Illuminismo
di Edoardo Tortarolo
Nella voce dell'Enciclopedia Italiana dedicata all'I. (18° vol., 1933) F. Chabod combinava sapientemente un nitido quadro del contenuto filosofico di questo "movimento spirituale" con un preciso riferimento ai gruppi della società che se ne fecero portatori. "La fede assoluta, dogmatica, si potrebbe dire religiosa nella unità e validità della ragione umana", scriveva, si diffuse e radicò "in una società in pieno fermento di vita" in cui "alla lotta dei pensatori contro i tempi del cosiddetto oscurantismo corrispondeva pienamente la lotta di alcuni ceti contro certe forme politiche, sociali, economiche dell'assolutismo". Le interpretazioni di E. Cassirer (Die Philosophie der Aufklärung, 1932; trad. it. 1936) e B. Groethuysen (Die Entstehung der bürgerlichen Welt- und Lebensanschauung in Frankreich, 2 voll., 1927-1930; trad. it. parziale Le origini dello spirito borghese in Francia, 1949), prontamente recepite, si fondevano in un quadro equilibrato nel quale pensiero razionalista e azione politica della borghesia puntavano in una medesima direzione e si sedimentavano nel "valore ideale" concepito dall'I., "l'aver fissato su basi puramente umane e razionali la vita dell'uomo e dell'umanità". Nella visione di Chabod l'I. costituiva, di conseguenza, il compimento del Rinascimento italiano.
Sarebbe impossibile sintetizzare la vicenda e la natura dell'I. in questi medesimi termini dopo più di settant'anni di ricerca. Lo sviluppo degli studi empirici e delle riflessioni sistematiche ha rinnovato in profondità la nostra comprensione delle questioni intellettuali e politiche del 18° secolo. Senza perdere nulla della sua centralità e della sua legittimità in quanto concetto interpretativo e non solo, in modo neutrale, periodo convenzionale della storia dell'età moderna, l'I. ha palesemente assunto nella seconda metà del 20° sec. una fisionomia insospettabile anche a studiosi di straordinaria capacità e sensibilità analitiche come era Chabod. L'I., infatti, viene considerato dagli studi più autorevoli assai più uno snodo che ha segnato l'inizio di una fase di controversa modernità dispiegatasi nei secoli successivi, cui la civiltà contemporanea è strettamente legata, piuttosto che la realizzazione delle premesse poste dal dissolvimento della civiltà medievale e dal rinnovamento intellettuale e religioso implicito nell'umanesimo quattro-cinquecentesco.
La tragedia della Seconda guerra mondiale ha segnato un'evidente cesura negli studi sull'I. e nella valutazione del ruolo che questa costellazione di idee e di trasformazioni socioculturali svolse nella creazione della forma europea della modernità. Più che per altre categorie interpretative, la rottura della continuità storiografica appare qui notevole. In merito alla centralità dell'I. concordavano i movimenti reazionari che avevano instaurato in Europa regimi dittatoriali: per considerare - beninteso - l'I. una degenerazione verso l'individualismo, l'anarchia, l'ateismo e l'amoralità che i governi autoritari avevano il compito di rovesciare in modo da restaurare i valori della tradizione e dell'obbedienza, delle gerarchie naturali e dell'ordine organico. Nel dopoguerra l'I. non fu più presentato in questi termini, almeno nella produzione accademica che aspirava a guadagnare un riconoscimento scientifico. Anche la polemica di parte cattolica contro i danni inferti dagli illuministi increduli alla vera religione, tradizionale elemento della controversistica, passò in secondo piano nella discussione e, quando fu ripreso, si presentò all'interno della problematica delle origini del nichilismo. Allo studio dell'I. ci si volse nel dopoguerra per trovare in termini nuovi risposte a due questioni fondamentali, la cui portata era stata evidenziata dagli avvenimenti degli anni Trenta e Quaranta. La prima questione consisteva nell'individuare le origini intellettuali della catastrofe totalitaria culminata nel conflitto mondiale ed elaborare strumenti concettuali che avrebbero impedito il ripetersi della medesima tragedia. La seconda consisteva nel chiedersi se fosse possibile cercare nell'I. le radici di una tradizione la quale fondasse il progetto di società giusta, prospera e pacifica, inserita in uno sviluppo progressivo delle condizioni di vita verso il meglio. Nel loro intrecciarsi e sovrapporsi queste due questioni diedero vita a un'intensa stagione di ricerche sull'I. e più ampiamente sul Settecento.
