settembre 1939. V. anche le parole rivolte da Lizier ai giovani di S. Cassiano nell'aprile 1944 (Venezia, Biblioteca del Seminario Patriarcale Veneziano, Fondo Lizier, b. 1263, fasc. 43).
159. B. Bertoli, La fede cristiana, p. 39; F. Malgeri, La Chiesa italiana, pp. 126-129; S. Tramontin, La Chiesa veneziana dal 1938, pp. 463-466. V. lo schema di relazione sull'anno associativo 1942-1943 del gruppo laureati in Venezia, Biblioteca del Seminario Patriarcale Veneziano, Fondo Lizier, b. 1263, fasc. 51, p. 2: "contro il germanesimo, l'americanesimo, il bolscevismo".
160. Giovanni Vian, Fedeltà alla chiesa e servizio alla patria nella tragedia di due amici fra Resistenza e RSI: Guido Bellemo e Gino Pizzolotto, in La Resistenza e i cattolici veneziani, a cura di Bruno Bertoli, Venezia 1996, p. 78 (pp. 57-100); S. Tramontin, Angelo Coatto, pp. 121-122.
161A.S.V., Gabinetto di Prefettura, Versamento 1971, b. 35, fasc. "La settimana religiosa", disposizione nr. 1032 del capo della Provincia, 3 marzo 1944. Carlo Fumian, Venezia 'città ministeriale' (1943-1945), in La Resistenza nel Veneziano, I, La società veneziana tra fascismo, resistenza, repubblica, a cura di Giannantonio Paladini-Maurizio Reberschak, Venezia 1984, pp. 375-384 (pp. 365-394).
162. G. Vian, Fedeltà alla chiesa; Andreina Rigon, Il percorso di Dino Busetto dall'azione cattolica alla Resistenza, in La Resistenza e i cattolici veneziani, a cura di Bruno Bertoli, Venezia 1996, pp. 101-112; B. Bertoli, La fede cristiana, pp. 24-27; Ugo Facco De Lagarda, Il morto che cammina. La notte del 7-8 luglio 1944, in 1943-1945. Venezia nella Resistenza. Testimonianze, a cura di Giuseppe Turcato-Agostino Zanon Dal Bo, Venezia 1976, pp. 219-224; S. Tramontin, La Chiesa veneziana dal 1938, pp. 468-473. Tra i sacerdoti segnalatisi per il contributo alla Resistenza in città v'è don Giovanni Moro, fratello di Gerolamo Lino, futuro canonico di S. Marco (Il Patriarcato di Venezia-1974, p. 92).
163. Silvio Tramontin, Eugenio Gatto (1911-1981). Un partigiano padre delle regioni, Venezia 1985, pp. 5-9, 22-27; Id., Mentasti Pietro, in Dizionario storico del movimento cattolico in Italia, a cura di Francesco Traniello-Giorgio Campanini, III/2, Casale Monferrato 1984, pp. 548-549; Id., La Chiesa veneziana dal 1938, pp. 474-479; Maurizio Reberschak, Tra il vecchio e il nuovo. Gruppi dirigenti e forme di potere: due casi, in La Resistenza nel Veneziano, I, La società veneziana tra fascismo, resistenza, repubblica, a cura di Giannantonio Paladini-Maurizio Reberschak, Venezia 1984, pp. 295-306 (pp. 295-331); Ernesto Brunetta, La lotta armata: spontaneità e organizzazione, ibid., p. 411 (pp. 395-450).
164. Venezia, Archivio Storico del Patriarcato, Azione Cattolica Italiana, Presidenza-giunta diocesana, b. 16, fasc. 3, relazione della G.F. di A.C. per l'anno 1943-1944, p. 7. V. la conferenza di Lizier ai giovani di S. Cassiano già citata, laddove afferma: "soprattutto è punita la dimenticanza della preghiera nazionale e di quella individuale". Al termine del corso di sociologia cristiana tenuto da don Agostino Ferrari Toniolo ai laureati, nello stesso aprile 1944, egli, rifacendosi a voci cattoliche nazionali, dichiara "idea sorpassata" l'identificarsi in partiti politici, poiché "dividono" e "coltivano ambizioni". Meglio un "movimento cattolico integrale di formazione e di azione in tutte le direzioni" (Ivi, Biblioteca del Seminario Patriarcale Veneziano, Fondo Lizier, b. 1259, fasc. 7). Cf. Atti del M.R.P. Provinciale, "Atti della Provincia", 18, 1943, p. 98 (la circolare di padre Girolamo da Fellette attribuisce la colpa all'esaltazione che si compie "del dio-stato, del dio-oro, di un divismo del teatro, del cinematografo, dell'atletismo: è la superbia umana, è l'avarizia, è il piacere bruto sublimato a divinità"); Rinascita, "Bollettino Francescano", 42, 1944, p. 17.
