Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il Seicento segna l’affermazione del violino che diviene lo strumento principale (con le tastiere) della produzione musicale. “L’avvento dell’opera e della sonata, insieme con la propensione tipica del barocco per tutto quanto si presentava con i caratteri dell’espressività, dell’individualità e della capacità solistica, resero inevitabile il trionfo del violino” (Anthony Baines).
La nascita del violino
Nel corso del secolo si moltiplicano le sperimentazioni liutarie per corrispondere alle esigenze della pratica musicale e per seguire le innovazioni dei compositori. Con l’avvento del melodramma e lo sviluppo della sonata, il violino esce dalla sua precedente limitativa collocazione nella pratica della musica da danza. A partire già dall’Orfeo di Claudio Monteverdi, i violini divengono il punto di forza della sezione degli archi nell’orchestra d’opera ed è significativo che l’orchestra più famosa del Seicento sia quella dei 24 violons du Roi, fondata nel 1626 da Luigi XIII.
Il violino raccoglie le caratteristiche di vari strumenti ad arco che lo hanno preceduto, quali la ribeca, la viella rinascimentale e la lira da braccio. Probabilmente il violino, se intendiamo con questo nome uno strumento ad arco, suonato “da braccio”, senza tasti, con quattro corde, accordato per quinte, compare attorno alla metà del Cinquecento.
Forse già prima erano in uso strumenti simili, a tre corde, ma è verso il 1550 che si datano i primi violini giunti fino a noi e del violino a quattro corde, accordato da Sol per quinte, parla esplicitamente Jambe de Fer nell’Epithome musicale.
I primi violini giunti fino a noi sono quelli costruiti da Gasparo Bertolotti, detto Gasparo da Salò, nato appunto a Salò ma poi trasferitosi a Brescia, verso il 1562. La sua opera verrà continuata dal suo allievo Giovanni Paolo Maggini.
Circa nello stesso periodo, cioè nella seconda metà del Cinquecento, la fabbricazione di violini si sviluppa anche a Cremona, con la famiglia Amati. Il capostipite è Andrea Amati, ma il più famoso è il nipote, Nicolò, che opera nel pieno del Seicento.
A Cremona è attivo, negli anni a cavallo fra Sei e Settecento, Antonio Stradivari. Fuori d’Italia soltanto Jacob Steiner raggiunge la fama dei liutai bresciani e soprattutto cremonesi.
I violini dei Seicento (e del Settecento) che oggi vengono suonati hanno subito profonde trasformazioni per adeguarli all’uso moderno dello strumento. La tavola armonica, le fasce, il fondo, il cavigliere e il ricciolo possono essere originali, ma le altre parti sono state cambiate.
Per reggere la maggior tensione delle corde, l’anima è stata rinforzata e la catena allungata; il manico e la tastiera sono stati allungati e inclinati all’indietro; il ponticello è stato alzato. Tutti questi interventi hanno modificato la qualità timbrica dello strumento e non soltanto ne hanno accresciuta la resa sonora. Pochissimi sono gli strumenti intatti giunti fino a noi.
Anche il modo di tenere il violino era diverso. Lo strumento non era retto dal mento (e la mentoniera era quindi sconosciuta), ma appoggiato alla spalle, come ancor oggi fanno i violinisti popolari un po’ ovunque in Europa.
I violinisti-compositori
Il Seicento è il secolo dei violinisti-compositori che concorrono a sviluppare la presenza del violino nella pratica musicale e a determinarne anche l’evoluzione strutturale.
In Italia un ruolo importante hanno Biagio Marino, attivo anche in Germania, Giovanni Battista Vitali, personalità di spicco della scuola bolognese e modenese e Arcangelo Corelli.
In Germania figure di rilievo sono quelle di Johann Jakob Walther e di Heinrich von Bieber.
Minore, almeno inizialmente, è la partecipazione dei Francesi e degli Inglesi allo sviluppo del violino e della musica violinistica. Quando anche in quei Paesi lo strumento incomincerà ad assumere un ruolo di primo piano nella pratica musicale ciò avverrà soprattutto con il contributo, anche diretto, dei musicisti italiani.