Le poste ideologiche, morali e politiche implicite nella ricerca orientata in tale modo hanno stimolato nel tempo acquisizioni importanti di tipo documentario e interpretativo, indicando anche per l'I. la necessità di sostanziare le interpretazioni con un ampio ricorso all'analisi delle fonti e con la massima accuratezza filologica. Alla profondità delle domande poste ai testi degli illuministi e alle circostanze del loro operare hanno corrisposto, nell'arco dei cinquant'anni di ricerca successivi alla guerra, risposte impegnative sia sul piano interpretativo sia su quello filologico-ricostruttivo. Nel loro complesso i lavori del secondo dopoguerra sull'I. costituiscono un corpus vasto e ricco di conoscenze, del quale, a motivo della crescente specializzazione della ricerca, è possibile qui solo far risaltare alcune componenti. Tra queste vi è stata certamente la direzione ispirata alla Dialektik der Aufklärung (1947; trad. it. 1966) di Th.W. Adorno e M. Horkheimer. Ancora prima della conclusione definitiva del conflitto mondiale i filosofi tedeschi, esuli negli Stati Uniti, avevano indicato nel fenomeno da loro definito illuminismo la causa fondamentale del totalitarismo e dell'antisemitismo. Il controllo dell'uomo sulla natura proclamato dagli illuministi come essenza dell'attività umana si era rovesciato nel dominio della tecnica sull'uomo e nello sterminio di massa. Non era chiaro quanto davvero l'I. di Adorno e Horkheimer (il cui primo esponente sarebbe stato Ulisse) coincidesse con l'I. storicamente verificabile (Voltaire, I. Kant e D.-A.-F. de Sade erano comunque riconosciuti da Adorno e Horkheimer come esponenti del movimento). Neppure era chiaro quali fossero le implicazioni interpretative dell'augurio espresso in conclusione che l'I. superasse l'I. stesso, e che quindi il disincanto del mondo da esso perseguito producesse rispetto per l'uomo e la sua creatività e non meccanizzazione dello sterminio, falsa tolleranza e appiattimento delle differenze che vengono indotti dall'industria culturale di massa.
La Dialektik der Aufklärung, per la sua stessa ambivalenza, esercitò un apprezzabile influsso a partire dagli anni Sessanta: direzioni innovative di studio, dal femminismo e/o patriarcalismo alle ideologie coloniali e/o antischiaviste dei Lumi, hanno palesemente tratto ispirazione, per quanto distante e mediata, dal testo di Adorno e Horkheimer. Un'importante fortuna tardiva è da segnalare anche per altre opere interpretative dell'I. nate dal bisogno di comprendere le radici profonde del totalitarismo europeo. Secondo R. Koselleck (Kritik und Krise. Eine Studie zur Pathogenese der bürgerlichen Welt, 1959, scritto nei primi anni Cinquanta; trad. it. Critica illuminista e crisi della società borghese, 1972), influenzato dal pensiero di C. Schmitt, nell'I. si devono cercare le origini della crisi dei rapporti tra cittadini e potere. La forza dell'opinione pubblica nella discussione politica ha assoggettato la logica della politica alle istanze morali che sono espresse dal privato cittadino; la critica esercitata intensamente dagli illuministi ha rotto per sempre il diritto a tutelare gli arcana juris, innescando un processo di rovinosa trasformazione nella natura dello Stato, che è culminato nel totalitarismo, e di problematica definizione dei rapporti tra pubblico e privato.