165. S. Lanaro, Società civile, pp. 24-39.
166. Pietro Lizier, La Democrazia Cristiana. Storia-dottrina-azione, in I partiti dell'Italia nuova, a cura di Giovanni Gambarini, Venezia 1945, pp. 5-6, 29, 69 (pp. 3-72).
167. Cf.: Se Atene piange..., "Il Popolo del Veneto", 7 luglio 1945; Lambda, L'Italia e la sua missione, ibid., 14 luglio 1945, ripropone, dopo aver sollecitato i protagonisti della vita italiana a "trovare una base di reciproca intesa sul terreno dei principi ispiratori dello stato", l'idea per cui la legislazione italiana finirà per ispirarsi ai valori "metafisici" della religione cattolica in quanto l'accettazione del metodo democratico da parte di tutti implica l'affermazione della volontà della maggioranza, che in Italia è appunto ancorata alla fede tradizionale. È lo schema d'interpretazione della democrazia e delle libertà liberali a proprio vantaggio che fiorisce tra i cattolici di derivazione intransigente in età giolittiana; Le parole e i fatti, ibid., 28 luglio 1945; Fior da fiore, ibid., 25 agosto 1945; Vincenzo Penzo, Dal carnevale degli sfruttatori alla quaresima dei diseredati, ibid., 6 aprile 1946. In un discorso tenuto al Malibran nel luglio 1945, Ponti esalta la democrazia e nega che la D.C. sia la reincarnazione del vecchio "Partito clericale", poiché quest'ultimo era organismo di "difesa, mentre noi siamo partito di battaglia", anche se immediatamente dopo proclama che, nel caso fosse messa in discussione l'"assoluta libertà per la Chiesa e le sue organizzazioni", la D.C. si ergerebbe a difesa del "pensiero cristiano" dinanzi ai suoi insidiatori (Il contenuto e i compiti della Democrazia Cristiana illustrati dal prof. Pontial Malibran, ibid., 21 luglio 1945). S. Tramontin, La Chiesa veneziana dal 1938, pp. 486-493; Id., Giovanni Ponti, pp. 35, 46; La carità di fronte alla miseria, "La Voce di San Marco", 23 marzo 1946.
168. Lizier nel 1943 propone ai colleghi di farsi decisi propagandisti del messaggio morale e sociale cristiano sia presso le classi "tra cui si reclutano gli uomini della politica, dell'economia, dell'industria", sia presso "l'elemento operaio, oscillante, indeciso, scontento, attratto da opposte sollecitazioni e miraggi, pronto domani a buttarsi alla deriva del disordine, se venissero allentandosi i freni che la disciplina di guerra gl'impone" (Venezia, Biblioteca del Seminario Patriarcale Veneziano, Fondo Lizier, b. 1259, fasc. 2, Relazione sull'attività del Gruppo Laureati di Venezia nell'anno sociale 1942-43, [giugno 1943], pp. 17-19). Agli studenti cattolici medi riuniti in convegno nel marzo 1943 il docente liceale espone il concetto a lui caro, secondo il quale essi devono sentirsi obbligati a dotarsi di "una solida formazione dottrinale evangelica" e abituarsi "all'esercizio della carità sociale", in quanto membri della "borghesia, classe che ha funzione equilibratrice tra le due antagoniste della plutocrazia e del proletariato" (ibid., b. 1263, fasc. 52). V. le tracce dei discorsi Agli operai della fabbrica Tabacchi, e Agli operai della SIRMA del 5 e 11 dicembre 1945, ibid., b. 1260, fascc. 17 e 19 e la rubrica dedicata alla Vita del Partito in città e provincia: la cronaca registra una capillare e costante opera di propaganda. Sull'interclassismo, ovvero la collaborazione tra le classi che si realizza nella D.C., non partito di massa ma "partito di popolo", v. Umberto Merlin, Parole chiare, "Il Popolo del Veneto", 30 giugno 1945, e le rubriche La Pagina del lavoratore e I problemi del lavoro.