La questione del totalitarismo è ugualmente al centro dell'indagine di J. Talmon (The origin of totalitarian democracy, 1952; trad. it. 1967): questi trovò le basi concettuali della democrazia totalitaria in J.-J. Rousseau e in una parte degli illuministi, ispirando un ampio, ma certo non maggioritario, segmento della storiografia anglosassone sull'I. che elaborò un atteggiamento di scetticismo variamente espresso per l'astrattezza e l'apriorismo imputati agli illuministi e riformulò così uno stereotipo ampiamente presente nel liberalismo conservatore da E. Burke in poi e ripreso nelle brillanti analisi di I. Berlin (per es., Vico and Herder. Two studies in the history of ideas, 1976; trad. it. 1978). Non è difficile indovinare quanto la persecuzione razziale abbia agito sulla condanna del preteso antisemitismo dei Lumi argomentata da A. Hertzberg negli anni Sessanta (The French Enlightenment and the Jews, 1968), quando cioè la sensibilità verso l'Olocausto divenne più acuta. Con uno sguardo più ampiamente rivolto al complesso dei fenomeni intellettuali e morali del dopoguerra, L.G. Crocker si mosse in quest'atmosfera di sospetto verso l'I. cercandovi le radici profonde della destrutturazione nichilista dell'ordine del mondo: a Crocker si deve quindi un progetto interpretativo e ricostruttivo ambizioso (An age of crisis. Man and world in eighteenth-century French thought, 1959; trad. it. 1975) che parte dall'analisi di D. Diderot per produrre un'ampia analisi dell'I. considerato una 'età di crisi' profonda cui il mondo del dopoguerra doveva guardare con attenzione nonché con diffidenza intellettuale. Nelle pagine di Crocker, da Diderot a F. Nietzsche un arco di problemi e posizioni omogenee risulta sotteso all'evoluzione della cultura occidentale.
Allo sviluppo di una storiografia critica o almeno visibilmente ambivalente riguardo alle implicazioni dell'I. sul piano filosofico si legavano e contrapponevano dal punto di vista valutativo quelle direzioni di ricerca che cercavano nell'I. non le basi di una crisi morale e in-tellettuale, ma piuttosto l'origine di una cultura soprattutto politica ed economica, espressione positiva della civiltà europea. Nelle sue diverse declinazioni la storiografia marxista compì dagli anni Cinquanta uno sforzo notevole, pur con qualche forzatura evidente, per acquisire l'I. alla propria storia, facendone un momento necessario del progresso europeo, ideologia della borghesia in ascesa e ideologia anticristiana e, nei suoi esponenti più avanzati, atea, ma anche strumento di una militanza attiva per la trasformazione delle istituzioni di quello che il suo vero compimento, la rivoluzione borghese, avrebbe trasformato nell''antico regime'. A partire dagli anni Cinquanta si sviluppò un'ampia ricerca sull'anticipazione nell'I. di motivi comunisti, democratici e rivoluzionari, mentre un interesse per le manifestazioni nella società, nei progetti politici, nelle forme organizzative indirizzò le ricerche verso temi dell'I. che la pura storia delle idee filosofiche non poteva cogliere. Furono avviate ricerche empiriche, spesso di notevole capacità innovativa, per verificare il nesso tra collocazione sociale e atteggiamento mentale e, in particolare, per legare l'I. alla Rivoluzione francese, come causa o almeno preparazione dell'evento rivoluzionario fondamentale della modernità europea.
Al contempo, tuttavia, proprio dall'analisi dell'I. si costruivano persuasivamente altre genealogie che legavano il movimento, assai più che a scoppi rivoluzionari, a progetti di riforma del mondo moderno che erano finalizzati a contrapporsi a qualunque tentazione totalitaria e a costituirne anzi l'antidoto più efficace. È questa la corrente di studi che, almeno tematicamente, si riallacciava al libro del 1932 di Cassirer sulla filosofia dell'I., scritto come atto di resistenza al culto nazista dello Stato. Pur stretto tra la riflessione impregnata di Kulturpessimismus e la strumentalizzazione della storiografia marxista, è stata la storiografia che vedeva nell'I. una fase fondativa di una positiva e umanista tradizione politico-intellettuale della storia europea a dare il contributo più solido e duraturo alla conoscenza della cultura del 18° sec. a partire dagli anni Cinquanta. Si tratta, come è facile immaginare, di un ampio e differenziato insieme di studi che non si possono facilmente ridurre sotto una medesima categoria interpretativa, non soltanto per i differenti risultati cui sono giunti nella valutazione del fenomeno illuminista complessivo, ma anche perché gli studi specifici, puntuali, di carattere monografico, che garantiscono veri risultati conoscitivi, sono stati condotti con approcci metodologici e fonti molto differenti. Le sintesi permettono tuttavia di cogliere con chiarezza gli esiti di quest'interesse conoscitivo.
L'opera di P. Gay (The Enlightenment: an interpretation, 1966-1969, 2 voll.) costituisce il tentativo più sistematico di dimostrare che l'I. ha rappresentato la faccia positiva della modernità europea. Le due tematiche che Gay vedeva caratteristiche dell'I., l'emergere del moderno paganesimo e l'elaborazione della scienza della libertà, cioè la politica liberale, mostrano l'intenzione dello storico tedesco, naturalizzato statunitense, di vedere nell'I. l'incubatrice tanto della secolarizzazione novecentesca quanto dell'emancipazione politica realizzatasi positivamente nelle istituzioni rappresentative dell'Europa occidentale e degli Stati Uniti. La storia sociale delle idee era lo strumento metodologico per ricostruire, secondo Gay, l'ampio orizzonte di uomini e idee che costituivano l'Illuminismo. La politica e soprat-tutto le idee di politica risultano la preoccupazione dominante in quest'approccio ai Lumi: le diverse discipline intellettuali esercitate con vigore e originalità, dall'analisi della società e dell'economia alla storia, alla morale, hanno un'implicazione e spesso un immediato risvolto politico. S'instaura dunque un naturale parallelismo tra la ricostruzione dello scontro tra gli illuministi e l'oscurantismo della Chiesa cattolica e, spesso, della monarchia assoluta da una parte e la tensione tra intellettuali progressisti e il conformismo dei grandi apparati statali, ideologici e religiosi nel dopoguerra dall'altra.
I forti contrasti tra le visioni del mondo nell'età della guerra fredda fecero emergere attraverso l'analisi delle figure e delle idee del gruppo di uomini che avevano posto la riforma pacifica dello Stato, la modernizzazione e la razionalizzazione delle strutture della società in vista del progresso sociale ed economico, la tolleranza e il diritto alla critica al centro della loro azione. L'opera centrale e paradigmatica di quest'atteggiamento interpretativo fu il primo volume di Settecento riformatore di F. Venturi (1969): in un Paese ritenuto tradizionalmente ai margini dell'Europa illuminista, lo storico riscoprì i protagonisti di un'intensa stagione di creatività intellettuale e politica durante la quale gli illuministi italiani non solo produssero un considerevole rinnovamento della cultura tradizionale, ma si posero come interlocutori credibili e attivi del potere politico legittimo per creare 'pubblica felicità'. In quest'opera Venturi definisce e descrive nel dettaglio la forma italiana dell'I. e le sue caratteristiche specifiche all'interno del moto europeo, mantenendo una prospettiva politica ed europea. Nella raccolta di lezioni intitolata Utopia e riforma nell'illuminismo (1970), la cui edizione in inglese ebbe ampia circolazione internazionale, il nesso tra i diversi ambiti nei quali il movimento illuminista si era mosso dalla fine del 17° sec. alla vigilia della Rivoluzione francese viene presentato con forza sintetica, sottolineando e documentando al tempo stesso l'articolazione interna delle discussioni e l'unitario contributo dell'I. alla contrastata e conflittuale, di frequente, drammatica, modernizzazione europea. Diderot e l'Encyclopédie ne sono ritenuti gli esiti storicamente più vitali.
Negli anni Sessanta e Settanta questa prospettiva produsse in Italia e all'estero una notevole serie di lavori centrati su questioni complessive o su singoli ambienti e personaggi che rinnovarono con una nota individuale il panorama degli studi europei, insistendo sul valore esemplare della prospettiva riformatrice connaturato alla politica degli illuministi. L'interesse per il politico era d'altronde la chiave comune alla gran parte degli studi sull'I., non solo francese, di questi decenni, sia nell'interazione che i philosophes avviarono con i sovrani sensibili al rinnovamento e alla secolarizzazione delle istituzioni, sia nell'analisi della risonanza più generale che le idee illuministe provocarono nella società europea muovendola verso una trasformazione istituzionale. Nelle biografie dei maggiori e minori illuministi questi due temi acquisirono uno spazio e un'attenzione crescenti, così come l'aspetto intellettuale fu discusso nelle monografie sui grandi monarchi illuminati.