169. Pio Pietragnoli, Oltre la politica, "La Voce di San Marco", 15 giugno 1946. Cf. G. Lionello, Socialismo e Chiesa cattolica, "Il Popolo del Veneto", 20 ottobre 1945; M. Casella, L'Azione cattolica, pp. 277-289.
170. Gli 'Amici di San Francesco d'Assisi', "Le Venezie Francescane", 13, 1946, nrr. 1-2, pp. 49-51. B. Bertoli, Indirizzi pastorali, pp. 24-26.
171. Mario Caciagli, Il partito conservatore di massa, in La Democrazia Cristiana dal fascismo al 18 aprile. Movimento cattolico e Democrazia Cristiana nel Veneto. 1945-1948, a cura di Mario Isnenghi-Silvio Lanaro, Venezia 1978, pp. 267-273; S. Tramontin, Eugenio Gatto, p. 23; Maurizio De Marco, Il Gazzettino. Storia di un quotidiano, Venezia 1976, pp. 128-131. Nelle relazioni tenute ai congressi eucaristici di S. Stino di Livenza e S. Michele al Tagliamento il 4 aprile 1948, Lizier non si limita a scagliarsi contro "il materialismo che abbruttisce l'intelligenza", ma enumera le "virtù sociali dell'Eucarestia" ed in primis "l'uguaglianza perfetta di tutti" da essa instaurata (Venezia, Biblioteca Storica del Patriarcato Veneziano, Fondo Lizier, b. 1263, fasc. 39). Vincenzo Penso, L'interclassismo. Lettera aperta all'avv. Eugenio Gatto, "Il Popolo del Veneto", 1° febbraio 1947; Eugenio Gatto, L'interclassismo. Risposta a Vincenzo Penso, ibid., 8 febbraio 1947; Pietro Lizier, Aurora sul mondo, ibid., 24 aprile 1948 ("la prova che si porta [alle affermazioni di chi identifica nella D.C. il partito della conservazione] è lo svuotamento delle destre. Siamo così obiettivi da non escludere, in questa sentenza, una radice di verità. Ammettiamo che c'è ancora, in varii ceti, un anticomunismo negativo, inintelligente. Ma non è questa l'insegna con cui il nostro Partito ha impostato, combattuto e vinto la sua battaglia. La nostra insegna è proprio l'opposto: difendere la libertà per garantire il dispiegamento di tutte le forme più ardite di giustizia e di solidarietà sociale").
172. B. Bertoli, La fede cristiana, p. 39; Maurizio Reberschak, Venezia, dopoguerra: tra storia e contemporaneità, in Venezia nel secondo dopoguerra, a cura di Id., Padova 1993, p. 23 ("gli ideali, i principi, la moralità ispiratori dei politici del dopoguerra [...] non avrebbero inciso profondamente nel lungo periodo") (pp. 11-23); Francesco Semi, Mi vergognerei di non esserci stato, in 1943-1945. Venezia nella Resistenza. Testimonianze, a cura di Giuseppe Turcato-Agostino Zanon Dal Bo, Venezia 1976, pp. 191-192. Venezia, Biblioteca del Seminario Patriarcale Veneziano, Fondo Lizier, b. 1262, fasc. 17, Celebrazione della Resistenza, Mira, 24 aprile 1955.
173. Cf. Severino Galante, La scelta americana della DC, in La Democrazia Cristiana dal fascismo al 18 aprile. Movimento cattolico e Democrazia Cristiana nel Veneto 1945-1948, a cura di Mario Isnenghi-Silvio Lanaro, Venezia 1978, pp. 112-163; M. Isnenghi, Alle origini, pp. 297-307, 318.
174. Silvio Tramontin, Una inchiesta dei vescovi triveneti sulla condizione dei braccianti (1948), "Ricerche di Storia Sociale e Religiosa", 15, 1986, nr. 29, pp. 47-66.
175. M. Casella, L'Azione cattolica, p. 614.