Una dimensione della discussione illuminista tra intellettualità e potere entrava così stabilmente nell'interpretazione del movimento, e le riflessioni sulla storia intellettuale poterono arricchirsi nel medesimo torno d'anni di un'intensificata ricerca sulle istituzioni che avevano reso possibile l'affermarsi delle idee illuministe nella società. Le ricerche di D. Roche sul movimento delle accademie e di M. Jacob sull'eredità rinascimentale di radicalismo speculativo e sulla massoneria evi-denziarono la dimensione sociale e collettiva del movimento intellettuale illuminista, andando oltre le grandi personalità creative che avevano monopolizzato l'attenzione di Cassirer e - pur con esiti valutativi di segno opposto - di Gay e Crocker, e superando le rigide interpretazioni fondate su un uso anacronistico delle classi sociali.
S'inserivano in questo allargamento dell'orizzonte interessi nuovi verso la storia dell'interazione tra scienza, religione e cultura nel 18° sec. anche al di fuori dei confini dei gruppi colti; verso la storia del libro e del manoscritto; verso l'incidenza delle reti di comunicazione e imprenditoriali nella diffusione delle idee degli illuministi. Il tema del rapporto tra la nascente opinione pubblica e i suoi strumenti, le riviste e le gazzette innanzi tutto, e la cultura filosofica, accennato solo dalla ricerca di J. Habermas (Strukturwandel der Öffentlichkeit. Untersuchungen zu einer Kategorie der bürgerlichen Gesellschaft, 1962; trad. it. Storia e critica dell'opinione pubblica, 1971), è divenuto centrale nel rinnovamento degli studi sull'Illuminismo. Esemplari di que-st'orientamento interessato tanto a segnalare la ricchezza e la novità di contenuto dell'I. quanto alle modalità di disseminazione, ricezione ed efficacia sono stati i lavori di R. Darnton, nei quali sono sfruttate abilmente fonti d'archivio sino ad allora trascurate per dimostrare il successo commerciale dei libri proibiti. Nell'interpretazione di Darnton (Édition et sédition: l'univers de la littérature clandestine au 18. siècle, 1991; The forbidden bestsellers of prerevolutionary France, 1995; trad. it. 1997) la pornografia appare un veicolo efficace attraverso cui le idee philosophiques penetrarono nella cultura francese, più adeguato delle trattazioni complicate a suscitare l'interesse del largo pubblico per la nuova etica sensista e la scienza materialista. I libri scandalosi entravano così nel novero dei documenti da studiare per capire l'I. insieme ai classici riconosciuti dal canone filosofico, letterario, scientifico, religioso. Le ricerche indubbiamente importanti e innovative di Darnton in questo come in altri settori indicano non solo un allargamento, ma una trasformazione dell'idea di Illuminismo.
L'accentuazione dell'aspetto sociale ha messo in secondo piano la forza universalistica delle idee illuministe tanto sottolineate nei decenni precedenti. La fortuna della tesi degli Illuminismi nazionali (The Enlightenment in national context, ed. R. Porter, M. Teich, 1981) è apparsa evidente nella crescente formulazione di paradigmi adatti a descrivere, per es., la specificità dell'I. scozzese, dal punto di vista sociale perfettamente integrato, accademico, sostanzialmente religioso, o dell'I. olandese, ma ha creato spazio entro il quale collocare forme di riflessione illuminista che non ruppero il legame ultimo con le religioni rivelate e si posero quindi in posizione distinta dall'I. deista, quando non esplicitamente ateo, dei Diderot, d'Holbach, Hume, Dohm (ma l'imponente ricerca di J. Israel su The radical Enlightenment: philosophy and the making of modernity, 2001, dimostra la diffusione in tutt'Europa di una filosofia spinoziana atea costitutiva dell'I.). L'imponente ricerca di J. Pocock (Barbarism and religion, 4 voll., 1999-2005), ancora incompiuta, sulla vita, l'opera e la posizione religiosa e filosofica del massimo storico del 18° sec., E. Gibbon, si propone di dimostrare non solo la solidità erudita di quest'ultimo ma, contro la tesi di A. Momigliano, la sua affinità all'I. scozzese e olandese, moderati e tolleranti, privi del furore antireligioso dell'I. francese.
Dagli anni Ottanta le interpretazioni dell'I. si sono quindi allargate a coprire un ampio spettro di fenomeni sociali, ben al di là di quelli che la storiografia aveva indicato come costitutivi del movimento, ossia la polemica contro le religioni rivelate e la rivendicazione del diritto morale a intervenire nella discussione pubblica in nome della ragione universale. Così facendo la penetrazione delle idee illuministe nella cultura europea si presenta con caratteri di evidenza difficilmente contestabili. Contemporaneamente un filone di studi ha guardato all'I. come a un fenomeno certamente legato al mondo della società europea, da cogliere nei suoi riflessi politici e istituzionali, ma del quale emergono soprattutto le insufficienze, le ipocrisie, le responsabilità per tutte le mancanze con cui il progetto di emancipazione universale era stato avviato e realizzato. Il tema essenziale dell'universalità dell'I. ha ritrovato un terreno di discussione critica come reazione alle aggressive domande poste da M. Foucault e dai teorici della svolta linguistica sul rapporto esistente tra costruzione del sapere ed esercizio del potere, tra il linguaggio e la realtà dei rapporti di forza che condiziona la formulazione del linguaggio stesso. La storiografia femminista ha rivalutato la presenza femminile nell'elaborazione delle idee a sostegno dell'eguaglianza tra uomo e donna, ma al contempo ha sottolineato la mascolinità intrinseca alla concezione illuminista della ragione e ha sostenuto la parzialità, la doppiezza, la strumentalità dell'I. maschile e del suo concetto esclusivamente formale di eguaglianza. Analogamente una crescente storiografia postcoloniale ha ripreso i temi presentati da E. Said (Orientalism, 1979; trad. it. 1991) e ha visto nell'I. un'ideologia a giustificazione del dominio coloniale europeo su tutto il resto del mondo e della schiavitù dei neri, a dispetto dei proclami per i diritti umani naturali.
Nelle interpretazioni che in generale si possono indicare come ispirate da tematiche del postmodernismo è evidente un interesse tanto profondo quanto critico per l'I.: da questo punto di vista almeno l'I. ha ritrovato la sua centralità in ogni dibattito sulla specificità della storia europea in età moderna e si è visto riconoscere una specificità che l'indagine prevalentemente rivolta agli aspetti sociali e istituzionali di un fenomeno intellettuale mette in secondo piano. Gli studi di ispirazione postmoderna mostrano un interesse verso l'I. basato sul rifiuto di quelle che sono considerate, spesso assai affrettatamente se non in modo persino caricaturale, le sue caratteristiche fondamentali: dalla cieca fiducia in una ragione universale alla scoperta della naturalità del mercato a una concezione lineare e progressiva della storia. I postmoderni vedono nell'I. l'origine di una modernità che è si è esaurita e ha lasciato in eredità miti ormai obsoleti, dai quali è sì urgente liberarsi, ma di cui si riconosce l'importanza e la pervasività. La coscienza di muoversi in una condizione ormai diversa da quella degli illuministi può essere il punto di partenza per una rinnovata analisi del sistema intellettuale che sostenitori e avversari riconoscono essere alla base della nostra condizione storica e per una rinnovata sensibilità a ricollegarsi a quei valori dell'I. che all'inizio del 21° sec. sono ancora condivisibili.
bibliografia
E. Tortarolo, L'illuminismo. Ragioni e dubbi di una modernità europea, Roma 1999.
La reinvenzione dei lumi. Percorsi storiografici del Novecento, a cura di G. Ricuperati, Firenze 2000. Postmodernism and the Enlightenment. New perspectives in eighteenth-century French intellectual history, ed. D. Gordon, New York-London 2001.
What's left of the Enlightenment? A post-modern question, ed. K.M. Baker-Peter H. Reill, Stanford (CA) 2001.
V. Ferrone, D. Roche, L'illuminismo nella cultura contemporanea: storia e storiografia, Roma-Bari 2002.
Historiographie et usages des Lumières, éd. G. Ricuperati, Berlin 2002.
A.M. Rao, Enlightenment and reform: an overview of culture and politics in Enlightenment Italy, in Journal of modern Italian studies, 2005, 10, 2, pp. 142-67.